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Leggere il mondo


lunedì 09 giugno 2008  lettura plurilingue di Mikrokosmos – Coro multietnico di Bologna   

Con voci di
Francesca Chelini (Grecia)
Othman El Bouazzaoui (Egitto)
Emma Gilmore (USA)
Sepehr Hassanvandi (Iran)
Mirka Motoškovà (Rep.Ceca)
Michele Ndiyunze (Congo)
Misaki Okada (Giappone)
Hanna Zipf (Germania)
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Sarà una serata speciale 
sia per il “Mikrokosmos – Coro multietnico di Bologna” che non canterà, ma leggerà,
sia per l’associazione culturale “La Bottega dell’Elefante”,
le cui letture di solito sono al massimo bilingue, non plurilingue.
I lettori, provenienti da diversi paesi del mondo e tutti coristi di Mikrokosmos, leggeranno testi nella loro lingua madre 
con traduzione in italiano. 
Alla fine delle letture il coro canterà qualche brano del suo repertorio, 
dopodiché ci sarà un dibattito tra lettori ed ascoltatori.


GRECIA
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 grecia1.jpg 



















































“Penelope” – da L’acqua che ti offrivo (1999)
di Maria Luigia Di Stefano (Traduzione: M.L. Di Stefano)
Penelope
ti hanno mai detto
l’inganno vissuto
le lacrime inutili
spese
tessendo una tela
per chi non voleva tornare.
Ti hanno parlato di Circe
delle mille sirene
immobili
bionde
su scogli spumosi
al sole
vergini nude
del mare salato.
Aspettare
era un sogno.
Quel tuo figlio
senza padre
vent’anni t’ha dato coraggio.
Poi hai lavorato nei campi
sulle strade,
nelle scuole,
nelle fabbriche.
Ancora
aspetti vent’anni.
L’EGITTO (DIALETTO ARABO)
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Da Sayyad wa ginniya (1966) di Sayed Hegab

“Una colomba bianca” da Un pescatore e una jinn (1966) di Sayed Hegab (Traduzione: Fulvia De Luca)

Una colomba bianca vola per l’immenso spazio
Un passero impara a volare
quasi non stende le ali
dalle piume setose.
La brezza del mattino
una bianca vela solitaria
sono corda di violino che vibra di vita
piango come neonato e abbraccio il mondo.
L’alba arriva dopo mille notti nere
Chiudo gli occhi per vedere...
Ombre... ombre...
alle labbra affiora una preghiera
L’universo si espande... ed io nel vortice
di magiche melodie
nella purezza del cielo
e nel fremito della terra
nelle tempeste del mare.

STATI UNITI D’AMERICA
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“somewhere i have never traveled” da ViVa (1931) di Edward Estlin Cummings
somewhere i have never traveled
somewhere i have never traveled, gladly beyond
any experience, your eyes have their silence:
in your most frail gesture are things which enclose me,
or which i cannot touch because they are too near
your slightest look easily will unclose me
though i have closed myself as fingers,
you open always petal by petal myself as Spring opens
(touching skillfully, mysteriously) her first rose
or if your wish be to close me, i and
my life will shut very beautifully, suddenly,
as when the heart of this flower imagines
the snow carefully everywhere descending;
nothing which we are to perceive in this world equals
the power of your intense fragility: whose texture
compels me with the color of its countries,
rendering death and forever with each breathing
(i do not know what it is about you that closes
and opens; only something in me understands
the voice of your eyes is deeper than all roses)
nobody, not even the rain, has such small hands
“In un luogo dove non ho mai viaggiato” da ViVa (1931)
 di Edward Estlin Cummings (Traduzione: Mary de Rachewiltz)

In un luogo dove non ho mai viaggiato
Da qualche parte ove non ho mai viaggiato, gioiosamente aldilà
D’ogni esperienza, gli occhi tuoi hanno il loro silenzio:
Nel tuo gesto più lieve è un qualcosa che mi cattura
O che non posso toccare, perché mi è troppo vicino.
Uno sguardo tuo, il più rapido dei tuoi sguardi mi dischiuderà
Sebbene mi sia chiuso in me come si chiudono le dita nella mano
Tu poi sempre mi schiudi, petalo dopo petalo, come la Primavera
[apre
(con tocco esperto, nel mistero) la sua prima rosa.
O se vorresti chiudermi, la mia vita e
me stesso ci chiuderemo a riccio, all’improvviso, splendidamente
Come quando il cuore di questo fiore si raffigura
La neve che scende piena di cura, in ogni dove.
Non sentiremo nulla, nulla in questo mondo
Che il potere eguagli della tua fragilità intensa
Le cui forme mi stringono nei colori delle sue terre
Donando morte ed eternità ad ogni suo respiro.
(Non so cosa in te abbia il potere di chiudere e aprire
Soltanto, in me qualcosa mi dice
Che la voce dei tuoi occhi è più profonda di ogni rosa)
Nessuno, neanche la pioggia, ha mani più minute.

L’IRAN (FARSI)
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Da Otto libri (1965) di Sohrab Sepehri
“Il rumore della traccia dell'acqua” da Otto libri (1965) di Sohrab Sepehri
(Traduzione: Hamed Shirin Sokhan, Sepehr e Nasim Honaryar)
Il rumore della traccia dell'acqua
Là, dovunque io sia, il cielo è mio.
La finestra, il pensiero, l'aria, l'amore e la terra sono miei.
Che importanza ha
se germinano ogni tanto
i funghi dell'esilio?
Non saprei perché dicono che il cavallo è un animale nobile, e il piccione bello.
Perché non c'è nella gabbia di nessuno un avvoltoio.
Cos'ha in meno un trifoglio rispetto a un papavero.
Bisogna lavare gli occhi, bisogna guardare in un altro modo.
Bisogna lavare le parole.
La parola dovrebbe essere proprio il vento, la parola dovrebbe essere proprio la pioggia.
Bisogna chiudere gli ombrelli,
bisogna andare sotto la pioggia.
Bisogna portare sotto la pioggia il pensiero, il ricordo.
Bisogna andare sotto la pioggia con tutta la gente della città,
bisogna vedere sotto la pioggia l'amico.
Bisogna cercare sotto la pioggia l'amore.
Bisogna far l'amore sotto la pioggia.
Bisogna giocare sotto la pioggia.
Bisogna scrivere, parlare, piantare un fiore di loto sotto la pioggia
la vita è bagnarsi continuamente,
la vita è fare il bagno nella fontana dell'istante.
Spogliamoci:
l'acqua è a due passi.

REPUBBLICA CECA
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“Ptáte se, co devedou ješte ženy?” da Odlévání zvonu (1967)
di Jaroslav Seifert
Ptáte se, co devedou ješte ženy?
Patrne všechno.
Jestliže nekdo položí pres propast
tri stébla slámy,
prejdou po nich lehkou nohou.
Jak, to neumím vysvetlit,
ale pripomente si,
že jejich nohy vynalezly tanec.
Ve volných chvílích
uháckují pro cerný les
listí kapradin.
Octnou-li se však v lese za noci,
odvážne zhasnou plamínky bludicek,
aby pocestný ani v mokrinách
nemel strach.
Poradily i stydlivým kvetinám,
aby své kalichy naplnily
duvernou vuní.
Samy však dovedou jako s mecem
zacházet s vunemi,
které jsou ješte nebezpecnejší
než jedovatí škorpióni tropu.
Co je však nejpodivuhodnejší:
vymyslily ženská nadra
a ta jsou krásná jako zámky na Loire.
Možná, že ješte krásnejší.
A co dovedou muži?
Není toho mhono.
Vymyslili si válku,
bídu, zoufalství a nárek ranených.
Umejí vykovat šílená dela,
obrátit mesta v sutiny
a pritom vystavovat na odiv
ubohou mužskou statecnost.
Vymyslili benzínové pumpy
a emancipaci žen.
A za polibky v jejich nárucí
zkonstuovali jim zvláštní sedacku,
aby žena u stroje
mohla ješte pracovat
v posledním mesíci tehotenství.
Tak je to.
A to je vše, sbohem, adié.
Chteli jste na mne kantilénu,
tady je!
“Domandate che sanno fare ancora le donne?” da La colata delle campane
 di Jaroslav Seifert (Traduzione: Sergio Corduas )
Domandate che sanno fare ancora le donne?
Ma tutto!
Se qualcuno distende sopra un abisso
tre fili di paglia,
vi passano sopra con piede leggero.
Come, non so spiegare,
ma ricordate
che i loro piedi hanno inventato la danza.
Nei momenti liberi
lavorano a croce per il bosco nero
le foglie di felce.
Se però capitano nel bosco di notte,
spengono con coraggio le fiammelle fatue,
affinché neppure negli acquitrini il viandante
abbia timore.
Hanno anche consigliato ai timidi fiori
di riempirsi i calici
del familiare profumo.
Loro stesse sanno però come di spada
far uso di profumi
pericolosi ancor più
che gli scorpioni velenosi dei tropici.
Quel che è davvero straordinario:
hanno inventato i seni,
ed essi sono belli
come i castelli sulla Loira.
Forse più belli ancora.

E che sanno fare gli uomini?
Non è molto.
Si sono inventati la guerra,
la miseria, la disperazione e il gèmito dei feriti.
Sanno forgiare folli cannoni,
ridurre città in macerie,
e intanto mettono bene in mostra
il povero coraggio virile.
Hanno inventato le pompe di benzina
e l’emancipazione delle donne.
E in cambio di baci fra le loro braccia
hanno progettato per loro sedili speciali
perché possano stare ancora
alle macchine
nell’ultimo mese di gestazione.
Così è.
Ed è tutto, arrivederci, adieu.
Volevate una cantilena da me
e ora c’è!

CONGO (ZUAHELI)
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“Punda na chumvi” da Esopo
Mtu mmoja alienda sokoni na punda wake kununua chumvi. Wakati wa kurudi, yule punda akaona ya kuwa mzigo wake ni mzito mno; basi alipokuwa akipita, akaanguka mtoni na chumvi chote kikayeyuka.
Alipoondoka, akajiona mwepesi, akafurahi sana. Walipokwenda mara ya pili, akajiangusha tena mule mtoni kusudi, chumvi chote kikapokea.
Basi yule mtu alipotambua hila za punda, hakanunua chumvi tena, ila alimtwika mchanga mtupu. Basi punda akajiangusha mtoni mara ya tatu, mchanga ukaloana, hata aliponyanyuka na kutoka, akaona mzigo umezidi kuwa mzito, basi akatubu.
Ukijiona ya kuwa umwerevu, kumbuka ya kuwa wako wengine walio werevu kuliko wewe.

“La zebra e il sale” da Esopo (Traduzione: Michele Ndiyunze)
Un giorno, una persona andò al mercato con la sua zebra a comprare il sale. I sacchi di sale pesavano talmente tanto che mentre passavano vicino ad un fiume la zebra vi cadde dentro e tutto il sale si sciolse.
Dopo questa avventura la persona fu molto arrabbiata e tornò per la seconda volta al mercato. Passando nuovamente vicino al fiume la zebra ricadde e tutto il sale si sciolse.
Allora quella persona capì quali potevano essere i problemi di quella zebra. Ritornò al mercato di nuovo, ma questa volta invece che il sale, caricò sulla zebra sacchi pieni di sabbia. Ripassando di nuovo vicino al fiume la zebra ricadde dentro e tutta la sabbia si bagnò. Intelligentemente la persona capì che non era del tutto matta.
GIAPPONE
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“Furusato” (1914)
“Il mio paese” (1914) – canzone popolare giapponese (Traduzione: Misaki Okada)

Seguivo le lepri su quella montagna
Pescavo i piccoli carassi in quel fiume
I sogni ancora adesso girano
Non riesco a dimenticare il mio paese
Dove siete mamma, papa?
Amici miei, state bene?
Anche se piove e viene il vento
mi ritorna alla mente il mio paese
Raggiungerò lo scopo
Un giorno tornerò
la montagna verde, il mio paese
l’acqua limpida, il mio paese
GERMANIA
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„Das Feuer” da Der wohltemperioerte Leierkasten (1961) di James Krüss
Das Feuer

Hörst du, wie die Flammen flüstern,
Knicken, knacken, krachen, knistern,
Wie das Feuer rauscht und saust,
Brodelt, brutzelt, brennt und braust?
Siehst du, wie die Flammen lecken,
Züngeln und die Zunge blecken,
Wie das Feuer tanzt und zuckt,
Trockne Hölzer schlingt und schluckt?
Riechst du, wie die Flammen rauchen,
Brenzlig, brutzlig, brandig schmauchen,
Wie das Feuer, rot und schwarz,
Duftet, schmeckt nach Pech und Harz?
Fühlst du, wie die Flammen schwärmen,
Glut aushauchen, wohlig wärmen,
Wie das Feuer, flackrig-wild,
Dich in warme Wellen hüllt?
Hörst du, wie es leiser knackt?
Siehst du, wie es matter flackt?
Riechst du, wie der Rauch verzieht?
Fühlst du, wie die Wärme flieht?
Kleiner wird der Feuersbraus:
Ein letztes Knistern,
Ein feines Flüstern,
Ein schwaches Züngeln,
Ein dünnes Ringeln -
Aus.
“Il fuoco” da L’organimo ben temperato (1961)
di James Krüss (Traduzione: Carla Christiany)
Il fuoco
Senti le fiamme che s’innalzano,
divampano, s’attorcigliano, scrocchiano, scoppiettano,
e il fuoco che arde e sibila,
borbotta, sfrigola, brucia, ruglia?
Vedi le fiamme che leccano,
guizzano e leccano ancora,
vedi come danza il fuoco, come schizza,
come ingoia, come divora legna asciutta?
Senti il fumo delle fiamme,
l’odore di bruciato: sfrigolante e ardente,
il sapore del fuoco, rosso nero,
di pece e di resina?
Senti come si diffondono le fiamme,
emanando la vampa, riscaldando dolcemente,
come ti avvolge in onde calde
il fuoco, guizzante e selvaggio?
Senti che sta scoppiettando più piano?
Vedi che sta guizzando meno forte?
Senti che sta sparendo il fumo?
Senti che sta fuggendo il calore?
La fiamma si sta abbassando:
un ultimo scrocchio,
un sussurro delicato,
un guizzo debole,
un attorcigliarsi sottile –
spento.