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‘‘Pensieri degli anni difficili’’ - Albert Einstein


lunedì 19 ottobre 2009  legge Riccardo Stella
La Relatività, la concezione del mondo e dell’uomo, l’atomo, le sue applicazioni, le sue conseguenze. Quando la scienza porta le possibilità e le responsabilità dell’umanità ad un punto limite, induce preoccupazione e il riflesso di contestarne la validità, il ruolo. Preoccupazioni che si ripropongono, da Galileo, attraverso l’atomica, alle nuove frontiere della biologia. Passaggi che hanno sempre implicato il destino dell’uomo, ma con diversi livelli di consapevolezza, generalità e "potenza". L’esperienza di Einstein, il desiderio di comprendere legato al suo essere scienziato, di liberazione umana e intellettuale nel suo impegno culturale, di fronte al "tragico destino" di aver aperto la strada ad un’arma terribile: inevitabilmente legata al proprio tempo, scopre i fili di problemi che affondano nelle vicende umane, e ancora affiorano seppure in forme e contesti diversi.


Albert Einstein, Pensieri degli anni difficili, trad. it. L. Bianchi, Boringhieri 1965

Brani da: L’Europa è stata un successo?-1934; Decadenza morale-1937; Sulla libertà-1940; Il fine dell’esistenza umana-1943.

L'ideale umanitario dell'Europa appare veramente e indissolubilmente legato alla libera espressione delle proprie opinioni, in certa misura al libero arbitrio degli individui, allo sforzo verso l'obiettività di pensiero… e all'incoraggiamento delle differenze in materia di idee e di gusti. Queste esigenze e questi ideali rappresentano la natura dello spirito europeo. Non si può stabilire la validità di tali valori e di tali principi con un ragionamento, in quanto si tratta di questioni fondamentali riguardanti il modo di affrontare la vita, che costituiscono degli orientamenti che possono essere affermati o negati solo dal sentimento. Io so una cosa sola, e cioè che affermo questi principi con tutta la mia anima, e che troverei intollerabile far parte di una società che li negasse sistematicamente… È giustificabile mettere da parte per un certo tempo i principi della libertà individuale, in vista del grande sforzo necessario per migliorare la struttura economica? … Nessuno scopo è, secondo me, cosi alto da giustificare dei metodi indegni per il suo conseguimento. La violenza può avere talvolta eliminato con rapidità degli ostacoli, ma non si è mai dimostrata capace di creare alcunché….

Tutte le religioni, le arti e le scienze sono rami dello stesso albero. Tutte queste aspirazioni sono volte alla nobilitazione della vita dell'uomo, sollevando l'individuo dalla sfera della pura esistenza fisica e conducendolo verso la libertà. Non è un puro caso che le nostre università più antiche si siano sviluppate da scuole di religiosi. Sia le chiese che le università (fintanto che vivono all'altezza della loro vera missione) servono alla nobilitazione dell'individuo. Esse cercano di raggiungere questo alto obiettivo diffondendo la comprensione morale e culturale, e rinunciando all'uso della forza bruta…. I conflitti e le complessità politiche ed economiche degli ultimi decenni ci hanno rivelato pericoli che neppure il più irriducibile pessimista del secolo scorso avrebbe potuto immaginare. …Nazioni che un tempo primeggiavano ora si piegano di fronte a tiranni…Regime di arbitrio, oppressione, persecuzione di persone, di fedi religiose e di comunità intere, vengono apertamente messi in pratica in quei paesi ed accettati come giustificabili o inevitabili…
Si perde la capacità elementare di reagire all'ingiustizia e per la giustizia, reazione, questa, che a lungo andare rappresenta l'unica protezione dell'uomo contro una ricaduta nella barbarie. Sono fermamente convinto che il desiderio appassionato di giustizia e di verità ha contribuito a migliorare la condizione dell'uomo più di quanto non abbiano fatto le sottigliezze del calcolo politico... Chi può mettere in dubbio che Mosè sia stato per l'umanità un condottiero migliore di Machiavelli?

Lo sviluppo della scienza, e delle attività creative dello spirito in generale, richiede un altro tipo ancora di libertà, che può venir caratterizzato come libertà interna. È questa la libertà dello spirito, che consiste nell'indipendenza del pensiero dalle limitazioni dei pregiudizi autoritari e sociali come dagli automatismi acritici e dagli abiti acquisiti. Questa libertà interna è un dono raro da parte della natura e rappresenta un obiettivo degno per l'individuo. …
Certamente dovremmo badare a non fare dell'intelletto il nostro dio. Esso ha, si, dei muscoli potenti, ma nessuna personalità. Esso non può guidare, può solo servire; e non è esigente nella scelta di una guida. Questa caratteristica si riflette nelle qualità dei suoi sacerdoti: gli intellettuali. L'intelletto ha una vista acuta quanto ai metodi e agli strumenti, ma è cieco quanto ai fini e ai valori. …. I nostri antenati ebrei, i profeti e i vecchi saggi cristiani compresero e proclamarono che il fattore più importante nella formazione della esistenza umana è la creazione di un fine: quello di una comunità libera e di esseri umani felici che con un continuo sforzo interiore lottino per liberarsi dall'eredità di istinti antisociali e distruttivi. In questa battaglia l'intelletto può costituire l'aiuto più potente.

Brani da: Scienza e civiltà-1933. Scienza e religione-1939. Scienza e società-1935

Non può essere mio compito fare oggi da giudice del comportamento di una nazione che per molti anni mi ha considerato come suo figlio; e forse è ozioso giudicare in tempi in cui sono le azioni a contare.
Oggi le questioni che ci preoccupano sono di questo tipo: come possiamo salvare l'umanità e le sue conquiste spirituali di cui siamo eredi? Come si può salvare l'Europa da un nuovo disastro?...
Senza una tale libertà non vi sarebbe stato uno Shakespeare, un Goethe, un Newton, un Faraday, un Pasteur o un Lister. Non vi sarebbero abitazioni confortevoli per la maggior parte della gente, né ferrovie, né radio, né difesa dalle epidemie, né libri a buon mercato, né cultura, né godimento dell'arte aperto a tutti. Non vi sarebbero macchine per sollevare l'uomo dalla dura fatica necessaria per produrre i beni essenziali al vivere. La maggior parte della gente condurrebbe una grigia vita di schiavitù come sotto i despoti dell'Asia antica. Solo uomini liberi realizzano quelle scoperte e quelle opere intellettuali che ci rendono oggi la vita meritevole di essere vissuta.
Durante l'ultimo secolo, e parte del precedente, fu convinzione generale che esistesse un insanabile contrasto fra la conoscenza e la fede. Nelle menti più evolute prevalse l'opinione che fosse tempo che la fede venisse sempre più ampiamente sostituita dalla conoscenza; la fede che non riposava naturalmente sulla conoscenza era superstizione, e in quanto tale doveva essere combattuta. Secondo questa concezione, l'unica funzione dell'educazione era quella di aprire la via al pensiero e alla conoscenza, e la scuola, in quanto organo principale dell'azione educativa, doveva servire unicamente a questo scopo.
È vero che le convinzioni possono essere meglio sostenute dall'esperienza e da chiare riflessioni. Su questo punto si deve essere incondizionatamente d'accordo con i razionalisti più radicali. Il punto debole di questa concezione, tuttavia, sta nel fatto che le convinzioni necessarie e determinanti per il nostro comportamento e per i nostri giudizi non possono essere trovate semplicemente seguendo questo concreto modo scientifico.
Il metodo scientifico, infatti, non ci può insegnare nulla oltre al modo in cui i fatti sono collegati e si condizionano tra loro. L'aspirazione a una tale conoscenza oggettiva è una delle più elevate di cui l'uomo sia capace, e certo non mi sospetterete di voler sminuire le conquiste e gli sforzi eroici dell'uomo in questo campo. Eppure è ugualmente chiaro che la conoscenza di ciò che è non apre direttamente la porta alla conoscenza di ciò che dovrebbe essere. Si può avere la conoscenza più chiara e più completa di ciò che è, e tuttavia non riuscire a dedurre da questa quale dovrebbe essere la meta delle nostre aspirazioni umane. La conoscenza obiettiva ci fornisce strumenti potenti per la conquista di certe mete, ma il fine ultimo e il desiderio di raggiungerlo devono nascere da un'altra fonte. A questo proposito non è quasi necessario ricordare che la nostra esistenza e le nostre attività acquistano significato in esclusiva dipendenza dalla determinazione di una tale meta e dai valori che le sono collegati. La conoscenza della verità è di per sé meravigliosa, ma la sua attitudine a guidarci è cosi modesta, che essa non può fornire giustificazione e valore neppure alla stessa aspirazione alla conoscenza della verità. Ci troviamo qui di fronte, cosi, ai limiti della concezione puramente razionale della nostra esistenza. Non si deve però supporre che il pensiero intelligente non possa avere alcuna funzione nella formazione del fine. e dei giudizi etici. Quando ci si rende conto che per il raggiungimento di un certo fine sarebbero utili certi mezzi, i mezzi stessi diventano per ciò stesso un fine. L'intelligenza ci chiarisce la relazione esistente fra mezzi e fini. Ma il semplice pensiero non può darci il significato dei fini ultimi e fondamentali. Chiarire questi fini e questi valori fondamentali, e ancorarli strettamente alla vita emotiva dell'individuo, mi sembra, sia proprio la funzione più importante che la religione deve compiere nella vita sociale dell'uomo. E se ci si domanda di dove derivi l'autorità di tali fini fondamentali, dato che questi non possono essere stabiliti e giustificati semplicemente dalla ragione, si può rispondere soltanto cosi: essi esistono in una società sana come potenti tradizioni, che agiscono sul comportamento e le aspirazioni e i giudizi degli individui; essi esistono, cioè, come qualche cosa di vivo, senza che sia necessario trovare la giustificazione della loro esistenza. Essi nascono non da una dimostrazione ma da una rivelazione, grazie alla mediazione di forti personalità. Si deve tentare non di giustificarli, ma piuttosto di sentirne la natura con semplicità e con chiarezza.
I principi più alti che stanno alla base delle nostre aspirazioni e dei nostri giudizi ci sono indicati dalla tradizione religiosa ebraica e cristiana. Si tratta di una meta molto alta che, con le nostre deboli forze, possiamo raggiungere solo molto imperfettamente, ma che fornisce un sicuro fondamento alle nostre aspirazioni e alle nostre valutazioni. Se si dovesse spogliare questa meta della sua forma religiosa e considerarla semplicemente da un punto di vista umano, si potrebbe forse enunciarla in questo modo: sviluppo libero e responsabile dell'individuo, in modo tale che egli possa porre liberamente e volentieri al servizio dell'umanità tutte le sue facoltà.
Non vi è posto in questa concezione per la divinizzazione di una nazione o di una classe, per non dire di un individuo. Non siamo forse tutti figli di uno stesso padre, come si dice nel linguaggio religioso? Anzi, anche la divinizzazione dell'umanità, in quanto totalità astratta, non sarebbe nello spirito di questo ideale. Soltanto all'individuo viene assegnata un'anima. E l'alto destino dell'individuo è servire anziché dominare o imporre sé stesso in una qualsiasi altra maniera.
Se si guarda alla sostanza invece che alla forma, allora si possono considerare queste parole anche come l'espressione della posizione democratica fondamentale. Il vero democratico non può adorare la propria nazione come non lo può l'uomo religioso, inteso come si è detto.

Vi sono due modi secondo cui la scienza influisce sulla vita dell'uomo. Il primo è familiare a tutti: direttamente e ancor più indirettamente la scienza produce strumenti che hanno completamente trasformato l'esistenza umana. Il secondo è per sua natura educativo, agendo sullo spirito. …
L'effetto pratico più appariscente della scienza è il fatto che essa rende possibile l'invenzione di cose che arricchiscono la vita, anche se nel contempo la complicano: invenzioni quali la macchina a vapore, le ferrovie, l'energia e la luce elettrica, il telegrafo, la radio, l'automobile, l'aereoplano, la dinamite, e cosi via. A queste dobbiamo aggiungere le scoperte della biologia e della medicina in difesa della vita, e, più ristrettamente, la produzione di preparati per alleviare il dolore e i metodi di conservazione dei generi alimentari. Il beneficio pratico maggiore che tutte queste invenzioni apportano all'uomo lo vedo nel fatto che esse lo liberano da quell'eccessivo ingrato lavoro muscolare che un tempo era indispensabile già per la sola sopravvivenza. Nella misura in cui possiamo affermare che oggi la schiavitù è stata abolita lo dobbiamo alle conseguenze pratiche della scienza.
D'altra parte la tecnologia, o scienza applicata, ha posto l'uomo di fronte a problemi di estrema gravità. La sopravvivenza stessa dell'umanità dipende da una soddisfacente soluzione di tali problemi. Si tratta di creare un tipo di istituzioni e di tradizioni sociali senza le quali i nuovi strumenti porteranno inevitabilmente a un disastro della peggior specie.
I mezzi meccanici di produzione in un'economia non organizzata hanno avuto come risultato il fatto che una notevole parte dell'umanità non è più necessaria per la produzione dei beni, venendo cosi a trovarsi esclusa dal processo della circolazione economica. Conseguenze immediate di ciò sono l'indebolimento del potere d'acquisto e la svalutazione del lavoro a causa dell'eccessiva concorrenza, e questi fatti danno origine, a intervalli di tempo sempre più brevi, a una grave paralisi nella produzione di beni. La proprietà dei mezzi di produzione, d'altra parte, conferisce un potere contro il quale le salvaguardie rappresentate dalle nostre tradizionali istituzioni politiche sono inadeguate. L'umanità è coinvolta in una lotta per l'adattamento alle nuove condizioni….
La tecnologia ha anche accorciato le distanze, e creato mezzi nuovi e straordinariamente efficaci di distruzione, che nelle mani di nazioni che proclamano un'illimitata libertà d'azione diventano delle minacce alla sicurezza e all'esistenza stessa dell'umanità. Questa situazione esige un singolo potere giuridico ed esecutivo per l'intero pianeta, ma la creazione di una tale autorità centrale viene contrastata a oltranza dalle tradizioni nazionali. Anche in questo caso ci troviamo nel mezzo di una lotta il cui esito deciderà il destino di tutti noi.
Infine, i mezzi d'informazione (di riproduzione a stampa della parola, o di diffusione, come la radio), combinati con le armi moderne, hanno dato la possibilità di ridurre anima e corpo in schiavitù di un'autorità centrale, e ciò rappresenta una terza fonte di pericolo per l'umanità. Le moderne tirannidi e i loro effetti distruttivi mostrano chiaramente quanto siamo lontani dallo sfruttamento organizzato di queste scoperte per il benessere dell'umanità. Anche qui le circostanze esigono una soluzione internazionale, mentre la base psicologica di una tale soluzione non è stata ancora posta.
Passiamo ora agli effetti spirituali prodotti dalla scienza. Nei tempi prescientifici non era possibile raggiungere con il solo pensiero risultati che tutta l'umanità potesse accettare come certi e necessari. Ancora meno vi era la convinzione che tutto ciò che accade in natura è soggetto a leggi inesorabili. Il carattere frammentario delle leggi naturali, quali apparivano agli osservatori primitivi, era tale da alimentare la credenza negli spiriti e nei fantasmi. Per la medesima ragione ancora oggi l'uomo primitivo vive nella costante paura che forze soprannaturali e arbitrarie intervengano nel suo destino.
A perenne vanto della scienza sta il fatto che essa, agendo sulla mente umana, ha vinto l'insicurezza dell'uomo di fronte a sé stesso e alla natura. Creando la matematica elementare i greci elaborarono per la prima volta un sistema di pensiero le cui conclusioni non possono venir negate da nessuno. Successivamente gli scienziati del Rinascimento scoprirono la combinazione dell'esperimento sistematico con il metodo matematico. Questa unione rese possibile una tale precisione nella formulazione delle leggi naturali e una tale certezza nella loro verifica sperimentale che come risultato non vi fu più posto per differenze sostanziali di opinioni nelle scienze naturali. Da allora ogni generazione ha contribuito a costruire questo patrimonio di conoscenza e di comprensione, senza il minimo pericolo di una crisi che possa mettere a repentaglio l'intera struttura.
L'uomo medio può riuscire a seguire i dettagli della ricerca scientifica solo in misura modesta; ma può almeno rendersi conto di un vantaggio grande ed importante: la fiducia che il pensiero umano è degno di fede e che le leggi naturali sono universali.

* * *

Intermezzo


Einstein-Born. Scienza e vita. Lettere 1916-1955, trad. it. G. Scattone, Einaudi 1973

Edimburgo 15.7.1944
Caro Einstein
nel nostro giornale, «The Scotsman», ho letto un articolo sul tuo appello ai lavoratori intellettuali affinché si uniscano per organizzare una qualche difesa contro nuove guerre di aggressione e per affermare il loro peso politico. Sono stato molto contento di leggere tutto ciò, perché sento che sei l'unico che possa fare qualcosa in tal senso, essendo il tuo nome universalmente noto….
Ma il pensiero che più mi deprime è sempre quello che la nostra scienza, così bella in sé e che tanto potrebbe fare per il bene dell'umanità, sia stata degradata a semplice mezzo di distruzione e di morte. La maggior parte degli scienziati tedeschi ha collaborato coi nazisti…Gli scienziati britannici, americani, russi sono tutti mobilitati, com'è giusto; non biasimo nessuno, perché nelle circostanze attuali non si può fare altrimenti se si vuole salvare un resto della nostra civiltà. Penso però che sia necessario un organismo internazionale, e soprattutto un codice internazionale di comportamento etico… mediante il quale la nostra comunità di scienziati possa agire nel mondo come una forza moderatrice e stabilizzatrice, invece di essere, come oggi, un semplice strumento dei governi e dell'industria. Tutto ciò, beninteso, in aggiunta al dovere d'insegnare la serietà e l'amore del vero nelle osservazioni e nei calcoli. Esiste un modello etico ben definito sul quale concordano tutte le religioni, cristiana, ebraica, mussulmana e indù; eppure, alcune branche della biologia, concettualmente arretrate e fondate su basi poco convincenti, sono diventate nelle mani di politici criminali uno strumento per riportarci alle condizioni della giungla. Dev'esserci un sistema per impedire che ciò si ripeta. Noi scienziati dobbiamo unirci per favorire l'istituzione di un ordine mondiale fondato sulla ragione….

Nei miei scritti sulla responsabilità dello scienziato ho affermato più d'una volta che l'esplosione di Hiroshima ebbe un'importanza determinante per tale questione, in quanto da quel giorno la situazione è cambiata: non si tratta più soltanto di un problema etico, se cioè i contrasti politici bastino a giustificare lo sterminio tecnologico, ma della sopravvivenza della civiltà in generale e forse della stessa vita sul nostro pianeta…
Per quanto riguarda me, non fui invitato direttamente a collaborare al progetto…. Mi fu cosi risparmiata ogni tentazione, e in ciò il mio destino fu diverso da quello di Einstein. Quando scrissi questa lettera, circa un anno prima di Hiroshima, non sapevamo praticamente nulla del progetto Manhattan. Soltanto assai più tardi seppi che era stato proprio Einstein, sollecitato da Szilard e da altri fisici, a indirizzare al presidente Roosevelt la lettera, da essi preparata, che avrebbe dato l'avvio al progetto. Ritengo che in seguito lo stesso Einstein non sia stato tenuto molto al corrente dei suoi sviluppi.
Il movente di Einstein, come di Szilard, era la necessità d'impedire a Hitler di usare per primo quest'arma. Che poi essa sia stata usata contro esseri inermi fu certamente per Einstein un pensiero orribile, che gettò un'ombra sugli ultimi anni della sua vita .
Il destino di Einstein dimostra, più chiaramente di ogni altro esempio nella storia, come le più alte doti spirituali e le intenzioni più pure non bastino a salvare l'individuo dal dover scegliere tra due alternative ugualmente odiose.
Se avessi saputo come stavano le cose, probabilmente non avrei scritto questa lettera. Credevo che Einstein fosse un pacifista a oltranza, come i quaccheri coi quali avevo avuto frequenti contatti attraverso mia moglie, entrata a far parte della «Society of Friends». Ma non era cosi. Einstein detestava l'impiego della forza, soprattutto quand'era rivolto contro esseri disarmati e indifesi, e riteneva che nessuna ideologia politica o economica, nessuno stato e nessuna forma di governo fossero degni del sacrificio di un gran numero di vite umane. Ma gli eventi del nostro tempo avevano insegnato a lui come a me che in caso di assoluta necessità i supremi valori etici sui quali è fondata la nostra umanità vanno difesi anche con la forza e col sacrificio di vite umane.

7-1944
Caro Born
…Ti ricordi ancora di quella volta, circa venticinque anni fa, che ci recammo insieme in tram al Reichstag, convinti di poter effettivamente contribuire a fare di quella brava gente degli onesti democratici? Per essere dei quarantenni, eravamo dei begli ingenui! Quando ci penso, non posso fare a meno di ridere. Non ci eravamo accorti che nell'uomo il midollo spinale ha un'azione assai più estesa e profonda di quella del cervello. È necessario ripensare a quel tempo, se non vogliamo ricadere negli stessi tragici errori. Non deve farci meraviglia che gli scienziati (o almeno la grande maggioranza di essi) non facciano eccezione alla regola; e se questo accade, non si deve alle loro capacità intellettuali, ma alla loro statura umana…Col loro codice etico i medici hanno concluso ben poco, e ancor meno c'è da aspettarsi un effetto morale nel caso degli scienziati puri, che hanno un modo di pensare meccanizzato e specialistico. …Il senso di ciò che è giusto o ingiusto cresce e muore come fa un albero, e a ben poco giova qualsiasi genere di concime. Tutto ciò che il singolo può fare è di dare il buon esempio e di avere il coraggio di sostenere con serietà le convinzioni etiche in una società di cinici. Da lungo tempo mi sono sforzato (con alterno successo) di comportarmi in questo senso. …
Le nostre prospettive scientifiche sono ormai agli antipodi tra loro. Tu ritieni che Dio giochi a dadi col mondo; io credo invece che tutto ubbidisca a una legge, in un mondo di realtà obiettive che cerco di cogliere per via furiosamente speculativa….

L'episodio di venticinque anni prima a cui allude Einstein è il seguente.
Quando nel novembre 1918 il Comando Supremo tedesco chiese improvvisamente l'armistizio e in tutta la Germania scoppiò la rivoluzione, …ricevetti una telefonata da Einstein…: mi comunicava che all'università si era costituito, sul modello dei soviet tedeschi degli operai e dei soldati, un Consiglio degli studenti, e che uno dei suoi primi atti era stato quello di destituire e arrestare il rettore e altre autorità accademiche. Nella speranza che Einstein, per la sua posizione «di sinistra», potesse influire sugli studenti estremisti, lo avevano pregato di condurre trattative col Consiglio allo scopo di ottenere il rilascio degli arrestati... Einstein era venuto a sapere che il Consiglio degli studenti era riunito nell'edificio del Reichstag e mi chiedeva di accompagnarlo…(con) lo psicologo Max Wertheimer.
Non starò a raccontare le difficoltà che incontrammo (ma) alla fine qualcuno riconobbe Einstein e tutte le porte si aprirono.
Ci accompagnarono nella sala in cui era riunito il Consiglio degli studenti. Il presidente ci salutò cortesemente e ci invitò ad accomodarci, in attesa che terminasse la discussione in corso… Finalmente il punto in discussione fu approvato e il presidente disse: «Professor Einstein, prima di prendere in esame la sua richiesta, posso permettermi di domandarle che cosa pensa delle nuove disposizioni per gli studenti? » Einstein rifletté qualche minuto, poi rispose pressappoco cosi: «Ho sempre pensato che il maggior pregio dell'ordinamento universitario tedesco consista nella libertà accademica, per cui al docente non viene prescritto in alcun modo che cosa debba insegnare, e lo studente può scegliere, senza troppi controlli e vigilanze, i corsi che intende seguire. A quanto sembra i vostri nuovi statuti aboliscono tutto ciò, stabilendo invece precise norme. Mi dispiacerebbe se l'antica libertà venisse meno». Seguì un silenzio imbarazzato tra i giovani detentori del potere. Si passò a trattare la nostra faccenda; ma il Consiglio degli studenti si dichiarò incompetente…Ci trasferimmo quindi nel palazzo della Cancelleria, dove regnava una grande animazione. …Il salone principale era pieno di gente eccitata e vociante; tuttavia Einstein fu subito riconosciuto e non avemmo difficoltà ad arrivare fino al neoeletto presidente Ebert. Questi ci ricevette in una saletta e ci disse che ovviamente in un momento come quello, in cui era in gioco l'esistenza stessa dello stato, non poteva occuparsi di questioni particolari. Ci diede un breve appunto per il nuovo ministro competente, e in un attimo la nostra faccenda fu sbrigata.
Lasciammo il palazzo della Cancelleria di ottimo umore, con la sensazione di aver preso parte a un evento storico e con la fiducia che il regno dell'arroganza prussiana, degli junker, dell'aristocrazia, dei burocrati e dei militari fosse terminato per sempre; la democrazia tedesca aveva ormai vinto. … Ed è appunto questo l'atteggiamento a cui Einstein allude nella sua lettera e del quale si prende gioco. A quel tempo credevamo al trionfo della ragione, del «cervello»; dovevamo ancora imparare che gli uomini non sono diretti dal cervello ma dal «midollo spinale», sede degli istinti e delle passioni cieche. Né gli scienziati fanno eccezione alla regola.


Brani da: Bertrand Russell, Un’etica per la politica, trad. it. R. Rini, M. Mori, Laterza 1986 eRiflessioni nel mio ottantesimo compleanno, in Autobiografia 1944-67, trad. it. L. Krasnik, Longanesi 1970.

C'è una massima famosa: «la ragione è, e dev'essere, soltanto la schiava delle passioni». Essa non è tratta dalle opere di Rousseau, di Dostoevskij o di Sartre. È di David Hume; ed esprime un'opinione che io, come chiunque cerchi di essere ragionevole, sottoscrivo pienamente…. Desideri, emozioni, passioni (si può scegliere la parola che si vuole), sono le sole cause possibili dall'azione. La ragione non è una causa dell'azione, ma ha solo una funzione regolatrice….… io sostengo che ciò di cui il mondo ha bisogno è l'amore cristiano, ossia la compassione…. C'è un altro motivo, ancora più pernicioso, che spinge a preferire l'irrazionalità. Se le persone sono sufficientemente irrazionali, tu puoi riuscire nell'intento di indurle a servire i tuoi interessi dando loro a vedere che stanno servendo i propri…. Quello che desidero vedere è un mondo in cui le emozioni sono forti, ma non distruttive; un mondo in cui esse, essendo riconosciute, non inducono ad ingannare né se stessi né gli altri. Un mondo come questo fa posto all'amore e all'amicizia, al culto delle arti e della conoscenza. Non mi è possibile sperare di soddisfare coloro che aspirano a qualcosa di più animalesco. … I mali derivanti dall'introduzione della moderna tecnologia scientifica prevedibilmente sono solo agli inizi, il peggiore è l'intensificazione della guerra, ma ce ne sono molti altri. L'esaurimento delle risorse naturali, la compressione dell'iniziativa individuale da parte dei governi, la manipolazione della mente degli uomini attraverso organi centralizzati di educazione e di propaganda, sono alcuni dei mali più rilevanti di cui c'è da attendersi un aggravamento in virtù dell'impatto della scienza su una mentalità legata, per tradizione, ad un assetto ormai tramontato. La scienza e le tecniche moderne hanno accresciuto i poteri di chi governa e, cosa mai accaduta prima, hanno reso possibile la creazione di intere società secondo un piano messo a punto dalla mente di pochi individui. Questa possibilità ha spinto l'amore della pianificazione sistematica fino ad un'ubriacatura che può preludere al disconoscimento dei diritti elementari degli individui. Trovare il modo di rendere giustizia questi diritti è uno dei problemi cruciali del nostro tempo. Le possibilità del mondo in cui viviamo giustificano insieme grandi speranze e terribili paure...
Se nel mondo moderno le comunità sono infelici, ciò accade spesso perché coltivano tuttora nel loro seno ignoranze, costumi, credenze e passioni che hanno più care della felicità e persino della vita stessa…. Per preservare la speranza nel mondo, bisogna chiamare a raccolta tutta la nostra intelligenza e tutte le energie.…. Al tempo della mia gioventù, l'ottimismo vittoriano non era neppur messo in discussione. Si riteneva che la libertà e la prosperità si sarebbero a poco a poco diffuse in tutto il mondo, seguendo un ordinato processo di sviluppo e si sperava che la crudeltà, la tirannia e l'ingiustizia sarebbero andate diminuendo gradatamente. Quasi nessuno era sfiorato dall'angoscioso pensiero di grandi guerre future. Ben pochi concepivano il diciannovesimo secolo come un breve interludio fra la barbarie passata e la barbarie futura e chi è cresciuto in quell'atmosfera ha durato fatica a adattarsi al mondo presente. E ciò non soltanto nell'ambito della sensibilità ma anche nelle cose dell'intelletto. Molte idee che si erano credute valide si sono rivelate del tutto inadeguate. Alcune forme di libertà individuale, indubbiamente preziose, sono risultate assai difficili da preservare. Nei rapporti internazionali, altre libertà, fortemente apprezzate un tempo, sono divenute cause di disastri insanabili. Occorrono nuovi modi di pensare, speranze novelle, libertà non ancora note e restrizioni cui non siamo avvezzi, se vogliamo che il mondo ritrovi se stesso, fuori dal grave pericolo in cui versa.

* * *

Brani da: Verso un governo mondiale, La via d’uscita-1946; Messaggio agli intellettuali-1948; . Perché il socialismo-1949.

Lo sviluppo della tecnologia e degli strumenti di guerra hanno prodotto qualche cosa di simile a una contrazione del nostro pianeta. I vincoli economici hanno reso interdipendenti i destini delle nazioni…. I mezzi di distruzione disponibili sono di un tipo tale che nessun luogo sulla faccia della terra è al sicuro da una improvvisa distruzione totale. L'unica speranza di protezione sta nell'assicurare la pace mediante organi sopranazionali. Occorre creare un governo mondiale che sia in grado di risolvere i contrasti fra le nazioni con delle decisioni vincolanti…. Le Nazioni Unite, quali sono al giorno d'oggi, non posseggono né la forza militare né il fondamento legale per realizzare uno stato di sicurezza internazionale. Né tengono conto della reale distribuzione delle forze.…. Una pace permanente non può essere preparata con le minacce, ma solo con un onesto tentativo di creare una fiducia reciproca. …anche la migliore corte arbitrale è priva di senso se non è sostenuta dall'autorità e dal potere di far eseguire le proprie decisioni, e la stessa cosa vale per un parlamento mondiale. Uno stato individuale con una potenza militare ed economica sufficiente può facilmente far ricorso alla violenza e distruggere liberamente l'intero sistema di sicurezza internazionale se questo è costruito soltanto sulle parole e sui documenti. L'autorità morale da sola non costituisce uno strumento sufficiente per assicurare la pace….
È ora la volta dell'Organizzazione delle Nazioni Unite a essere messa alla prova. Forse tale organismo risulterà finalmente la fonte della "sicurezza senza illusioni" di cui abbiamo disgraziatamente tanto bisogno. Per il momento, però, l'Organizzazione delle Nazioni Unite non si è spinta, come invece a mio avviso dovrebbe, oltre il confine di una autorità puramente morale…
Le armi moderne, in particolare la bomba atomica, hanno portato a considerevoli vantaggi per i mezzi di offesa o di attacco rispetto a quelli di difesa. Questo potrebbe realmente far sì che anche gli statisti responsabili si trovassero costretti a intraprendere una guerra preventiva.
Di fronte a questi fatti evidenti esiste, secondo me, un'unica via d'uscita. È necessario che vengano stabilite delle condizioni che garantiscano al singolo stato il diritto di risolvere le proprie controversie con altri stati su una base legale e sotto una giurisdizione internazionale.
È necessario che il singolo stato sia impedito dal fare una guerra da un'organizzazione internazionale sostenuta da una potenza militare posta sotto il suo esclusivo controllo.
… fino a quando non raggiungeremo una sicurezza militare internazionale, i fattori cui abbiamo accennato possono sempre condurci, contro ogni nostro desiderio e intenzione, alla guerra. Ancor più del desiderio di potenza, la paura di un attacco improvviso si dimostrerà disastrosa per noi se non affronteremo apertamente e decisamente il problema di privare le singole potenze nazionali della loro forza militare, trasferendo questa forza a un'autorità sopranazionale.
Per quanto spaventosa sia questa tragedia, forse è ancora più tragico il fatto che, mentre l'umanità ha prodotto molti studiosi che hanno ottenuto risultati cosi brillanti nel campo della scienza e della tecnologia, noi non siamo riusciti per lungo tempo a trovare delle soluzioni adeguate ai molti conflitti politici e alle tensioni economiche che ci circondano. …L'uomo non è riuscito a sviluppare delle forme politiche ed economiche di organizzazione che potessero garantire la coesistenza pacifica delle nazioni nel mondo. Non è riuscito a costruire un tipo di struttura che eliminasse la possibilità di guerra e bandisse per sempre gli strumenti micidiali della distruzione in massa.
Noi scienziati, il cui tragico destino è stato quello di aiutare a costruire i mezzi di distruzione più raccapriccianti e più efficienti, dobbiamo considerare come nostro dovere solenne e supremo fare tutto ciò che è in nostro potere per impedire che queste armi siano usate per gli scopi brutali per i quali sono state inventate…. La funzione che lo stato ha, di mantenere relazioni pacifiche e ordinate fra i cittadini, è diventata sempre più complicata …Per proteggere i suoi cittadini dagli attacchi esterni uno stato moderno ha bisogno di un formidabile assetto militare in continua espansione. Inoltre, lo stato considera necessario educare i suoi cittadini alla possibilità di una guerra, "educazione" questa che non solo corrompe l'anima e lo spirito dei giovani, ma che influisce negativamente anche sulla mentalità degli adulti. Nessun paese può evitare questa corruzione. Essa pervade la cittadinanza anche in paesi che non nutrono esplicite tendenze aggressive.… L'educazione alla guerra, tuttavia, è un'illusione….

in nessuna parte del mondo abbiamo di fatto superato quella che Thorstein Veblen chiamò "la fase predatoria" dello sviluppo umano…. Dato che il vero scopo del socialismo è precisamente quello di superare e di procedere oltre la fase predatoria dello sviluppo umano, la scienza economica, al suo stato attuale, può gettare ben poca luce sulla società socialista del futuro.
In secondo luogo, il socialismo è volto a un fine etico-sociale. La scienza, però, non può stabilire dei fini e tanto meno inculcarli negli esseri umani; la scienza, al più, può fornire i mezzi con i quali raggiungere certi fini. Ma i fini stessi sono concepiti da persone con alti ideali etici; se questi ideali non sono sterili, ma vitali e forti, vengono adottati e portati avanti da quella gran parte dell'umanità che, per metà inconsciamente, determina la lenta evoluzione della società.
Per queste ragioni dovremmo stare attenti a non sopravvalutare la scienza e i metodi scientifici quando si tratta di problemi umani; e non dovremmo ammettere che gli esperti siano gli unici ad aver il diritto di pronunciarsi su questioni riguardanti l'organizzazione della società….
Non si esagera molto dicendo che l'umanità già oggi costituisce una comunità planetaria di produzione e di consumo.
L'individuo è diventato più consapevole che mai della propria dipendenza dalla società. Egli però non sperimenta tale dipendenza come un fatto positivo…ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali, o addirittura alla sua esistenza. Inoltre, la sua posizione nella società è tale che gli impulsi egoistici del suo carattere vengono costantemente accentuati, mentre i suoi impulsi sociali, che per natura sono più deboli, si deteriorano progressivamente….. Inconsciamente prigionieri del loro egotismo, essi si sentono insicuri, soli, e spogliati della ingenua, semplice e non sofisticata gioia di vivere….
Vediamo di fronte a noi un'enorme comunità di produttori, i cui membri lottano incessantemente per spogliarsi a vicenda dei frutti del loro lavoro collettivo, non con la forza, bensì tutto sommato in complice ossequio a regole stabilite in forma legale… Queste storture nell'individuo, secondo me sono la tara peggiore del capitalismo. Tutto il nostro sistema educativo soffre di questo male. Un atteggiamento esageratamente concorrenziale viene inculcato nello studente, abituandolo ad adorare il successo, come preparazione alla sua futura carriera.