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La polemica delle due culture… cinquant’anni dopo-Robert Whelan, Stefan Collini, W. Frederik Herman





lunedì 15 marzo 2010 legge Hans de Ruiter
A cinquant’anni di distanza dalla pubblicazione del noto pamphlet “le due culture” (quella “scientifica” e quella “umanistica”) di C.P. Snow, che cosa resta della vivace polemica che ne derivò e che coinvolse esponenti culturali di primo piano? Alle soglie del XXI secolo due studiosi anglosassoni (Robert Whelan e Stefan Collini) e uno scrittore olandese (W.F. Hermans) si confrontano nuovamente coi problemi collegati alla celebre polemica, evidenziando i cambiamenti intervenuti nel merito sotto il profilo sociale ed epistemologico.


Robert Whelan : Non sarebbe male avere almeno una cultura qualunque (in “Da due culture a nessuna cultura, Il discorso di C.P. Snow sulle due culture dopo cinquant’anni”, Civitas, Londra, 2009)
Nel giugno 2007 “Civitas” aveva pubblicato una collezione di saggi, sotto il titolo di “La corruzione del curricolo”, nella quale sei specialisti discutevano il modo in cui le loro rispettive materie venivano svuotate di contenuto intellettuale. In molti casi i soggetti tradizionali del percorso scolastico erano stati deformati e cambiati in strumenti per poter trattare argomenti di particolare interesse da parte del governo. Così la Geografia è diventato un vettore per l’ecologia; la Storia non racconta più gli eventi passati in generale, ma insiste su alcuni aspetti “politically correct” come la schiavitù e Hitler; e l’Inglese, in cui è più importante l’origine etnica e sesso degli autori che la bellezza della loro poesia o prosa.
Ma in realtà all’origine del libro c’era il capitolo sulla Scienza. “A che cosa serve l’educazione scientifica?” di David Perks era già stato pubblicato come un opuscolo separato dall’Institute of Ideas , con notevole successo. Perks scriveva durante un cambiamento significativo dell’educazione scientifica che consiste nell’utilizzo di un approccio chiamato “Twenty-first Century Science ”, previsto a partire dal Settembre 2006. Il cambiamento era appunto una risposta a quella che era percepito come una crisi nell’educazione scientifica. Sempre meno studenti seguivano le scienze naturali al livello A ; la maggioranza degli insegnanti di Scienze non era abilitata all’insegnamento della materia; dipartimenti universitari di Scienze stavano chiudendo oppure erano sotto minaccia di chiusura; i maggiori industriali si lamentavano che stava diventando talmente difficile trovare scienziati bravi in Gran Bretagna che si dovevano rivolgere a paesi come la Cina e l’India; e i politici si rendevano conto dell’impatto di un declino del numero di lavoratori qualificati a livello di competitività internazionale.
Il nuovo GCSE (General Certificate of Secondary Education) era designato per persuadere più studenti a seguire le discipline scientifiche al livello A e all’Università, rendendole più interessanti e rilevanti per la loro vita. Le tre discipline di Chimica, Fisica e Biologia sarebbero state fuse sotto il titolo di “Scientific Literacy”, e i ragazzi sarebbero stati incoraggiati a discutere temi attuali come il riscaldamento globale e i vaccini MMR , con riferimento particolare alla copertura mediatica. Perks critica questo approccio per varie ragioni di tipo pedagogico. Le scienze vengono trattate come un ramo dello studio della comunicazione dei mass media, piuttosto che come un corpo discreto di conoscenza da trasmettere allo studente; presume che i ragazzi possano solo stabilire una relazione con una cosa già conosciuta, e che non dovrebbero essere messi alla prova con concetti nuovi; dà troppo peso a quello che i ragazzi dicono di gradire, e non stimola lo sviluppo della loro capacità di astrazione; e l’esperimento controllato in laboratorio—la spina dorsale della ricerca scientifica moderna—è stato sostituito con studi sul campo (“field studies”). Perks disapprova anche il modo in cui viene fatta una caricatura dell’insegnamento tradizionale delle scienze naturali come una memorizzazione di fatti astratti. Nel suo modo di vedere, l’insegnamento delle scienze esatte dovrebbe essere:
trattare gli studenti come futuri potenziali scienziati e fornirli dei principi fondamentali per una comprensione scientifica del mondo che può tornare utile, sia che perseguano una carriera scientifica o no.
E’ molto ironico che la scienza del nuovo GCSE fosse stata introdotta con l’intento dichiarato di produrre una popolazione scientificamente più preparata, che potesse aumentare la competitività internazionale; invece ricerche condotte dopo l’introduzione in tutto il paese del Twenty-first Century Science GCSE indicano che gli studenti adesso sono meno inclini a dichiararsi interessati alla scienza e meno intenzionati a studiarla a livello A.
Scuole indipendenti (cioè private) stanno cominciando ad abbandonare il GCSE a favore del GCSE Internazionale (IGCSE), che conserva ancore le tre scienze separate. Secondo Perks questo fatto contribuisce a creare un “apartheid educativo”: gli allievi delle scuole statali tendono a scegliere meno i corsi scientifici universitari, semplicemente perché non hanno abbastanza conoscenza delle scienze naturali. Per questa ragione le scuole private potranno dominare i dipartimenti scientifici nello stesso modo in cui oggi dominano i dipartimenti di lettere, sia antiche che moderne.
Questo avrebbe fatto inorridire C.P. Snow, che era di estrazione modesta (“lower middle-class”), e cresciuto con mezzi limitati a disposizione. Frequentò la scuola secondaria locale a Leicester che era specializzata in scienze, mentre la biblioteca pubblica locale gli aprì il mondo delle lettere.
Entrò nel dipartimento di Chimica e Fisica dell’Università di Leicester, dove si laureò in Chimica a pieni voti. Lavorò fino all’orlo di un esaurimento nervoso, ma riuscì ad essere ammesso al Christ’s College di Cambridge per conseguire il dottorato di ricerca. Ottenne una borsa di studio all’età relativamente giovane di 25 anni.
Un tale progresso per un ragazzo intelligente di una famiglia povera sarebbe quasi impossibile da immaginare oggi, per varie ragioni. La maggioranza delle scuole secondarie umanistiche che forniscono una via d’uscita dalla povertà ai figli intelligenti di famiglie povere non esistono più, mentre la biblioteca pubblica adesso sarebbe pieno di navigatori internet e persone che bevono un caffé.
Il rigore accademico che caratterizzava la pedagogia persino delle scuole “povere” ahimé è un fatto del passato. I politici tendono a modificare i risultati degli esami in senso positivo semplificando i contenuti delle materie d’insegnamento e assegnando crediti ottenuti seguendo corsi professionali per parrucchieri e operatori turistici, ma test oggettivi hanno smascherato questa manipolazione.
Di conseguenza la mobilità sociale in Inghilterra sta scendendo verso il fondo delle tabelle dell’OCSE. Uno degli indicatori è la proporzione di ragazzi che provengono da scuole statali ammessi a Oxford e Cambridge, che adesso è più bassa rispetto agli anni ‘60, nonostante l’intensa pressione politica sulle università da parte di un governo che sta tentando disperatamente di giustificare la sua politica.
I problemi che caratterizzano oggi il nostro sistema educativo non tengono conto neanche dei confini tra i vari campi. I docenti di Inglese si trovano davanti degli studenti che non hanno mai letto un dramma di Shakespeare fino in fondo, e per i quali la lettura di un romanzo di Henry James sarebbe incredibilmente dura. Un docente di storia di Cambridge mi raccontava che fa lezioni a studenti del primo anno che non sanno che cos’è il Rinascimento o la Riforma Protestante, oppure quale dei due sia avvenuta prima. Scuole secondarie si lamentano che bisogna fare un lavoro di recupero quando arrivano i bambini dalle scuole elementari. Le Università si lamentano che devono fare dei corsi speciali per insegnare agli studenti come scrivere un tema.
Curando La corruzione del curricolo mi rendevo conto del pericolo sempre esistente quando un curatore di un libro deve mettere insiemi pezzi di autori diversi: qualche volta ti trovi con una collezione di capitoli che non stanno molto bene insieme. In realtà in questo caso il problema non si presentava, perché tutti i collaboratori raccontavano la stessa storia. Da Storia a Geografia, da Inglese a Francese, tutte le materie erano svuotate della loro coerenza e del rigore accademico. E’ più che un caso di degrado: adesso il programma scolastico è considerato dai politici come un’arma da usare in tutta una serie di battaglie che non hanno niente a che fare con l’educazione, dalla coesione sociale e l’anti-razzismo all’obesità e alla gravidanza delle minorenni. Aumentare l’autostima è più importante che raccontare ai bambini quali risposte sono giuste e quali sbagliate. La situazione è diventata così seria che non è più solo un argomento di discussione tra pedagoghi: la questione è se la cultura che abbiamo ereditato dai nostri genitori sarà trasmessa ai nostri figli. Per dare un esempio specifico: la riluttanza dei giovani a votare in elezioni politiche è comprensibile alla luce di un fallimento totale nell’insegnamento della storia dello sviluppo della democrazia parlamentare e della società libera della Gran Bretagna.
Questa situazione avrebbe fatto inorridire Leavis e Snow allo stesso modo; infatti, come ha fatto notare Lionel Trilling , nonostante il disaccordo spettacolare sul discorso “Two Cultures” entrambi facevano idealmente parte del partito “Roundhead” , e avevano molto in comune.
Una persona giovane e vivace di gusti raffinati direbbe sicuramente che se mai ci fossero stati due uomini dediti all’Inghilterra, alla casa e al dovere, sarebbero stati Leavis e Snow, e che in questo sarebbero stati uguali come lo sono due quadrati.
E’ interessante che la campagna condotta dall’Institute of Ideas durante il 2006, per mettere in luce la natura problematica della nuova scienza GCSE, fosse multi-disciplinare. Nelle riunioni a cui ho partecipato i contributi erano apportati da pedagogisti che lavoravano sia nel campo linguistico-letterario sia nelle in quello scientifico. Le persone preoccupate per i ragazzi con voto A* in GCSE Scienza che non conoscono la Tavola Periodica, sono anche preoccupate per i ragazzi che pensano di avere “fatto” Macbeth quando hanno letto due scene, senza sapere come va a finire. Il vecchio dibattito tra arte e scienza, a cui Snow e Leavis hanno dato l’espressione più pungente del ventesimo secolo è completamente superato. La questione non è più se dobbiamo insegnare ai ragazzi come tradurre Orazio o come risolvere equazioni algebriche, la questione è se bisogna insegnare qualsiasi cosa con rigore accademico, come succedeva una volta nel sistema scolastico in Gran Bretagna. Nel 1959 Snow era preoccupato della divisone tra le due culture; oggi dobbiamo chiederci se la nostra cultura riesca a sopravvivere, in qualsiasi modo che abbia un qualche senso.
E, come disse Lionel Trilling, Leavis e Snow, entrambi dediti all’Inghilterra, alla casa e al dovere, probabilmente oggi si troverebbero dalla stessa parte, almeno per questo aspetto.

Stefan Collini : Il cambiamento della mappa delle discipline, p. xliii (Introduzione a C.P. Snow: “Le due Culture”, Cambridge University Press, 1993, 2009)Al centro del concetto delle “due culture” c’è un’affermazione sulle discipline accademiche. Ovviamente altri aspetti sono strettamente coinvolti—la questione della struttura educativa, le attitudini sociali, la politica del governo ecc. Se però il concetto deve avere una forza di persuasione duratura, è necessario che offra una caratterizzazione illuminante della linea di divisione fra i due tipi di indagine intellettuale. Sarà subito chiaro che la nozione di Snow non può essere presa come interamente rappresentativa dello stato delle discipline nel 1959. Anche ammettendo che facesse un’osservazione specifica sul contrasto tra un serie di attitudini piuttosto arretrate e pessimistiche tipiche della letteratura moderna e una serie di proposte più ottimistiche e “modernizzanti” associate alle scienze naturali, e anche se si può simpatizzare con la sua censura dello snobismo sociale inglese e delle attitudini perpetuate nell’educazione, si dovrebbero avere molte riserve sul valore descrittivo del concetto delle due culture, riserve che effettivamente molti critici hanno avuto. Così, considerando i cambiamenti avvenuti dal discorso di Snow in poi, non si può in nessun modo considerare la sua analisi come un punto di partenza non problematico. Se la sua idea centrale ha perso una parte del suo valore nei decenni passati, non è solo dovuto agli inevitabili processi di stanchezza concettuale, ma anche a un certo numero di cambiamenti significativi intellettuali e sociali.
In termini generali, i cambiamenti più significativi nella mappa delle discipline negli ultimi tre decenni hanno assunto la forma apparentemente contraddittoria di un germogliare di sotto-discipline sempre più specializzate e di una crescita di diverse tipologie di progetti inter-disciplinari. Ma per un verso questi cambiamenti vanno nella stessa direzione: al posto dei vecchi imperi, in apparenza sicuri, la mappa ora mostra molti più stati di dimensioni minori, con reti di alleanze e di comunicazione fra loro, che interagiscono in modi a volte sorprendentemente complessi. Dipende dall’enfasi che si usa se questi cambiamenti indicano che piuttosto che due culture ce ne siano in realtà duecentodue, oppure che fondamentalmente ci ne sia una sola. La differenza tra le due opzioni deriva in parte dall’accentuare i diversi aspetti dell’idea di “cultura”. La prima si concentra sull’equivalente intellettuale del micro-clima, e di conseguenza su come una pluralità di imprese autosufficienti, ognuna con il suo linguaggio e i suoi punti di riferimento, sostenga i modi di vita di gruppi professionali separati. La seconda ricerca piuttosto la visione d’insieme, cioè i modi in cui le varie attività intellettuali possano partecipare ad una conversazione reciproca o evidenziare processi mentali comuni.
D’altra parte nessuna delle due opzioni esclude la possibilità che ci sia un qualcosa di particolare condiviso da quelle attività che vengono denominate scienze, e non caratteristico di quelle designate come umanistiche, anche se non vogliamo prendere questo come una linea di demarcazione nella vita intellettuale. In pratica è chiaro che troviamo ancora conveniente continuare ad usare termini come attività umanistiche e scientifiche, e nell’uso comune sappiamo più o meno il loro significato. Ma oggi questo uso convenzionale non è sostenuto da alcuna definizione universalmente accettata—è diventato argomento di dibattiti vivaci se valga addirittura la pena di tentare di identificare un metodo particolare di indagine o una gamma di argomenti oppure una regola professionale/culturale discriminante tra “scienza” e “non-scienza”. C’è ovviamente una ricca e illuminante storia di tentativi per costruire la base di questa distinzione, tentativi che fiorirono in modo particolarmente abbondante dal momento in cui l’Ottocento assegnò alla categoria “scienza” il prestigio e l’onere di essere unico portatore della conoscenza attendibile e oggettiva. Filosofi come Wilhelm Dilthey nel tardo Ottocento e Karl Popper a metà del novecento cercavano di abbozzare la legislazione concettuale, stipulando le proprietà generali necessarie perché una forma di conoscenza o un modo di indagine potesse chiamarsi legittimamente scientifico. Però, nessuno di questi tentativi ha mai avuto il consenso generale, men che mai tra i filosofi della scienza. Si osserva che le attività chiamate normalmente scienze non tutte procedono attraverso metodi sperimentali, non tutte presentano i risultati in forma quantificabile, non tutte inseguono la “falsificabilità”, non tutte lavorano con la natura invece che con esseri umani; e non sono le uniche a cercare di produrre leggi generali, risultati replicabili e conoscenza cumulativa.
Come sempre quando si tratta di questioni di definizione, dobbiamo stare attenti ai differenti scopi per i quali si potrebbe volere distinguere tra attività come “scienza” e “non-scienza”. Nella seconda metà dell’Ottocento, collocarsi all’apice delle aspirazioni scientifiche poteva implicare una discriminazione tra metodi di indagine che davano una conoscenza “reale” e metodi che non la davano. Molti scienziati praticanti continuano implicitamente a sostenere questa assunzione, e ogni tanto un portavoce auto-nominato lo formulerà nella forma imperiale più arrogante. Ma questo positivismo fiducioso e ammiccante ha meno autorità di una volta, ed è più largamente accettato che forme differenti di indagine intellettuale possono fornirci una varietà di tipi di conoscenza e comprensione del mondo, e che nessuno di questi costituisce il modello a cui tutti devono conformarsi.
Naturalmente, la vita pratica dei ricercatori scientifici ha risentito poco delle varie descrizioni delle loro attività da parte dei filosofi, così come neanche la comprensione popolare dell’identità degli “scienziati” è stata turbata granché da questi sviluppi. L’uso comune applica il termine senza esitazione a matematici, fisici, chimici, biologi, e a quelli che fanno ricerca nei campi della medicina, informatica, e ingegneria. Persino all’interno delle università questioni di definizione vengono poste marginalmente, e spesso solo per ragioni organizzative o statistiche—dovrebbero psicologi sperimentali avere accesso ai finanziamenti di una certa agenzia, dovrebbe il lavoro dei demografi essere incluso nel rendimento del dipartimento di geografia o del dipartimento di statistica, ecc..
Tuttavia, anche se l’uso della categoria “scienza” è rimasto ragionevolmente stabile negli ultimi decenni, ci sono stati dei cambiamenti sia nelle scienze stesse che, e forse più significativamente, nella comprensione della scienza in rapporto alla tesi di Snow sulle due culture. In termini di impatto sulla ricerca in una varietà di materie, lo sviluppo della biologia molecolare ha probabilmente prodotto il cambiamento più importante nelle scienze dagli anni ‘50, e ha causato una riformulazione di intere aree di ricerca tra biochimica e ingegneria genetica. Ma se parliamo più in generale dell’immagine della natura del pensiero scientifico, è probabilmente il lavoro della fisica teorica, dell’astronomia e della cosmologia che ha attirato la maggiore attenzione. La fisica era da sempre considerata, come effettivamente da Snow, come la più dura delle “scienze dure”, una specie di standard d’oro per tutte le scienze più deboli o deprezzate (di cui la condizione era spesso diagnosticata come “invidia della fisica”). Tradizionalmente la fisica era l’esempio di come un’analisi rigorosamente deduttiva di poche leggi generali, confermate o smentite attraverso induzione da un esperimento controllato, forniva una conoscenza capace di predire il comportamento delle proprietà fisiche dell’universo.
La cosiddetta “fisica nuova” degli ultimi vent’anni ha cambiato questo modello in due modi collegati fra di loro. Primo: le scoperte attuali riguardanti la natura della materia o le origini dell’universo appaiono creare imprevedibilità o persino un elemento di teleologia nel cuore della nostra conoscenza del mondo fisico. Gli sviluppi nella fisica quantistica e nella teoria del caos vengono presi come il segno della “morte del materialismo” , cioè del modello meccanicistico delle proprietà e del comportamento della materia, che è stato dominante da Newton in poi (una drammatizzazione delle implicazioni che molti ricercatori in questo campo rifiuterebbero).
Secondo: la natura stessa del lavoro rivoluzionario in fisica teorica, astronomia e cosmologia ha aiutato a sfidare il modello del pensiero scientifico, il quale veniva rappresentato come una progressione attraverso una combinazione di deduzioni rigorose e conclusioni verificate con l’osservazione empirica. Il ruolo dell’immaginazione, della metafora ed dell’analogia, di speculazioni in grado di trasformare le categorie e le intuizioni non-convenzionali si è fatto avanti molto di più (alcuni potrebbero sostenere che questi avevano da sempre il loro posto nei processi attuali della scoperta scientifica, qualunque fosse il metodo scientifico predominante).
Di conseguenza si tende a sentire parlare più delle somiglianze che delle differenze nelle operazioni mentali tra scienza e umanistica, anche se alcune somiglianze, bisogna dirlo, sembrano abbastanza forzate o al massimo basate su analogie.

Willem Frederik Hermans : Il Cardinale Pölätüo di Stefan Themerson (Introduzione olandese) Che cosa passa in testa a un credente che risulta essere non troppo stupido? Può darsi che il romanzo “Il Cardinale Pölätüo” dia una risposta a questa domanda. Il protagonista del romanzo possiede una forza vitale quasi uguale a quella della Chiesa di cui è servitore. La sua biografia riporta come data di nascita 12 settembre 1822–sì, lo stesso anno in cui fu tolto il bando alle opere di Galileo. Il romanzo di Themerson termina nell’anno 2022, anno in cui Pölätüo avrà esattamente 200 anni, pur non essendo ancora per niente senile. Pölätüo, seguendo le migliori tradizioni cardinalesche non si è attenuto rigorosamente al voto di castità. Nel 1862 una certa contessa Kostrowicki gli annuncia che aspetta un bambino da lui. E’ ovvio che quando un Cardinale così vitale genera un figlio, nove mesi sono un tempo troppo breve per far maturare il frutto.
Chi pensa di avere già visto il nome Kostrowicki, lo avrà visto nella biografia del poeta francese Apollinaire: il 26 agosto 1880, a Roma, la contessa polacca Kostrowicki partorisce un figlio illegittimo, che si chiama Wilhelm.
Ma come si chiamava il padre di Wilhelm?
Per i biografi di Guillaume Apollinaire, il nome con cui Wilhelm è diventato famoso come uno dei due o tre più grandi innovatori letterari del ventesimo secolo, questo è sempre stato un mistero. Apollinaire non ha mai voluto rilasciare dichiarazioni sull’argomento e circolavano voci sul fatto che suo padre fosse un prete. Per molto tempo nessuno ha trovato una soluzione al mistero. Nessuno.
Ma Themerson ha risolto il problema senza esitazioni: il padre di Apollinaire era in realtà il cardinale Pölätüo. (Il padre reale di Apollinaire non era comunque un prelato, ma un certo signore d’Aspremont. Pölätüo abita nel palazzo d’Ormespant, anagramma del suddetto nome che non appare nel romanzo. Il libro è pieno di scherzi del genere, e non sono sicuro di averli trovati tutti.)
Il Cardinale Pölätüo non è assolutamente felice del frutto dei suoi lavori, il quale è maturato per ben 18 anni nella pancia materna e, come si capirà subito nel suo primo anno di vita, diventerà un grande poeta. Ma la ragione è proprio questa.
“Il più grande male sulla terra”, sostiene Pölätüo, “è oggi la poesia”. E siccome Voltaire era, almeno secondo il cardinale, un poeta, non si può dire che avesse paura di pericoli inesistenti.
“O Signore,” disse, “se noi abbiamo creato il Tuo Avversario, lo faremo sparire dalla faccia della terra, in qualsiasi modo che Ti sembri appropriato. Questo lo promettiamo.”
La cosa eclatante di questo riepilogo non è probabilmente che un poeta è stato creato da un uomo di Dio, è piuttosto che il cardinale pensa di poter riconoscere un poeta e non uno scienziato come il nemico più importante della fede. Ah! Pölätüo è di larghe vedute! Ha delle idee moderne e il suo cane si chiama Berkeley.
Dopotutto non è casuale che sia nato nel 1822, anno in cui, come sottolinea Themerson, le idee di Galileo divennero innocue per l’anima e in cui “cardinali e prelati potevano capire che non dovrebbe essere difficile digerire le idee di Copernico, Galileo, e Keplero e nello stesso tempo quelle di Joshua, e che la conoscenza di certi fatti astronomici e il giocare con le leggi della fisica non era necessariamente un pericolo per la Chiesa.”
Nel 1893 Papa Leone XIII nella sua Enciclica “Providentissimus Deus” faceva di questo la posizione ufficiale della Chiesa.
Al giovane Pölätüo il pensiero che la scienza non minaccia Gesù, ma contribuisce alla sua gloria, pare evidente. Non i chimici che si occupano della materia sono da temere, ma piuttosto, sostiene, i poeti che attaccano l’anima umana con l’alchimia della parola. Ecco perché il futuro Apollinaire dovrà sparire dalle terra.
Un cardinale che ha questa intenzione già nell’Ottocento non può più raggiungere il suo scopo mettendo del veleno nel biberon, oppure ingaggiando dei killer. Dovrà usare le vie di Dio, che sono notoriamente misteriose. Perciò Pölätüo non si mette in contatto con un capobanda della Mafia, ma invece va in udienza da Re Umberto che allora regnava in Italia. Il giovane Wilhelm ha in quel momento un anno ma fa già rimare le parole “Sword” e “Lord”.
Contromisure sono a questo punto urgenti, perché sono le stesse parole che si possono trovare in una poesia di Swinburne. Questa poesia, Themerson la cita, annuncia niente di meno che la morte di Dio.
Se il giovane Wilhelm comincia così non potrà rimanere in vita. Ma come fare?
Pölätüo propone a Re Umberto di organizzare una specie di seconda strage di bambini di Betlemme, evitando così ogni rischio che l’Avversario rimanga in vita.
Ma il Re rifiuta di diventare un secondo Erode. Spiega a Pölätüo che non è semplice assassinare mezzo milione di bambini. Se avessero 20 anni! Quelli fanno il servizio militare, gli eserciti ogni tanto fanno la guerra e poi…
Nonostante il rifiuto del re, Pölätüo lascia il palazzo non senza speranza.
Il lettore colto si sarà intanto ricordato che Guillaume Apollinaire ha combattuto durante le Prima Guerra Mondiale nell’esercito francese, fu ferito alla testa e guarì, morendo pochi giorni prima dell’Armistizio di influenza spagnola. Non avevamo detto che le vie del Signore sono misteriose? E Apollinaire non ha scritto il breve romanzo “Le poète assassiné”, un’autobiografia romanzata, in cui il poeta cade vittima del mondo che complotta contro di lui?
Pölätüo, più o meno rassicurato che se non una strage di bambini, almeno una guerra potrà togliere di mezzo l’Avversario di Dio, si predispone a realizzare un progetto che, come sa lui stesso, era già stato iniziato da Tomaso d’Aquino: l’omogeneizzazione di Scienza e Fede.
Alcuni critici hanno considerato il cardinale come un secondo Teilhard de Chardin, ma si può obiettare che la prima versione (polacca) del libro esisteva già quando Teilhard non era ancora celebre (Themerson non lo conosceva), e comunque Teilhard non è stato il primo che ha tentato far digerire dalla fede quello che per necessità logica è indigeribile.
Qualunque sia la parte del pensiero moderno che Pölätüo approfondisce, la sua conclusione è sempre che non contiene blasfemia. Pasteur, Kékulé e Van ‘t Hoff, Marx e Krupp, vengono messi nella stessa salsa e santificati nella sua filosofia, il Pölätüismo. Allo stesso modo, sostenendo tranquillamente i potenti del momento e i fatti scientifici, Pölätüo simboleggia completamente quello che le chiese fanno in continuazione—con il pretesto di dirigere.
In effetti molto è cambiato dai giorni di Galileo. La contrapposizione tra materia e spirito è apparentemente abolita, dal momento che la materia viene definita come quella che può essere descritta attraverso le leggi della natura.
I Pölätüo sono completamente d’accordo con questa definizione: non implica infatti che lo spirito, cioè l’anima di Dio è libero?
Abbiamo esultato troppo presto! Sono arrivati i neo-positivisti, che sostengono esserci un unico modo di parlare realmente di una cosa, il modo logico. Tutte le affermazioni che non sono logiche non sono affermazioni: sono detti senza senso.
Se la materia è ciò che può essere descritta con la logica e lo spirito è il suo opposto, ciò significa solamente che “spirito” è un concetto svuotato di significato. Implica che su cose spirituali e anche su Dio non si può dire niente.
Il neo-positivista Ayer (Logical positivism, a cura di A.J. Ayer, Glencoe, 1959, p.14), sottolinea, seguendo un’idea di Popper, la differenza tra due affermazioni come “L’abominevole uomo delle nevi non esiste” e “L’abominevole uomo delle nevi esiste”.
La prima affermazione ha senso. Si può dire che non esistono gli uomini delle nevi, perché la scorrettezza si può dimostrare trovandone uno. Ma non si può dimostrare la scorrettezza della seconda NON trovandone uno. Il fatto che non si trova l’uomo delle nevi, non prova in modo sufficiente che non ne sia mai esistito uno.
La tesi “L’abominevole uomo delle nevi esiste” è perciò una tesi metafisica.
E’ proprio lo stesso Ayer che, anche se porta ancora i vestiti di ragazzo, fa un battibecco assai divertente con il cardinale Pölätüo, dopodichè il cardinale subito abbandona il Pölätüismo illuminato pronunciando la formula magica di qualsiasi prete: “Adesso figliolo”, disse il cardinale, “in nomine Patri et Filii, et Spiritus Sancti, ripeti: Io credo in Dio, Padre omnipotente, Creatore del cielo e della terra, e di tutte le cose, visibili e non visibili…”
Molto caratteristico di Pölätüo e i suoi è anche che comincia a perseguitare il poeta Apollinaire quando questo ha ancora solo un anno. Solo molto tempo dopo la morte di Apollinaire, Pölätüo, mentre sta mangiando un delizioso pesce, vede per la prima volta quattro versi scritti da Apollinaire. Sono così pii che una lisca gli va di traverso. (Apollinaire era, in contrasto con certi altri innovatori della poesia, un soldato entusiasta e un cattolico pio!)
Pölätüo, che prima non si fermava neanche di fronte al massacro dei bambini di Betlemme, alla lunga si riconcilia con tutto e tutti. Solo i neo-positivisti dovranno essere convertiti. Compila un manuale speciale ad uso dei missionari che lavoreranno tra questi pagani.
Come già disse Multatuli : mandano dei missionari per convertire i Papua, ma nessuno tenta di convertire me.
Sembra che Pölätüo abbia sentito questo lamento. Ma gli eventi, cioè lo sviluppo continuo della scienza, impediscono che si realizzi questo progetto.
Grazie al progresso della tecnica nell’anno 2022, quando termina il libro, risultano essere creati ben dodici identici Cardinali Pölätüo.
Importanti e numerose sono le questioni che si presentano: quante anime hanno? Cosa succede per quanto riguarda il peccato originale? Nuove possibilità di immoralità? Nuove possibilità di immortalità? Forse le risposte si troveranno in Olanda, dove come da nessun’altra parte fiorisce la teologia.
D’altronde è immaginabile che Pölätüo, benché stesse andando proprio nel 2002, anno in cui fu diviso in dodici, ad eleggere un nuovo Papa, avesse già capito che la religione può essere sostituita dall’arte, senza violentare la logica, senza rivendicare la conoscenza della verità e senza l’appoggio della polizia.
Sul pavimento della sua cappella aveva fatto costruire un mosaico da Mondriaan; e, quando lo guardava, diceva: “Mi piace, mi piace perché niente in questo rappresenta niente, perché niente in questo è simbolo di qualcosa; è quello che è, e ciononostante, tutte le volte che guardo, tutte le volte che vi cammino sopra canta: “Vi ordino, o figlie di Gerusalemme che se trovate la mia amata, le diciate che crollo d’amore.”