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Il ritorno del figliol prodigo - Andrè Gide


lunedì 31 gennaio 2011 legge Vittorio Franceschi

"Ho raffigurato qui, per la mia segreta gioia, come si faceva negli antichi trittici, la parabola di nostro Signore Gesù Cristo......Se il lettore esige da me una forma di pietà, forse non la cercherebbe invano nel mio dipinto nel quale, come un donatore, mi sono raffigurato in ginocchio nell'angolo del quadro opposto rispetto al figliol prodigo, come lui sorridente e al tempo stesso con il viso bagnato di lacrime." 

Con queste parole André Gide inviava ad Arthur Fontaine, suo amico e mecenate,la novella "Le retour de l'enfant prodigue" pubblicata nel 1907, dopo un periodo di silenzio. La breve novella di impianto schiettamente teatrale, mette in luce, quanto i più ponderosi scritti filosofici, la duplice natura della sua ispirazione: da una parte il richiamo verso la purezza, la spiritualità; dall'altra il fascino che su di lui esercitava il richiamo dei sensi, dei desideri e dei piaceri, soprattutto quelli più inconfessabili agli occhi del mondo.


Ho dipinto qui, per la mia segreta gioia, come nei trittici antichi, la parabola che ci narrò Nostro Signor Gesú Cristo. Lasciando sparsa e confusa la doppia ispirazione che mi anima, non cerco di provar la vittoria su me di alcun Dio - né la mia. Eppure, se il lettore esige da me un sentimento di pietà, non lo cercherà invano nella mia pittura, dove, come un donatore nell'angolo del quadro, mi son messo in ginocchio, di fronte ¬al figliuol prodigo, come lui sorridente, e il volto inondato di lagrime.

 IL FIGLIUOL PRODIGO
Quando, dopo una lunga assenza, stanco del suo capriccio, e come disamorato di se stesso, il fìgliuol prodigo, dal fondo di quella miseria che cercava, pensa al viso di suo padre, a quella stanza, non certo stretta dove sua madre si chinava sul suo letto, a quel giardino abbeverato d'acqua cor¬rente, ma chiuso e da cui sempre desiderava fuggire, all'economo fratello maggiore, che non ha mai amato, ma che trattiene ancora nell'attesa la parte dei suoi beni, ch'egli, prodigo, non ha potuto dilapidare, - confessa di non aver trovato la felicità, e neppur saputo mantenere a lungo quell'ebbrezza, che cercava in sua vece. «Ah! - egli pensa, - se mio padre, dapprima irritato contro di me, mi ha creduto morto, forse, nonostante i1 mio peccato, sì rallegrerebbe di rivedermi; ah! tornando a lui umilmente, la fronte bassa e coperta di cenere, se, inchinandomi davanti a lui, dicendogli: " Padre mio, ho peccato contro il cielo e contro. te ", che farò, se, rialzandomi con la sua mano, egli mi dice: " Entra in casa., figlio mio "?... ». E già il figlio, piamente, s'incammina.
Quando, là dove la cresta si avvalla, scorge infine i tetti fumanti della casa, è cera; ma egli aspetta le ombre della notte a velare un po' la sua miseria. Sente da lontano la voce di suo padre; gli si piegano i ginocchi; cade e si copre il viso con le mani, perché ha vergogna della sua vergogna, sapendo ch'egli è pure il figlio. legittima. Ha fame; in una piega del suo mantello rotto non ha che un pugno di quelle ghiande dolci, di cui, simile ai porci che custodiva, faceva il suo nutrimento. Vede i preparativi della cena. Scorge sua madre, sulla gradinata... non resiste piú, scende correndo la collina, si avanza nel cortile, inseguito dai latrati del suo cane che. non lo rico¬nosce. Vuol parlare ai servì, ma questi diffidenti si scostano, vanno ad avvertire il padrone; eccolo.
Certo egli attendeva il figlio prodigo, perché lo riconosce subito. Le sue braccia si aprono; il figlio allora davanti a lui s'inginocchia e, celando la fronte con un braccio, grida a lui, levando verso il perdono la mano destra:
- Padre mio! padre mio, ho gravemente peccato contro il cielo e contro te; non son più degno che tu mi chiami; ma almeno, come uno dei tuoi servi, l'ultimo., in un angolo della nostra casa, lasciami vivere...
Il padre lo rialza e lo abbraccia:¬
- Figlio mio! sia benedetto il giorno in cui torni a me! - e la gioia, che trabocca dal suo cuore, piange; egli risolleva il capo sopra la fronte del figlio che baciava, si volge ai servi:
- Portate la veste piú bella; mettetegli scarpe ai piedi, un anello prezioso al dito. Prendete nelle stalle il vitello piú grasso, uccidetelo; preparate un convito di gioia, poiché il figlio, che dicevo morto, è vivo.
E come la notizia già si sparge, egli corre; non vuol che un altro dica:
- Madre, il figlio che piangevamo ci è reso.
La gioia di tutti crescendo come un cantico fa inquieto il figlio maggiore. Egli siede alla tavola comune, sol perché il padre invitandolo e sollecitandolo ve lo costringe. Solo fra tutti i commensali, che comprendono fin l'ultimo dei servi, mostra un volto cruccioso al peccatore pentito, perché piú onore che a lui, a lui che non ha mai peccato? Egli preferisce all'amore il buon ordine. Accetta di comparire al convito sol perché, facendo credito, al fratello, può prestargli gioia per una sera; anche perché suo padre e sua madre gli han promesso di castigare il prodigo, domani, ed egli stesso si prepara ad ammonirlo gravemente.
Le torce fumano verso il cielo. La cena è finita. I servi han sparecchiato. Ora, nella notte senza un alito, la casa affaticata, anima dopo anima, si addormenta. Ma pur, nella stanza presso quella del prodigo, so di un fanciullo, il fratello minore, che tutta notte, fino all'alba, invano cercherà il sonno.

IL RIMPROVERO DEL PADRE
Mio Dio, come un fanciullo, m'inginocchio oggi davanti a te, il viso inondato di pianto. Rammento e trascrivo. qui la tua urgente parabola, perché so chi era il tuo figliuol prodigo; perché in lui mi riconosco; perché sento in me, talvolta, e ridico in segreta quelle parole che, dal fondo della sua grande miseria, tu lo forzi a gridare:
- Quanti mercenari di mio padre la sua casa il pane in abbondanza; e fame!
Immagino l'abbraccio del padre; il cuore mi si scioglie a cosí fervido amore; immagino una pre¬cedente angoscia; ah! tutto quel che volete immagino. E ci credo; son quello stesso a cui batte il cuore quando, là dove la cresta si avvalla, rivede i tetti azzurri della casa che ha lasciato. Che aspetto dunque per slanciarmi verso 1a dimora, per entrare? Mi si attende. Vedo già preparare il vitello grasso... Fermatevi! non s'apparecchi trop¬po presto il banchetto! Figlio prodigo, io penso a te; dimmi prima quel che t'ha detto il padre, 1'in¬domani, dopo il convito del ritorno. Ah! benché il figlio maggiore ti suggerisca, padre, fa ch'io senta la tua voce, talvolta, attraverso le sue parole!
- Figlio mio, perché m'hai lasciato?
- Vi ho veramente lasciato? Padre! Non siete forse dappertutto? Non ho mai cessato di amarvi.
- Non sottilizziamo. Avevo una casa che ti chiudeva in sé. Per te era costruita. Perché l'ani¬ma tua possa trovarci un rifugio, un lusso degno di lei, agi e lavoro, generazioni si affaticarono. Tu, l'erede, il figlio, perché sei fuggito dalla Casa?
- Perché la Casa mi chiudeva in sé. Voi non siete la Casa, Padre mio.
- Io l'ho costruita, e per te.
- Ah! Non l'avete detto vai, ma mio fratello. Voi, voi avete costruito tutta la terra, e la Casa e quel che non è la Casa. La Casa, altri furono a costruirla, in vostro nome, lo so, ma furono altri.
- L'uomo ha bisogno di un tetto sotto cui posare i1 suo capo. Orgoglioso! Credi di poter dormire all'aperto?
- Ci vuol tanto orgoglio? Dei piú poveri di me l'han pur fatto.
- Sono, i poveri. Povero, tu non lo sei. Nessuno può abdicare la propria ricchezza. Ti ho fatto ricco fra tutti.
- Padre mia, sapete bene che partendo avevo portato via tutto quel che avevo potuto delle mie ricchezze. Che m'importa dei beni, che non posso prender con me?
- Tutta la sostanza che ti sei preso, l'hai spesa follemente.
- Ho cambiato il vostro oro in piacere, in fantasia i vostri precetti, in poesia la, mia castità, e la mia austerità in desideri.
- Per questo i tuoi parenti sobri si applicarono a distillare in te tanta virtú?
- Perch'io bruci di una fiamma piú bella, forse, se un fervore nuovo mi accende.
- Pensa a quella pura fiamma, che vide Mosè sul rovo sacro: brillava, ma senza consumare.
- Ho conosciuto l'amore che consuma.
- L'amore, che voglio insegnarti, ristora. In poco tempo, che ti è restato, figlio prodigo?
- Il ricordo di quei piaceri.
- E l'indigenza che li segue.
- In quell'indigenza, mi son sentito vicino a voi, Padre.
- Doveva la miseria spingerti a tornare a me?
- Non so; non so. Nell'aridità del deserto amato di piú la mia sete.
- La tua miseria ti fece sentir meglio il pregio delle ricchezze.
- No, non questo! Non m'intendete, Padre mio? Il mio cuore, ormai vuoto, s'empí d'amore. Avevo comprato il fervore a prezzo d'ogni mio bene.
- Eri dunque felice lontano da me?
- Non mi sentivo lontano da voi.
- Allora cos'è che t'ha fatto tornare? Parla.
- Non so. Forse la pigrizia.
- La pigrizia, figlio mio! Dunque non fu l'amore?
- Padre, ve l'ho detto, non vi'ho amato mai piú che nel deserto. Ma ero stanco, ogni mattina, di andare a caccia di un cibo. Nella vostra casa, almeno, si mangia bene.
- Si, vi provvedono i servi. Cosí, a ricondurti è stata la fame.
- Fors'anche la viltà, la malattia... Alla lunga, quel dubbio alimento m'indebolí; poiché mi nutrivo. di frutti selvatici, di cavallette e di miele. Sopportavo sempre peggio il disagio che in principio stimolava il mio fervore. La notte, quando avevo freddo, pensava al mio letto. ben rincalzato in casa di mio padre. Quando digiunavo, pensavo che, in casa di mio padre, l'abbondanza dei cibi serviti superava sempre la mia fame., Ho ceduto; per lottare piú a lungo, non mi sentivo più ab¬bastanza ardito, abbastanza forte, e intanto...
- Dunque il vitello grassa ieri ti è parso buono,?
Il figlio prodigo si getta singhiozzando con il viso a terra.
- Padre mio! padre mio! Il gusto selvatico delle ghiande dolci resta pur sempre nella mia bocca. Niente potrebbe velarne il sapore.
- Povero figliuolo! - riprende il padre che lo risolleva. - Io ti ho parlato forse duramente. Tuo fratello l'ha voluto; qui egli detta legge. Egli m'ha ordinato di dirti: «Fuor della Casa, non c'è salvezza per te». Ma ascolta: io ti ho formato; so quel ch'è in te. So quel che ti spingeva sulle strade; e ti aspettavo al termine. Mi avresti chiamato... ero là.
- Padre mio! avrei dunque potuto ritrovarvi senza tornare?...
- Se ti sentivi debole, hai fatto bene a tor¬nare. Va ora; rientra nella camera, che ho fatto preparare per te. Oggi basta; riposati; domani potrai parlare a tuo fratello.

IL RIMPROVERO DEL FRATELLO MAGGIORE

Il figliuol prodigo tenta dapprima di prenderlo dall'alto.
- Fratello mio, - comincia, - noi non ci somigliamo. Non ci somigliamo affatto.
Il fratello maggiore:
- È colpa tua.
- Perché mia?
- Perché io sono nell'ordine; tutto ciò che ne differisce è frutto o seme di orgoglio.
- A distinguermi non posso aver che difetti?
- Non chiamar qualità se non quel che ti riporta all'ordine, e tutto il resto, correggilo.
- Proprio questa mutilazione io temo. Anche quel che ti prepari a sopprimere vien dal Padre.
- Eh! non sopprimere: correggere, ho detto.
- T'intendo bene. Avevo pur corretto' cosí le mie virtú.
- Ed ecco perché adesso le ritrovo. A te occorre esagerarle. Cerca di capirmi: non già una diminuzione, ma un'esaltazione di te stesso io ti proponga, dove i piú diversi, i piú insubordinati elementi della tua carne e del tuo spirito devono concorrere come in una sinfonia, dove la parte peggiore di te, deve alimentare il meglio, dove il meglio deve sottomettersi a...
- Anch'io cercavo un'esaltazione, che trovavo nel deserto - e forse non molto differente da quella che mi proponi.
- A dire il vero, vorrei piuttosto importela.
- Nostro Padre non parlava cosí duramente.
- So quel che t'ha detto il Padre. È vago,. Egli non si spiega piú molto chiaramente, cosí che gli si fa dire quel che si vuole. Ma io conosco bene il suo pensiero. Presso i servi ne resto l'unico interprete e chi vuol comprendere il Padre deve ascoltarmi.
- Io lo capivo molto facilmente senza te.
- Ti pareva; ma capivi male. C'è un solo modo di capire il Padre; c'è un solo modo di ascoltarlo; c'è un solo modo di amarlo; affinché siamo uniti nel suo amore.
- Nella sua Casa.
- Ad essa riconduce l'amore; lo vedi bene, poiché sei tornato. Dimmi ora: che cosa ti spingeva a partire?
- Sentivo troppo che la Casa non è tutto l'universo. Io stesso non sono tutto intero in quel che volevate io fossi. Mio malgrado immaginavo altre colture, altre terre e strade per corrervi, strade non tracciate; immaginavo in me l'essere nuovo che sentivo slanciarvisi. Fuggii.
- Pensa a quel che sarebbe stato se io avessi, come te, abbandonato la Casa del Padre.. I servi e i banditi avrebbero predato tutto' il nostro bene.
- Poco m'importava allora, poiché intravvedevo altri beni...
- Che il tuo orgoglio esagerava. Fratello mia, l'indisciplina è finita. Da quale caos l'uomo sia uscito, l'imparerai, se non lo sai ancora. Ne è uscita male; e vi ricade con tutto il suo peso ingenuo, appena lo Spirito non lo sollevi piú sopra di esso. Non impararlo a tue spese: gli elementi bene ordinati che ti compongono non attendono che una acquiescenza, un indebolimento da parte tua per ritornare all'anarchia... Ma quanto tempo fu necessario all'uomo per elaborare l'uomo, non ti sarà mai dato saperlo. Or che il modello è ottenuto, conserviamolo. « Tieni fermo quel che tu hai», dice lo Spirito all'Angelo della Chiesa, e aggiunge: « affinché nessuna prenda la tua corona». E la corona, questa sovranità sugli altri e su te stesso, è quel che tu hai. La, tua corona, l'usurpatore la spia; egli è dappertutto; striscia intorno a te, dentro di te. Tieni fermo, fratello mio! Tieni fermo.
- Ho da molto, tempo allentato la stretta; non posso piú richiuder 1a mano sul mio bene.
- Sí, si; io ti aiuterò. Ho vegliato su questo bene durante la tua assenza.
- E poi, quella parola dello Spirito, la conosco; non l'hai citata intera.
- Infatti, essa continua: « Colui che vincerà, io ne farò lunai colonna nel tempio, del mio Dio ed egli non ne uscirà piú ».
- « Egli non ne uscirà piú ». Appunto questo mi fa paura.
- Se è per il suo bene!
- Oh! capisco. Ma io c'ero, in quel tempio...
- Ti sei trovato male ad uscirne, poiché hai voluto  rientrarci.
- Lo so, lo so. Eccomi di ritorno; ne convengo.
- Che bene puoi cercare altrove, che non trovi qui in abbondanza? o meglio: soltanto qui sono i tuoi beni.
- -So che hai custodito le mie ricchezze.
- Quei beni che non hai dilapidato, cioè la parte che ci è comune, a tutti noi: i beni fondiari.
- Non ho dunque piú nulla, in proprio?
- Sì; quella parte speciale di doni che nostro Padre consentirà forse ancora ad accordarti.
- Solo questa m'importa; consento a non possedere null'altro.
- Orgoglioso! Tu non sarai consultato. Detto fra noi, questa parte è incerta; ti consiglio piuttosto di rinunciarvi. Questa parte di beni personali già una volta ti perdette; sono quei beni che hai presto dissipato.
- Gli altri non potevo portarli con me.
- Li ritroverai quindi intatti. Oggi basta. Entra nella quiete della Casa.
- Questo è bene, perché sono stanco.
- Benedetta la tua stanchezza, allora! Ora dormi. Domani tua madre ti parlerà.

LA MADRE

Prodigo figlio, che ancora ti opponi nella men¬te ai discorsi del fratello, lascia adesso parlare i1 tuo cuore. Com'è dolce, semisdraiato ai piedi di tua madre seduta, la fronte nascosta nelle sue ginocchia, sentir la sua mano carezzevole curvar la tua nuca ribelle!
- Perché m'hai lasciata cosí a lungo?
E, poiché tu rispondi soia cori lagrime:
- Perché piangi, ora, figlio mi0? Mi sei reso. Nelll'attesa ho versato tutte le mie lagrime.
- Mi aspettavate ancora?
- Mai ho cessato di sperare. Ogni sera, prima di addormentarmi, pensavo: se torna questa notte, riuscirà ad aprire la porta? e tardavo a dormire. Ogni mattina, prima di svegliarmi del tutto, pensavo: Forse oggi tornerà? E pregavo. Ha tanto pregato, che dovevi pur tornare.
- Le vostre preghiere han forzato i1 mio ri¬torno.
- Non sorridere di me, figlio mio.- O madre! Torno umilissimo a voi. Vedete come io metto la fronte piú bassa del vostro. cuore! Non c'è nulla di quel che ieri pensavo, che oggi non mi sembri vano. Quasi non capisco piú, vicino a voi, perché abbia lasciato la casa.
- Non partirai piú?
- Non posso piú partire.
- Fuori, che cosa ti attirava?
- Non voglio piú pensarci: niente... Me stesso.
- Pensavi dunque di esser felice lontano da noi?
- Non cercavo la felicità.
- Cosa cercavi?
- Cercavo,... chi io fossi¬.
- Oh! figlio dei tuoi genitori, e fratello fra i tuoi fratelli.
- Non somigliavo ai miei fratelli. Non parliamone piú; eccomi tornato.
- Sì; parliamone ancora: non credere così di¬versi da te i tuoi fratelli.
- Mia sola cura ormai è di somigliare a voi tutti.
- Lo dici come rassegnato.
- Niente è piú faticoso che attuare la propria diversità. Infine questo viaggia mi ha stancato.
- Sei molto invecchiato, è vero.
- Ho sofferto.
- Mio povero figliuolo! Certo il tuo letto non era rifatto tutte le sere, né ad ogni pasto preparata la tavola?
- Mangiavo quel che trovavo e sovente non c'eran che frutti verdi o guasti di cui faceva alimento la mia fame.
- Non hai sofferto che la fame, almeno?
- Il sole a mezzogiorno, il vento freddo nel cuor della notte, la sabbia malferma del deserto, le prunaie dove i miei piedi s'insanguinavano, niente di tutto questo mi arrestò, ma - non l'ho detto a mio fratello - ho dovuto servire...
- Perché celarlo?
- Cattivi padroni, che malmenavano il mio corpo, esasperavano il mio orgoglio, e mi davano a stento di che mangiare. Allora ho pensato; ah! servire per servire!... In sogno ho riveduto la casa; sono tornato.
Il figlio prodigo china di nuovo la fronte, che sua madre teneramente carezza.
- Che farai, ora?
- Ve l'ho detto: mi studierò di somigliare al mio fratello maggiore, amministrerò i nostri beni; come lui, prenderò moglie...
- Certo, dicendolo, pensi a qualcuno.
- Oh! qualunque donna sarà la preferita, dal momento che voi l'avrete scelta. Fate come per mio fratello.
- Avrei voluto sceglierla secondo il tuo cuore.
- Che importa! il mio cuore aveva scelto. Rinuncio a un orgoglio che mi aveva trascinato lontano da voi. Guidate la mia scelta. Mi sommetto, vi dico. Cosí sommetterò i miei figli; e il mio tentativo allora non mi parrà piú così vano.
- Ascolta: c'è adesso un fanciullo di cui potresti già occuparti.
- Che volete dire, e di chi parlate?
- Del tuo fratello minore, che non aveva dieci anni quando partisti, che hai riconosciuta a stento, e che pure...
- Finite, mamma; che cosa v'inquieta, ora?
- In cui pure avresti potuto riconoscerti, poiché egli è simile in tutto, a quel che tu eri partendo..
- Simile a me?
- A quel che eri, ti ho detto, non ancora, ohimé! a quel che sei divenuto.
- E ch'egli diverrà.
- Che occorre egli diventi subito. Parla con lui; certo egli ti ascolterà, te, figlio prodigo. Digli che trista delusione c'era sulla strada; risparmia a lui...
- Ma perché vi affannate così per mio fratello? Forse solo perché mi ricorda nel viso...
- No, no; la somiglianza tra voi è piú profonda. Ora m'inquieta per lui quel che prima non mi inquietava abbastanza per te. Legge troppo, e non sempre preferisce i buoni libri.
- Non si tratta che di questo?
- È spesso appollaiato nel punto piú alto del giardino da dove si può vedere il paese, come sai, al di sopra dei muri....
- Lo rammento. È tutto qui?
- É molto meno spesso da noi che nella fattoria.
- Ah! che ci va a fare?
- Niente di male. Ma non i fittaiuoli, i bifolchi piú distanti da noi egli frequenta, e quelli che non son del paese. Ce n'è uno soprattutto, che vien da lontano,, di cui ascolta i racconti.
- Ah! il porcaro.
- Sì. Lo conoscevi?... Per sentirlo, tuo fratello ogni sera lo segue nel porcile; non torna che a cena, senz'appetito e le vesti che puzzano. I rimproveri non servono a nulla; s'irrigidisce, a costringerlo. Certe mattine, all'alba, che nessuno di noi s'è ancora alzato, corre ad accompagnare fino alla porta quel guardiano di porci che esce con il suo branco.
- Lui, sa che non deve uscire.
- Anche tu lo sapevi! Un giorno mi sfuggirà, ne son certa. Un giorno. partirà...
- No, io gli parlerò, mamma. Non v'inquietate.
- Da te, so che ascolterà molte cose. Hai vi¬sto come ti guardava la prima sera? Di qual prestigio i tuoi stracci eran coperti! poi la veste di porpora di cui il padre ti ha rivestito. Temo che nella sua mente egli confonda un po' l'uno con l'altra, e che ad attirarlo prima sia lo straccio. Ma ora questo pensiero mi sembra folle; poiché infine, se tu, figlio mio, avessi potuto prevedere tanta miseria, non ci avresti lasciati, è vero?
- Io non so piú come ho potuto lasciarvi, voi, madre mia.
- Ebbene; tutto questo, diglielo.
- Tutto questo glielo dirò domani sera. Baciatemi ora sulla fronte, come quando ero bam¬bino e voi mi guardavate addormentarmi. Ho sonno.
- Va a dormire. Io vado a pregare per tutti voi.

DIALOGO CON IL FRATELLO MINORE
C'è, vicino a quella del prodigo, una camera non certo stretta dai muri nudi. Il prodigo, una lampada in mano, si avanza presso il letto dove fratello minore riposa, il viso rivolto Egli comincia piano, se mai il fanciullo per non turbarlo nel sonno.
- Vorrei parlarti, fratello mio
- Chi te lo! impedisce?
- Credevo che dormissi.
- Non c'è bisogno di dormire per sognare.
- Sognavi; cosa, dunque?
- Che t'importa! Se io stesso non capisco i miei sogni, non sarai tu, penso, a spiegarmeli.
- Son dunque ben sottili? Se me li raccontassi, tenterei.
- I tuoi sogni, forse che tu li scegli? I miei son quel ch'essi vogliono, e piú liberi di me... Che vieni a fare qui? Perché disturbarmi nel sonno?
- Tu non dormi, e io vengo a parlarti con dolcezza.
-Che hai da dirmi?
-Niente, se lo prendi su questo tono.
- Allora addio.
Il prodigo va verso la porta, ma posa a terra la lampada, che ora rischiara debolmente la stanza, poi, tornando, siede sull'orlo del letto e, nell'ombra, carezza lungamente quella fronte volta alla parete.
- Mi rispondi piú duramente di quel che io abbia mai fatto con tuo fratello. Pure protestavo anch'io contro di lui.
Il fanciullo restio si leva a un tratto.
- Di': è il fratello che ti manda?
- No, bimbo; non lui, ma nostra madre.
- Ah! Tu non saresti venuto spontaneamente.
- Ma pure vengo da amico.
Levato a mezza sul letto, il fanciullo guarda fisso il prodigo.
- Uno dei miei come potrebbe essere mio amico?
- T'inganni su nostro fratello...
- Non parlarmi di lui! Lo odio... Tutto il mio cuore, contro di lui, s'impazientisce. Per cagion sua ti ho risposto duramente.
- Come mai?
- Non puoi capire.
- Dillo ugualmente...
Il prodigo culla fra le sue braccia il fratello e già l'adolescente s'abbandona:
- La sera del tuo ritorno, non ho potuto dormire. Tutta notte pensavo: Avevo un altro fratello, e non lo sapevo... Per questo batteva cosí forte il mio cuore, quando, nel cortile della casa, ti ho visto venire coperto di gloria.
- Ohimé! allora ero coperto di stracci.
- Si, t'ho visto; ma già glorioso. E ho visto quel che ha fatto nostro padre: ha messo al tuo dito un anello come nostro fratello non ha mai avuto. Di te non volevo domandare a nessuno; sapevo solo che tornavi da molto lontano, e il tuo sguardo, a tavola...
- Eri al banchetto?
- Oh! so bene che non mi hai veduto; durante tutto il pranzo guardavi lontano senza veder nulla. E che la seconda sera tu abbia parlato al padre, era bene, ma la terza...
- Finisci.
- Ah! non fosse che una parola d'amore avre¬sti ben potuto dirmela!
- Tu mi aspettavi dunque?
- E come! Credi che odierei a questo punto nostro fratello, se tu non avessi parlato, e cosí a lungo, con lui quella sera? Cos'avevate da dirvi? Tu sai bene, se mi somigli, che non puoi aver niente di comune con lui.
- Avevo gravi torti verso di lui.
- Possibile?
- Almeno verso nostro padre e nostra madre. Sai ch'ero fuggito da casa.
- Sí, lo so. Da molto, non è vero?
- Avevo press'a poco la tua età.
- Ah! .... Ed è questo il tuo torto?
- Sí, fu il mio torto, il mio peccato.
- Partendo, sentivi di far male?
- No; sentivo in me quasi l'obbligo di partire.
- Che è dunque successo dopo? per cambiar la tua, verità di allora in errore.
- Ho sofferto.
- E questo ti fa dire: avevo torto?
- No, non proprio: questo mi ha fatto riflettere.
- Prima non avevi dunque riflettuto?
- Sì, ma la mia inferma ragione si lasciava imporre dai miei desideri.
- Come piú tardi dalla sofferenza. Cosí che oggi torni... vinto.
- No, non proprio; rassegnato.
- Insomma, hai rinunciato a colui che volevi essere.
- Che il mio orgoglio mi persuadeva di es¬sere.
Il fanciullo resta un momento silenzioso, poi d'un tratto singhiozza e grida:
- Fratello mio! Io son quello che tu eri partendo. Oh! dimmi: non hai dunque incontrato che delusioni sulla strada? Tutto quel che, fuori, ho presentito di diverso; è dunque solo un miraggio? follia, tutto il nuovo che sento in me? Di': cos'hai incontrato di desolante sulla tua strada? Oh! cos'è che t'ha fatta tornare!
- La libertà che cercavo, io l'ho perduta; schiavo, ho dovuto servire.
- Io sono schiavo qui.
- Sì, ma servire cattivi padroni; qui, quelli che tu servi sono i tuoi parenti.
- Ah! servire per servire, non si è liberi di scegliere almeno la propria servitú?
- Lo speravo. Lontano quanto mi portarono i piedi, ho camminato, come Saul inseguiva le sue asine, inseguendo il mio desiderio; ma, dove l'attendeva un regno, ho trovato la miseria. Eppure...
- Non hai sbagliato strada?
- Ho camminato dritto davanti a me.
- Ne sei sicuro? Eppure ci sono regni ancora, e terre senza re, da scoprire.
- Chi te l'ha detto?
- Lo so. Lo sento. Già mi par di dominarvi.
- Orgoglioso!
-Ah! ah! è quel che t'ha detto nostro fratello. Tu, perché me lo ripeti adesso? Avessi ser¬bato l'Orgoglio! Non saresti tornato.
- Non avrei dunque potuto conoscerti.
- Sì, sì, laggiú, dove ti avrei raggiunto, avresti riconosciuto tuo fratello; mi sembra ancora persino che parto per ritrovarti.
- Che parti?
- Non l'hai capito? Non a partire?
- Vorrei risparmiarti mìandoti la partenza.
- No, no, non dirmi cosí ; non è così che vuoi dire. Anche tu, non è vero.; sei partito come un conquistatore.
- E fu quel che mi fece piú dura la servitù.
- Allora, perché ti sei piegato? Eri già cosí stanco?
- No, non ancora; ma ho dubitato.
- Che vuoi dire?
- Di tutto, di me; ho voluto fermarmi, legarmi finalmente a qualche luogo; gli agi che mi prometteva quel padrone m'han tentato... sì, lo sento bene, adesso; ho perduto.
Il prodigo china il capo e cela il viso tra le mani.
- Ma prima?
- Avevo camminato a lungo attraverso la gran terra. indomita.
- Il deserto?
- Non era sempre il deserto.
- Che vi cercavi?
- Non lo so piú neppur io.
- Alzati dal mio letto. Guarda, sulla tavola, al capezzale, là, vicino a quel libro strappato.
- Vedo una melagrana aperta.
- Me la portò l'altra sera il porcaro, che non tornava da tre giorni.
-Sì, è una melagrana selvatica.
- Lo so; è di un'asprezza quasi orribile; ep¬pure sento che, se avessi piú sete, la morderei.
- Ah! posso dunque dirtelo adesso; questa sete, cercavo nel deserto.
- Una sete che solo questo frutto non zuccherino riesce a spegnere.
- No; pur la fa amare.
- Sai dove coglierlo?
- È un piccolo frutteto abbandonato, dove si giunge prima di sera. Nessun muro lo divide piú dal deserto. Là scorreva un ruscello; qualche frutto quasi maturo pendeva dai rami.
- Che frutti?
- Gli stessi del nostro giardino. La giornata era stata molto calda.
- Senti; sai perché ti aspettavo questa sera? Prima che finisca la notte, parto. Questa notte; questa notte, appena impallidirà... Ho cinto i lombi, non mi son tolto, stanotte, i sandali.
- Dunque, quel ch'io non seppi fare, tu lo farai?...
- M'hai aperto la strada, e il pensare a te mi sosterrà.
- A me tocca ammirarti; a te invece, dimenticarmi. Che cosa porti con te?
- Sai bene che al minore non spetta eredità. Parto senza niente.
- È meglio.
- Che guardi dunque dalla finestra?
- Il giardino dove son distesi i nostri morti.
- Fratello mio... (e il fanciullo, che s'è alzato dal letto, mette attorno al collo del prodigo il suo braccio che si fa dolce come la sua voce). Parti con me.
- Lasciami! lasciami! io resta a consolar nostra madre. Senza me sarai piú forte. È già l'ora. Il cielo impallidisce. Non far rumore. Su, abbracciami, fanciullo mio: porti con te tutte le mie speranze. Sii forte; non ricordarci; non ricordarmi. Possa tu non tornare... Scendi adagio. Io tengo la lampada...
- Ah! dammi la mano fino alla porta.
- Sta attento ai gradini...