logo dell'associazione

logo dell'associazione

Un altro futurismo - Umberto Boccioni e Ardengo Soffici


lunedì 06 aprile 2009 leggono Mimmo Cangiano e Paolo Cova
La storia del Futurismo è la storia di un movimento contraddittorio, anarchico e incendiario. Nel centenario della nascita vi proponiamo un viaggio nella principale avanguardia italiana: dai primi manifesti di Marinetti alle famose "serate futuriste", dalle teorizzazioni sulle nuove forme artistiche al violento interventismo pre-bellico. Cercheremo di sviluppare insieme le principali tematiche proposte da un gruppo eterogeneo di intellettuali. Fra violenti proclami, memorabili scazzottate, clamorose boutade e improvvise variazioni di rotta, proveremo a comprendere che tipo di apporto hanno dato alle arti visive e alla letteratura due protagonisti come Umberto Boccioni e Ardengo Soffici, mettendo in luce le interne differenze, le ansie e i sogni di chi sapeva di star scrivendo un pezzo della nostra storia.
Fra testi e immagini guarderemo al passato provando a comprendere qual era, cento anni fa, l’idea di futuro. Questo perché, fra le grandi celebrazioni di questi mesi, ci rode nella testa un vecchio tarlo promulgato anni fa (in altri giorni di celebrazioni) da Aldo Palazzeschi: «A sessant’anni di distanza / dal movimento milanese e fiorentino / sento parlare spesso e volentieri di futurismo. / [...] / Dopo il feroce ostracismo dato fino dal suo nascere / al futurismo / la cosa potrebbe sembrare stupefacente / come nessuna al mondo, / invece è naturalissima / e non stupisce affatto. / Il futurismo non poteva nascere che in Italia / paese volto al passato / nel modo più assoluto ed esclusivo / e dove è d’attualità solo il passato. / Ecco perché è attuale oggi il futurismo / perché anche il futurismo è passato».



da U. Boccioni, Diari, Abscondita, Milano 2003, pp. 14-5.


14 marzo 1907
Sono stato in campagna per lavorare e non ho trovato nulla. Le solite linee stancano, mi nauseano sono stufo di campi e di casette. E pensare che appena arrivato a Padova ne ero entusiasta e speravo.
Bisogna che mi confessi che cerco, cerco, cerco, e non trovo. Troverò? Ieri ero stanco della gran città, oggi la desidero ardentemente. Domani cosa vorrò? Sento che voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale. Sono nauseato di vecchi muri, di vecchi palazzi, di vecchi motivi di reminiscenze: voglio avere sott’occhio la vita di oggi. I campi, la quiete, le casette, il bosco, i visi rossi e forti, le membra dei lavoratori, i cavalli stanchi ecc. tutto questo emporio di sentimentalismo moderno mi hanno stancato. Anzi, tutta l’arte moderna mi pare vecchia. Voglio del nuovo, dell’espressivo, del formidabile! Vorrei cancellare tutti i valori che conoscevo che conosco e che sto perdendo di vista, per rifare, ricostruire su nuove basi! Tutto il passato, meravigliosamente grande, m’opprime io voglio del nuovo! E mi mancano degli elementi per concepire a che punto si è, e di cosa si ha bisogno.
Con che cosa far questo? col colore? o col disegno? con la pittura? con tendenze veriste che non mi soddisfano più, con tendenze simboliste che mi piacciono in pochi e che non ho mai tentato? Con un idealismo che mi attrae e che non so concretare?
Mi sembra che oggi mentre l’analisi scientifica ci fa vedere meravigliosamente l’universo, l’arte debba farsi interprete del risorgere poderoso, fatale d’un nuovo idealismo positivo. Mi sembra che l’arte e gli artisti siano oggi in conflitto con la scienza... C’è un malinteso. È vero questo che dico o mi sbaglio?
È una verità che se fantasticamente potessi andare in luogo affatto nuovo dopo un lungo lavoro farei cose affatto nuove.
Ora io mi senti il frutto del mio tempo e mi sembra che qui in Padova tutto sia vecchio. Questa sensazione la allargo a tutta l’Italia, quasi, meno un po’ dell’alta e ne tiro la conclusione che si vive fuori d’ambiente. L’epoca nostra febbrile fa vecchio e in disuso quello che è stato fatto ieri. Cosa può ispirare se non della semplice tecnica un ambiente che non vive d’oggi? In Italia mi sembra tutto in disuso: un enorme museo per le cose d’arte, un’enorme bottega da rigattiere per quelle d’uso.
Le vie, le linee, le persone, i sentimenti sentono di ieri con l’aggravante dell’odore indefinibile dell’oggi. Noi viviamo in un sogno storico. Questa è la delizia dei forestieri che vengono giustamente a riposarsi, ma fa fremere me al pensiero che gli storici nel secolo XX non parleranno di Italia.


Manifesto tecnico della Pittura Futurista


Nel primo manifesto da noi lanciato l'8 marzo 1910 dalla ribalta del Politeama Chiarella di Torino, esprimemmo le nostre profonde nausee i nostri fieri disprezzi, le nostre allegre ribellioni contro la volgarità, contro il mediocrismo, contro il culto fanatico e snobistico dell'antico, che soffocano l'Arte nel nostro Paese. Noi ci occupavamo allora delle relazioni che esistono fra noi e la società. Oggi invece, con questo secondo manifesto, ci stacchiamo risolutamente da ogni considerazione relativa e assurgiamo alle più alte espressioni dell'assoluto pittorico. La nostra brama di verità non può più essere appagata dalla Forma né dal Colore tradizionali!
Il gesto per noi, non sarà più un momento fermato dal dinamismo universale: sarà, decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale.
Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente. Per persistenza della immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono. Così un cavallo in corsa non ha quattro zampe: ne ha venti e i loro movimenti sono triangolari.
Tutto in arte è convenzione, e le verità di ieri sono oggi, per noi, pure menzogne.
Affermiamo ancora una volta che il ritratto, per essere un'opera d'arte, non può, né deve assomigliare al suo modello, e che il pittore ha in sé i paesaggi che vuol produrre. Per dipingere una figura non bisogna farla; bisogna farne l'atmosfera.
Lo spazio non esiste più: una strada bagnata dalla pioggia e illuminata da globi elettrici s'inabissa fino al centro della terra. Il Sole dista da noi migliaia di chilometri; ma la casa che ci sta davanti non ci appare forse incastonata dal disco solare? Chi può credere ancora all'opacità dei corpi, mentre la nostra acuita e moltiplicata sensibilità ci fa intuire le oscure manifestazioni dei fenomeni medianici? Perché si deve continuare a creare senza tener conto della nostra potenza visiva che può dare risultati analoghi a quelli dei raggi X? […]
Come in tutti i campi del pensiero umano, alle immobili oscurità del dogma è subentrata la illuminata ricerca individuale, così bisogna che nell'arte nostra sia sostituita alla tradizione accademica una vivificante corrente di libertà individuale. Noi vogliamo rientrare nella vita. La scienza d'oggi, negando il suo passato, risponde ai bisogni materiali nostro tempo; ugualmente, l'arte negando il suo passato, deve rispondere ai bisogni intellettuali del nostro tempo.
La nostra nuova coscienza non ci fa più considerare l'uomo come centro della vita universale. Il dolore di un uomo è interessante, per noi, quanto quello di una lampada elettrica, che soffre, e spasima, e grida con le più strazianti espressioni di dolore; e la musicalità della linea e delle pieghe di un vestito moderno ha per noi una potenza emotiva e simbolica uguale a quella che il nudo ebbe per antichi.
Per concepire e comprendere le bellezze nuove di un quadro moderno bisogna che l'anima ridiventi pura; che l'occhio si liberi dal velo di cui l'hanno coperto l'atavismo e la cultura e consideri come solo contro la Natura, non già il Museo!
Allora, tutti si accorgeranno che sotto la nostra epidermide non serpeggia il bruno, ma che vi splende il giallo, che il rosso vi fiammeggia e che il verde, l'azzurro e il violetto vi danzano voluttuosi e carezzevoli!
Come si può ancora vedere roseo un volto umano, mentre la nostra vita si è innegabilmente sdoppiata nel nottambulismo?
Il volto umano è giallo, è rosso, è verde, è azzurro, è violetto. Il pallore di una donna che guarda la vetrina di un gioielliere è più iridescente tutti i prismi dei gioielli che l'affascinano.
Le nostre sensazioni pittoriche non possono essere mormorate. Noi facciamo cantare e urlare nelle nostre tele che squillano fanfare assordanti e trionfali.
I nostri occhi abituati alla penombra si apriranno alle più radiose visioni di luce. Le ombre che dipingeremo saranno più luminose de luci dei nostri predecessori, e i nostri quadri, a confronto di quelli immagazzinati nei musei, saranno il giorno più fulgido contrapposto alla notte più cupa. Questo naturalmente ci porta a concludere che non può sussistere pittura senza divisionismo. Il divisionismo, tuttavia, non è nel nostro concetto un mezzo tecnico che si possa metodicamente imparare ed applicare. Il divisionismo, nel pittore moderno, deve essere un COMPLEMENTARISMO CONGENITO, da noi giudicato essenziale e fatale.
E infine respingiamo fin d'ora la facile accusa di barocchismo, con la quale ci si vorrà colpire. Le idee che abbiamo esposte qui derivano unicamente dalla nostra sensibilità acuita. Mentre barocchismo significa artificio, virtuosismo maniaco e smidollato, l'Arte, che noi preconizziamo è tutta di spontaneità e di potenza.
NOI PROCLAMIAMO:
1. CHE IL COMPLEMENTARISMO CONGENITO È UNA NECESSITÀ ASSOLUTA NELLA PITTURA, COME IL VERSO LIBERO NELLA POESIA E COME LA POLIFONIA NELLA MUSICA;
2. CHE IL DINAMISMO UNIVERSALE DEVE ESSERE RESO COME SENSAZIONE DINAMICA
3. CHE NELL'INTERPRETAZIONE DELLA NATURA OCCORRONO SINCERITÀ E VERGINITÀ;
4. CHE IL MOTO E LA LUCE DISTRUGGONO LA MATERIALITÀ DEI CORPI.
NOI PROCLAMIAMO:
1. CONTRO IL PATINUME E LA VELATURA DA FALSI ANTICHI;
2. CONTRO L'ARCAISMO SUPERFICIALE ED ELEMENTARE A BASE DI TINTE PIATTE, CHE RIDUCE LA PITTURA AD UNA IMPOTENTE SINTESI INFANTILE E GROTTESCA;
3. CONTRO IL FALSO AVVENIRISMO DEI SECESSIONISTI E DEGLI INDIPENDENTI, NUOVI ACCADEMICI D'OGNI PAESE;
4. CONTRO IL NUDO IN PITTURA, ALTRETTANTO STUCCHEVOLE ED OPPRIMENTE QUANTO L'ADULTERIO NELLA LETTERATURA.
Voi ci credete pazzi. Noi siamo invece i Primitivi di una nuova sensibilità completamente trasformata.
Fuori dall'atmosfera in cui viviamo noi, non sono che tenebre. Noi Futuristi ascendiamo verso le vette più eccelse e più radiose, e ci proclamiamo Signori della Luce, poiché già beviamo alle vive fonti del sole.

U. Boccioni, C.D. Carrà, L. Russolo, G. Balla, G. Severini
Milano, 11 aprile 1910


Manifesto tecnico della Scultura Futurista


[…] La pittura s'è rinsanguata, approfondita e allargata mediante il paesaggio e l'ambiente fatti simultaneamente agire sulla figura umana o sugli oggetti, giungendo alla nostra futurista compenetrazione dei piani (Manifesto tecnico della Pittura futurista;11 aprile 1910). Così la scultura troverà nuova sorgente di emozione, quindi di stile, estendendo la sua plastica a quello che la nostra rozzezza barbara ci ha fatto sino ad oggi considerare come suddiviso, impalpabile, quindi inesprimibile plasticamente.
Noi dobbiamo partire dal nucleo centrale dell'oggetto che si vuol creare, per scoprire le nuove leggi, cioè le nuove forme che lo legano invisibilmente ma matematicamente all'infinito plastico apparente e all'infinito plastico interiore. La nuova plastica sarà dunque la traduzione nel gesso, nel bronzo, nel vetro, nel legno e in qualsiasi altra materia, dei piani atmosferici che legano e intersecano le cose. Questa visione che io ho chiamato trascendentalismo fisico (Conferenza sulla Pittura futurista al Circolo Artistico di Roma; Maggio 1911) potrà rendere plastiche le simpatie e le affinità misteriose che creano le reciproche influenze formali dei piani degli oggetti. La scultura deve quindi far vivere gli oggetti rendendo sensibile, sistematico e plastico il loro prolungamento nello spazio, poiché nessuno può più dubitare che un oggetto finisca dove un altro comincia e non v'è cosa che circondi il nostro corpo: bottiglia, automobile, casa, albero, strada, che non lo tagli e non lo sezioni con un arabesco di curve e di rette.
Due sono stati i tentativi di rinnovamento moderno della scultura: uno decorativo per lo stile, l'altro prettamente plastico per la materia. Il primo, anonimo e disordinato, mancava del genio tecnico coordinatore, e, troppo legato alle necessità economiche dell'edilizia, non produsse che pezzi di scultura tradizionale più o meno decorativamente sintetizzati e inquadrati in motivi o sagome architettoniche o decorative. Tutti i palazzi e le case costruite con un criterio di modernità hanno in loro questi tentativi in marmo, in cemento o in placche metalliche. Il secondo, più geniale, disinteressato e poetico, ma troppo isolato e frammentario, mancava di un pensiero sintetico che affermasse una legge. Poiché nell'opera di rinnovamento non basta credere con fervore, ma occorre propugnare e determinare qualche norma che segni una strada.
Alludo al genio di Medardo Rosso, a un italiano, al solo grande scultore moderno che abbia tentato di aprire alla scultura un campo più vasto, di rendere con la plastica le influenze d'un ambiente e i legami atmosferici che lo avvincono al soggetto. […]
Abbiamo quindi nell'opera di questi tre grandi ingegni tre influenze di periodi diversi: greca in Meunier; gotica in La Bourdelle; della rinascenza italiana in Rodin
L'opera di Medardo Rosso è invece rivoluzionaria, modernissima, più profonda e necessariamente ristretta. In essa non si agitano eroi né simboli, ma il piano d'una fronte di donna o di bimbo accenna ad una liberazione verso lo spazio, che avrà nella storia dello spirito una importanza ben maggiore di quella che non gli abbia data il nostro tempo. Purtroppo le necessità impressionistiche del tentativo hanno limitato le ricerche di Medardo Rosso ad una specie di alto o bassorilievo, la qual cosa dimostra che la figura è ancora concepita come mondo a sé, con base tradizionale e scopi episodici. La rivoluzione di Medardo Rosso, per quanto importantissima, parte da un concetto troppo esteriormente pittorico, trascura il problema d'una nuova costruzione dei piani e il tocco sensuale del pollice che imita la leggerezza della pennellata impressionista, dà un senso vivace immediatezza, ma obbliga alla esecuzione rapida dal vero e toglie all'opera d'arte il suo carattere di creazione universale.
Ha quindi gli stessi pregi e difetti dell'impressionismo pittorico, dalle cui ricerche parte la nostra rivoluzione estetica la quale, continuandole, se ne allontana fino all'estremo opposto. In scultura come in pittura non si può rinnovar se non cercando lo stile del movimento, cioè rendendo sistematico e definitivo come sintesi quello che l'impressionismo ha dato come frammentario, accidentale, quindi analitico.
E questa sistematizzazione delle vibrazioni delle luci e delle compenetrazioni dei piani produrrà la scultura futurista, il cui fondamento sarà architettonico, non soltanto come costruzione di masse, ma in modo che il blocco scultorio abbia in sé gli elementi architettonici dell'ambiente scultorio in cui vive il soggetto. Naturalmente, noi daremo una scultura d'ambiente. Una composizione scultoria futurista avrà in sé meravigliosi elementi matematici e geometrici che compongono gli oggetti del nostro tempo. E questi oggetti non saranno vicini alla statua come attributi esplicativi o elementi decorativi staccati, ma, seguendo le leggi di una nuova concezione dell'armonia, saranno incastrati nelle linee muscolari di un corpo. Così, dall'ascella di un meccanico potrà uscire la ruota d'un congegno, così la linea di un tavolo potrà tagliare la testa di chi legge, e il libro sezionare col suo ventaglio di pagine lo stomaco del lettore. […]
Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l'ambiente. Proclamiamo che l'ambiente deve far parte del blocco plastico come un mondo a sé e con leggi proprie; che il marciapiede può salire sulla vostra tavola, e che la vostra testa può attraversare la strada mentre tra una casa e l'altra la vostra lampada allaccia la sua ragnatela di raggi di gesso. Proclamiamo che tutto il mondo apparente deve precipitarsi su di noi, amalgamarsi, creando un'armonia colla sola misura dell'intuizione creativa; che una gamba, un braccio o un oggetto, non avendo importanza se non come elementi del ritmo plastico, possono essere aboliti, non per imitare un frammento greco o romano, ma per ubbidire all'armonia che l'autore vuoi creare. Un insieme scultorio, come un quadro, non può assomigliare che a sé stesso, poiché la figura e le cose devono vivere in arte al di fuori della logica fisionomica. […] Possiamo infine affermare che nella scultura l'artista non deve indietreggiare davanti a nessun mezzo pur di ottenere una realtà. Nessuna paura è più stupida di quella che ci fa temere di uscire dall'arte che esercitiamo. Non v'è né pittura, né scultura, né musica, né poesia, non v'è che creazione! Quindi se una composizione sente il bisogno d'un ritmo speciale di movimento che aiuti o contrasti il ritmo fermato dell'insieme scultorio (necessità dell'opera d'arte) si potrà applicarvi un qualsiasi congegno che possa dare un movimento ritmico adeguato a dei piani o a delle linee. Non possiamo dimenticare che il tic-tac e le sfere in moto di un orologio, che l'entrata o l'uscita di uno stantuffo in un cilindro, che l'aprirsi e il chiudersi di due ruote dentate con l'apparire e lo scomparire continuo dei loro rettangoletti d'acciaio, che la furia di un volante o il turbine di un'elica, sono tutti elementi plastici e pittorici, di cui un'opera scultoria futurista deve valersi.
L'aprirsi e il richiudersi di una valvola crea un ritmo altrettanto bello ma infinitamente più nuovo di quello d'una palpebra animale!

CONCLUSIONI:
1. Proclamare che la scultura si prefigge la ricostruzione astratta dei piani e dei volumi che determinano le forme, non il loro valore figurativo.
2. Abolire in scultura, come in qualsiasi altra arte, il sublime tradizionale dei soggetti.
3. Negare alla scultura qualsiasi scopo di ricostruzione episodica veristica, ma affermare la necessità assoluta di servirsi di tutte le realtà per tornare agli elementi essenziali della sensibilità plastica. Quindi percependo i corpi e le loro parti come zone plastiche, avremo in una composizione scultoria futurista, piani di legno o di metallo, immobili o meccanicamente mobili, per un oggetto, forme sferiche pelose per i capelli, semicerchi di vetro per un vaso, fili di ferro e reticolati per un piano atmosferico, ecc. ecc.
4. Distruggere la nobiltà tutta letteraria e tradizionale del marmo e del bronzo. Negare l'esclusività di una materia per la intera costruzione d'un insieme scultorio. Affermare che anche venti materie diverse possono concorrere in una sola opera allo scopo dell'emozione plastica. Ne enumeriamo alcune: vetro, legno, cartone, ferro, cemento, crine, cuoio, stoffa, specchi, luce elettrica, ecc. ecc.
5. Proclamare che nell'intersecazione dei piani di un libro con gli angoli d'una tavola, nelle rette di un fiammifero, nel telaio di una finestra, v'è più verità che in tutti i grovigli di muscoli, in tutti i seni e in tutte le natiche di eroi o di veneri che ispirano la moderna idiozia scultoria.
6. Che solo una modernissima scelta di soggetti potrà portare alla scoperta di nuove idee plastiche.
7. Che la linea retta è il solo mezzo che possa condurre alla verginità primitiva di una nuova costruzione architettonica delle masse o zone scultorie.
8. Che non vi può essere rinnovamento se non attraverso la scultura d'ambiente, perché con essa la plastica si svilupperà, prolungandosi nello spazio per modellarlo. Quindi da oggi anche la creta potrà modellare l'atmosfera che circonda le cose.
9. La cosa che si crea non è che il ponte tra l'infinito plastico esteriore e l'infinito plastico interiore, quindi gli oggetti non finiscono mai e si intersecano con infinite combinazioni di simpatia e urti di avversione.
10. Bisogna distruggere il nudo sistematico; il concetto tradizionale della statua e del monumento!
11. Rifiutare coraggiosamente qualsiasi lavoro, a qualsiasi prezzo, che non abbia in sé una pura costruzione di elementi plastici completamente rinnovati.

Umberto Boccioni pittore e scultore Milano, 11 aprile 1912.

DIREZIONE DEL MOVIMENTO FUTURISTA: Corso Venezia, 61 - Milano



(A. Soffici Opere, vol. I, Firenze Vallecchi 1959)

ADAMPETONISMO

di Ardengo Soffici

È creata una nuova scuola cooperativa artistica e letteraria: l’Adampetonismo.
Io, Elettrone Rotativi, fatalità profeta motore, ne impartisco a voi, miei fedeli seguaci, i principi fondamentali. Imparateli a memoria, seguiteli puntualmente e il mondo comincerà da voi.


L’ARTE

Che cos’è l’Arte?
L’arte è uno sport del genere della boxe.
C’è fra noi chi ha detto che l’arte è il piacere raffinato della sensibilità che si riflette in un’opera: è dire molto contro la vecchia e anche corrente idea dell’arte missione, dell’arte apostolato; ma l’Adampetonismo non può restare in questi limiti dilettanteschi.
L’Adampetonismo stabilisce dunque che l’arte è lo sfogo di un eccedente d’energia muscolare, esattamente, ripeto, come la boxe e il foot-ball. E di questi due sports deve seguire le norme.

IL PASSATO

Il passato non esiste.
Alcune persone intelligenti, ma non adampetoniste, hanno affermato e dimostrato qualcosa di simile in questi ultimi tempi, argomentando che tutto ciò che sappiamo del passato è quello che possiamo rivivere a ogni momento e stadio della nostra sensibilità. [...]
L’Adampetonismo proclama invece l’abolizione pura e semplice del passato.
L’ignoranza totale di tutto ciò che è stato fatto fin qui è necessaria per creare opere originali. [...]

L’ORIGINALITÀ

Originalità vuol dire inversione, sovvertimento, confusione o esagerazione di forme.
Che sia necessario per essere veramente originali, essersi formata una nuova sensibilità, avere assorbito e fatte proprie le più complesse emanazioni dello spirito artistico, che infine originalità significhi la sfumatura unica, l’essenza propria della nostra personalità, il che vuol dire essere profondamente sinceri – tutte queste cose rigettatele con violenza dalla vostra mente. Tutto ciò non è indispensabile, e basta che le forme siano inusitate.
Quello che non s’è mai vista, che non s’è mai udito, che non s’è mai letto – presentato in quella data forma – quello è originale e regolarmente adampetonistico. [...]

LA MODERNITÀ

Per modernità, l’adampetonista deve intendere meccanismo e cittadino.
Tutto ciò che è meccanico e cittadino è moderno, quello che non è meccanico e cittadino non è moderno.
La modernità non consiste in un modo nuovo di vedere, sentire ed esprimere le cose ma nelle cose stesse.
L’Adampetonismo abolisce la campagna, le tavole, e la candela – la natura. [...]
All’adampetonista basterà, per essere veramente moderno, di vivere in una città, e possedere almeno una bicicletta o una macchinetta a benzina per accendere il sigaro.

POLITICA

[...]
I preadempetonisti non odiano neanch’essi la guerra, e quando la credono necessaria si servono dei loro mezzi naturali, che sono la parola e la scrittura, per premere sul governo, smontare gli argomenti dei pacifisti, persuadere le persone intelligenti, e formare e dirigere l’opinione pubblica; ma tutto ciò deve essere sdegnato e considerato inutile da ogni vero adampetonista. L’adampetonista deve unicamente manifestare pro-guerra. [...]

SINTESI

Sintesi, checchè ne dicano i nostri nemici e anche i nostri amici, significa, come lo indica il nome stesso, sunto, ristretto o compendio. [...]
Se è pittore, l’adampetonista dovrà sforzarsi di racchiudere il maggior numero di cose nel più piccolo spazio possibile della sua tela. A questo fine egli farà bene di non raffigurare che frammenti di cose accatastati gli uni sugli altri. Una mano, una scarpa e un occhio basteranno dunque a raffigurare sinteticamente un corpo umano [...]

SIMULTANEITÀ

Supponiamo che un pittore adampetonista voglia rappresentare simultaneamente un personaggio in mezzo alla campagna: basterà che la testa dell’individuo sia incastrata nelle coscie, una casa lontana nelle sue spalle, gli alberi nelle pareti della stessa casa, lembi verdi dei campi nel piano rosso dei tetti, perchè lo scopo sia raggiunto. [...]

DINAMISMO

[...] la vita, secondo l’Adampetonismo, è tanto più dinamica quanto più mossa. Viaggiare coi treni direttissimi, in automobile, in aeroplano; spostarsi continuamente, parlar presto, amare in due minuti, leggere di un libro il titolo e la firma dello scrittore, non restare più di un trimestre nella stessa casa sono le condizioni necessarie per rivelare uno spirito dinamico, cioè moderno. [...]


IRONIA E SPIRITO

L’Adempetonismo nega sdegnosamente l’ironia e lo spirito nell’opera letteraria, sostituendo ad essi il fanatismo. [...]


ABOLIZIONE DELL’IO

[...] L’Adampetonismo afferma [...] che il centro sensibile è nelle cose stesse, e che l’artista sarà tanto più efficace quanto più [...] si sprofonderà in esse, abdicando la propria personalità, e lasciandole esprimerle coi propri mezzi.
Di qui l’onnipotenza sintetica, simultanea, dinamica, lirica, descrittiva, drammatica dell’onomatopea. [...]
È la postrema verità e con l’avervela rivelata cessa la mia missione, la quale , se produrrà su voi l’effetto che entusiasticamente mi attendo, l’universo entrerà fin da ora in un periodo di splendore artistico quale nessuno ebbe mai l’audacia d’immaginare.
Giacchè [...] il destino ultimo, supremo, definitivo dell’Adampetonismo è [...] di sostituire al Genio in tutto e per tutto e per sempre l’IMBECILLITÀ.






ELETTRONE ROTATIVI

(adampetonista)
da Primi principi di un’estetica futurista
di Ardengo Soffici


IRONIA


L’ironia, che è il coronamento estremo del pensiero e del sapere, il resultato più alto e definitivo di ogni scienza, non è lo spirito animatore dell’arte; ma deve essere necessariamente una delle prime basi di un’estetica nuova.
Per ironia s’intende qui quello stato dello spirito in cui si arriva quando, dopo aver meditato e studiato, cercato e vissuto, si viene a scoprire che la formula capitale della nostra metafisica, lo scopo primo della ricerca speculativa, il gran Problema della nostra più profonda anima: il Senso dei Sensi, non era altro che un – Nonsenso [...]


ACROBATISMO CLOWNISMO


Arrivati a considerare l’arte come un’attività semplice dello spirito immaginativo, senza finalità alcuna, senz’altro scopo che la perfezione del proprio giuoco [...]; stabilito il carattere ironico di ogni forma superiore di creazione artistica, non si incontreranno più grandi difficoltà per riconoscere che l’arte stessa tende insomma a una liberazione suprema, col divenire, alla fine, null’altro che un divertimento. [...]
Si è già capito come tutto ci porti quindi e naturalmente a considerare l’artista, non più come un apostolo, un educatore, come un incitatore a qualche cosa che giovi ad una certa società o all’umanità intera; ma come un acrobata, un saltimbanco, un giocoliere.



(A. Palazzeschi, Tutti i romanzi, vol I, Milano, Mondadori 2004)

da Il controdolore
di Aldo Palazzeschi

«Dio non à né corpo, né mani, né piedi, è un puro e semplicissimo spirito.»
Se uomo volete raffigurarvelo per comodità del vostro cervello […] dunque pensate addirittura ad un uomo come voi e sarete al vostro posto. Perché in peplo e non in tait? Perché in coturno e non con un comune paio di scarpe walk-over? […] Se io me lo figuro uomo, non lo vedo né più grande né più piccino di me. Un omettino di sempre media statura, di sempre media età, di sempre medie proporzioni, che mi stupisce per una cosa soltanto: che mentre io lo considero titubante e spaventato, egli mi guarda ridendo a crepapelle. [...]
Perchè dovrebbe questo spirito essere la perfezione della serietà e non quella dell’allegria? Secondo me, nella sua bocca divina si accentra l’universo in una eterna motrice risata. [...]
Se credete sia profondo ciò che comunemente si intende per serio siete dei superficiali. [...] Bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui attualmente si piange [...].L’uomo non può essere considerato seriamente che quando ride. [...]
Il soliloquio di Amleto, la gelosia di Otello, la pazzia di Lear, le furie di Oreste, la fine di Margherita Gautier, i gemiti di Osvaldo, veduti e ascoltati da un pubblico intelligente devono suscitare le più clamorose risate.
Fissate bene in viso la morte ed essa vi fornirà tanto da ridere per tutta la vita. Io affermo essere nell’uomo che piange, nell’uomo che muore, le massime sorgenti della gioia umana.
Bisogna educare al riso i nostri figli, al riso più smodato, più insolente [...]. Gli forniremo giuocattoli educativi, fantocci gobbi, ciechi, cancrenosi, sciancati, etici, sifilitici, che meccanicamente piangano e gridino e si lamentino, vengano assaliti da epilessia, peste, colera, emorragie, emorroidi, scoli follia, svengano rantolino muoiano. [...]
Si faranno nel cortile della scuola falsi funerali: le bare verranno, dopo l’estrema benedizione del cadavere, scoperte e trovate piene di dolciumi o di figurine per i più piccoli, o partiranno da esse centinaia di topolini prima bianchi poi grigi poi neri, o il cadavere sarà di pasta frolla per i più grandi, di cioccolata per i piccoli ed essi se ne contenderanno allegramente le membra. […] Oh! I baccanali dei nuovi funerali! I ritorni dai cimiteri, nuovi carnevali, gli spettacoli negli ospedali, teatri delle nuove generazioni!
Combattiamo dunque una educazione falsa e sbagliata, il rispetto umano, la compostezza, la linea, la bellezza, la giovinezza, la ricchezza, la libertà! [...]
D’ora in poi, pensate, tutta la vostra vita sarà una serie interminabile di sgambetti [...]. Non vi fermate a nessun grado del deforme, del vecchio, essi non hanno come il bello e il giovane un limite; essi sono infiniti. [...] Invece di far mettere la parrucca alla vostra compagna, se non è calva del tutto voi la farete radere fino alla lucidità, e fatele imbottire la schiena se non è proprio gobba.
Sganasciata sia la mobilia della vostra casa; sedie, letti, tavolini che cadono, che si rovesciano, che s’infrangono. [...]
Venite! Venite! Nuovi eroi, nuovi genii della risata sbucate nelle nostre braccia che vi attendono, fra le nostre bocche che ridono ridono ridono, fuori dalla macchia pungente del dolore umano. [...]
Noi futuristi vogliamo guarire le razze latine, e specialmente la nostra, dal Dolore cosciente [...]
Combattere il dolore fisico e morale con la loro stessa parodia [...]
Trasformare gli ospedali in ritrovi divertenti, mediante five o’ clock teas esilarantissimi, café-chantants, clowns. Imporre agli ammalati delle fogge comiche, truccarli come attori, per suscitare fra loro una continua gaiezza. I visitatori non potranno entrare nei palchetti delle corsie se non dopo essere passati per un apposito istituto di laidezza e di schifo, nel quale si orneranno di nasi foruncolosi, di finte bende, ecc., ecc.
Trasformare i funerali in cortei mascherati, predisposti e guidati da un umorista che sappia sfruttarne tutto il grottesco del dolore. [...]
Non ridere nel vedere uno che ride (plagio inutile), ma saper ridere nel vedere uno che piange. [...]
Trasformare i manicomi in scuole di perfezionamento per le nuove generazioni.