logo dell'associazione

logo dell'associazione

La grande muraglia - Ismail Kadarè



lunedì 08 maggio 2006 legge Marta Nori

Il tema del “confine” è legato all’identificazione dell’io, poiché attraverso il confine si definiscono le identità personali ma anche le tendenze e le organizzazioni interne.
Con le crisi economiche cambiano i confini sociali ed i rapporti tra “cittadini” ed “immigrati”: quando l’arrivo degli immigrati non corrisponde a richieste del sistema, si produce sempre una ri-formulazione delle distanze.
Nel racconto di Ismail Kadarè, scrittore albanese in esilio, più volte candidato al Nobel, la Grande Muraglia rappresenta la metafora di questa relegazione imposta dalla dittatura.
La parola, l’udito, la vista sono controllati. In chi credere? In cosa credere? Qual è la verità nascosta?
Ci propone la lettura di questo racconto Marta Nori,  interprete ed insegnante di lingua cinese, guida di viaggi in giro per il mondo.
 



Ismail Kadaré, La grande muraglia, in “Internazionale”, 623, 30 dicembre 2005
(pp. 24-32)


IL SORVEGLIANTE SHUNG

Sono passati anche i barbari… Il mio assistente accompagnò queste parole con un sospiro. Il suo sguardo era puntato in direzione dei cavalli che si allontanavano, mentre io pensavo tra me e me che nessun luogo dell’immensa Cina – non solo nelle piccole città, ma anche nelle grandi ed addirittura nella capitale, dove le cose si sanno meglio che in provincia dalle nostre parti insomma – nessuno avrebbe commentato l’attraversamento della Muraglia da parte dei nomadi, anche se si trattava solo dei membri di un’ambasceria, con parole diverse da “sono passati anche i barbari”, accompagnandole da uno di quei sospiri che di solito emettiamo di fronte a quegli avvenimenti di cui sentiamo già nostalgia.
Il silenzio che incombe qui da decenni non impedisce ai sudditi del nostro impero d’immaginare la nostra Muraglia ed i nomadi del nord in lotta, mentre si battono selvaggiamente e senza tregua, scagliandosi lance o pece, mentre si accecano o si cavano gli occhi, si portano via le pietre o si strappano i capelli.
La cosa non mi stupisce più di tanto poiché la gente non fa che affibbiarle una pseudo aureola di eroismo mentre si raffigura gli altri aspetti della Muraglia, dalla forma fino alla sua stessa altezza, in forma molto diversa dalla realtà. Non riescono a convincersi che, se in certi punti è effettivamente molto elevata, perfino impressionante – tanto che guardando dall’alto, come dal luogo dove ci troviamo si viene colti da vertigini – per quasi tutta la sua estensione, invece, il suo deterioramento è penoso da vedersi. Per lo stato di abbandono, poiché gli abitanti dei dintorni scavano e portano via le sue pietre, la Muraglia si è abbassata al punto da superare a malapena l’altezza di un cavaliere sulla sua cavalcatura, per non parlare di un tratto dove di essa non rimane che il nome. In realtà non sono altro che pietre disseminate qua e là, i resti, verrebbe da dire di un progetto iniziale abbandonato Dio sa per quale ragione. E così come un rettile che si distingue a mala pena, strisciando nel fango, ha raggiunto i confini del deserto dei Gobi, che naturalmente l’ha subito inghiottita.
Lo sguardo del mio assistente era vuoto come quello di chi di solito è costretto a guardare lontano.
“Siamo in attesa di ordini”, dissi, prima che mi chiedesse cosa dovevamo fare.
Si può facilmente immaginare che la conclusione delle trattative con l’ambasceria dei nomadi avrebbe definito il contenuto degli ordini, ammesso che una tale decisione fosse stata veramente presa.
Aspettammo quindi l’ordine per tutta l’estate, poi fino alla fine della villeggiatura, quando immaginavamo che l’imperatore ed i suoi ministri sarebbero rientrati. Ma la decisione non arrivò né con i venti né con il nevischio d’inverno.

Come sempre in quei casi, l’ordine o più esattamente il suo riverbero, arrivò quando ormai più nessuno se lo aspettava. Parlo di riverbero, perché ancor prima dell’arrivo del corriere imperiale, avevamo saputo qual era la decisione del governo dagli abitanti dei villaggi e degli accampamenti situati lungo tutta la fortificazione. Avevano abbandonato le loro abitazioni e si erano ritirati nelle grotte delle montagne vicine, come facevano di solito alla vigilia dei lavori di rifacimento della Grande Muraglia, di cui erano sempre informati in anticipo, in un modo che per noi è sempre rimasto un mistero.

Si trattava certamente di un comportamento prudente perché scomparendo dalle loro case, si risparmiavano almeno i colpi di frusta dei funzionari, senza contare ovviamente i tantissimi altri castighi di altro genere. Mi sono sempre chiesto senza mai trovare risposta cosa li spingesse a sottrarre pietre alla Muraglia e a usarle per costruire casupole o cortiletti, ben sapendo che un giorno le avrebbero nuovamente perdute.
Mi hanno detto che è una storia che dura da secoli, e, come la matassa di lana usata per fare una sciarpa, le pietre della Muraglia sono andate e venute più volte dalla casa dei contadini alla Muraglia, e viceversa. Qua e là si notano ancora tracce di fumo che spesso accendono l’immaginazione di turisti o dei plenipotenziari stranieri, i quali non sono nemmeno sfiorati dall’idea che non si tratta dell’impronta lasciata da un eroico combattimento, ma dalla fuliggine di un focolare, dove, per anni, è stata preparata la magra e squallida brodaglia di un anonimo contadino.

Quel pomeriggio, dunque, quando venimmo a sapere che i contadini avevano abbandonato le loro abitazioni, immaginammo che l’intera Cina fosse informata del rifacimento.
Quei lavori erano indizio di una certa tensione, ma non significavano ancora la guerra. A differenza dei conflitti armati, le ricostruzioni erano tanto frequenti che la Grande Muraglia avrebbe anche potuto avere “Riparazione” come secondo nome o soprannome. Invero, considerata nel suo insieme, più che una muraglia in senso stretto, era un’infinita successione di rattoppi. Si arrivava anche a sostenere che fosse nata così: come rattoppo di una muraglia più antica che a sua volta derivava da un’altra muraglia e così via. Si sosteneva anche che inizialmente il muro originario si elevasse nel cuore dello stato ma che di riparazione in riparazione, si fosse lentamente spostato finendo per raggiungere la frontiera, dove, come un albero finalmente piantato in un terreno adatto, era cresciuto mostruosamente al punto di atterrire il mondo. Anche chi non poteva immaginare la Muraglia senza i nomadi, a volte si domandava se era la loro presenza ad aver sollecitato la sua edificazione, o se al contrario era la Muraglia che ergendosi alla frontiera, li aveva attirati.
Se non avessimo visto con i nostri occhi l’ambasceria dei barbari passare di lì, e anche in due riprese quando erano venuti ed anche ripartiti, forse saremmo stati tra i pochi a collegare il nuovo stato di tensione, con la maggior parte dei precedenti, ai dissidi che non raramente sorgevano all’interno del paese del paese, nel cuore stesso dello stato. Pieni della soddisfazione che dà la conoscenza di una verità perduta in un oceano di menzogne, avremmo passato le lunghe serate invernali ad elaborare ipotesi sul possibile corso degli avvenimenti, sugli eventuali intrighi di palazzo, i cui meccanismi erano tanto segreti che i loro stessi protagonisti avrebbero avuto difficoltà a spiegarli, sulle gelosie che come si diceva avevano il potere di mandare in frantumi gli specchi delle dame al crepuscolo, e così via.

Ma tutto era avvenuto sotto i nostri occhi, i nomadi erano passati proprio sotto di noi. Serbavamo ancora il ricordo delle righe multicolori dei loro costumi, del rumore degli zoccoli delle cavalcature, senza dimenticare, beninteso, le parole “anche i barbari sono passati” che si era lasciato sfuggire il mio secondo, accompagnate da un sospiro e da uno sguardo completamente vuoto. In tutt’altra circostanza avremmo potuto dubitare o fingere di dubitare, ma questa volta sentivamo che un atteggiamento simile non avrebbe avuto senso. Per quanto fossero noiose le serate invernali, potevamo trovare un altro modo di occuparle senza andare a cercare cause diverse dall’avvicinarsi dei barbari per spiegare l’inquietudine dello stato.

Venuta dal nord si diffonde una sorda angoscia. La questione adesso non è più sapere se questo stato di tensione ha veramente la sua origine nel pericolo che ci minaccia dall’esterno. Ormai, è più che evidente, l’unico interrogativo è se ci sarà davvero la guerra.

I primi muratori sono arrivati, ma la maggior parte è ancora in cammino. Alcuni sostengono che ne arriveranno quarantamila, altri parlano di cifre ancora superiori. Certamente sarà il più importante rifacimento degli ultimi secoli.
L’oca selvatica che passa ripetendo il suo verso risveglia l’immensità del vuoto…Ieri, contemplando lo spazio settentrionale, mi sono tornati in mente i versi di un poeta di cui non ricordo il nome.

Da un po’ di tempo il timore che m’ispira il vuoto supera ogni altra forma d’apprensione… Dicono che i nomadi adesso hanno un unico capo, il successore di Gengis Khan, che fa di tutto, nella loro polverosa ed allucinante confusione, per creare uno stato. Per il momento non si sa niente di preciso su di lui, oltre al fatto che è zoppo. Ancora prima del suo nome è arrivata fin qui la sua deformità. Da qualche giorno i nomadi, come stormi di taccole, appaiono e scompaiono nella nebbia. Sicuramente sorvegliano i lavori di rifacimento. Sono certo che la Muraglia, senza la quale non potremmo concepire di sopravvivere, è inammissibile per il loro modo di sentire e che a loro provoca lo stesso turbamento che a noi ispira il vuoto settentrionale.

KUTLUK IL NOMADE

Mi dicono di correre, correre, e controllarla continuamente, ma è interminabile e sempre identica a sé stessa, pietra su pietra, pietra da un lato, pietra dall’altro, tutte legate con la malta, e anche se corro, non cambiano, sempre uguali a sé stesse come questa lurida neve che non è cambiata da quando inseguivamo Toktamish attraverso la Siberia, alla fine dell’anno del Cane, quando Timur, il nostro khan kuturdilar, ci ha detto: “Ragazzi, resistete ancora un po’, perché in fondo non è altro che neve, vuol farci credere di essere fredda, come fanno le smorfiose, ma poi finirà per ammorbidirsi e si scioglierà”. Questa truppa di pietre invece è più malefica, non si sbriciola e non si scioglie, mi sbarra la strada, perché il khan non ci dà l’ordine di attaccare questa pietraia, di raderla al suolo, come a Chubukabad, dove ci impadronimmo del sultano Bajazid e dove il khan ci mandò questo yarlik: “Onore a voi per aver catturato la Folgore, poco importa che non avete ancora imprigionato tutto il cielo, anche questo verrà”; poi come ad Akshehir, durante l’anno della Tigre, quando avevamo sotterrato i prigionieri ancora vivi come nel ventre della madre e il khan kuturdilar ci disse: “Se sono innocenti, come dice Qatshi il Mago, il ventre della terra, più generoso di quello degli uomini, li genererà di nuovo”. Ah! Che bei tempi, ma il nostro khan non ci ha mandato più yarlik per chiederci di radere al suolo tutto, e i capi, quando si riuniscono in consiglio, nel kurultai, sostengo che le città non sono altro che bare dove bisogna guardarsi dall’entrare, perché una volta dentro non potrete più uscirne,ecco quello che dicono, e tuttavia lo yarlik di distruzione si ostina a non arrivare, ricevo solo un ordine perpetuo che si ripete come queste maledette pietre: nomade, tieni gli occhi aperti!


IL SORVEGLIANTE SHUNG

I lavori di rifacimento continuano, a quanto pare, su tutto il lato nordovest della Muraglia. Ogni settimana arrivano nuovi muratori che sventolano allegramente le bandiere e i gagliardetti multicolori delle loro province, che fanno a gara a chi manderà il maggior numero di braccia, ma non si nota da nessuna parte un sia pur minimo movimento di truppe. Le sentinelle nomadi si stagliano come sempre all’orizzonte, ma a volte capita, per la spessa nebbia invernale, di non distinguerli più nettamente, cavalieri e cavalcatura, e più che cavalieri sembrano tronchi di cadaveri mutilati che un vento folle ha fatto volare da un misterioso campo di battaglia per disseminarli nell’aria
.
Quel che accade sembra un enigma. A prima vista si potrebbe credere ad una manovra, che ognuno dei due campi abbia scelto di manifestare la propria forza con un atteggiamento di disprezzo. Ma considerando le cose lucidamente, si possono scoprire elementi che sfuggono a qualsiasi logica. E’ la prima volta, mi pare, che si produce una simile frattura tra la Muraglia e la capitale. Le ho sempre immaginate indissolubilmente legate, e questo non solo quando lavoravo nella capitale, ma anche prima, quando ero un semplice funzionario nelle sperdute vallate del Tibet. Che esercitassero l’una sull’altra un’influenza simile a quella che a quanto dicono esercita la luna sul flusso e riflusso delle maree, lo sapevo da tempo. Quel che ho appreso venendo qui è che la Muraglia è capace di spostare la capitale, in altre parole può attrarla a sé o respingerla, mentre la città non può fare niente contro di lei. Al massimo può cercare di allontanarsi come la mosca che cerca di sfuggire alla tela del ragno, o al contrario può avvicinarsi per rannicchiarsi nel suo grembo, come un essere colto dalla paura, ma non di più. E’ con l’attrazione o con il rifiuto esercitati dalla Muraglia che a mio parere si spiegano i movimenti della capitale della Cina durante gli ultimi due secoli, il suo spostamento verso il sud del paese, come avvenne per Nanchino, il più lontano possibile dalla Muraglia, o il suo avvicinamento verso nord, il più vicino possibile, come avvenne per Pechino, diventata per la terza volta, la nostra capitale.
In questi giorni mi sono spremuto le meningi per trovare una spiegazione più precisa a quel che sta succedendo. A volte ho l’impressione che questa indecisione , se così si può definire , sia proprio dovuta alla vicinanza della capitale. Gli ordini possono essere annullati più facilmente che se la capitale si trovasse, mettiamo, a quattro o cinque mesi di distanza e la seconda vettura che porta il nuovo ordine che annulla il precedente non fosse riuscita a raggiungere la prima, oppure, per la rapidità, per il panico, si fosse ribaltata, o fosse la prima ad essersi ribaltata, oppure, si fossero ribaltate entrambe, eccetera. Ieri sera mentre stavamo chiacchierando (era uno di quei rapporti di un’indolenza raffinata, di quelli che spesso prendono forma dopo simili momenti sottratti alla vista degli altri, e ci sembrano tanto più cari, ieri sera, dunque, il mio assistente mi ha detto che se non solo la capitale, ma la Cina stessa, si spostasse, la Muraglia non si muoverebbe di un millimetro. “Adesso”, ha aggiunto con noncuranza, “abbiamo le prove di quel che sostengo”. Infatti, ci siamo ricordati che nell’arco di mille anni o poco più che erano passati dalla costruzione del muro, la Cina era più di una volta uscita dai suoi confini, lasciando la Muraglia so,a e senza significato nel bel mezzo delle steppe grigie, per poi farvi ritorno altrettante volte.
Mi sono ricordato di una mia zia alla quale da bambina, avevano messo un braccialetto, dimenticato poi al suo braccio. Quando cominciò a crescere per poco non le penetrò nelle carni. Avevo l’impressione che la Cina avesse conosciuto all’incirca la stessa sorte. Il muro l’aveva ora serrata, ora dissertata. Da qualche anno sembrava adatto alla sua misura. Per quanto riguardava il futuro non si poteva sapere… Ogni volta che vedevo mia zia mi ricordavo la storia del braccialetto, e non so spiegarmi perché continuava ad ossessionarmi, dato che, mio malgrado, non potevo impedirmi d’immaginare quel che sarebbe successo se non glielo avessero levato in tempo, e, spingendomi avanti con la fantasia, me l’immaginavo dopo la sua morte, in un continuo tintinnio, ormai troppo largo per il braccio di uno scheletro… Mi sono preso la testa tra le mani, confuso di essere arrivato al punto d’immaginare la Cina con questo inutile armamentario, dopo la sua decomposizione…
Era un a notte senza stelle, ma il chiaro di luna emanava una sensazione di apatia così forte da far credere che l’indomani ognuno avrebbe rinunciato alla sua pur piccola azione, e che nomadi, uccelli, gli stessi stati, sfiniti, avrebbero continuato a languire come morti stesi l’uno accanto all’altro, proprio come noi…
Alla fine abbiamo saputo il nome del capo dei nomadi: si chiama Timur lan, che vuol dire Timur lo zoppo. Avrebbe sferrato una guerra terribile conto gli ottomani e, dopo aver fatto prigioniero il loro re, chiamato Folgore, lo avrebbe portato con sé ovunque attraverso le steppe.
A quanto pare non tarderà ad attaccarci. Adesso tutto diventa chiaro, l’ordine di rifacimento e questa calma transitoria che ci siamo affrettati a definire “enigmatica”, come tutto quello che c’è d’incomprensibile negli affari di stato. Fintantoché attaccava i turchi, il terribile zoppo non rappresentava affatto un pericolo. Ma adesso…
Un messaggero, che si è fermato qui ieri sera di ritorno da una missione, ci ha portato una notizia inquietante. Ai confini occidentali del nostro impero, proprio di fronte al nostro Muro, a pochi centinaia di metri, i barbari avrebbero costruito una sorta di torre, non di pietre, ma di teste mozzate. La costruzione, per come l’ha descritta, non è molto alta, poco più dell’altezza di due uomini, e da un punto di vista militare non minaccia affatto la nostra Muraglia, ma il terrore che diffonde è più efficace di cento fortezze. Nonostante le riunioni tenute con i soldati ed i muratori per spiegare che quel cumulo comparato alla nostra Muraglia, ha solo il valore di uno spauracchio (i corvi che non la finivano più di svolazzare intorno suggerivano del resto questa analogia), un clima di panico si era diffuso ovunque, anche nell’esercito. Non ho mai portato tante lettere nella capitale, dichiarò il messaggero colpendo con la mano la sua borsa di cuoio. Secondo lui la maggior parte delle missive era stata scritta dalle mogli degli ufficiali in corrispondenza con le amiche dell’aristocrazia per informarle delle loro insospettabili emicranie, eccetera, un modo per intercedere presso di loro e far trasferire i mariti.
Sempre secondo il messaggero, la ventata pestilenziale che emanava quel cumulo era talmente insopportabile che, per la prima volta nella sua esistenza, gli era parso che la Muraglia si ritraesse, e aveva pregato Dio che il rifacimento, cominciato molto opportunamente, fosse portato a termine nel più breve lasso di tempo.
Il messaggero lasciò tutti in uno stato di profonda prostrazione. Senza confessarcelo, eravamo ormai consapevoli di guardare con un altro occhio le parti danneggiate della Muraglia, le sue crepe, le sue macchie fatiscenti. I nostri pensieri erano ostinatamente rivolti ai cumuli di teste mozzate. A quanto pare, aveva osservato il mio secondo non appena il messaggero fu partito, il saggio proverbio che dice “non si sfonda un muro con la testa”, la cui ortografia ci valse Dio sa quante bacchettate nella scuola comunale, era ormai superato. Per quel che ne sapevamo, adesso era soprattutto la testa che adoperavano per abbattere il Muro.
Nessun movimento di truppe dal lato della frontiera. Un violento terremoto ha fatto tremare tutto, tranne la Muraglia, che sa ormai resistere ai sismi. Il silenzio dopo la scossa sembrava essersi fatto ancora più profondo… Ho l’impressione che i lavori di rifacimento siano realizzati senza troppa cura, solo per l’apparenza. Il giorno prima del terremoto, l’edificio che serviva da torre di guardia, alla nostra destra, è crollato per la seconda volta. Sono portato a credere che il tradimento si sia infiltrato nel palazzo imperiale. Il mio assistente invece è di un altro avviso. Da molto tempo è convinto che la gente della capitale è talmente immersa nei piaceri e nella dissolutezza che si cura ben poco dei nomadi e delle frontiere. Ieri mi diceva di aver sentito raccontare che avevano inventato nuovi specchi che aumentavano almeno del doppio le proporzioni di un pene. Le dame li sistemavano nella loro camera da letto per eccitarsi prima di fare l’amore.

Unico conforto: oltre la Muraglia non si scorge nessun movimento, a parte quei rari esploratori a cavallo che passano come il vento, e a volte anche piccoli gruppi di soldati turchi con le uniformi sbrindellate. Quando hanno fatto la loro prima comparsa, sul finire dell’estate, i nostri osservatori erano molto preoccupati. Si pensò prima di tutto a elementi di truppe di assalto camuffati da turchi sconfitti, poi dopo i rapporti forniti d spie infiltrate nei loro ranghi, si scoprì che si trattava proprio dei resti dell’esercito ottomano mandati in rovina da Timur Chubukabad. E’ da molto che vanno e vengono lungo la frontiera. Sono quasi tutti anziani e alla sera pensano alle lontane contrade dai nomi terribili dove combatterono, e pensano anche al loro sultano Bajazid, il cui ricordo li segue sempre come un fulmine che si è spento attraverso la steppa.

Più di una volta hanno chiesto di lavorare al rifacimento della Muraglia, e dopo il secondo crollo della torre di destra, uno di loro, che aveva insistito per avere un colloquio con me, mi ha anche raccontato in un cattivo cinese, di aver visto, in un paese molto lontano, un ponte nel cui impalcato era stato murato un uomo. Portava le mani agli occhi per giurare che lo aveva visto di persona, e mi chiese anche un pezzo di carta per disegnare la forma del ponte. Non era che un ponticello, precisò, e per evitare che crollasse si era reso necessario un sacrificio. Ma questa immensa Muraglia come può tenersi in piedi senza un’offerta dello stesso genere?
Alcun i giorni dopo, ritornò per raccontarmi la stessa storia, ma, questa volta, disegnò il ponte con grande abbondanza di particolari. Quando gli chiesi perché l’avesse rappresentato alla rovescia, impallidì. “non lo so”, mi rispose, “forse perché era così che appariva nell’acqua… E anche due notti fa, è così che l’ho visto in sogno, capovolto”. Quando fu partito, esaminammo a lungo lo strano schizzo:

Il segno + come aveva spiegato, indicava il luogo del sacrificio. Avendovi a lungo concentrato lo sguardo, ebbi l’impressione che il ponte si fosse messo a tremare. Ora era forse perché il turco mi aveva detto, che più che il ponte in sé, ricordava il suo riflesso nell’acqua? Si trattava, se così posso dire, di un modo di considerare le cose dal punto di vista delle acque, che, sempre a detta del turco, era considerato agli antipodi del modo di vedere degli uomini, per esempio, o dal punto di vista della terra. Proprio le acque avevano richiesto il sacrificio (almeno così diceva la leggenda) dell’immuramento, in altre parole la condanna a morte dell’uomo.
A notte alta, il chiarore della luna, cadendo obliquamente sulle pietre della Muraglia, disegnava qua e là dei tratti umani. “Turco maledetto!”, imprecai credendo che fosse stato lui a suscitare quegli accostamenti morbosi. Mi dissi poi che forse era così, come per il ponte rovesciato, che circolavano sulla terra i buoni ed i cattivi messaggi. Verosimilmente i popoli si scambiavano così, centinaia, se non addirittura migliaia d’anni prima, dei segni che annunciavano l’arrivo delle loro missioni ufficiali, con le loro lettere e i loro sigilli di cera nera.

KUTLUK IL NOMADE

I capi sono riuniti nel kurultai, lo yarlik del khan Timur è arrivato: “Non avventurarti mai dall’altra parte” dice, perché lì troverai la tua rovina”. Ma più mi dissuadono più ho voglia di oltrepassare il muro, di scoprire le città, le donne che si rifrangono in raffinati cristalli, vestite con una sorta di zefir che chiamano mend-afsh (la seta) e che hanno la fessura del piacere più dolce del miele, ma questa maledetta pietraia si rifiuta, me lo impedisce, mi opprime, mi piacerebbe tanto pugnalarla, anche se il ferro, lo so, non può nulla contro di lei che ha resistito anche al terremoto. Ah, due giorni fa, quando la pietraia ed il sisma si sono battuti, ho urlato: “Solo tu la puoi spianare!, ma non c’è stato niente da fare, è lei che ha avuto il sopravvento, ha soffocato il terremoto ed ho pianto assistendo ai suoi ultimi sussulti simili a quelli di un bue sgozzato, fin quando, ahimé, l’ho visto spirare, e mio Dio, mi sono sentito molto triste, come quella volta nella steppa di Bek-Pek-Dala, quando ho detto al comandante Abaga: “Non so perché, ma ho voglia di urlare”, e lui mi ha risposto: ”Questa pianura si chiama Bek-Pek-dala, o anche steppa della fame, e se non è la tua di fame, sentirai quella degli altri, sprona dunque il tuo cavallo, figlio mio”. E’ quello che mi ripetono tutti: sprona il tuo cavallo, non fermarti mai, figlio della steppa, ma questa pietraia me lo impedisce, si mette di traverso sul mio cammino, sfida il mio cavallo, attira le sue ossa, e anch’io mi sento come assorbito dal suo cemento funebre, non so bene in che modo ha reso il mio volto di cera, mi fa venir meno ed impallidire, aaah…

IL SORVEGLIANTE SHUNG

Le giornate, come si piegassero all’improvviso sotto il peso degli anni, si trascinano stancamente. Non riusciamo a riprenderci dal colpo che abbiamo subito alla fine di questa settimana.
Da quando il suo carro si è fermato di fronte alla nostra torre e ha detto: “Vengo da parte della direzione numero 22 della musica”, ho avuto se non un cattivo presentimento, almeno qualcosa di molto simile. Quando gli ho chiesto qual era il ruolo della direzione e se intendevano veramente dare concerti o brani d’opera per i soldati e gli operai occupati a riparare la Muraglia, è scoppiato in una lunga risata: “Sono anni che la nostra Direzione non si occupa più di attività del genere!”.
Quel che ci ha rivelato successivamente era tanto stupefacente che a un certo punto il mio secondo l’ha interrotto per chiedergli in tono supplichevole: “Tutto questo è vero o vi prendete gioco di noi?”.
Avevamo già sentito dire che col passare degli anni, alcuni dipartimenti e direzioni della burocrazia celeste, pur continuando a mantenere le antiche denominazioni, avevano visto cambiare completamente la natura dei loro compiti, ma che le cose fossero arrivate al punto che l’occupazione principale dello stato maggiore della Flotta era il rifornimento di droghe per rinvigorire la potenza sessuale dell’imperatore, mentre la Flotta da guerra era passata agli ordini del capo degli eunuchi del palazzo, era qualcosa d’inconcepibile per chiunque. Ma non è tutto, continuò: “Sapete di che si occupa la direzione delle miniere di rame e di tutte le fonderie? E sapete chi è la mente della politica estera? E delle grandi opere pubbliche?
Ascoltavamo a bocca aperta mentre lui, soddisfatto del nostro stupore, rispondeva da sé, quasi volesse darci un contentino, ad alcune delle sue stesse domande. Abbassando la voce ci disse che l’istituzione che si occupa dei servizi segreti e della castrazione degli eunuchi è la Biblioteca centrale. E senza darci neppure il tempo di riprenderci, proseguì rivelandoci che, negli ultimi tempi, il clan degli eunuchi del Palazzo imperiale si era arrogato un enorme potere. Secondo lui non avrebbero tardato ad impadronirsi di tutto il governo, e allora la Cina, invece che Impero celeste o impero di mezzo, correva seriamente il rischio di chiamarsi Impero della Castrazione celeste…

Scoppiò a ridere e poi scurì in volto. “Voi ridete”, disse, “perché non sapete tutto l’orrore che ciò può rappresentare” (i nostri volti, lungi dall’abbozzare un sorriso, erano diventati neri come la pece). Ma tuttavia, prese a cominciare tutte le frasi con le parole: “Voi ridete, ma…” Per lui noi ridevamo senza renderci conto della calamità che ne derivava.
Dato che ignoravamo che l’evirazione decuplica la sete di potere, eccetera.
Nel corso della serata, in cui bevve abbondantemente, soprattutto verso la fine, il gusto di stupirci e la fierezza di essere arrivato dalla capitale lo stimolarono al punto che cominciò a rivelarci terribili segreti. Non c’era dubbio che parlasse un po’ troppo, nondimeno ognuna delle sue parole manteneva tutto il suo peso, perché sentivamo che riproducevano fedelmente la realtà. Quando arrivammo a parlare della minaccia del nord, scoppiò in una risata fragorosa come la precedente. “la guerra con i nomadi? Come potete essere tanto ingenui, miei cari funzionari da credere a simili sciocchezze? Il rifacimento della Muraglia? Ma non ha niente a che vedere con la prospettiva di un conflitto! Al contrario, è la prima condizione dell’accordo segreto con i barbari! Perché sgranate gli occhi? Sì, il rifacimento è stato espressamente richiesto dai barbari”.
“Oh no!” si lasciò sfuggire il mio secondo prendendosi la testa fra le mani.
Il visitatore riprese a parlare, questa volta più pacatamente. Certo la Cina aveva intrapreso la costruzione della Muraglia per proteggersi dai nomadi, ma era passato tanto di quel tempo da allora e le cose erano profondamente cambiate.
“Sì” , continuò, “le cose sono molto cambiate. La Cina, è vero, è stata a lungo terrorizzata dai barbari ed in futuro potrebbe avere nuovi motivi per temerli, ma in altri periodi anche i barbari hanno avuto paura della Cina. Ora ci troviamo in una fase simile. Sono i barbari a temere la Cina. Questo è il motivo che li ha spinti a chiedere, anche con una certa insistenza, il rifacimento della Muraglia”.
“Ma è pazzesco!” intervenne il mio assistente. “Temere uno stato e chiedergli allo stesso tempo di rinforzare le sue difese non mi sembra poi tanto logico!”.
“Santo cielo!” esclamò il visitatore. “Ma perché siete tanto impazienti? Lasciate che vi spieghi tutto dall’inizio alla fine…
Sgranate gli occhi, mi interrompete come un branco di oche, ma è solo perché non conoscete la chiave dell’enigma. Orbene questa chiave sta nella paura. O più precisamente nella natura di questa paura… Adesso, aprite bene le orecchie e mettetevi in testa che la paura della Cina e quella dei barbari, anche se in cinese si chiamano entrambe paura, sono diverse l’una dall’altra. La Cina teme la forza distruttrice dei barbari, questi ultimi temono invece che i loro costumi si raddolciscano sotto l’influenza della Cina. In altre parole, dei suoi palazzi, delle sue donne, della seta. Tutto questo per loro equivale alla morte, così come le lance e la polvere dei nomadi significano la fine per la Cina. Quindi questo strano Muro, ergendosi come ostacolo tra loro, è servito ora a un campo, ora all’altro. Adesso è la volta dei nomadi…”.
L’idea di lanciargli un’ingiuria, di trattarlo da impostore, buffone, ciarlone, mi passò definitivamente dalla testa. Come tutte le parole che aveva pronunciato in precedenza, anche queste dovevano essere vere. Ricordavo vagamente la storia della conquista della Cina da parte di Gengis Khan. Aveva rovesciato i nostri imperatori e li aveva sostituiti con uomini di sua fiducia che aveva successivamente attaccato, perché a quanto pare si erano infiacchiti. Il ministro Yan Jey non era forse stato condannato, alcuni anni prima, per aver sostenuto, una sera dopo cena, che la dinastia Ming, per quanto riguardava le ultime quattro generazioni – insomma l’intera discendenza – in fondo non era altro che una dinastia mongola?
Il rifacimento del Muro era quindi stato chiesto dai barbari… Più lungimirante dei suoi predecessori, Timur aveva giudicato l’invasione della Cina, non solo inutile, ma impossibile. Quel che la Cina perdeva con la spada, lo riguadagnava con la seta, quindi invece dell’attacco, Timur aveva scelto la chiusura della frontiera. Così si spiegava la calma che si era instaurata da una parte e dell’altra della Muraglia subito dopo l’invio della sua ambasceria. Quel che noialtri, con leggerezza, avevamo attribuito a un enigma, alla frivolezza, e addirittura a un’allucinazione provocata dagli specchi che ingrandivano i peni, non era stato che il semplice risultato di un accordo bilaterale.
Durante la notte fui assalito da una folla di pensieri. Gli stati erano sempre più saggi e più stupidi di quanto potevamo immaginare. Riaffioravano ora alla mia memoria sotto una nuova luce brani di conversazioni tra funzionari che erano stati dall’altra parte. Lo spirito di Gengis Khan si è infiacchito, riferivano gli incaricati delle missioni di spionaggio nel nord.