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“Questotrentino”


lunedì 07 febbraio 2011 legge Ettore Paris
Da un trentennio la rivista "Questotrentino" rappresenta nella provincia di Trento non soltanto un attento punto di osservazione verso i molteplici aspetti della realtà locale ma anche un centro di iniziativa politica e culturale capace di incidere sui problemi presenti nel territorio. Una lettura di articoli significativi della rivista sotto la guida del suo direttore responsabile, il giornalista Ettore Paris, può utilmente chiarire la natura e la portata degli interventi condotti dai collaboratori di "Questotrentino", la loro capacità di incidere sulle contraddizioni locali, le relazioni che intercorrono tra la rivista e altre forze attive sulla scena territoriale e nazionale. E, più in generale, può contribuire a comprendere le possibilità e le modalità di attuazione di una iniziativa politica che punti all' efficacia anche al di fuori delle tradizionali formule partitiche.

Questotrentino, Anno VII – Numero 10 – Trento, 16 maggio 1986

Nano Curie e informazione 
di E. Paris
“La televisione sovietica ha comunicato che a Kiev i livelli di radioattività dell’aria si sono dimezzati nelle ultime ventiquattro ore. Però” e lo sguardo severo del commentatore del TG si fa più penetrante, e il labbro superiore si inarca “non è stato rivelato quali siano questi livelli di radioattività”.
“ La Protezione civile ha comunicato” è lo stesso commentatore che parla, due giorni dopo “che nel Nord e Centro Italia i livelli di radioattività dell’aria di sono dimezzati nelle ultime ventiquattro ore “punto e basta, quali siano questi livelli al nostro mezzobusto interessa solo quando si parla dell’Ucraina. E il cittadino ansioso di notizie si sente perduto.
Credo che l’incredibile sequenza di sprezzanti rimproveri, ma soprattutto colpevoli minimizzazioni ed autentiche criminali disinformazioni (che tutti ha coinvolto, dall’URSS alla Francia alla nostra Protezione Civile)siano forse, della tragedia di Chernobyl, l’aspetto che più ha scosso. Anche oltre la palpabile anti-naturalità dei nostri obbligati comportamenti di questi giorni, quando abbiamo dovuto impedire ai bambini di giocare sull’erba, rinunciare alle passeggiate di primavera, guardare con sospetto l’acqua del rubinetto, perfino chiedersi se sostare al sole attorno ad un tavolino, non costituisse un remoto ma angosciante pericolo.
E tutto questo l’abbiamo vissuto- e lo stiamo vivendo- nell’assoluta incertezza di cosa fare e cosa evitare: sicuri comunque della totale inaffidabilità del Grande Fratello che pretende di decidere quello che possano conoscere e quello che dobbiamo ignorare.
E invece no. “C’è un’unica soluzione: interessarci di più tutti alla politica” ha commentato un giovane amico, lontano le mille miglia dalle generazioni e dagli impegni del ’68. E il punto è proprio questo; i dibattiti tra scienziati che tutti abbiamo seguito, confusi e litigiosi, hanno però chiarito quali sono le questioni sul tappeto: la sopravvivenza, la salute e l’economia, quanti kilowatt-ora vale la vita di uno di noi. E su questi argomenti non possono essere i tecnici, anche i più neutrali se ne possono esistere (non parliamo poi di quelli che sono contemporaneamente piazzisti e controllori: o anche di quelli che più semplicemente si trovano con l’aver legato tutto il proprio passato, presente e futuro professionale allo sviluppo di certe tecnologie) a decidere: non può essere nemmeno la rappresentanza politica (anche non fosse fisiologicamente preda di squallidi tatticismi come quella che,mentre scriviamo, sta operando patteggiamenti mercantili-sanitari sulle norme CEE sulla contaminazione delle derrate alimentari;e che ha revocato in anticipo il decreto Degan sulle verdure nel Centro Sudo per poter legalmente esportare la nostra insalata tutta sopra la “soglia di attenzione”). Sul nostro avvenire dobbiamo essere chiamati tutti ad informarci, a discutere, a decidere. Questa è l’unica strada per l’immediato futuro.
Ma anche il presente, per l’emergenza di questi giorni e per le conseguenze che si accumuleranno nei prossimi. Non è pensabile affrontare correttamente,a livello dell’insieme della popolazione, i problemi sanitari che sta ponendo (soprattutto nella nostra regione) la contaminazione in atto. Per fronteggiare gli effetti, è assolutamente indispensabile che ci sia più informazione, più cultura diffusa;e anche più fiducia, in entrambe le direzioni, verso la popolazione che non è composta di minorati isterici, e verso i provvedimenti delle autorità, che devono essere ed apparire trasparenti ed adeguati. Su questo versante molti danni sono stati compiuti in questi giorni:auguriamoci che almeno nella nostra provincia si sappia invertire tale desolante tendenza. Purtroppo i dati che pubblichiamo in questo numero sembrano dire che ce n’è la necessità.

Questotrentino, Anno VII - Numero 10, 16 maggio 1986

Siamo ricchi di cesio, lo saremo per 30 anni
Primissimi giorni di vergognoso black-out di dati e notizie:un’altra settimana in cui le uniche informazioni erano i livelli medi di contaminazione per grandissime arre geografiche, Nord Centro e Sud Italia (in cui elementi così generici risultavano scarsamente significativi e pressoché inutilizzabili per graduare precauzioni e interventi); quindi la “rivolta” contro la Protezione Civile da parte delle Regioni, del tutto espropriate di qualsiasi possibilità di conoscenza (i dati che pervenivano dalle rilevazioni periferiche erano elaborati centralmente, ne veniva tratta la stupidissima media “Nord Italia”, ma non venivano poi-ci è stato detto- restituiti per elaborazioni più mirate). Finalmente ora esistono dati locali, significativi, che lodevolmente la Provincia di Trento ha divulgato( non facendo peraltro altro che seguire, oltre alle indicazioni del Presidente della Repubblica, anche elementari concetti di buon senso, comunque andando di fatto controcorrente rispetto all’andazzo nazionale).
Questotrentino – Anno VII – Numero 21 – Trento, 5 dicembre 1986

Scritte muralidi Tristram Shandy
Sul triangolo rovesciato del segnale di precedenza, all’incrocio tra via Pollini e via Cavour, la scritta in nero sta lì da almeno venti giorni, tracciata con i caratteri incerti di una mano molto giovane o almeno così pare al mio occhio di lettore di manoscritti di studenti. Ebrei razza bastarda Dio vi ha creati e noi vi distruggeremo: la sigla è quella del neofascista Fronte della Gioventù, con la specificazione RV, che vorrà dire, immagino, sezione di Rovereto della Vallagarina. Hanno un bel dire sociologi e politologi che destra e sinistra non esistono più, e che non ha senso adoperare ancora le vecchie categorie della storia degli scorsi due articoli. L’autore di un’altra serie di scritte, in rosso e con la sigla dell’anarchia, ha tracciato sulla Cassa Ammalati un grande W il proletariato, su cui l’antagonista in nero ha sovrapposto un altrettanto scontato e storico W il duce.
La produzione di messaggi mirali firmata FdG è abbastanza copiosa sul piano grafico, il simbolo del cerchio attraverso da due linee a croce è tracciato un pò ovunque, ma le scritte non sono particolarmente varie. Oltre all’orrendo e goffo triangolo antisemita abbiamo registrato qua e là molti nemici molto onore e un oltre la morte (lungo il muro dei frati di S.Caterina), che allude forse ad una fedeltà che non conosce incrinature.
Più interessante e meno truce il messaggio affidato al muro adiacente al Bar De Min, in fondo a Via Dante: Paninari siete la rovina del MSI, che cercheremo di decifrare in altra puntata, accanto agli altri messaggi che hanno a che fare con le varie aree dei comportamenti giovanili.
L’latra serie più nutrita è quella delle scritte in rosso, spesso con la firma della A anarchica dentro il cerchio. Bersagliatissima la restaurata casa Fox accanto alla stazione autocorriere, con qualche altro frammento dei depositi della memoria del passato (del peggiore, sarei tentato di dire:ma perché è proprio quello che riemerge con tanta insistenza in questo tipo di scrittura?). I testi sono alla ’77: uccidere un pulotto non è reato; anarchia è una pazzia ma non una follia; ma quant’è bona la polveri-cocaina bona bona bona, citazione parodistica di uno slogan pubblicitario che ignoro. Le scritte in rosso denunciano anch’esse povertà di ispirazione, se è alla stessa emittente che si deve attribuire il va a cagar sul muro davanti alla già nominata Cassa Ammalati, il cui interlocutore in seconda persona immagino generico, universale.
Per vedere se da qualche parte della città compaiono testi che correggano l’impressione di un immaginario politico tutto ingombrato dai detriti del passato, ho allungato la passeggiata roveretana, senza imbattermi mai in un’invettiva precisa, in una rivendicazione per il presente, in un interlocutore polemico non astratto. Appena sbiadite si leggono ancora le vecchie scritte dell’autonomia operaia per la liberazione dei detenuti politici, le tracce ei nomi delle scaramucce dell’antifascismo militante casalingo. Ma di vernice recente non c’è nessun riferimento a partiti o a leader politici, né Craxi né Spadolini né Natta né De Mita (gli eroi delle vignette) sembrano interessare agli scrittori con lo spray. Per non dire degli ignoti Michelini o Ghedina, Tomasoni o Cossali. L’unico bersaglio personale, per ragioni oscure ma presumibilmente di rivalità tra aree giovanili, è individuato in una grande scritta su un muro del Rione Nord: Cinghio del Brione sei un coglione. Altrimenti, andiamo sempre sull’universale, come in questa esortazione in azzurro lungo l’ex istituto Tacchi: Spacca tutto distruggi tutto, con la firma Teppa life. Sulla porta della Camera del Lavoro, in piazza Follone, la scritta più colta e appropriatamente ironica (dal titolo di un documento politico uscito all’inizio degli anni ’80 dalle carceri): Do you remember revolution?
Questotrentino – Anno VII – Numero 21 – Trento, 5 dicembre 1986

Tutti i numeri di Gelmini, nel bene e nel male
Le due conclusioni di Gelmini 
“I flussi indotti (ovverosia la quantità di veicoli previsti ndr) su questo nuovo asse, anche nelle ipotesi di massima espansione dei traffici, non sembrano tali da giustificare almeno per il prossimo ventennio, una capacità di tipo autostradale”. Questa è la secca conclusione dei Risultati preliminari dello studio sulla Valdastico presentati dal Centro Studi Traffico dell’ing. Gelmini alla Provincia di Trento nel luglio dello scorso anno.
Anzi, Gelmini aggrava ancora il giudizio nelle righe successive, contrapponendo all’autostrada, come soluzione da “valutare attentamente”, quella di “potenziare anche con varianti sostanziali e con un raccordo con la Vicenza-Rocchette (il tronco di PiRuBi già esistente), strade esistenti quali la Statale Schio-Rovereto e la Thiene-Trento, le quali presentano un tracciato molto prossimo a quello previsto per i nuovi assi ed inoltre presentano attualmente carichi di traffico irrilevanti”.
Per la PiRuBi quindi una secca bocciatura. Questo nel luglio del ’85. Sette mesi dopo, invece, nel febbraio dell’86, lo studio Gelmini porta a conclusioni sostanzialmente opposte, con un giudizio (peraltro non entusiasta) di giustificabilità della realizzazione. Come mai? Non intendiamo qui dilungarci sulla coerenza di studi che approdano a successive opposte conclusioni. Vediamo invece nel dettaglio le argomentazioni adotte.


Traffico trasferito e traffico generato 
Nella proma analisi Gelmini considera il traffico che sulla nuova arteria verrebbe richiamato, in quanto troverebbe conveniente il nuovo percorso, sia dalla attuale Strada Statale della Valdastico, sia soprattutto dalla Valsugana e dal percorso Vicenza-Verona-Rovereto che non risulterebbe più competitivo. Ne risulta un traffico inditto di 6382 veicoli al giorno. Una miseria per un’autostrada, che infatti dà luogo ad un rapporto flusso/capacità (rapporto tra quantità di veicoli effettivamente transitanti e potenziale capacità della strada di smaltire il traffico) irrisorio:0,07 (occorre un rapporto flusso/capacità superiore almeno a 0,30 perché la costruzione di una strada abbia una qualche giustificazione economica).
Né le cose migliorano se si considerano le proiezioni del traffico nel futuro, dal momento che anche con le ipotesi dei massimo sviluppo del traffico arriviamo a 11.000 veicoli con un misero 0,12 di rapporto flusso/capacità nel 2000 e a 15.000 veicoli con un ancora del tutto insufficiente rapporto di 0,16 nel ontano 2015.
Nello studio definitivo invece, Gelmini imbocca una nuova strada: cambia nome al traffico indotto, lo chiama traffico trasferito e gli aggiunge il cosiddetto traffico generato, cioè l’insieme degli spostamenti che non si verificano quando l’autostrada non c’è, ma che si verificherebbero qualora ci fosse (in quanto si renderebbero possibili dei rapporti di pendolarità tra le due aree, Rovereto e il Vicentino, ora sostanzialmente preclusi).
È questo del traffico generato un discorso molto aleatorio,m e molti testi consigliano di tenere conto a grandi linee conglobandolo nelle previsioni di più generale aumento del traffico e andando a considerare un traffico futuro-venti anni dopo l’anno base- all’incirca doppio di quello iniziale; e appunto così ci sembra abbia ragionato Gelmini nel suo primo studio. Nel suo rapporto definitivo invece, Gelmini attribuisce a questo discorso un’importanza decisiva, applica dei particolari modelli di tipo gravitazionale, e giunge ad ipotizzare dei traffci generati mostruosi (maggiori di quelli trasferiti) che finalmente, nel 2015 se non nel 200, possono rendere giustificabile la realizzazione.


La contestazioneQuesto procedimento, sia per il metodo che per l’approdo (non sembra credibile il nascere tra due realtà abbastanza piccole come Rovereto e l’altro Vicentino, un interscambio frenetico da area metropolitana, che nel 2015 raggiungerebbe un valore doppio del traffico trasferito, che poi è quello interregionale e internazionale) è poco convincente. E viene dettagliatamente contestato in un rapporto del prof. Bianchi, ordinario di Economia Politica dell’università di Venezia e consulente della Provincia per la revisione del Pup. In particolare, afferma Bianchi, il modello adottato non può valere per le zone considerate, separate non solo da barriere naturali (che con l’autostrada verrebbe a cadere), ma anche da barriere amministrative, culturali, economiche che sono ben più consistenti (e che spiegano per esempio, afferma Bianche, come da Cles a Trento ci sia un consistente pendolarismo, ma non dalla più vicina Salorno). Il che, conclude Bianchi, “ispira seri dubbi sui valori calcolati per il traffico generato”.


Il pericolo da scongiurareMa c’è un altro discorso più generale, su cui lo studio di Gelmini non convince. Gelmini infatti avanza due ipotesi di sviluppo futuro dei traffici su gomma, una di relativamente moderata espansione, e un’altra di massima espansione, soprattutto dei trasporti merci. Ora, solo con quest’ultima ipotesi i flussi sulla PiRuBi risultano all’anno 2000 tali da incominciare a giustificare l’autostrada;mentre nella prima ipotesi, nonostante il copioso e discutibile apporto del traffico generato di cui abbiamo già parlato, i valori raggiunti sono ancora insufficienti e determinano un rapporto flusso/capacità di 0,28. Quindi,oltre a prendere un traffico generato di propozioni non convincenti, per giustificare la PiRuBi dobbiamo anche ipotizzare uno sviluppo generale dei traffici di notevole entità.
Ora non contestiamo la legittimità di questa previsione ma sottolineiamo il fatto che, di fronte ad essa, il problema non diventa più attirare il trasporto su gomma, ma dirottarlo su altri mezzi. Infatti le previsioni massime darebbero contemporaneamente ai sempre mediocri livelli di PiRuBi, dei flussi giganteschi sulle altre vie di comunicazione con 72.000 veicoli giornalieri sull’Autobrennero nel 2000 e addirittura 97.000 nel 2015. In ogni caso a questo punto non si dovrà arrivare (con problemi di raddoppio dell’Autobrennero, inquinamenti acustici e soprattutto atmosferici ulteriormente aggravati dalla conformazione orografica, pericoli di piogge acide); se le previsioni fossero queste, invece che trastullare con la PiRuBi, sarebbe indilazionabile il passaggio ad una riconversione su rotaia del traffico merci, politica che del resto stanno già attuando la vicina Austria e le altre regioni alpine. L’Arge Alp, in questo caso, non serve più di esempio?
Questotrentino – Anno VII – Numero 21 – Trento, 5 dicembre 1986

I Signori delle Autostrade vogliono imporci la PiRuBidi Ettore Paris
Gli interessi economici e di potere dietro il coro a favore dell’autostrada. Presentiamo tutti i dati su traffici, costi, impatto ambientale della realizzazione
“L’autostrada più inutile dell’Italia” come fu definita tredici anni fa, la PiRuBi dai nomi dei padrini politici di allora, è tornata di moda.
Una ben propagandata costituzione di agguerriti gruppi di pressione, l’attivismo extra-istituzionale di alcuni esponenti politici, una campagna stampa condotta a tamburo battente hanno già ottenuto due risultati: creare a Rovereto un clima di messianica attesa, nei confronti di un’operazione presentata come sicura panacea ai mali della città: indurre a Trento l’impressione che “i giorni sono ormai fatti”, che il progetto, pur senza essere mai stato ufficialmente discusso in alcuna sede competente, incontri ormai una generalizzata approvazione. “Si farà, si farà… cosa volete che combini quel povero Micheli (l’assessore provinciale alla pianificazione e all’ambiente ndr) ormai è rimasto solo…” ci diceva con un sorriso condiscendente un redattore del quotidiano locale che si proclama ambientalista.
Come si è potuti arrivare a questa situazione? Soprattutto con un progetto che non ha nemmeno le (fasulle ma grandi) motivazioni della vecchia PiRuBi la quale, come ha recentemente ricordato Italia Nostra, si proponeva come raccordo internazionale tra il Nord Europa e l’Adriatico, visto che terminale economico di un Medio Oriente allora in sviluppo, attraverso un porto, grandioso e fantomatico, da costruirsi a Rovigo. Ora invece la PiRuBi incredibilmente rischia di passare con la più veritiera ma ridicolamente inadeguata motivazione di collegamento interprovinciale tra Trento e Vicenza, quando non addirittura tra Rovereto e Schio.
Una evidente follia (e più avanti ne presentiamo i dati tecnici) di cui è importante capire le nuove reali motivazioni e interessi, di fondo, che si sono sostituiti agli appetiti dei clienti dei padrini politici di un tempo.
“’E una dinamica in atto a livello nazionale” ci dice uno studioso del settore che abbiamo interpellato telefonicamente “le società autostradali per quanto a prevalente capitale pubblico, sono andate via via costituendosi come dei gruppi di potere, ricchi e potenti, che perseguono delle proprie finalità. E la legislazione vigente induce dei meccanismi per cui queste società automaticamente, e a prescindere dalle esigenze della collettività, sono portate ad ampliarsi sempre più e a costruire nuove strade, indipendentemente da qualsiasi conto economico di carattere generale.”
Infatti, come qualsiasi impresa privata, anche le autostrade hanno convenienza a reinvestire gli utili per sfuggire alla tassazione; e questa tendenza è accentuata dall’ulteriore obbligatorio versamento di gran parte degli utili a un Fondo Nazionale di Solidarietà per le Autostrade, con cui le autostrade in attivo ripianano i deficit di quelle in passivo. Non solo, ma le concessioni in tutta Italia scadono intorno al 2000, anno in cui le autostrade dovrebbero diventare di proprietà statale; e questo spauracchio può essere aggirato attraverso un curioso inghippo legislativo secondo cui quando un’autostrada costruisce un nuovo tronco ricevendone dallo Stato la relativa concessione, anche la vecchia concessione per i tronchi precedenti, viene prolungata fino alla scadenza della nuova.
Ecco quindi scattare la grossissima convenienza per tutte le società autostradali arricchitesi in questi anni di alte tariffe, di costruirsi un’autostrada purchessia, non importa quanto economicamente valida, in cui riversare i propri utili, gestirne gli appalti, la manutenzione, allargare l’ambito d’influenza economica e politica, e contemporaneamente sfuggire la tassazione e prorogare di altri 30 anni tutte le concessioni.
Se a questo aggiungiamo gli effetti di ulteriori perle legislative che hanno vieppiù aumentato il potere discrezionale di questi gruppi dirigenti (che per esempio dal ’72 hanno la possibilità di affidare il 40% dei lavori di ammodernamento – e sono decine di decine di miliardi – a imprese scelte a trattativa privata: Un quasi esplicito invito alla tangente; e difatti il grande scandalo dei fondi neri dell’IRI – centinaia di miliardi – per ora insabbiato da una negata “autorizzazione a procedere”, ha la sicura e riconosciuta fonte nei lavori di allargamento della rete autostradale) ci possiamo rendere conto dell’entità degli interessi in gioco.
Ecco quindi il proliferare, al di fuori di qualsiasi pianificazione, conto economico, per non parlare di valutazioni ambientali, da una parte di allargamenti e rifacimenti di manufatti (proprio tutti necessari?), dall’altra di progetti di nuovi tronchi: per rimanere solo al nostro ambito territoriale la bretella per Mezzolombardo, quella per il Garda, la nuova autostrada Nogarole Rocca – Parma con ipotizzato prolungamento fino a La Spezia, il raddoppio della tangenziale che attraversa Mestre con conseguente ulteriore sventramento della città (e su questo si è spaccata la Giunta Comunale di Venezia) ed infine la nosta PiRuBi.
Questo il quadro dell’”offensiva” portata avanti dalle tre società autostradali “ricche” del Triveneto, la Autobrennero, La Brescia-Padova e la Padova-Mestre, che in questo periodo si stanno compattando attraverso scambi incrociati di pacchetti azionari per costituire un ancora più solido fronte economico-politico.
Questi quindi gli interessi in gioco. La tattica per imporli segue un copione ormai collaudato nelle diverse situazioni: il consiglio di amministrazione dell’autostrada “decide” (scavalcando qualsiasi organo pianificatorio) una nuova infrastruttura, si organizzano gruppi di pressione locali arruolando sindaci ed amministratori entusiasti (e tagliando fuori assemblee elettive ed eventuali oppositori) si fa partire una martellante campagna stampa sui mirabolanti benefici portati dalla nuova arteria e sull’arretratezza culturale degli ambientalisti.
Chiarito il quadro generale, veniamo allo specifico della PiRuBi nella sua versione roveretana. Nell’articolo a fianco entriamo nei dettagli delle cifre e della valutazioni dello studio Gelmini (commissionato dalla Provincia di Trento). Studio contradditorio e discutibile, da cui però, a prescindere da alcune conclusioni dello stesso Gelmini, ci sembrano emergere i seguenti elementi.
1. A meno di ipotesi (abbastanza fantasiose) di sviluppo del traffico, la Vicenza-Rovereto sarà un’autostrada a traffico molto limitato, tale da non giustificare assolutamente, nemmeno negli anni a venire, né i soldi spesi per la costruzione, né l’inevitabile degrado ambientale del territorio attraversato.
2. Se si verificheranno delle particolari ipotesi di sviluppo del traffico (specie pesante) che Gelmini prende in esame, la PiRuBi – in sé – forse diventerebbe economicamente giustificata. Ma allora avremmo una parallela enorme dilatazione dei traffici sulle arterie “vere” (la Valsugana e soprattutto l’Autobrennero) con drammatici problemi di inquinamento, per cui sarebbe vitale per il Trentino non più attirare il traffico su gomma, ma difendersene, cambiando totalmente la politica dei trasporti a favore della rotaia (cosa peraltro in via di attuazione negli altri paesi alpini).
3. In ogni caso si avrebbe uno “sconvolgimento del sistema di circolazione delle acque” con “possibilità di generare dissesti geologici nel terreno detritico che ricopre tutta la zona.”
4. Inoltre avremo “un peggioramento della qualità ambientale delle zone attraversate sia a causa dell’inquinamento atmosferico ed acustico, sia a causa dell’intrusione nel sistema ecologico di un elemento fonte di instabilità quale è la strada.” Si avranno pertanto “trasformazioni radicali nell’identità paesaggistica e nelle condizioni di vita dei luoghi” con un “bilancio ambientale danni/benefici destinato in ogni caso ad essere a netto favore dei primi.”
In particolare gli abitanti della Valle di Terragnolo in cui – ineccepibilmente del resto – non è previsto alcun casello né alcuna comunicazione con l’autostrada che scorrerebbe inaccessibile in viadotto, si troverebbero un “collocamento assolutamente estraneo ai territori attraversati”, inquinante, paesaggisticamente dirompente, fonte di squilibri. Per la già emarginata Terragnolo sarebbe la fine.
Al di fuori delle convenienze, di potere ed economiche, dei potenti Signori delle Autostrade, che senso ha tutto questo?