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Ne(x)t Literature:letteratura postmoderna, letteratura “dal basso”-Don DeLillo, David Foster Wallace


lunedì 29 marzo 2010 leggono Giovanni Boccia Artieri e Giacomo Giuggioli   
La nascita e la fulminea evoluzione di strumenti denominati genericamente “nuovi media” ricontestualizza anche il ruolo della letteratura. In questi ambienti mediali si ridefinisce non solo il contenuto letterario ma anche il rapporto dialettico tra autore e lettore, talvolta in modo così radicale da invertire i ruoli e le parti in gioco. Ri-medazione è, dunque, il termine che illustra sia la vorace capacità che il web dimostra nell'acquisire e rielaborare contenuti per opera dei singoli utenti, sia la mise en abîme del continuo lavorio che la società della comunicazione e dell'informazione opera nei confronti del senso. Partendo da Wallace e DeLillo - due imprescindibili “moli” della letteratura postmoderna - una navigazione verso nuove forme di testo.


Don Delillo - GIOCATORI (1977)
 Einaudi. Torino, 2005

Il film (prologo)


Qualcuno dice: «Motel. Mi piacciono i motel. Vorrei possederne una catena su scala mondiale. Mi piacerebbe spostarmi da uno all'altro. È una cosa in cui ci si potrebbe realizzare». Le luci della cabina dell'aereo si abbassano. Per un istante tutti, nel piano bar, restano immobili. Come se per la prima volta si rendessero conto di quanti sistemi, di generatori, di spinte e di energia siano stati necessari per ridurre la loro percezione di volo a questo rudimentale tremolio. Quattro uomini e tre donne occupano questo particolare fotogramma bloccato. Il solo rumore è un ronzio sordo. Un secondo di oscurità, l'unico verificatosi finora, è stato sufficiente a intensificare l'implicito legame che, ancor più della distanza, della velocità o della destinazione, rende ogni viaggio una sorta di mistero che deve essere risolto dai talenti combinati dei viaggiatori, tutti gradualmente consci dei rispettivi codici di riconoscimento. Nella cabina adiacente, il pasto è terminato e il film sta per cominciare. Non appena torna la luce, l'uomo seduto al piano comincia a suonare un motivo. Accanto al piano c'è una donna sulla trentina, coi capelli chiari, che non ama volare. Alla sua sinistra c'è un uomo che preme il labbro inferiore contro l'orlo di un bicchiere. Passa la hostess con cuscini e riviste lanciando un'occhiata allo schermo su cui scorrono i titoli di testa sovrimpressi sul piano fisso di un campo da golf deserto, la mattina presto. Un'altra donna è seduta verso il fondo. Si caccia in bocca degli anacardi e li butta giù col Ginger Ale. É sulla quarantina, vestita in modo anonimo. Non sappiamo altro di lei. Naturalmente, senza cuffie i viaggiatori nel piano bar non sono in grado di sentire la colonna sonora del film che viene proiettato. Quando sparisce l'ultima scritta dei titoli, la bandierina che indica un green lontano si leva leggermente e ondeggia e poi al lato sinistro dello schermo compaiono degli uomini, giocatori di golf con i loro attrezzi. In apertura, ancora esitante in questi momenti introduttivi, il pianista sta suonando un tipico accompagnamento da film muto. Questo diverte i presenti, sebbene i loro sorrisi e le loro espressioni non siano diretti a nessuno in particolare ma rimangono sospesi, isolati, come succede tra i viaggiatori all'inizio del viaggio. Solo la hostess sembra delusa delle limitazione di questa associazione logica tra film e musica. È pur vero che quello che stanno vedendo è, di fatto, un film muto. Ma la donna dà l'impressione di aver già assistito a quella routine. Tra il piano bar e lo schermo, le file di poltrone sembrano essere vuote, al di sopra degli alti schienali reclinabili non si vede una sola testa. Supponiamo che in esse vi siano sedute delle persone, immobili, appagate dallo scorrere delle immagini. La donna vicino al piano comincia a sbadigliare, quasi irrefrenabilmente, un piccolo attacco di qualcosa. Sbadiglia sugli aerei proprio come era solita sbadigliare (nell'adolescenza) pochi secondi prima di salire sulle montagne russe, o (nella prima giovinezza) quando componeva il numero di telefono del padre. Il suo compagno, con un movimento scattante di stile appropriatamente chaplinesco, alza all'indietro il piede sinistro e le dà un lievissimo calcio al fondoschiena, una mossa così spiritosamente concepita che la fa scoppiare a ridere a metà sbadiglio. I golfisti avanzano sullo schermo, sette o otto in tutto, uomini bianchi, corpulenti, alcuni a bordo di cart che avanzano lenti in fila indiana traballando lentamente oltre le collinette. Sono tutti di mezza età e indossano quel genere di abiti dei sobborghi durante i week-end, colori così squillanti da essere una raffigurazione della follia della seconda infanzia. Vale la pena di precisare che i personaggi e il paesaggio sono ripresi dalla speciale angolazione di un teleobiettivo. È una prova di quanto possa essere intima la distanza[...]Ciò che la cinepresa condivide con gli spettatori è una consapevolezza di scaltrezza ottica. Il senso di non essere visti. Il pubblico come osservatore privilegiato. La musica del piano, una colonna sonora alternativa e nel contempo commento autonomo, comincia ad esprimere un senso sempre maggiore di (furtiva) apprensione che ben si accorda con la sequenza dei tiri, scandita alla perfezione, in cui ogni colpo è leggermente più rapido del precedente, a suggerire gesti di routine che stanno per far posto a qualche pressione imprevista... I golfisti in questo dolce mattino procedono con la partita. Ed è in questo momento che la cosa vigile e nascosta, la cui speciale presenza era implicita nell'uso del teleobiettivo, viene svelata. Un uomo di spalle rispetto all'obiettivo, uscendo dai cespugli compare in primo piano, a circa duecento metri dai golfisti. Quando si gira per fare un segnale a qualcuno, è evidente che nella mano destra ha un'arma, un fucile semiautomatico. Lanciato il segnale, non si riaccoscia. Uno dei golfisti scelga un'iron. Un altro emerge dai cespugli in tutta la sua altezza. Ha un abbigliamento eterogeneo: berretto da baseball (con visiera alzata), un logoro gilè con disegni in cachemire, camicia di tela azzurra, cinturone militare, calzoni bianchi infilati in stivali alti. Sul petto si incrociano due bandoliere. Ha in mano un Enfield a canne mozze. L'obiettivo inquadra in campo lungo un uomo e una donna sulla sommità della collinetta. Altri accordi bassi. Infausti presagi si addensano. A quella distanza i due sembrano incastonati nel cielo, immobili, entrambi armati di fucile. Un' altra donna, in ripresa più ravvicinata, è sola in una buca di sabbia, a piedi nudi. Tiene un machete appoggiato sulla spalla destra. Il primo terrorista comincia a sparare mentre si avvicina al gruppo. Un uomo in maglione cade e dalle sue tasche rotolano palline da golf. I terroristi cercando di cogliere le vittime singolarmente o in coppia, fanno tre morti quasi immediatamente. I corpi cadono a rallentatore é[...]Uno agita la mazza e viene colpito all'inguine con l'Enfield. Cade in un laghetto intorbidandolo di sangue. La hostess serve dei cocktail alla coppia di uomini e un ginger ale alla donna in fondo. Solo adesso la musica da film muto svela il suo vero rapporto con gli eventi sullo schermo. Il suono argentino del piano conferisce al fascino della violenza rivoluzionaria, alla smania segreta che essa evoca anche nell'anima più mite, un'ironia troppo calzante per essere ignorata. La semplice innocenza di questa musica indebolisce il terrore fotogenico riducendolo a un vortice. Qui siamo invitati a ricordare qualcosa, sebbene questo sforzo di memoria possa essere più mitico che soggettivo[...] Scorre dentro di noi. Pianoforti in migliaia di vecchi cinema. Storie d'amore appassionate e commedie farsesche e suspense snervanti. Una storia così insignificante è piacevole, lo capiamo, se paragonata alle difficoltà dei nostri giorni. Nel piano bar il piccolo pubblico ride. Nonostante l'insistenza della cinepresa su quel sanguinolento massacro di quegli uomini chiaramente sacrificabili, la scena diventa confusa per via del commento musicale melodrammatico. Siamo immersi in un'ambiguità orrendamente umoristica, uno spettacolo di gente ridicoli che fa cose orribili a persone totalmente sciocche[...] E adesso la hostess serve i drink a chi ne ha bisogno e tutti lentamente si spostano in punti diversi del piano bar, mostrando con questa irrequietezza quasi sistematica la perdita di interesse per il film. Sconvolta così la configurazione, il piano muto, il film ignorato si ha l'impressione che i passeggeri ripieghino su se stessi. Ricordano di essere su un aereo, di essere dei viaggiatori. Le loro vite sono di sotto, e già cominciano a riassemblarsi, a sottrarre questi corpi all'aria, con lettere che attendono di essere aperte, con telefoni che squillano e con pratiche sulle scrivanie, con la fortuita articolazione di un nome.


David Foster Wallace – INFINTE JEST (1996) Ed. italiana: Einaudi, Torino, 2006
 Anche se solo per metà di etnia araba, essendo canadese di nascita e residenza, l'attaché medico gode comunque dell'immunità diplomatica saudita, questa volta in qualità di consulente otorinolaringoiatrico speciale per il medico personale del principe Q_______, il Ministro Saudita dell'Home Entertainment, qui nel Nord ovest degli Usa con la legazione per chiudere un altro mastodontico affare con l'InterLace TelEnterteinment. L'attaché medico compie trentasette anni domini, giovedì 2 aprile dell'anno lunare nordamericano Apad (Anno del Pannolone per Adulti Depend). La legazione trova ridicola e volgare la sponsorizzazione del calendario nordamericano. Per non parlare della paralizzante e spassosamente inappropriata immagine presente nelle fotografie di così tanti giornali internazionali, quella del più famoso e autocelebratorio idolo dell'Occidente idolatro, la colossale Statua Libertina, con addosso un qualche tipo di pannolone da adulti. La pratica media dell'attaché si divide abitualmente tra Montréal e il Rub'al Khali, e questa è la prima volta che ritorna sul suolo Usa da quanto vi ha portato a termine il suo mandato di residenza ufficiale otto anni fa. I suoi compiti qui consistono nel migrare, insieme al principe e al suo seguito, fra i due centri vitali dell'InterLace, produzione e distribuzione, offrendo assistenza otorinolaringoiatrica specialistica al medico personale del principe Q_______. La competenza particolare dell'attaché medico riguarda le conseguenze maxillo-facciali degli scompensi della flora intestinale. Il Principe Q______ (come capiterebbe a chiunque rifiutasse di mangiare praticamente ogni cosa che non sia Toblerone) soffre di Candida Albicans cronica aggravata da conseguente suscettibilità alla sinusite moniliale e all'afta, e le sue ulcere candidose con tanto di conseguenze sui seni frontali richiedono un drenaggio quasi quotidiano nel freddo e nell'umidità d'inizio primavera a Boston, Usa. Autentico artista, dotato di un'abilità senza pari con i bastoncini cotonati e il tiosolfato di sodio evacuante, l'attaché medico è noto fra le sempre più striminzite classi alte delle nazioni petrol-arabe come il DeBakey della candidosi maxillo-facciale, e il livello sbalorditivo della sue parcelle è ritenuto pienamente ad valorem. Le parcelle saudite, in particolare, vanno anche più in la dell'osceno, ma i compiti dell'attaché medico in questo viaggio sono logoranti dal punto di vista personale e spesso vagamente nauseanti, e quando alla fine della giornata ritorna ai sontuosi appartamenti che ha ordinato a sua moglie di subaffittare in un distretto lontano dai quartieri consueti alla legazione sente un bisogno disperato di rilassarsi. Devoto fedele del Sufismo nordamericano annunciato ai tempi della sua fanciullezza da Pir Valayat, l'attaché medico non indulge né al kif né all'alcol distillato, e perciò deve rilassarsi senza sostegno chimico. Quando arriva a casa dopo le preghiere della sera esige di posare gli occhi su una cena cento per cento shari'a-halal, spezziata e ben calda, bella fumante e disposta sul vassoio pensile; esige che il suo tovagliolo sia stirato e adagiato accanto al vassoio, pronto per l'uso; esige che il teleputer da salotto sia allacciato e pronto a partire e le cartucce d'intrattenimento per la serata siano già selezionate e disposte e impilate nel caricatore pronte per l'inserzione via telecomando nel drive del visore. Si reclina davanti al visore sulla speciale poltrona reclinabile elettronica, e la moglie nero-velata di etnia araba si occupa di lui [...] L'attaché medico siede e guarda e mangia e guarda, rilassandosi visibilmente a gradi, fino a quando gli angoli che il corpo fa con la sedia e la tesa con il collo indicano che è passato dalla vegli al sonno, al che la speciale poltrona reclinabile viene fatta automaticamente reclinare in posizione completamente orizzontale e da lunghe fessure ai lati della poltrona emergono vaporose delle lussuose lenzuola in finta seta; e sempre che la moglie non sia incauta e maldestra nell'azionare a mano il telecomando della poltrona reclinabile, all'attaché medico verrà consentito di scivolare senza sforzo da una visione rilassata a una notte di sonno perfettamente tranquilla, sempre là sulla poltrona reclinabile reclinata, mentre il teleputer fa scorrere un ciclo ripetitivo a basso volume di risacche e pioggerellina su grandi foglie verdi.
I tossicodipendenti che si avvicinano al crimine per finanziare la loro dipendenza di solito non sono inclini al crimine violento. La violenza richiede ogni possibile energia e la maggior parte dei tossicodipendenti preferisce usare la propria energia non nel compiere crimini ma piuttosto in ciò che i crimini consentono loro di comprare. Gately era un tossicodipendente contraddistinto da impeto feroce e gaio. Portava alto il suo mento squadrato e aveva un bel sorriso, ma non piegava mai il capo davanti a nessuno, non evitava mai nessuno. Non era il tipo da sopportare le cazzate e non si arrabbiava quasi mai, ma di certo non lasciava conti aperti. Gately finì col trovarsi in brutti guai, per via di un Assistente di un Procuratore Distrettuale. Sfortuna o destino, chissà. Fu per via di un raffreddore, un banale, comunissimo rinovirus umano. E il fatto che non era nemmeno un suo raffreddore, fu proprio questo a farlo fermare a riflettere sul suo destino. La cosa sembrava facile come bere un bicchiere d'acqua, per uno scassinatore. Nella sezione ultrabene di Brooklyn, lungo una strada pseudorurale priva di illuminazione, sorgeva una stupenda casa neogeorgiana; c'era un sistema d'allarme SentryCo da quattro soldi alimentato – doveva averlo messo un idiota – da un cavo separato a 330 ov Ac 90Hz, con il suo bel contatore individuale. Non sembrava essere su nessuno dei percorsi di sorveglianza dei metronotte e aveva sul retro delle graziose porte francesi circondate da fitte siepi decidue senza spine, non illuminate perché la luce dell'alogena sopra il garage era coperta da un cassonetto Ewd privato. In breve, era una casa che faceva arrapare lo scassinatore dentro ogni tossico. E Gately fece saltare l'allarme ed entrò con un socio, e cominciò ad aggirarsi sulle sue felpate zampone da gatto. Solo che, sfortunatamente, il proprietario risultò essere ancora in casa, anche se entrambe le sue due auto e il resto della famiglia non c'erano. Il piccoletto dormiva nel letto al piano di sopra, malato, con un pigiamo di acetato. Teneva sul petto una bottiglia d'acqua calda e sul comodino mezzo bicchiere di spremuta d'arancia e una bottiglia di NyQuill* un libro straniero e copie del' “International Affairs” e del' “Independent Affairs” e un paio di occhiali spessi e una scatola gigante dei Kleenex, ai piedi borbottava un vaporizzatore quasi vuoto, e il tipo rimase a bocca aperta quando si svegliò e vide le luci filtrate delle torce zigzagare sulle pareti buie della camera da letto […] Gately e il socio cercavano una cassaforte a muro che, sorprendentemente, circa il novanta percento delle persone con cassaforte a muro nasconde nella camera da letto padronale dietro un qualche dipinto con un paesaggio. La gente era così identica in certi particolari domestici di base che a volte Gately aveva la strana sensazione di essere a conoscenza di fatti privati generali ai quali nessun uomo dovrebbe avere accesso. La coscienza di Gately era più disturbata dal possedere alcune di queste informazioni particolari che non dallo sgraffignare i beni privati di quella stessa gente. Ma ecco che tutto d'un tratto, nel bel mezzo della silenziosa ricerca di una cassaforte, salta fuori che questo altolocato padrone di casa è in effetti davvero in casa con un brutto raffreddore mentre la sua famiglia è uscita con due macchine per una gita [...] e lui si agita dolorante e NyQuillizzato nel letto e produce suoni adenoidei da anitra selvatica e chiede per la miseria che cosa diavolo significa tutto questo, solo che lo chiede in québecchiano, che alle orecchie di questi criminali tossicodipendenti americani con le maschere da clown di Halloween non vuol dire assolutamente nulla[...]. Gately avrebbe potuto facilmente scappare senza neanche voltarsi; ma nella luce della lampada vede una marina appesa proprio accanto allo chiffonnier, e il suo socio le dà un'occhiata e dice che la cassaforte lì dietro fa veramente ridere, praticamente la si può aprire a forza di parolacce; e i tossici da narcotici orali tendono agire secondo uno schema estremamente rigido di bisogno e soddisfacimento; e Gately al momento si trova decisamente nella zona-bisogno dello schema; e perciò Gately decide disastrosamente di procedere e far sì che un furto con scasso non violento si trasformi nei fatti in una rapina – la cui differenza legale operativa comporta o l'uso della violenza o la minaccia coercitiva della stessa […]. Gately afferra l'orecchio del tizio e lo conduce verso una sedia di cucina e gli lega le braccia e gambe alla sedia con il filo elettrico preso dal frigorifero e dall'apriscatole e dalla macchina automatica per il cafè-au-leit marca M.Café [...] e comincia a setacciare i cassetti della cucina in cerca di posate – non le posate buone dell'argenteria per quando si hanno ospiti; quelle si trovano in un contenitore di pelle sotto la vecchia carta da pacchi natalizia avanzata e ripiegata con cura in una stupefacente cassettiera di legno massiccio con intarsi in avorio nel salotto, la stanza dove è nascosta più del novanta per cento dell'argenteria della gente dell'alta società, ma solo le vecchie banali, comuni posate da tutti i giorni, perchè la stragrande maggioranza dei proprietari tiene i canovacci due cassetti più sotto quelle posate di tutti i giorni, e Dio non ha inventato niente di meglio in fatto di bavagli soffocanti antirichiesta d'aiuto di un buon vecchio canovaccio di finto lino puzzolente di grasso. *Del tipo senza codeina però – quasi il primo dato fisico che Gately registrò nell'orribile shock procuratogli dall'accendersi della luce nella camera da letto occupata, tanto per darvi un'idea della profondità d'indagine psichica di un uomo assuefatto ai narcotici orali.

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