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Viaggio in Italia - Wolfang Goethe


lunedì 20 dicembre 2010 legge Margaret Collina

«Quel che per ora sta a cuore a me, è d’arricchirmi di quelle impressioni sensibili che non danno né i libri né i quadri. Per me l’importante è di prendere ancora interesse a ciò che si agita nel mondo, di mettere alla prova il mio spirito d’osservazione, d’esaminare fino a qual punto arrivino la mia scienza e la mia cultura, d’esser sicuro che anche il mio occhio è lucido, limpido e puro, di esperimentare quanto in tanta fretta sono in grado di ritenere, e se le rughe che si sono scavate e impresse nella mia anima, si possono ancora spianare» (W. Goethe)
Margaret Collina ci offre la sua tradizionale lettura natalizia: per farci gli auguri tra viaggi di parole e un brindisi.

W. Goethe, Viaggio in Italia, Bur Classici Rizzoli 2000, traduzione di E. Zaniboni

«Non ho altro da cercare al mondo che quello che ho già trovato»
[Johann Wolfgang von Goethe, a Charlotte von Stein]

Goethe partì in direzione Karlsbad (Boemia) il 3 settembre 1786. Da lì poi verso il Brennero, dove arrivò l'8 settembre.
«Quel che per ora sta a cuore a me, è d’arricchirmi di quelle impressioni sensibili che non danno né i libri né i quadri. Per me l’importante è di prendere ancora interesse a ciò che si agita nel mondo, di mettere alla prova il mio spirito d’osservazione, d’esaminare fino a qual punto arrivino la mia scienza e la mia cultura, d’esser sicuro che anche il mio occhio è lucido, limpido e puro, di esperimentare quanto in tanta fretta sono in grado di ritenere, e se le rughe che si sono scavate e impresse nella mia anima, si possono ancora spianare. Ora che faccio già tutto da me, e devo essere sempre intento e sempre vigile, sento già, da qualche giorno, una tutt’altra elasticità di spirito. Adesso, devo pensare anche alla valuta e al cambio del denaro, devo pagare, notare, scrivere, mentre prima non avevo che da pensare, volere, riflettere,comandare, dettare.
Da Bolzano a Trento si percorre per circa nove miglia una valle sempre più ubertosa. Tutto ciò che fra le montagne più alte comincia appena a vegetare, qui acquista forza e vita; il sole brilla con ardore e si crede ancora in un Dio».
In questi versi il suo intento di viaggio:
Chi vuol capire che cos'è la poesia
Deve andare nella terra della poesia;
Chi vuol capire i poeti
Deve andare nella terra dei poeti.
Torbole
«Col fresco della sera sono andato un po' a zonzo. Adesso mi sento in un paese nuovo, in un ambiente del tutto estraneo. Gli uomini conducono una vita spensierata da paese di cuccagna. In primo luogo, le porte non hanno serrature; ma l'albergatore mi ha assicurato che posso star tranquillo, se anche tutte le cose che ho con me fossero diamanti; in secondo, le finestre sono munite di carta oliata in luogo di vetri; in terzo, manca una certa comodità della massima importanza: tanto da potersi dire che qui si vive in certo qual modo allo stato di natura».


Verona
«Son salito sull'orlo dell'anfiteatro, che ha l'aspetto di cratere, all' ora del tramonto e ho goduto la vista più deliziosa sopra tutta la città ed i dintorni. Ero perfettamente solo, mentre in basso, sul largo marciapiede di piazza Bra, una folla di uomini di tutte le condizioni e di donne del ceto medio andavano a diporto. Queste ultime con le loro sopravesti nere, vedute così a volo d'uccello parevano altrettante mummie»

A Verona si entusiasmò per il Palladio, eppure non andò a visitare la tomba di Giulietta, interessandosi invece per l'Arena. A Venezia non ebbe quasi nulla da scrivere su San Marco e sul Palazzo dei Dogi... ma per la prima volta in vita sua, vide il mare.
Venezia, 28 settembre 1786.
«Era dunque scritto sulla pagina della mia vita, nel libro del Destino, che io, la sera del 28 settembre 1786, alle ore cinque secondo i nostri orologi, viaggiando lungo il Brenta e raggiungendo le lagune, dovessi subito scorgere questa meravigliosa città insulare, e posarvi il piede per visitare la repubblica di castori...».
«..Dirò solo poche parole sul mio itinerario da Padova fin qui. Il viaggio sul Brenta, su una nave a servizio pubblico in compagnia di persone davvero a modo, è risultato comodo e piacevole: fra di loro gli italiani sono cortesi e pieni di riguardi. Le rive del fiume sono costellate di giardini e ville; si vedono piccoli villaggi che sorgono quasi sul corso d'acqua, che per lunghi tratti è rasentato da una strada molto animata».

Trento, Verona, Padova, Venezia, Bologna, Perugia... e più tardi Napoli e la Sicilia.
Roma

A Roma il poeta giunge dopo aver dedicato alle bellezze di Firenze appena tre ore.

«C'è una sola Roma al mondo, e io mi ci trovo bene come un pesce dentro l'acqua, e vi galleggio così come una palla di cannone galleggerebbe sul mercurio, mentre in qualsiasi altro liquido essa colerebbe a picco. Niente offusca l'orizzonte dei miei pensieri, fuorché il non poter condividere la mia felicità con quelli che amo. Ora il cielo è stupendamente sereno, solo al mattino e alla sera scende su Roma un po' di nebbia. Ma sui colli, ad Albano, a Castelgandolfo, a Frascati, dove la scorsa settimana trascorsi tre giorni, l'aria è costantemente pura e limpida. Là si può studiare una natura differente».
Un parco diventa «una vera e propria selva: alberi e sterpi, erbacce e tralci crescono a capriccio, seccano, cadono, marciscono. Il luogo antistante l'ingresso è molto bello: un'alta muraglia chiude la valle, una cancellata lascia penetrare lo sguardo e subito comincia il pendio del colle in cima a cui sorge il castello». (Genzano, Palazzo Chigi.)
«Ho visto Verona, Vicenza, Padova e Venezia; alla sfuggita Ferrara, e Bologna; Firenze appena appena, l'ansia di arrivare a Roma era così grande ed aumentava talmente ad ogni istante, che non potevo più star fermo, e a Firenze non mi son trattenuto che 3 ore. Eccomi ora a Roma, tranquillo, e a quanto sembra acquietato per tutta la vita. Poter contemplare coi propri occhi un complesso, del quale già si conoscevano interiormente ed esteriormente i particolari, è, direi quasi, come incominciare una vita nuova. Tutti i sogni della mia giovinezza ora li vedo vivi; le prime incisioni di cui mi ricordo (mio padre aveva collocato in un'anticamera le vedute di Roma), ora le vedo nella realtà e tutto ciò che da tempo conoscevo in fatto di quadri e di rami o di incisioni in legno, di gessi o di sugheri, tutto ora mi sta raccolto innanzi agli occhi, e dovunque io vada, trovo un'antica conoscenza in un mondo forestiero. Tutto è come immaginavo, e tutto è nuovo. Altrettanto posso dire delle mie osservazioni e delle mie idee. Non ho avuto nemmeno un pensiero completamente nuovo, non ho trovato nulla di completamente estraneo a me, ma i pensieri antichi mi sono diventati così precisi... così vivi, così concatenati l'un l'altro, che veramente possono passare per nuovi».
Viaggiava sotto falsa identità: Giovanni Filippo Moeller, "commerciante di Lipsia" perché non voleva essere riconosciuto. In Italia desiderava solo rilassarsi e fare qualche settimana di vacanza. Invece, vi sarebbe rimasto ben due anni

«Gli stranieri sono lo specchio migliore in cui possiamo riconoscere noi stessi».
(Lettera a Charlotte von Stein, 9 settembre 1793)

A Roma fu felice
«Soltanto a Roma ho potuto ritrovare me stesso. Per la prima volta, mi sono sentito in armonia con me stesso, felice, ragionevole...».
«Roma è un luogo fantastico. Vi si trovano non solo manufatti di tutti i tipi ma anche persone di tutti i tipi (...) Grazie a Dio, comincio ad accettare gli altri e a imparare da loro».
«Di sera mi arrampicai sulla Colonna Traiana. Da quell'altezza e con quel tramonto, il Colosseo, il vicino Campidoglio, il Palatino e la città circostante offrivano una veduta superba. Era tardi quando tornai a casa, camminando lentamente. La Piazza di Monte Cavallo, con il suo obelisco, è un posto notevole».
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«Confessiamo tuttavia che è un lavoro ingrato e triste questo di voler dissotterrare Roma antica dalla moderna; eppure bisogna fare anche questo, se si vuol godere alla fine un'incomparabile soddisfazione. Si trovano tracce d'una magnificenza e d'una distruzione che oltrepassano entrambe la nostra immaginazione.
Quello che i barbari hanno lasciato in piedi, hanno devastato gli architetti della Roma moderna.
A considerare un'esistenza che risale a duemila anni e più, trasfigurata dalla vicenda dei tempi in modo così vario e talora così radicale, mentre è pur sempre quello stesso suolo, quegli stessi colli, spesso perfino le stesse colonne e le stesse mura, e perfino nella popolazione. si vedono ancora le stimmate del carattere antico, si finisce col diventar contemporanei dei grandi disegni del destino; ed ecco perché in sul principio riesce, difficile all'osservatore il discernere come Roma sia succeduta a Roma, e non soltanto la nuova sopra l'antica, ma le varie epoche dell'antica e della nuova una sull'altra. lo mi accontento soprattutto di scoprire da me i punti mezzo nascosti; ché solo in tal modo si può trarre pieno profitto dei buoni lavori preparatori.
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Sia che si percorra la città o ci si fermi per i via, vediamo innanzi paesaggi d'ogni specie, palazzi e rovine, giardini e luoghi incolti, sfondi e angiporti, casupole, stalle, archi trionfali e colonne, e tutto spesso così vicino che si potrebbe riprodurlo sopra un foglio solo. Bisognerebbe incidere con mille ceselli;. che cosa può fare, qui, una sola penna? E la sera si è stanchi e spossati, per aver troppo visto e troppo ammirato».

A Roma si racconta che si innamorò di Faustina, in una bettola

«..la piccola cercò un posto, a me di faccia, vicino alla madre; e tanto smosse la panca e così bene seppe armeggiare che mi scoprì alla vista mezzo il viso e tutto il collo...».
«Più forte ella parlava che non usino le romane; assaggiò, si volse a guardarmi, mescè e sbagliò il bicchiere».
«Il vino fluì sulla tavola ed ella col dito grazioso cominciò a tracciare umidi cerchi sul piano di legno. E il mio nome intrecciò col suo; avidamente, via via seguivo con l'occhio il dito sottile, ed ella bene se ne accorgeva».
«Alfine tracciò rapida il segno del cinque romano e davanti un'asticciola. Non appena io l'ebbi visto, subito intrecciò cerchi su cerchi, per cancellare lettere e cifre; ma restò impressa nel mio occhio l'immagine deliziosa del quattro».

Quattro! le ore quattro di notte, ciò che corrispondeva, secondo l'uso romano d'allora, alle dieci di sera.

«Io era rimasto a sedere senza parole; tra la malizia, il piacere e il desiderio mi morsi a sangue il labbro che bruciava».
«Prima ancora tanto tempo che annotti! E poi ancora quattro ore di attesa! O sommo sole, tu indugi e contempli la tua Roma...».
Il soggiorno di Goethe a Roma fu intervallato da un viaggio a Napoli e in Sicilia durato quattro mesi. Il viaggio gli servì anche per le sue osservazioni sulla natura: Goethe scalò il Vesuvio per compiervi ricerche geologiche, e a Palermo visitò l'Orto Botanico

Conosci il Paese dove fioriscono i limoni?
Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Nel verde fogliame splendono arance d'oro.
Un vento lieve spira dal cielo azzurro.
Tranquillo è il mirto, sereno l'alloro.
Lo conosci tu bene?
Laggiù, laggiù
Vorrei con te, o mio amato, andare!
Goethe giudicò Pompei non troppo positivamente, ricavandone

«un’impressione strana, quasi di fastidio».
Neanche dei templi di Paestum scrive cose entusiastiche.
Calendario della seconda parte del viaggio di Goethe
29 marzo: Napoli
2 aprile - 11 maggio: Sicilia
17 maggio - 3 giugno: Napoli
8 giugno 87 - 23 aprile 88: Roma
maggio: Firenze, Milano
18 giugno: ritorno a Weimar
Napoli
A Napoli scrive: «I napoletani credono di possedere un pezzo di paradiso, e del settentrione hanno un concetto alquanto triste: Sempre neve, case di legno, gran ignoranza, ma danari assai».
[in italiano nel testo]
E: «Anche a me qui sembra di essere un altro. Dunque le cose sono due: o ero pazzo prima di giungere qui, oppure lo sono adesso».
Insieme alla dettagliata descrizione delle sue esperienze di viaggio, delle sue passeggiate e dei vari pranzi in compagnia di nobili e di artisti trova il tempo di lavorare ai suoi progetti letterari.


«Il Principe [di Waldeck] mi aveva già chiesto, nel nostro primo incontro, di che cosa io mi occupi in questo momento. L' “Iphigenia” mi era così impressa nella memoria che una sera potei parlargliene con ricchezza di dettagli. Mi ascoltarono; io però credetti di notare che da me si aspettavano qualcosa di più vitale, di più sfrenato». (Napoli, 1 marzo.)


Era l’aprile del 1787 quando, in compagnia del pittore Kniep, sbarcò a Palermo.
Palermo
Nel capoluogo siciliano si meraviglia della sporcizia che riempie i corsi principali, ma comprende la rassegnazione degli abitanti.
«Nel giardino pubblico vicino al porto, trascorsi tutto da solo alcune ore magnifiche. E' il posto più stupendo del mondo». (Palermo, 7 aprile 1787.)

Caltanissetta, Catania, Taormina, Messina...
Messina
«Ed eccoci arrivati a Messina: non avendo notizia di alcun albergo, ci siamo adattati a passare la prima notte nella locanda del nostro çavallaro, riservandoci di andare il giorno dopo alla ricerca di un alloggio migliore. Questa nostra risoluzione ci ha offerto fin dai primi passi lo spettacolo più orrendo d'una città distrutta: abbiamo percorso a cavallo il tratto d'un quarto d'ora attraverso rovine e rovine prima di arrivare alla locanda, l'unica abitazione ricostruita in tutto quel quartiere, e che perciò dai balconi dei piano superiore non presentava che la vista d'un deserto frastagliato di macerie. Oltre la cerchia di quella specie di masseria, non c'era ombra né di uomini né di animali: il silenzio, nella notte, era terribile. Le porte non eran munite né di. saliscendi, né di serrature: ad accogliere ospiti umani s'era provveduto come se si fosse trattato di cavalli; e con tutto questo abbiam dormito tranquillamente sopra un materasso, che il nostro servizievole bardonaro, a furia di chiacchiere, era riuscito a strappare da sotto la schiena del locandiere».
«Dopo l'immane catastrofe che colpiva Messina• e uccideva dodicimila abitanti non era rimasto un tetto per trentamila superstiti; la maggior parte delle case era crollata; quelle che eran rimaste in piedi non offrivano, per le mura tutte lesionate, alcun rifugio sicuro; si pensò allora a costruire in fretta e in furia a nord della città, in una estesa pianura, una città di baracche......
Così qui non vi son che pochi edifici fra i più importanti, che rimangano in qualche modo chiusi al pubblico, perché gli abitanti passano gran parte del tempo a cielo scoperto. In tali condizioni si vive a Messina già da tre anni. Una simile vita di baracca, di capanna e perfino di tenda influisce decisamente anche sul carattere degli abitanti. L'orrore riportato dal disastro immane e la paura che possa ripetersi li spingono a godere con esagerata allegria i piaceri del momento».
E poi nuovamente a Napoli
. «E’ vero, qui non si può fare qualche passo senza che ci si imbatta in individui mal vestiti, o vestiti persino solo di stracci, ma non per questo loro sono perdigiorno e fannulloni! Anzi, paradossalmente oserei dire che a Napoli il lavoro maggiore viene svolto dalle persone dei ceti bassi».
E: «...il cosiddetto lazzarone non è meno attivo di chi appartiene a una classe agiata, e tuttavia bisogna prendere nota che qui tutti lavorano non solo per vivere, ma anche per godersi la vita; pure nella fatica vogliono essere felici».
Scrive quasi a conclusione di un’esperienza irripetibile:

«Venerare con piacere, anzi con gioia il grande ed il bello è nella mia indole e il potere educare questa mia inclinazione naturale al cospetto di così splendide opere d'arte, giorno per giorno, è la più deliziosa di tutte le sensazioni.
In un paese in cui durante il giorno si gode, ma specialmente la sera si prova la gioia di vivere, è di una singolare importanza il cader della notte. Cessa allora il lavoro; la gente ritorna dalla passeggiata, il padre va a rivedere la figlia a casa, la giornata è finita; ma che cosa sia veramente questa giornata, noi delle regioni cimmerie non lo sappiamo. In una eterna e fosca nebbia che sia giorno o che sia notte, per noi è sempre lo stesso. Quanto tempo possiamo noi veramente uscire all'aperto all'aria libera?»

E di nuovo a Roma

«E come non avrei dovuto ricordare, in quei momenti, l'elegia di Ovidio, che, condannato all'esilio egli pure, dovette abbandonare Roma in una notte di luna! “Cum repeto noctem ...” Non c'era verso che mi uscissero di mente i suoi ricordi nostalgici, dal Ponto estremo, fra tanta tristezza e tanto lutto. E ripetei quei distici, che in parte mi rifiorirono spontanei alla memoria, ma che in realtà intralciarono e incepparono• la mia vena poetica la quale, anche più tardi rievocata, non mi rispose mai più».
Cum subit illius tristissima noctis imago,
Quae mihi supremum tempus in Urbe fuit;
Cum repeto noctem, qua tot mihi cara reliqui,
Labitur ex oculis nunc quoque gutta meis.
Quando mi si presenta la visione tristissima di quella notte
in cui vissi le ultime mie ore in Roma,
quando ripenso alla notte in cui lasciai tante cose a me care,
tuttora dai miei occhi scendono le lacrime.
Molti mesi dopo il ritorno scriverà questi versi:(1790)

«L'Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade, ancora truffe al forestiero, si presenti come vuole.
Onestà tedesca ovunque cercherai invano, c'è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina; ognuno pensa per sé, è vano, dell'altro diffida, e i capi dello Stato, pure loro, pensano solo per sé.
Bello è il paese! Ma Faustina, ahimè, più non ritrovo.
Non è più questa l'Italia che lasciai con dolore».