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Edwin A. Abbott, Flatlandia


lunedì 26 maggio 2008 legge Marinella Lombardi   

Racconto fantastico a più dimensioni
 Perché “leggere” un testo di argomento matematico? Perché la matematica non è solo calcolo e formule. Ma anche racconto. Un universo denso di storie sorprendenti e a volte dimenticate. Come l’operetta Flatlandia del reverendo inglese Edwin A. Abbott (1838-1926), apparsa nel 1882 e “riscoperta” nel 1920, dopo la formulazione della teoria della relatività. Flatlandia è un racconto fantastico a più dimensioni, che coniuga mistero e divertimento matematico, inserendosi nel filone letterario inaugurato da Lewis Carroll (altro reverendo con la passione per la matematica) con Alice nel paese delle meraviglie.
Il mondo è una superficie piana (Flatlandia), un vasto foglio di carta su cui Linee Rette, Triangoli, Quadrati e altre Figure geometriche si muovono liberamente, in superficie, senza sollevarsene o immergervisi. La società di Flatlandia è rigidamente gerarchica: regolarità significa prestigio e il prestigio cresce con il numero di lati uguali.
Un giorno, il protagonista, un Quadrato, incontra una Sfera che vive nello spazio (Spacelandia): o meglio, “vede” la Circonferenza rappresentata dall'intersezione della Sfera con la Flatlandia. Ne segue un'iniziazione ai misteri del mondo a tre dimensioni che fa del Quadrato un pazzo e lo condanna al carcere a vita.
Marinella Lombardi, dottore di ricerca in matematica, è redattrice di testi scolastici, collabora alla rivista
www.thrillermagazine.it e coltiva la passione per la scrittura, componendo poesie e racconti.



Edwin A. Abbott
FLATLANDIARacconto fantastico a più dimensioni
Adelphi (1966)
Agli
Abitanti dello SPAZIO IN GENERALE
E a H.C. IN PARTICOLARE
È Dedicata Quest’Opera
Da un Umile Nativo della Flatlandia
Nella Speranza che,
Come egli fu Iniziato ai Misteri
Delle TRE Dimensioni
Avendone sino allora conosciute
SOLTANTO DUE
Così anche i Cittadini di quella Regione Celeste
Possano aspirare sempre più in alto
Ai Segreti delle QUATTRO CINQUE O ADDIRITTURA
SEI Dimensioni
In tal modo contribuendo
All’Arricchimento dell’IMMAGINAZIONE
E al possibile Sviluppo
Della MODESTIA, qualità rarissima ed eccellente
Fra le Razze Superiori
Dell’UMANITÀ SOLIDA

§ 1. – Sulla natura della Flatlandia
Chiamo il nostro mondo Flatlandia, non perché sia così che lo chiamiamo noi, ma per renderne più chiara la natura a voi, o Lettori beati, che avete la fortuna di abitare nello Spazio.
Immaginate un vasto foglio di carta su cui delle Linee Rette, dei Triangoli, dei Quadrati, dei Pentagoni, degli Esagoni e altre Figure geometriche, invece di restar ferme al loro posto, si muovano qua e là, liberamente, sulla superficie o dentro di essa, ma senza potersene sollevare e senza potervisi immergere, come delle ombre, insomma – consistenti, però, e dai contorni luminosi. Così facendo avrete un’idea abbastanza corretta del mio paese e dei miei compatrioti. […]
§ 3. – Sugli abitanti della Flatlandia
La massima lunghezza o larghezza di un abitante adulto della Flatlandia si può calcolare all’incirca in ventotto dei vostri centimetri. Trenta centimetri può considerarsi un’eccezione.
Le nostre Donne sono delle Linee Rette.
I nostri Soldati e gli Operai delle Classi Inferiori sono dei Triangoli con due lati uguali, ciascuno della lunghezza di ventotto centimetri circa, e un terzo lato, o base, così corto (spesso appena più lungo di un centimetro) da formare al vertice un angolo assai acuto e temibile. E specialmente quando le loro basi sono di tipo infimo (cioè lunghe non più della terza parte di un centimetro) è difficile distinguerli dalle Linee Rette, o Donne, tanto acuminati sono i loro vertici. Da noi, come da voi, questi Triangoli si distinguono dagli altri col nome di Isosceli […].
La nostra Borghesia è composta da Equilateri, ovvero da Triangoli dai lati uguali.
I nostri Professionisti e Gentiluomini sono Quadrati (classe a cui io stesso appartengo) e Figure a Cinque Lati, o Pentagoni.
Subito al disopra di costoro viene l’Aristocrazia, divisa in parecchi gradi, cominciando dalle Figure a sei Lati o Esagoni per continuare, via via che il numero dei lati aumenta, fino a ricevere il titolo onorifico di Poligonali, o dai molti lati. Infine, quando il numero dei lati diventa tanto grande, e i lati tanto piccoli, che la Figura non è più distinguibile da un Cerchio, si entra a far parte dell’ordine Circolare o Sacerdotale; e questa è la classe più elevata di tutte.
Da noi è una Legge Naturale che il figlio maschio abbia un lato di più del padre, così che ogni generazione (di regola) sale di un gradino nella scala dello sviluppo e della Nobiltà. Così il figlio di un Quadrato è un Pentagono; il figlio di un Pentagono, un Esagono; e via dicendo.
Ma questa regola non sempre funziona per i Commercianti, e ancor più rado per i Soldati e gli Operai; […] Perciò con loro la Legge Naturale non vale; e il figlio di un Isoscele […] rimane un semplice Isoscele. […]
§ 4. – Sulle Donne
Se i nostri acuminati Triangoli della Classe Militare sono pericolosi, se ne può facilmente dedurre che le nostre Donne lo sono ancora di più. Perché se un Soldato è un cuneo, una Donna è un ago, essendo, per così dire, tutta punta, almeno alle due estremità. Si aggiunga a ciò la sua facoltà di rendersi praticamente invisibile quando vuole, e vi renderete conto che in Flatlandia una Femmina è una creatura con cui c’è assai poco da scherzare.
Ma forse a questo punto qualcuno dei miei lettori più giovani chiederà come fa una Donna della Flatlandia a rendersi invisibile. A me sembra che questo dovrebb’essere evidente senza bisogno di spiegazioni; tuttavia poche parole lo renderanno chiaro ai meno riflessivi.
Mettete un ago su un tavolo. Poi, con l’occhio al livello del tavolo, guardatelo lateralmente, e lo vedrete in tutta la sua lunghezza; se invece avrete di fronte una delle sue estremità, non vedrete che un punto: è diventato praticamente invisibile. Con una delle nostre Donne avviene esattamente lo stesso. Quando volge il lato nella nostra direzione, la vediamo come una Linea Retta; ma quando ci presenta l’estremità con occhio o bocca – da noi questi due organi sono tutt’uno – allora non vediamo altro che un punto assai brillante; ma se è la schiena che si presenta al nostro sguardo, allora – poiché questa è meno brillante, anzi quasi opaca come un oggetto inanimato – la sua estremità posteriore le fa da Mantello Invisibile.
A questo punto i rischi a cui siamo esposti dalla presenza delle nostre Donne saranno evidenti anche all’intelletto meno pronto di tutta la Spacelandia. Infatti, se persino l’angolo di un rispettabile Triangolo borghese non è privo di pericoli, se l’urto con un Operaio comporta un taglio, se la collisione con un Ufficiale della Classe Militare è seguita di regola da una ferita seria, se l’essere semplicemente toccati dal vertice di un Soldato Semplice comporta un rischio mortale, che altro ci si potrà aspettare dall’urto con una Donna, se non la distruzione totale e immediata? E quando una Donna è invisibile, o visibile solo come un punto semiopaco, non sarà difficile anche per i più prudenti riuscir sempre a evitare una collisione?
Per ridurre il più possibile questo pericolo molti sono stati i provvedimenti presi in ogni epoca nei vari Stati della Flatlandia; […] Dal seguente sommario ci si potrà fare un’idea generale del Codice:
1. Ogni casa deve avere un ingresso dal lato Orientale, riservato esclusivamente alle Femmine; dal quale ogni Femmina entrerà «in modo conveniente e rispettoso», senza mai usare la porta degli Uomini, o ingresso Occidentale.
2. Ad ogni Femmina è proibito sotto pena di morte camminare in qualsivoglia luogo pubblico senza emettere ininterrottamente il suo Grido di Pace.
3. Ogni Femmina che risulti, in seguito a debito accertamento, affetta dal Ballo di San Vito, da attacchi isterici, da un raffreddore cronico accompagnato da starnuti violenti, o da qualsivoglia altro male comportante movimenti involontari, deve essere eliminata all’istante.
In alcuni Stati c’è una quarta Legge aggiuntiva che proibisce alle Femmine, sotto pena di morte, di camminare o anche di star ferme in qualsiasi luogo pubblico senza muovere continuamente il posteriore da sinistra a destra, in modo da segnalare la propria presenza a chi sta dietro; altri costringono una Donna in viaggio a farsi seguire da un figlio, da un servo o dal marito; altri confinano senz’altro le Donne a casa loro, tranne nelle festività religiose.
[…]
§ 13. – Com’ebbi una visione della Linelandia

Era il penultimo giorno dell'anno millenovecentonovantanovesimo della nostra èra, e il primo giorno della Lunga Vacanza. Essendomi ricreato fino a tarda ora con la Geometria, mio passatempo favorito, mi ero ritirato a riposare con in mente un problema non risolto. Nella notte feci un sogno.
Mi vidi davanti una vasta moltitudine di piccole Linee Rette (che, com'era naturale, presi per Donne), mescolate ad altri Esseri ancora più piccoli e della natura di punti luminosi, che si muovevano tutti avanti e indietro lungo un'unica Linea Retta, e, per quanto potei giudicare, con la stessa velocità.
A intervalli, mentre si muovevano, emettevano un suono confuso simile a un cinguettio o a un frinire molteplice, poi interrompevano ogni moto, e allora tutto era silenzio.
Avvicinandomi a una delle più grandi di quelle che credevo essere Donne, l'apostrofai, ma non ricevetti
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risposta. Un secondo e un terzo appello rimasero parimenti vani. Perdendo la pazienza davanti a quella che mi pareva villania intollerabile, mi misi con la bocca proprio davanti alla bocca di lei, in modo da impedirle di muoversi, e ripetei la mia domanda ad alta voce: «Donna, che significa questa folla, e questo cinguettio strano e confuso, e questo monotono movimento avanti e indietro, sempre lungo la stessa Linea Retta?».
«Non sono una Donna» rispose la piccola Linea. «Io sono il Re del Mondo. Tu piuttosto, intruso, come hai fatto a penetrare in Linelandia, mio Regno?». A questa secca risposta, replicai chiedendo scusa se avevo allarmato o molestato in alcun modo Sua Maestà; e dichiarandomi straniero supplicai il Re di darmi qualche informazione sui suoi domìni. Ma per ottenere delle spiegazioni sui punti che più m'interessavano incontrai la massima difficoltà; perché il Monarca non riusciva a non dare sempre per scontato che qualunque cosa fosse familiare a lui lo dovesse essere anche a me, e che io simulassi l'ignoranza per prendermi gioco di lui. Tuttavia, a forza di insistere nelle domande, ne estrassi i fatti seguenti.
Pareva che questo povero, ignorante Monarca come chiamava se stesso - fosse convinto che la Linea Retta, che chiamava il suo Regno, e nella quale passava la sua esistenza, costituisse il mondo intiero, anzi tutto lo Spazio. Non potendo muoversi né vedere se non lungo la sua Linea Retta, non concepiva nient'altro all'infuori di essa. Benché avesse udito la mia voce quando lo avevo apostrofato la prima volta, i suoni lo avevano raggiunto in modo così contrario alla sua esperienza che non aveva risposto, «non vedendo nessuno», come si espresse «e sentendo una voce proveniente, per così dire, dalle mie viscere». Fino al momento in cui avevo messo la bocca nel suo Mondo, non mi aveva visto, né aveva sentito altro che dei suoni confusi che battevano contro quello che io chiamavo il suo lato, ma che egli chiamava il suo interno o stomaco; né aveva, neanche adesso, la minima idea della regione donde provenivo. Fuori del suo Mondo, o Linea, per lui c'era il vuoto; anzi, neanche il vuoto, perché questo implica lo Spazio; diciamo piuttosto che niente esisteva.
I sudditi, dei quali le piccole Linee erano gli Uomini e i Punti le Donne, erano tutti ugualmente confinati, nel moto e nella vista, in quell'unica Linea Retta, che era tutto il loro Mondo. Non c'è bisogno di aggiungere che tutto il loro orizzonte si limitava a un Punto; né alcuno poteva mai vedere altro che un Punto. Uomo, donna, bambino, oggetto - ogni cosa era un punto all'occhio dell'abitante della Linelandia. Solo al suono della voce si poteva distinguere il sesso o l'età. […]

§ 16. – Sui vani tentativi dello Straniero di rivelarmi a parole i misteri della Spacelandia
[…] Incomincia ad avanzare verso lo Straniero con l'intenzione di guardarlo più da vicino e di invitarlo a sedersi; ma il suo aspetto mi fece restare muto e immobile dalla meraviglia. Benché non presentasse la minima traccia di angolarità, egli, tuttavia, continuava a variare ogni momento, raggiungendo dei gradi di misura e di lucentezza impossibili per qualsiasi Figura di cui avessi avuto esperienza. Mi balenò il pensiero di trovarmi davanti a un ladro o a un assassino, forse a un Isoscele mostruosamente Irregolare che, imitando la voce di un Circolo, fosse riuscito in qualche modo ad ottenere accesso alla casa e che ora si stesse preparando a trafiggermi col suo angolo acuto.
[…]
La paura mi fece abbandonare ogni riguardo; mi slanciai in avanti con un poco cerimonioso «Posso chiederle, Signore ... », e lo tastai. […] Non c'era traccia di un solo Angolo, non la minima ruvidezza o diseguaglianza: mai in vita mia m'ero imbattuto in un Circolo più perfetto. Egli rimase immobile mentre io gli camminavo intorno […]. Era Circolare dappertutto, un Circolo perfettamente soddisfacente; non ci potevano esser dubbi in proposito. Allora seguì un dialogo, che mi sforzerò di buttar giù quanto più fedelmente potrò ricordarlo […]. In verità, mi sentivo pieno di vergogna e di umiliazione al pensiero che io, un Quadrato, avessi potuto commettere l'impertinenza di tastare un Circolo. Fu lo Straniero a cominciare per primo, un po' impazientito per la lunghezza dei miei preamboli.
STRANIERO. Mi avete tastato abbastanza, adesso? Non mi conoscete ancora?
IO. Illustrissimo Signore, perdonate la mia goffaggine, che non proviene dall'ignoranza delle usanze della buona società, ma da una certa sorpresa e nervosismo davanti a questa visita alquanto inattesa. E vi prego di non far parola a nessuno della mia indiscrezione, […]. Ma prima che la Signoria Vostra proceda a ulteriori comunicazioni, vorrebbe Ella degnarsi di soddisfare la curiosità di chi sarebbe lieto di sapere donde viene il suo Visitatore?
STRANIERO. Dallo Spazio, dallo Spazio, signor mio: e da dove, se no?
IO. Perdonatemi, Signore, ma non si trova nello Spazio anche adesso la Signoria Vostra, la Signoria Vostra come il suo umile servitore, in questo preciso momento?
STRANIERO. Bah! Che cosa ne sapete voi dello Spazio? Definitemelo, lo Spazio.
IO. Lo Spazio, mio Signore, è l'altezza e la larghezza prolungate all'infinito.
STRANIERO. Proprio così: vedete che voi non sapete che cosa sia, lo Spazio! Credete che consista di due sole Dimensioni; io, invece, sono venuto ad annunciarvene una Terza - altezza, larghezza, e lunghezza.
IO. La Signoria Vostra si diverte a scherzare. Anche noi parliamo di lunghezza e di altezza, o di larghezza e spessore, così indicando due Dimensioni con quattro nomi.
STRANIERO. Ma io non voglio dire solo tre nomi, ma Tre Dimensioni.
IO. Vorrebbe la Signoria Vostra indicarmi o spiegarmi in quale direzione si trova la Terza Dimensione, a me sconosciuta?
STRANIERO. È di lì che io vengo. È qui sopra, e qui sotto.
IO. Evidentemente la Signoria Vostra vuol dire a Nord e a Sud.
STRANIERO. Neanche per sogno. Voglio dire una direzione in cui voi non potete guardare, perché non avete occhi sulla vostra Superficie.
IO. La Signoria Vostra mi scusi; ma una brevissima ispezione basterà a convincerla che io ho un occhio perfetto nel punto d'incontro di due dei miei lati.
STRANIERO. Sì: ma per guardare nello Spazio, l'occhio dovreste averlo non sul Perimetro, ma sulla Superficie, cioè su quello che voi probabilmente chiamerete il vostro interno; ma noi nella Spacelandia lo chiameremmo la vostra Superficie.
IO. Un occhio nel mio interno! Un occhio nello stomaco! La Signoria Vostra sta scherzando.
STRANIERO. Non ho nessuna voglia di scherzare. Vi dico che vengo dallo Spazio, anzi, visto che non volete capire che cosa voglia dire Spazio, dalla Terra delle Tre Dimensioni, da cui poco fa ho abbassato lo sguardo su questo vostro Piano che voi chiamate, guarda un po', Spazio. Da quella posizione di vantaggio ho scorto tutto quello di cui parlate come di solido (parola con cui voi volete dire «chiuso da quattro lati»): le vostre case, le vostre chiese, persino i vostri forzieri e casseforti, sì, anche l'interno del vostro stesso corpo con le sue viscere, tutto bell'aperto ed esposto al mio sguardo.
IO. Cose simili si fa presto a dirle, Signor mio!
STRANIERO. Ma non a provarle, volete dire. Ma io ho intenzione di provare le mie affermazioni.
[…]

§ 20. – Come la sfera mi indusse a una visione
[…]
Mentre dormivo feci un sogno. Mi parve di trovarmi ancora una volta accanto alla Sfera […]. Stavamo muovendoci insieme verso un punto luminoso ma infinitamente piccolo sul quale il Maestro dirigeva la sua attenzione. Via via che ci avvicinavamo, mi parve che se ne sprigionasse un lieve rumore simile al ronzio di uno dei vostri tafani della Spacelandia, solo assai meno vibrato, anzi così tenue che, anche nel perfetto silenzio del vuoto attraverso il quale ci libravamo, il rumore non raggiunse il nostro orecchio finché non arrestammo il volo a una distanza di un po' meno di venti diagonali umane.
[…]
«Osserva quella miserabile creatura [- disse la mia guida -]. Quel Punto è un Essere come noi, ma confinato nel baratro adimensionale. Egli stesso è tutto il suo Mondo, tutto il suo Universo; egli non può concepire altri fuor di se stesso: egli non conosce lunghezza, né larghezza, né altezza, poiché non ne ha esperienza; non ha cognizione nemmeno del numero Due; né ha un'idea della pluralità, poiché egli è in se stesso il suo Uno e il suo Tutto, essendo in realtà Niente. Eppure nota la sua soddisfazione totale, e traine questa lezione: che l'essere soddisfatti di sé significa essere vili e ignoranti, e che è meglio aspirare a qualcosa che essere ciecamente, e impotentemente, felici. Ascolta, adesso».
 S'interruppe; e in quel momento dalla creaturina ronzante si levò un lieve ticchettio, basso e monotono ma distinto, come da uno dei vostri fonografi di Spacelandia, e io ne distinsi queste parole: «Infinita beatitudine dell'esistenza! Esso è; e non c'è altro al di fuori di Esso».
«Cosa vuol dire con “esso”» dissi io «quella piccola creatura?». «Vuol dire se stesso» disse la Sfera. «Non hai notato prima di ora che i bambini e le persone infantili, che non sanno distinguere fra se stessi e il mondo, parlano di sé alla Terza Persona? Ma taci».
«Esso riempie ogni Spazio,» continuò la piccola Creatura nel suo soliloquio «e quello che Esso riempie, Esso è. Quello che Esso pensa, Esso lo dice; e quello che Esso dice, Esso lo ode; ed Esso è Pensatore, Parlatore, Ascoltatore, Pensiero, Parola, Audizione; è l'Uno, e tuttavia il Tutto nel Tutto. Ah, la felicità, ah, la felicità di Essere!».
«Perché non gli apri gli occhi, a quel cosino, in modo che la finisca col suo compiacimento?» dissi io. «Digli che cosa è in realtà, come lo hai detto a me; rivelagli le anguste limitazioni della Pointlandia, e conducilo verso qualcosa di più alto». «Non è facile,» disse il mio Maestro «provaci tu».

§ 22. – Come in seguito cercai di diffondere la Teoria delle Tre dimensioni con altri mezzi e quali furono i risultati
[…]
Sono passati ormai sette anni e io sono sempre in prigione, e - se si eccettuano le occasionali visite di mio fratello – del tutto tagliato fuori da ogni altra compagnia che quella dei miei carcerieri. Mio fratello è uno dei Quadrati migliori del mondo, giusto, assennato, allegro, e non privo di affetto fraterno; eppure confesso che i nostri colloqui settimanali, almeno da un certo punto di vista, sono per me causa del dolore più vivo. Egli era presente quando la Sfera si manifestò nella Sala del Consiglio; vide mutare le sezioni della Sfera; sentì la spiegazione dei fenomeni che allora fu data ai Circoli. Da quella volta, non sarà passata una settimana per sette intieri anni senza che egli mi senta riparlare della parte che avevo avuto in quell'apparizione, insieme con un'ampia descrizione di tutti i fenomeni della Spacelandia, […]. Eppure - mi vergogno di essere costretto a confessarlo - mio fratello non ha ancora afferrato la natura della Terza Dimensione, e professa apertamente la sua incredulità nell'esistenza di una Sfera.
Perciò non ho fatto neppure un proselite e, per quanto io posso constatare, la Rivelazione millenaria, che a me è stata fatta, non ha sortito alcun effetto. Lassù nella Spacelandia, Prometeo fu incatenato per aver portato il fuoco ai mortali, ma io - povero Prometeo della Flatlandia - giaccio qui, in carcere, per non aver portato niente ai miei compatrioti. Eppure continuo a esistere nella speranza che queste mie memorie, in qualche modo, non so come, possano trovare una strada per giungere alla mente dell’umanità di qualche Dimensione, e possano suscitare una razza di ribelli che si rifiutino di essere confinati in una Dimensionalità limitata.
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