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L’idea pericolosa di Darwin e altri saggi-Daniel Dennett





lunedì 31 maggio 2010 legge Michele Carenini
Dennett non è solo uno dei più importanti filosofi della mente americani, uno dei padri delle scienze cognitive e dell’intelligenza artificiale; è anche il pensatore che ha applicato con più coerenza l’idea della selezione naturale a tutti i campi d’indagine dell’uomo. Non è arretrato neppure di fronte a imprese ritenute ardue, come la possibilità di spiegare in chiave evoluzionistica la coscienza, il libero arbitrio o la religione. A questo tema, in particolare, è dedicata la sua ultima opera, Rompere l’incantesimo, dove demolisce il tabù che impedirebbe di sottoporre la religione a studi di tipo scientifico come tutti gli altri fenomeni naturali. Dennett sa che sta aprendo un vaso di Pandora, ma ritiene che sia necessario portare avanti uno studio impavido su un tema così fondamentale e influente nelle nostre vite.
Leggere Dennett può essere considerato un modo “radicale” per suggellare tutto il fiorire di iniziative che si sono svolte in occasione del duecentenario della nascita di Darwin.
First of all a Greeting from the Author:
I am pleased to learn that Michele Carenini has seen that my works develop a single extended argument, extending from the nature of consciousness and evolution all the way to the deepest questions about human life and art—and religion. We, and all our artifacts, are a part of physical nature, and once we appreciate that our greatest intellectual and artistic triumphs, our deepest thoughts, our ethics, are not miracles, not violations of physical law, but natural products of our minds, which are themselves products of cultural evolution as much as genetic evolution, we will see that these treasures are even more awe-inspiring than they were when we saw them as “inspired” by the Intelligent Designer, God.
Good luck with your lettura.
DCD

Innanzi tutto un Saluto dell’Autore:
Sono felice di apprendere che Michele Carenini ha notato come nei miei lavori si sviluppi un unico argomento, che va dalla natura della coscienza e dell’evoluzione fino alle domande più profonde sulla vita, sull’arte e sulla religione. Noi, e tutti i nostri artefatti, facciamo parte della natura fisica; e, una volta compreso che i nostri più grandi trionfi artistici e intellettuali, i nostri pensieri più profondi, la nostra etica, non sono né miracoli, né violazioni della legge fisica, bensì prodotti naturali della nostra mente, a loro volta prodotti dell’evoluzione culturale e genetica, capiremo che quei tesori sono ancora più sbalorditivi di quanto apparivano quando li interpretavamo come “ispirati” dal Progettista Intelligente, Dio.
Auguri per la vostra lettura.
DCD


Da Coscienza (traduzione di Lauro Colasanti)

7. L’evoluzione della coscienza

6. Il terzo processo evoluzionistico: memi ed evoluzione culturale[…] Una volta che i nostri cervelli hanno costruito le strade di entrata e di uscita per i veicoli del linguaggio, essi vengono rapidamente parassitati (in senso letterale come vedremo) da entità che si sono evolute per prosperare proprio in tali nicchie: i memi. Le linee fondamentali della teoria dell'evoluzione per selezione naturale sono chiare: l'evoluzione si realizza ogni volta che valgono le seguenti condizioni:
1) variazione: una continua abbondanza di elementi differenti;
2) eredità o replicazione: gli elementi hanno la capacità di creare copie o repliche di se stessi;
3) “adeguatezza” differenziata: il numero di copie di un elemento che vengono create in un dato momento varia, a seconda delle interazioni tra le caratteristiche di quell'elemento (qualsiasi cosa sia che lo rende differente dagli altri elementi) e le caratteristiche dell'ambiente in cui continua a esistere.
Si noti che in questa definizione, pur tratta dalla biologia, non si dice specificamente nulla su molecole organiche, nutrimento o perfino vita. E’ una caratterizzazione molto generale e astratta dell’evoluzione per selezione naturale. Come lo zoologo Richard Dawkins ha sottolineato, il principio fondamentale è:
«ogni genere di vita si evolve mediante la sopravvivenza differenziata di entità che si replicano. […] Il gene, la molecola di DNA, è l'entità replicante che si trova a predominare sul nostro pianeta. Ce ne possono essere altre. Se ci sono, purché siano soddisfatte certe altre condizioni, esse tenderanno quasi inevitabilmente a diventare la base di un processo evolutivo. Ma è proprio necessario andare su mondi lontani per trovare altri generi di replicanti e, di conseguenza, altri generi di evoluzione? Io credo che proprio su questo pianeta sia venuto recentemente alla luce un genere nuovo di replicante. L'abbiamo sotto gli occhi: è ancora in una fase infantile, si muove goffamente qua e là nel suo brodo primordiale, ma sta già conoscendo cambiamenti evolutivi a una velocità tale che il vecchio gene ansimante gli resta parecchio indietro».
Questi nuovi replicanti sono, grosso modo, le idee. Non le «idee semplici» di Locke e Hume (l'idea del rosso, o l'idea del cerchio o del caldo o del freddo), ma quel tipo di idee complesse che si strutturano in distinte unità degne di essere memorizzate — come le idee di
ruota
triangolo retto
alfabeto
calendario
Odissea
scacchi
disegno prospettico
evoluzione per selezione naturale
impressionismo
tarantella.
Intuitivamente, queste sono delle unità culturali più o meno identificabili, ma possiamo dire qualcosa di più preciso sul modo in cui tracciamo i confini – sul perché «Re - Fa# - La» non è un'unità, e lo è invece il tema dell'adagio della Settima Sinfonia di Beethoven: le unità sono gli elementi più piccoli che replicano se stessi con affidabilità e fecondità. Dawkins conia un termine per tali unità: memi, ovvero
«unità di trasmissione culturale o unità di imitazione […] Come i geni si propagano nel fondo comune dei geni, passando da un corpo all’altro con gli spermatozoi o gli ovuli, così i memi si propagano nel fondo comune dei memi, passando da un cervello all’altro con un processo che, in senso lato, si può chiamare imitazione. Se uno scienziato legge o sente parlare di una buona idea, la trasmette ai suoi colleghi e ai suoi studenti, la menziona nei suoi articoli e nelle sue lezioni. Se l’idea attecchisce, si può dire che essa si propaga da sola diffondendosi da un cervello all’altro».
Ne Il gene egoista, Dawkins ci invita a prendere letteralmente l’idea di evoluzione dei memi: essa non è semplicemente analoga all’evoluzione biologica o genetica, non è soltanto un processo che può essere descritto metaforicamente nel linguaggio evoluzionistico, ma è un fenomeno che obbedisce esattamente alle leggi della selezione naturale. La teoria dell’evoluzione per selezione naturale si mantiene neutrale rispetto alle differenze tra memi e geni; si tratta semplicemente di differenti tipi di replicatori che si evolvono in mezzi differenti e a ritmi differenti. E come i geni degli animali non poterono apparire su questo pianeta fino a che l'evoluzione delle piante non aprì loro la strada (creando un'atmosfera ricca di ossigeno e una grande quantità di sostanze nutritive convertibili), così l'evoluzione dei memi non poté iniziare fino a che l'evoluzione degli animali non aprì loro la strada creando una specie - Homo sapiens - con cervelli in cui si potevano rifugiare e con abitudini di comunicazione che potevano utilizzare per propagarsi.
Questo è un modo nuovo di pensare le idee. E’ anche, spero di far vedere, un buon modo; ma offre una prospettiva che dapprincipio sembra sicuramente sconvolgente, se non terrificante. Possiamo riassumerla nella frase: Uno studioso è soltanto un modo con cui una biblioteca crea un'altra biblioteca. […]
I memi contraccambiano gli organismi in cui risiedono con un'incalcolabile quantità di vantaggi - e qualche cavallo di Troia gettato lì per precauzione, senza dubbio. I cervelli umani normali non sono tutti uguali; differiscono sensibilmente per dimensioni, forma e per gli innumerevoli dettagli di connessione da cui dipendono i loro talenti. Ma le differenze più sorprendenti nei talenti dei cervelli umani dipendono dalle differenze microstrutturali indotte dai vari memi che vi sono penetrati e vi hanno preso residenza. I memi si rafforzano vicendevolmente: il meme dell’educazione, per esempio, è un meme che rinforza lo stesso processo di implantazione dei memi.
[…] Non si tratta di «memi contro noi», perché le precedenti infestazioni di memi hanno già giocato un ruolo fondamentale nel determinare chi o che cosa siamo. La mente «indipendente» che lotta per proteggersi dai memi esterni e pericolosi è un mito; c'è, nel sottofondo, una persistente tensione tra l'imperativo biologico dei geni e gli imperativi dei memi, ma sarebbe sciocco «schierarsi» con i nostri geni - significherebbe commettere l'errore più grossolano della sociobiologia del senso comune. Su quali fondamenta possiamo, allora, basarci mentre lottiamo per mantenerci in equilibrio nella tempesta di memi in cui siamo irretiti? Se non è la replicazione, qual è l'ideale eterno rispetto al quale «noi» giudicheremo il valore dei memi? Dovremmo notare che i memi per i concetti normativi (dovere, bene, verità e bellezza) sono tra i più resistenti cittadini della nostra mente e che tra i memi che ci costituiscono giocano un ruolo centrale. La nostra
esistenza come noi stessi, ciò che siamo come pensatori - e non
come organismi - non è indipendente da questi memi.
Riassumendo: l'evoluzione dei memi ha il potere di contribuire considerevolmente al potenziamento del progetto del sottostante meccanismo del cervello - a grande velocità, se paragonato al passo lento con cui Madre Natura affronta i compiti di ricerca e sviluppo genetici. […] L'evoluzione culturale, che avviene ancora più velocemente, permette agli individui di acquisire, tramite la trasmissione culturale, dei Buoni Trucchi che sono stati affinati da predecessori che non erano neppure loro antenati genetici. […] I miglioramenti del progetto che si ricevono dalla propria cultura - raramente si deve «reinventare la ruota» -
schiacciano probabilmente la maggior parte delle differenze genetiche nel progetto del cervello, eliminando i vantaggi di quelli che partono leggermente avvantaggiati alla nascita.
Tutti e tre i mezzi - l'evoluzione genetica, la plasticità fenotipica e l'evoluzione memetica - hanno contribuito al progetto della coscienza umana, ognuno a suo tempo e a una
velocità crescente. Se confrontata con la plasticità fenotipica, che esiste da milioni di anni, l'evoluzione memetica vera e propria rappresenta un fenomeno estremamente recente, essendo diventata una forza potente solo negli ultimi centomila anni ed essendo esplosa con lo sviluppo della civiltà meno di diecimila anni fa. […]


Da L'idea pericolosa di Darwin (traduzione di Simonetta Frediani)

1. Dimmi perché

1.1. Esiste qualcosa di sacro?

Quando ero bambino cantavamo spesso, intorno al fuoco nei campeggi estivi, oppure a casa, tutti intorno al piano. Una delle mie canzoni preferite era Tell me why.
Dimmi perché le stelle brillano,
Dimmi perché l'edera si abbarbica,
Dimmi perché il cielo è così azzurro.
Io ti dirò perché ti amo.
Perché Dio ha fatto le stelle affinché brillassero,
Perché Dio ha fatto l'edera affinché si abbarbicasse,
Perché Dio ha fatto il cielo così azzurro.
Perché Dio ti ha fatto, ecco perché ti amo.
Questa dichiarazione esplicita e sentimentale mi fa ancora venire un groppo alla gola: è una concezione della vita così dolce, così innocente e rassicurante!
Poi arriva Darwin a guastare la festa. Ma è proprio vero? Ecco l'argomento di questo libro. A partire dalla pubblicazione dell'Origine delle specie, nel 1859, l'idea fondamentale di Charles Darwin ha sempre suscitato reazioni intense, dalla più feroce condanna alla devozione estatica, che talvolta si trasforma in uno zelo religioso. La teoria darwiniana è stata maltrattata in ugual misura da amici e nemici. La si è applicata malamente per conferire rispettabilità scientifica a terrificanti dottrine politiche e sociali. Gli avversari l'hanno messa alla berlina e alcuni tra questi la vorrebbero far competere nelle scuole dei nostri figli con la «scienza della creazione», un patetico guazzabuglio di pseudo-scienza religiosa. [...] Quasi nessuno è indifferente a Darwin e nessuno dovrebbe esserlo. La teoria darwiniana è una teoria scientifica, una grande teoria scientifica, ma questo non è tutto. Su un punto i creazionisti che la osteggiano con tanto accanimento hanno ragione: l'idea pericolosa di Darwin intacca la trama delle nostre convinzioni di base molto più profondamente di quanto i suoi sofisticati apologeti abbiano mai ammesso.
La semplice e dolce visione della canzone, intesa in senso letterale, è qualcosa che la maggior parte di noi ha perso crescendo, per quanto possa essere affettuosamente nei nostri ricordi. Il Dio gentile che con amore ha dato forma a ciascuno di noi e ha cosparso il cielo di stelle brillanti per il nostro diletto, quel Dio è, come Babbo Natale, un mito dell'infanzia. Quel Dio deve essere trasformato nel simbolo di qualcosa di meno concreto oppure abbandonato del tutto.
Non tutti gli scienziati e i filosofi sono atei e molti che sono credenti sostengono che la loro idea di Dio può coesistere tranquillamente col sistema concettuale darwiniano, o addirittura trarne sostegno. Il loro non è un Dio artigiano e antropomorfo, ma è pur sempre, ai loro occhi, un Dio degno di adorazione, capace di dare consolazione e significato alla vita. Altri basano i propri interessi più profondi su filosofie completamente laiche, su concezioni del significato della vita che cercano di evitare la disperazione senza appoggiarsi al concetto di un Essere Supremo - diverso dall'Universo stesso. Per questi pensatori, esiste qualcosa di sacro, ma non lo chiamano Dio, bensì Vita, o Amore, o Bontà, o Intelligenza, o Bellezza, o ancora Umanità. Ciò che i due gruppi condividono, nonostante le differenze tra le loro convinzioni più profonde, è la persuasione che la vita abbia significato, che la qualità abbia un valore.
Ma si può sostenere tale atteggiamento, in una versione qualsiasi, di fronte al darwinismo? Sin dagli inizi, vi sono stati alcuni che ritenevano di aver visto Darwin scoprire il peggiore degli altarini: il nichilismo. A loro giudizio, se Darwin avesse ragione, come conseguenza non potrebbe esistere nulla di sacro. Per parlare chiaramente, nulla potrebbe avere uno scopo. Si tratta soltanto di una reazione eccessiva? Che cosa implica esattamente l'idea di Darwin e, in ogni caso, è stata dimostrata scientificamente, oppure è tuttora «soltanto una teoria»?
Qualcuno potrebbe pensare di poter tracciare un'utile distinzione nell'idea darwiniana: da un lato le parti comprovate al di là di ogni ragionevole dubbio e dall'altro le estensioni speculative delle parti scientificamente irresistibili. In tal caso, avendo fortuna, forse i fatti scientifici saldi come roccia non avrebbero ripercussioni straordinarie sulla religione, sulla natura umana o sul significato della vita, mentre quegli aspetti che suscitano tanto turbamento si potrebbero mettere in quarantena come discutibilissime estensioni delle parti scientificamente irresistibili, o come loro semplici interpretazioni. Sarebbe rassicurante.
Ahimè, le cose vanno perlopiù nel senso opposto. La maggior parte delle controversie, se non proprio tutte, riguarda questioni che sono «soltanto scienza»; che vinca l'una o l'altra fazione, il risultato non annienterà l'idea fondamentale di Darwin. […]

2. E’ nata un’idea

2.5. I processi come algoritmi

[…] Ecco, allora, l'idea pericolosa di Darwin: il livello algoritmico è il livello che spiega nel modo migliore la velocità dell'antilope, l'ala dell'aquila, la forma dell'orchidea, la diversità delle specie, e tutte le altre occasioni di meraviglia offerte dal mondo della natura. È difficile credere che una cosa priva di una mente e meccanica come un algoritmo possa produrre oggetti tanto meravigliosi. Per quanto straordinari possano essere i prodotti di un algoritmo, i processi soggiacenti consistono sempre in nient'altro che un insieme di singoli passi privi di mente che si succedono l'un l'altro senza l'aiuto di una supervisione intelligente; sono «automatici» per definizione: si tratta del funzionamento di un automa. Si alimentano l'uno con l'altro, oppure è il puro caso e nient'altro a farlo. La maggior parte degli algoritmi più noti genera prodotti piuttosto modesti: eseguono divisioni complicate, mettono in ordine alfabetico un elenco, oppure calcolano il reddito medio dei contribuenti. Algoritmi più estrosi producono l'affascinante grafica d'animazione che si vede ogni giorno alla televisione […] Tuttavia la biosfera reale è molto più fantastica, di parecchi ordini di grandezza. Davvero può essere il risultato di null'altro che una cascata di processi algoritmici alimentati dal caso? E, se è vero, chi ha progettato la cascata? Nessuno: è essa stessa il prodotto di un processo cieco, algoritmico. Come si esprime lo stesso Darwin in una lettera al geologo Charles Lyell scritta poco dopo la pubblicazione dell’Origine:
«Non sarei assolutamente disposto a dare alcunché per la teoria della selezione naturale, se richiedesse aggiunte miracolose a uno stadio qualsiasi della discendenza (...) Se fossi convinto di aver avuto bisogno di tali aggiunte, la scarterei come una sciocchezza.»
Secondo Darwin, quindi, l'evoluzione è un processo algoritmico. […] Darwin ha convinto tutti gli scienziati che l'evoluzione funziona. La sua visione radicale di come e perché funziona è ancora piuttosto in assetto di guerra, in gran parte perché quanti resistono riescono a vedere in maniera vaga che la loro schermaglia fa parte di una battaglia più ampia. Se si perde la partita nella biologia evolutiva, dove si andrà a finire?

Da L'evoluzione della libertà (traduzione di Massimiliano Pagani)

1. Libertà naturale

C'è una tradizione popolare che considera l'essere umano come un agente responsabile, al timone di comando del suo stesso destino, poiché, sostiene, l'uomo è essenzialmente anima, un pezzo immateriale e immortale di materia divina che abita e controlla il suo corpo materiale come farebbe un fantomatico burattinaio. Quest’anima è la fonte di ogni significato e il luogo da cui proviene ogni sofferenza, ogni gioia, ogni gloria o disonore per l'essere umano. Tale idea delle anime immateriali, che sarebbero in grado di eludere le leggi della fisica, però, ha ormai superato ogni livello di credibilità grazie all'evoluzione delle scienze naturali. Sono in molti a credere che le conseguenze dell'abbandono di tali credenze potrebbero rivelarsi disastrose: non possediamo davvero il "libero arbitrio", dicono, e nulla ha più senso. Scopo del libro è mostrare a questa gente quanto abbia torto.

Imparare chi siamo
«Sì, abbiamo un'anima. Ma è fatta di tanti piccoli robot»
Giulio Giorello
Non abbiamo bisogno di ricorrere alle care vecchie anime immateriali per mantenere vive le nostre speranze; le nostre aspirazioni di esseri morali, i cui atti e le cui vite hanno un senso, non dipendono affatto dalla presenza di una mente che obbedisca a una fisica differente da quella che governa il resto della natura. La comprensione di noi stessi che possiamo trarre dalla scienza può aiutarci a poggiare le nostre vite morali su fondamenta nuove e migliori; e una volta capito in che cosa consista la nostra libertà, saremo ben più preparati a difenderla dalle minacce reali che sfuggono normalmente ai nostri tentativi di identificarle.
Uno dei miei studenti, che si era arruolato nei Peace Corps per evitare di essere chiamato in Vietnam, mi raccontò, in seguito, del suo lavoro presso una tribù che viveva nel profondo della foresta brasiliana. Gli chiesi se gli fosse stato richiesto di parlare a quelle persone del conflitto in corso tra USA e URSS. Per niente, rispose. Non avrebbe avuto senso. Non avevano mai sentito parlare né dell'America né dell'Unione Sovietica. Se troviamo incredibile tutto ciò, è perché gli esseri umani, al contrario di tutte le altre specie del nostro pianeta, sono esseri che bramano la conoscenza. Siamo i soli ad aver raggiunto la piena consapevolezza della nostra natura e del nostro posto entro questo immenso universo, e stiamo persino incominciando a farci un'idea di quale sia stato il cammino che ci ha permesso di giungere fino a qui.
Le scoperte più recenti su chi siamo e su come siamo pervenuti al nostro stato attuale sono, a dir poco, terrificanti. Quello che siete, ci dicono, è un assemblaggio di più o meno un migliaio di miliardi di cellule, appartenenti a migliaia di generi differenti. Il grosso di questo ammasso di cellule è composto da "figlie" della cellula uovo e dello spermatozoo, la cui unione ha dato vita a voi; ma, in realtà, queste sono superate numericamente da trilioni di batteri, autostoppisti provenienti da migliaia di ceppi diversi stipati nel vostro corpo. Ognuna delle vostre cellule ospiti è un meccanismo non pensante, un piccolo robot piuttosto autonomo. Non è più cosciente dei batteri che ospitate. Nessuna delle cellule che contribuiscono a comporvi sa chi siete, né le importa saperlo.
Ogni squadra composta da trilioni di questi robot è organizzata in una struttura sociale la cui efficienza lascia esterrefatti, un regime senza un condottiero ma capace di mantenere una struttura così ben organizzata da respingere gli estranei, espellere i deboli, e rafforzare le regole ferree della disciplina - e fungere da quartier generale di un unico sé cosciente, di una sola mente. Queste comunità di cellule sono fasciste all'estremo; ma i vostri interessi o i vostri valori hanno poco o nulla da spartire con le mire limitate delle cellule che vi compongono - per fortuna! Un individuo può essere gentile e generoso, un altro spietato; c'è chi fa il pornografo e chi invece dedica la propria vita a servire Dio. Una delle tentazioni a cui l'uomo, nel tempo, ha ceduto è stata quella di immaginare che queste differenze potessero essere ricondotte a caratteristiche speciali di un qualche elemento extra (un'anima), posizionato da qualche parte nel quartier generale del corpo. Ormai sappiamo che, per quanto sia ancora molto seducente, l'idea non è minimamente supportata da ciò che abbiamo imparato sulla nostra biologia in generale e sul nostro cervello in particolare. Più comprendiamo come ci siamo evoluti e come funziona il nostro cervello, più ci convinciamo che non può esistere alcun ingrediente extra di questo tipo. Ognuno di noi è composto di robot non pensanti e da nient'altro; non abbiamo alcun ingrediente non-fisico o non-robotico. Le differenze che distinguono una persona dalle altre sono tutte riconducibili al modo in cui, durante una vita di crescita ed esperienza, le squadre dei loro personali robot si sono assemblate. La differenza tra saper parlare francese o saper parlare cinese è una differenza nell'organizzazione di queste parti mobili; lo stesso vale per tutte le altre differenze di cultura e personalità.
[…] Scambiare un'anima soprannaturale con un'anima naturale - ma è un buon affare? Che cosa ci perdiamo e che cosa ci guadagniamo? C'è chi, a proposito di questo scambio, salta a conclusioni spaventose che sono, però, ampiamente errate. Intendo dimostrare proprio questo, ricostruendo la storia della crescita della libertà sul nostro pianeta fin dalla sua primissima apparizione, all'alba della vita.

Da Rompere l’incantesimo (traduzione di Sergio Levi)

1. Incantesimi da rompere?

Che succede?

Siete in un prato e osservate una formica che cerca faticosamente di scalare un filo d’erba, sempre più su fino a cadere; ogni volta che cade, la formica riprende a salire, come Sisifo con la sua pietra, compiendo ogni sforzo per giungere in cima. Perché lo fa? Quale beneficio spera di ottenere da un’attività così faticosa e poco promettente? La domanda si rivela sbagliata. La formica non ottiene alcun beneficio biologico: non cerca una migliore veduta del territorio, per esempio; non cerca cibo e non cerca nemmeno di farsi notare da un potenziale compagno. Il suo cervello ha obbedito ai comandi di un minuscolo parassita, un trematode di forma lanceolata che ha bisogno di farsi portare nello stomaco di una pecora o di una mucca per completare il suo ciclo riproduttivo. Questo piccolo verme del cervello sta guidando la formica a destinazione per beneficare la propria progenie, non certo quella della formica. Non si tratta di un fenomeno isolato. Ci sono altri parassiti manipolatori che infettano, fra gli altri, pesci e topi. Questi autostoppisti inducono le loro vittime
a comportarsi in modi bizzarri - o perfino suicidi - e il tutto a
beneficio dell'ospite, non del portatore.
Agli esseri umani non capita qualcosa di simile? Ebbene sì.
Incontriamo molti umani che mettono da parte i loro interessi
personali, la loro salute, la possibilità di avere figli, ecc., per
dedicare la loro vita a promuovere gli interessi di un'idea che si è sistemata nel loro cervello. La parola araba islam significa “sottomissione” e ogni buon musulmano ne fa testimonianza, prega cinque volte al giorno, fa la carità, digiuna durante il Ramadan e cerca di andare in pellegrinaggio alla Mecca, il
tutto in nome di Allah. Cristiani ed ebrei fanno lo stesso, naturalmente, visto che compiono pesanti sacrifici, soffrendo coraggiosamente e rischiando di morire per
un'idea. Lo stesso vale per i sikh, gli induisti e i buddisti. E non dimentichiamo le migliaia di umanisti laici che hanno dato la vita per la Democrazia, la Giustizia o la semplice Verità.
Sono molte le idee per cui morire. […]

Rompere o non rompere?

[…] Il fatto è che ci sono incantesimi buoni e incantesimi cattivi. Per esempio, se solo una telefonata avesse interrotto le cose a Jonestown, in Guyana, nel 1978, proprio mentre quel folle di Jim Jones stava ordinando a centinaia di seguaci incantati di suicidarsi! Se solo avessimo potuto rompere l’incantesimo che convinse il fanatico giapponese Aum Shinrikyo a rilasciare una quantità di gas nervino nella metropolitana di Tokyo, uccidendo dodici persone e danneggiandone migliaia! Se solo potessimo trovare il modo, oggi, di rompere l’incantesimo che induce migliaia di giovani musulmani poveri a frequentare fanatiche madrassah che li preparano a una vita di martirio invece di educarli a conoscere il mondo moderno, la democrazia e la scienza! Se solo potessimo rompere l’incantesimo che convince alcuni nostri concittadini che Dio comanda loro di far saltare in aria le cliniche ove si pratica l’aborto! […]

4. Le radici della religione
Come fa la Natura col problema delle altre menti

[…] Così potente è il nostro impulso innato ad assumere l'atteggiamento intenzionale, che facciamo grande fatica a disapplicarlo quando si rivela inappropriato. Quando qualcuno che amiamo o che conosciamo molto bene muore, ci troviamo di colpo di fronte al compito importante di aggiornare il nostro atteggiamento cognitivo […] Non possiamo semplicemente cancellare il file di memoria e dopotutto non vorremmo affatto esserne capaci.
Quel che mantiene in vita queste abitudini è il piacere che troviamo nel frequentarle. […] Ma sorge un problema: un cadavere è una potente fonte di malattie, perciò abbiamo sviluppato un forte meccanismo compensatorio di disgusto, che ci costringe a tenere le
distanze. Attratti dalla nostalgia e allontanati dal disgusto, siamo gettati in una profonda agitazione di fronte al cadavere di una persona amata. Nessuna meraviglia se questa crisi finisce per svolgere un ruolo così centrale nella nascita di ogni religione. Come Boyer sottolinea, di fronte a un cadavere bisogna fare qualcosa. Quel
che sembra essersi sviluppato ovunque è una cerimonia sofisticata che rimuove il corpo pericoloso dall'ambiente quotidiano tramite sepoltura o cremazione, combinato con l'interpretazione del persistente attivarsi di abitudini intenzionali, condivise da tutti coloro che conoscevano il defunto, come invisibile presenza dell'agente sotto forma di spirito, una specie di persona virtuale creata dai meccanismi mentali dei sopravvissuti, vivida e robusta quasi quanto una persona viva. […]
Il linguaggio ci ha dato il potere di ricordarci di cose non attualmente presenti ai nostri sensi, di indugiare su argomenti che altrimenti risulterebbero sfuggenti, e ciò ha portato al centro dell’attenzione un mondo virtuale di immagini, popolato da agenti che per noi contano moltissimo, siano essi viventi ma assenti, oppure morti ma non dimenticati. Liberati dalla pressione correttiva di ulteriori incontri reali nel mondo reale, questi agenti virtuali divennero liberi di evolvere nelle nostre menti per amplificare i nostri desideri o le nostre paure. L’assenza induce il cuore ad affezionarsi sempre più o – se la persona assente era temuta – a essere sempre più intimidito o terrorizzato. Ciò ancora non basta a condurre i nostri antenati alla religione, ma li conduce a persistenti – perfino ossessive – ripetizioni e rielaborazioni di alcuni dei loro abiti di pensieri.

11. E adesso che fare?

Soltanto una teoria

[…] La mia descrizione dell'evoluzione di vari aspetti della religione è decisamente "solo una teoria" -
o meglio, una famiglia di prototeorie bisognose di ulteriore
elaborazione. Ecco, in estrema sintesi, cosa essa afferma. La
religione si è evoluta, ma per evolvere non occorre che faccia
bene a noi. (Il tabacco non ci fa bene, ma sopravvive senza
problemi.) Non tutti imparano il linguaggio perché pensano
che sia buono; impariamo il linguaggio perché non possiamo
fare altrimenti (se abbiamo un sistema nervoso normale). Nel caso della religione, ci vogliono più insegnamenti, una pressione sociale molto più deliberata di
quanto sia richiesto per imparare una lingua. Da questo punto
di vista, la religione è più simile al saper leggere che al saper
parlare. Si possono trarre enormi vantaggi dal fatto di saper leggere, e forse dal fatto di essere religiosi se ne possono trarre anche di più grandi. Ma le persone potrebbero benissimo amare la religione a prescindere dai benefici che questa fornisce loro. Non sorprende che la religione continui a sopravvivere. E’ stata sfrondata, modificata e revisionata per migliaia di anni, con milioni di varianti perdutesi per strada, perciò ha un sacco di motivi di attrazione, aspetti che allontanano o confondono nemici e rivali, e rinsaldano la fedeltà. In alcuni i memi della religione sono mutualisti, in quanto forniscono incontestabili benefici che non si possono trovare altrove. […] La religione fornisce ad alcuni individui un'organizzazione motivata per realizzare grandi cose - lavorare per la giustizia sociale, l'educazione, l'attività politica, le riforme economiche, e via di
seguito. In altre persone i memi della religione sono tossici, perché sfruttano aspetti meno piacevoli della loro psicologia, facendo leva sul senso di colpa, sulla solitudine, sul bisogno di autostima e di sentirsi importanti. Solo quando avremo articolato una visione generale dei vari aspetti della religione potremo dar forma a strategie sostenibili per rispondere alle religioni in futuro. […] Siccome la mia prototeoria non è ancora confermata e potrebbe rivelarsi sbagliata, non dovrebbe ancora venire impiegata per indirizzare le nostre politiche. Avendo insistito, fin
dall'inizio, che occorre fare molta ricerca per essere in grado di compiere delle scelte informate, mi contraddirei se ora procedessi a prescrivere linee di azione sulla base del mio primo tentativo. […] Oggi sentiamo su di noi l'urgenza di azioni risolutive, basate su quel
poco che già sappiamo, ma il mio consiglio è di portare pazienza. L’attuale situazione preoccupa
- il fanatismo religioso di questa o quella parte potrebbe infatti cagionare una catastrofe globale - ma dovremmo astenerci da "rimedi" avventati e da reazioni eccessive. Oggi, comunque, possiamo discutere le opzioni e pensare ipoteticamente a quali sarebbero le strategie più sane, se qualche cosa come la
mia teoria della religione si rivelasse corretta. […] Ecco quindi la sola prescrizione che mi sento di dichiarare in modo categorico e senza riserve: facciamo altre ricerche.
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Daniel Clement Dennett (Boston, 28 marzo 1942) è docente di Filosofia e direttore del Centro per gli Studi Cognitivi della Tufts University. Dopo aver frequentato l'Università Harvard e quella di Oxford, dove è stato allievo di Gilbert Ryle e Willard Van Orman Quine, ha insegnato all'Università della California, a Pittsburgh, a Oxford e alla École Normale Supérieure di Parigi. Nelle sue ultime ricerche si occupa soprattutto di coscienza e di filosofia della mente ed è noto per i suoi contributi alle fondamenta concettuali della biologia evoluzionistica, attraverso i quali ha avallato le tesi dell'etologo Richard Dawkins. È stato presidente dell'American Philosophical Association. Oltre alle opere considerate nel presente percorso - ovvero Coscienza (Rizzoli 1993), L'evoluzione della libertà (Raffaello Cortina Editore 2003), L'idea pericolosa di Darwin. L'evoluzione e i significati della vita (Bollati Boringhieri 2004) e Rompere l'incantesimo. La religione come fenomeno naturale (Raffello Cortina Editore 2007) - in Italia sono disponibili anche: Sweet Dreams. Illusioni filosofiche sulla coscienza (Raffello Cortina Editore 2006); Dove nascono le idee (Di Renzo Editore 2005); La mente e le menti (Rizzoli 2000); L'atteggiamento intenzionale (Società editrice il Mulino 1993); Contenuto e coscienza (Società editrice il Mulino 1992); Brainstorms. Saggi filosofici sulla mente e la psicologia (Adelphi 1991), nonché la memorabile esplorazione delle regioni ancora incognite dell’intelligenza artificiale, svolta insieme a Douglas R. Hofstadter in L' io della mente. Fantasie e riflessioni sul sé e sull'anima (Adelphi 1985).