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Testi di mistici sufi



lunedì 16 maggio 2005 legge Giuseppe Scattolin
Il sufismo, o gnosi islamica, è l’affermazione più universale di quella sapienza perenne che si colloca al centro dell’Islam, e in realtà si trova in tutte le religioni in quanto tali “ (Hossein Nasr).

Un approccio alla storia e ai temi del sufismo, che hanno influenzato profondamente l’arte, la letteratura e la cultura popolare dell’intero mondo islamico, rivela sintonie spesso sorprendenti con la tradizione mistica
cristiana.
La lettura si snoda attraverso testi di alta qualità poetica, oltre che spirituale, ed autori che hanno testimoniato anche con il martirio una coscienza umana “libera di fronte al Libero [Dio]”.
Dunque, una lettura inattuale, in un’epoca di “rabbie e orgogli”, fatta di chiusure, minacce, guerra. Ed è anche una lettura molto rigorosa, perché si chiama fuori dal supermarket new age del momento e non abdica alla “fatica della ragione” e della conoscenza.
Perché per il bene di tutti, di qua e di là dal mare, non prevalgano le crociate dell’ignoranza, ma i valori universali di amore, dialogo, pace –quelli ad esempio che avvicinano san Francesco e Ibn ‘Arabî.

Giuseppe Scattolin, missionario comboniano, è un islamista illustre e uno dei massimi esperti della mistica islamica sul piano internazionale.Momentaneamente in Italia (Roma), ha accettato gentilmente l’invito della Bottega dell’Elefante.


Fondamento e dinamica del sufismo

Dio è la direzione (qibla) dell’intenzione (niyya),
l’intenzione è la direzione del cuore (qalb),
il cuore è la direzione del corpo (jism),
il corpo è la direzione delle membra,
le membra sono la direzione dell’universo creato (kawn).

Questo detto, attribuito a Sahl al-Tustarî (m.283/896), ben esprime la dinamica che ha mosso tutta la storia della mistica islamica, il sufismo: cioè la trensione verso Dio, tensione che va dall’esterno verso l’interno, e di lì si trascende in Dio.
Il fondamento primo o punto di partenza del movimento sufi in Islam deve essere ricercato prima di tutto nella stessa professione della legge islamica, cioè la testimonianza dell’assoluta Unità e Unicità di Dio (tawhîd): “Non c’è dio se non il Dio (Allâh)”. Tale fede è vissuta dai sufi fin dall’inizio all’interno delle formulazioni che essa ha ricevuto nel testo sacro dell’Islam, il Corano, al punto che si può parlare di una vera e propria ‘coranizzazione’ del linguaggio religioso dell’Islam, e della lingua araba in primo luogo, ma poi anche delle lingue dei popoli che hanno adottato lIslam come religione.
Accanto al Corano vanno poste le tradizioni attribuite al profeta dell’islam, Muhammad; esse pure sono importanti fonti per l’esperienza e il pensiero dei sufi. Questi fondamenti del sufismo non smpre sono tenuti sufficientemente presenti, e molte volte sfuggono a chi si accosta all’Islam solo attraverso traduzioni più o meno fedeli di alcuni testi sufi.
Occorre tuttavia aggiungere che l’Islam, nel corso della sua storia ha subito anche molte influenze da parte delle varie culture con cui è venuto in contatto: prima di tutto il Cristianesimo e l’Ebraismo, poi anche le altre culture in cui è esso penetrato in modo sia bellicoso che pacifico. Ma occorre pure sottolineare che, nonostante le varietà delle sue vicende epocali, l’Islam, e con esso il sufismo, ha conservato senza dubbio la sua dinamica fondamentale di tensione verso l’unità di Dio mediata dalle sue formule di fede coranica. E’ proprio tale dinamica che alla fine si rivela essere il centro unificante di tutto il movimento religioso dell’Islam. Ed è nella sua storia concreta che il sufismo ha sviluppato e mostrato le sue possibilità interiori. […] La storia del sufismo si presenta, e deve quindi essere considerata, come la vera fenomenologia del sufismo.

I momenti più significativi della storia del sufismo

Il movimento ascetico (secc.I-II/VII-VIII)
La prima manifestazione del sufismo si ha nel movimento ascetico dei primi secoli dell’Islam. Tale movimento sorse come reazione alla vita di lusso e corruzione delle corti di califfi e principi musulmani, arricchiti dalle recenti conquiste islamiche. Esso rappresentò una protesta di fedeltà per un ritorno al primitivo messaggio coranico contro la sua mondanizzazione e corruzione operate dall’Islam politico delle conquiste e delle guerre. Tipico rappresentante di questo movimento ascetico fu al-Hasan al-Basrî (m.110/728), il grande predicatore di Basra (odierna Bassora in Iraq). Suoi temi preferiti erano: la conversione, la rinuncia al mondo, la scrupolosa osservanza della legge religiosa, l’esame di coscienza, la paura del giudizio di Dio, la contrizione continua ecc. Questi temi ascetici verranno ripresi e sviluppati dai sufi dei secoli successivi e costituiranno una delle tappe fondamentali e tratto permanente del cammini interiore sufi.

L’inizio della via dell’amore (secc. II-III/VIII-IX)
Già con il II/VIII secolo il tema dell’amore assoluto per Dio prende sempre più posto nella mistica islamica fino a divenire uno dei suoi temi centrali. Tipica rappresentante di tale orientamento fu una donna, la nota mistica Râbi’a al-‘Adawiyya (m.185/801). Essa fu la prima tra i mistici ad esprimere l’esperienza dell’amore assoluto ed esclusivo per Dio solo, amore che esige la rinuncia radicale ad ogni cosa di questo mondo come pure ad ogni ricompensa (Paradiso) o timore di castigo (Inferno) nell’aldilà. [ …] La formula di fede coranica “Non c’è dio se non il Dio (Allâh) si traduce in questa sufi in “Non c’è amato (mahbûb) se non il Dio (Allâh).

Verso la mistica dell’unione (secc.III-IV/IX-X)
A partire dal III/IX secolo si nota che molti sufi prendono sempre più coscienza che la via dell’amore, perseguita fino alle estreme esigenze, porta necessariamente all’unione: l’amante non può che desiderare una cosa sola, l’unione con l’Amato, e questa unione è tanto più profonda quanto più è grande l’amore che la origina, qual è l’amore di Dio: Temi e speculazioni sull’unione con Dio, le sue cause e i suoi effeti si sviluppano sempre più in questo periodo. Uno dei maggiori rappresentanti di tale corrente fu senz’altro il sufi e martire al-Husayn b.Mansûr al Hallâj (m.309/922). Egli ha realizzato un’interessante sintesi tra esperienza personale e speculazione sufi. Sviluppando il tema dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, al-Hallâj ha evidenziato che l’amore è il centro delle relazioni tra Dio e l’uomo, dato che l’amore in Dio è “l’essenza della sua essenza”. L’amore, poi, porta all’unione: l’io del sufi viene completamente assorbito da Dio, percepito ora come l’unico vero agente su tutto ed in tutto. La formula di fede coranica “Non c’è dio se non il Dio”, attraverso la tappa di “Non c’è amato se non il Dio”, è divenuta ormai, sulla scorta delle speculazioni di al-Junayd (m.298/910), maestro di al-Hallâj, “Non c’è agente se non il Dio”. Su tale base al-Hallâj poté esclamare “Io sono la Verità-Realtà (haqq)”, espressione che gli costò il martirio per crocefissione, da lui accettato come segno supremo della verità della sua esperienza mistica. […]
Al-Hallâj ha posto, in maniera vistosamente chiara, la problematica del vero e autentico tawhîd: l’affermazione dell’Unità divina non può essere ridotta ad una proclamazione esterna quasi si trattasse di un’unità numerica applicata a Dio, come succede nella maggior parte dei comuni credenti. Del resto al-Junayd (m.298/910), il maestro di al-Hallâj, aveva già avvertito dell’aporia del vero tawhîd: “Quanto più le menti umane si avventurano verso gli estremi limiti del tawhîd, tanto più si avventurano nella perplessità”[…]
Tale problematica continuerà ad essere, anche se non sempre in modo esplicito, una costante della ricerca sufi nei secoli posteriori al martirio di al-Hallâj.[…] Egli è stato, inoltre, uno dei più grandi rappresentanti del sufismo che chiameremo ‘estatico’. In esso il sufi cerca un contatto diretto con il ‘Tu’ divino al di là di tutte le mediazioni, fossero pure le più sacre come il Corano e le pratiche religiose. […] Tale tipo di sufismo estatico è stato anche il più soggetto alle vessazioni della censura ufficiale dei dottori della legge islamica, al punto che i sufi hanno coniato in proposito un noto adagio, frutto di amare esperienza storiche: “Sotto la penna di ogni giudice c’è la testa di un sufi che cade”.

Il sufismo sunnita (secc. IV-V/X-XI)
Dopo la tragedia di al-Hallâj il movimento sufi sentì il bisogno di riesaminare la propria esperienza alla luce della tradizione islamica ortodossa, il sunnismo, e di riconciliarsi con essa. In tale epoca appaiono i primi manuali sul sufismo, trattati e biografie di tono chiaramente apologetico, tesi cioè a dimostrare l’accordo profondo che esiste tra l’esperienza sufi, ormai da tempo sviluppata nell’Islam, e la legge islamica (sharî’a), legge che deve regolare tutto l’essere umano nel suo credere ed agire. […]
Il più importante rappresentante di tale corrente sunnita fu senza dubblio il grande telogo ash’arîta Abû Hâmid al-Ghazâlî (m.505/1111), che per la sua indiscussa ortodossia du soprannominato ‘la prova dell’Islam’. Al-Ghazâlî intese circoscrivere l’esperienza sufi nei limiti consentiti dall’ortodossia islamica, condannando tutte le esagerazioni di quei sufi che, come al-Hallâj, parlavano di unione con Dio intesa nel senso più reale del termine. Si può notare tuttavia in al-Ghazâlî una certa ambiguità. Sotto la facciata del rigido ortodosso sunnita, sembra che celasse un insegnamento esoterico, mutuato da varie fonti filosofiche (soprattutto neoplatoniche) e religiose (come la filosofia dell’illuminazione, l’iranismo, le correnti gnostiche ecc.). In molti passi egli infatti continua a ripetere che non è opportuno render pubbliche certe verità dei sufi, pena la condanna capitale. E’ importante comunque il fatto che al-Ghazâlî abbia posto l’amor di Dio al sommo del cammino sufi, che a sua volta rappresenta nel suo pensiero l’apice della vita religiosa dell’Islam. […]

Nel mare delle manifestazioni divine (sec. VI-VII/XII-XIII)
Già da tempo, a cominciare dal secolo III/X, molte correnti di pensiero filosofico e religioso come il neoplatonismo, lo gnosticismo, l’ermetismo erano entrate a far parte del pensiero islamico. Ma fu in particolare durante i secoli VI-VII/XII-XIII che la loro influenza apparve in modo più chiaro anche nel pensiero sufi. Il sufismo venne acquistando sempre più il carattere della speculazione filosofica orientata, in maniera più o meno esplicita, verso un monismo espresso in vari modi: il Tutto è Uno; solo Dio è il Reale-Vero; il mondo e l’universo creato non sono che l’insieme delle manifestazioni dell’Essenza divina, la quale, pur rimanendo in se stessa inconoscibile e inattingibile, si dispiega e si manifesta in un’infinita varietà e molteplicità di forme che compongono i vari livelli dell’essere. […] In tale visione, l’essere umano viene concepito come il microcosmo, cioè come lo specchio di tutti gli attributi divini e la somma di tutte le qualità cosmiche, infine come la sintesi di tutte le manifestazioni divine. Tale speculazione raggiunge la sua massima espressione nell’idea dell’’Uomo perfetto’ (al-insân al-kâmil) che costituirà l’oggetto delle riflessioni e ricerche dei sufi nei secoli successivi sino ai giorni nostri.
Il più insigne rappresentante di questo sufismo filosofico è stato senza dubbio il sufi andaluso Muhyî al-Dîn Ibn ‘Arabî (m.638/1240) che per la profondità e la vastità della sua sintesi fu soprannominato ‘il massimo Maestro sufi. […] Egli stesso si è autoproclamato ‘il sigillo della santità suprema’, che è il più alto grado del mondo degli gnostici sufi (‘ârifûn) nell’Islam.
Un aspetto importante della visione sufi di Ibn ‘Arabî è l’universalismo dell’amore e della conoscenza degli gnostici. Lo gnostico, nella visione di Ibn ‘Arabî, è colui che vede in tutto, soprattutto nella molteplicità delle religioni, il fluire delle manifestazioni divine. In tale visione anche l’amore sufi diventa un amore cosmico, universale, che abbraccia il tutto, perché tutto è, in gradi differenti, manifestazione della stessa Essenza divina. Su tale fondamento Ibn ‘Arabî poteva esprimersi in questi famosi versi:

Ora il mio cuore è capace di accogliere ogni forma:
esso è convento dei monaci e tempio degli idoli.

E’ prato delle gazzelle e la Ka’ba del pellegrino,
le tavole della Torah e il testo del Corano.

Mia religione è l’Amore, ovunque portino le sue cavalcature:
l’Amore è la mia religione e la mia fede.

Questo tipo di sufismo monista e universalista fu pure la sorgente di ispirazione dei più grandi poeti sufi, alcuni dei quali largamente conosciuti anche in Occidente, come l’egiziano ‘Umar Ibn al-Fârid (m. 632/1235) ed il persiano Jalâl al-Dîn Rûmî (m.672/1273), il turco Yunes Emrè (m.721/1321) e moltissimi altri poeti e scrittori musulmani, che hanno attinto a questo tipo di sufismo a tendenza monistica e universale lasciandoci opere di alto livello artistico. Il sufismo infatti è sempre stato una delle grandi fonti dell’arte islamica in tutti i campi.
Infine occorre accennare al fatto che grandissima è stata l’influenza di Ibn ‘Arabî sul sufismo posteriore fino ai giorni nostri, tanto che è assai diffusa la tendenza o la moda di considerare il sufismo di Ibn ‘Arabî come la sintesi di tutto il sufismo, anzi la quintessenza di tutte le mistiche di tutte le religioni. […] In realtà questo tipo di sufismo può essere qualificato, a nostro parere, come ‘il sufismo delle mediazioni’. Esso infatti concentra tutto il suo interesse nella contemplazione e assimilazione delle manifestazioni divine, cioè nel ‘perdersi nel mare delle manifestazioni divine’, fino a identificarsi totalmente con esse. […]
Infine, occorre ricordare che la dottrina di Ibn ‘Arabî è stata largamente adottata, in modo molte vole esoterico, dalle numerose confraternite, ordini o vie sufi (turuq sûfiyya) che costituiscono fino ai giorni nostri la più visibile manifestazione del sufismo nell’Islam.

Gli ordini sufi, “turuq”
Da tempo il sufismo si era venuto organizzando in gruppi di persone che seguivano gli insegnamenti di qualche famoso maestro spirituale. Ma fu soprattutto durante i secoli VI-VII/XII-XIII che gli ordini o le vie sufi conobbero la più grande fioritura. […]
Queste confraternite sufi si sono venute organizzando attorno a un maestro di riconosciuta esperienza, adottando undeterminatoordine o regola di vita, ritmato da particolari pratiche spirituali e da un certo tipo di vita comune, anche se i loro membri sono perlopiù persone sposate, che esercitano un lavoro o una professione. Col passare del tempo, questo ordini sufi si sono organizzati sempre più, divenendo importanti centri spirituali in tutto il mondo islamico. […]
Le confraternite sufi ebbero inoltre, e hanno, un ruolo molto importante nell’educazione e formazione dei credenti e nell’inculturazione dell’Islam nei vari popoli. Si può dire che è attraverso gli ordini sufi che l’Islam si è adattato alle differente culture in cui è penetrato adottandone le caratteristiche locali: africane, cinesi, indonesiane ecc. Ed è pure attraverso gli ordini sufi che le varie culture hanno apportato all’Islam i loro colori locali, arricchendo con la varietà delle loro espressioni una pratica religiosa che è in se stessa rigidamente regolata da una legge uniforme in tutto il mondo islamico.
Così, mediante un’efficace organizzazione, gli ordini sufi acquistarono potere e prestigio tanto da giocare importanti ruoli politici nelle società islamiche. Per tale motivo i riformisti musulmani moderni dal XIX secolo in poi hanno preso in genere una posizione ostile verso i vecchi ordini sufi, causa, secondo loro, dell’arretratezza mentale e materiale delle società islamiche.
Recentemente questi ordini sufi sono divenuti anche oggetto di attacco da parte delle correnti ‘fondamentaliste’ dell’Islam contemporaneo. Queste ultime si rifanno volentieri alla vecchia polemica anti-sufi presente nell’Islam fin dal secolo III/IX, epoca in cui sono apparse le prime opposizioni al sufismo da parte dei ‘dottori della legge’. […] Sulla scorta di tali condanne storiche queste correnti ‘fondamentaliste’ condannano gli ordini sufi e le loro pratiche spirituali come deviazioni fuorvianti dalla purezza dell’Islam originario, quello codificato dalle scuole tradizionali della legge islamica. La stretta e letterale applicazione della sharî’a fa parte degli slogan di tali correnti dell’Islam contemporaneo.
Non è possibile dilungarci ulteriormente sulla fenomenologia storica del sufismo. Queste brevi e generali linee bastano per dare un’idea della ricchezza, varietà e problematicità di questo movimento spirituale dell’Islam. In tale schematica esposizione abbiamo voluto mettere in luce alcuni temi fondamentali che costituiscono il retaggio permanente del movimento sufi nell’Islam: l’ascesi, l’amore, l’unione, le manifestazioni divine, l’’Uomo perfetto’, le vie sufi.

La struttura del cammino sufi

L’esperienza sufi è stata assai presto oggetto di analisi e di classificazioni nei numerosi trattati sufi. […] Il sufi nel suo cammino mistico deve passare per tre stadi o tappe fondamentali:

la legge, “sharî’a”: essa è la ‘strada’ (questo è il senso primo del termine arabo) stabilita e rivelata da Dio agli uomini e che nessuno può quindi cambiare. […]

la via, “tarîqa”: essa è la ‘via’ (questo è il senso primo del termine arabo), cioè un metodo di vita che il fedele segue per vivere la legge divina secondo le intenzioni pù profonde intese da Dio. In questa tappa prevale lo sforzo ascetico attraverso cui il principiante cerca di purificare il proprio cuore per renderlo disponibile all’azione di Dio […]

la Verità-Realtà, “haqîqa”: è la tappa finale e consiste nella ‘scoperta’ o ‘rivelazione’ della suprema realtà di Dio, termine ultimo di tutti i simboli religiosi. Il sufi è quindi chiamato a passare dall’esteriorità delle forme all’esperienza personale e viva, al ‘gusto’ della Realtà divina, fonte della vera conoscenza sufi. […]

Questa divisione del cammino sufi in tre stadi o tappe viene fatta corrispondere ai tre livelli fondamentali dell’essere umano, che secondo una comune antropologia sufi sono: anima (nafs), cuore (qalb) ed intimo segreto, spirito (sirr, rûh).

Anche per il sufismo rimane assodato che la Realtà-Verità Assoluta, Dio, non può essere definita in leggi o formule: essa sorpassa di gran lunga quanto l’essere umano può pensare, immaginare, sperare. Ma soprattutto è chiaro che l’incontro con Lui comporta un cambiamento radicale dell’essere umano: i suoi limiti creaturali sono in qualche modo infranti, perché il sufi avanza in una realtà illimitata, in un mare di cui non vede le sponde. Quante volte l’immagine del ‘naufragare in questo mare’ ritorna nelle espressioni sufi! C’è chi parla solo di una vicinanza trasformante di Dio (al-Ghazâlî), c’è chi parla di un annientarsi in Dio (al-Junayd), ma c’è anche chi parla di un’inabitazione di Dio nel cuore del suo servo (al-Hallâj) o di una unione con Lui (Ibn ‘Arabî). Queste espressioni hanno molte volte scandalizzato i rigidi assertori della pura lettera della legge, ma per i sufi erano solo balbettamenti per esprimere una realtà che sorpassa ogni espressione umana. […] Uno dei più originali fra loro, al-Niffarî, ha bene espresso tale asintotica tensione tra esperienza o visione interiore ed espressione o lettera esteriore, nel suo famoso detto: “Quanto più la visione si allarga, tanto più l’espressione si restringe”. 1 

Testi

Il Corano 2

La sura “aprente” (fâtiha) (C 1, 1-7)

Nel nome di Dio,
il clemente (rahmân) e il misericordioso (rahîm).
Lode a Dio, il Signore dei mondi;

il clemente e il misericordioso; 
il Re del giorno del giudizio.

Te solo adoriamo, da Te solo cerchiamo aiuto.

Guidaci sul retto sentiero,
il sentiero di coloro cui hai elargito la Tua grazia,
coloro contro i quali non sei adirato
e non sono deviati nell’errore.

Riflessione sui segni di Dio (C 3, 190-194)

Nella creazione dei cieli e della terra
e nell’alternarsi della notte e del giorno
ci sono segni (âyât) per coloro che ragionano.

Questi si ricordano (dhikr) di Dio
quando sono in piedi, o seduti,
o coricati sui loro fianchi.
Essi riflettono sulla crazione del cielo e della terra,
(e pregano):
“O Signore nostro!
No, Tu non hai crato tutto ciò per niente!
Tu sei sommamente glorioso!
Preservaci dai tormenti del fuoco (dell’inferno).

O Signore nostro, coloro che Tu fai entrare nel fuoco
li coprirai di ignominia,
e gli iniqui non avranno chi li aiuti.

O Signore nostro, noi abbiamo sentito un araldo
che chiamava alla fede:
‘Credete nel vostro Signore!’.

O Signore nostro, ecco che noi abbiamo creduto:
perdona le nostre colpe,
cancella le nostre cattive azioni,
facci morire con il giusti!

O Signore nostro,
donaci quello che hai promesso
per mezzo dei tuoi inviati!
Non coprirci di ignominia nel giorno della risurrezione!
Tu non vieni meno alle tue promesse!”.

Râbi’a al-‘Adawiyya (m.185/801)
Amare Dio per se stesso

O mio Dio!
Tutto il bene che hai decretato per me in questo mondo
donalo ai tuoi nemici.
Tutto quello che hai preparato per me in Paradiso
donalo ai tuoi amici.
Io invece non cerca che Te solo.

O mio Dio!
Se Ti ho adorato per paura dell’Inferno,
bruciami nel suo fuoco.
Se Ti ho adorato per la speranza del Paradiso,
privami di esso.

Ma se non Ti ho adorato che per Te solo,
non privarmi della contemplazione del Tuo volto.

Dhû l-Nûn al-Misrî (m. 245/859)
Le creature proclamano l’unicità di Dio

O mio Dio,
non ho mai inteso il grido di un animale,
né il fruscio delle fronde degli alberi
né il mormorio dell’acqua
né il soave canto degli uccelli,
né percepito il dolce invito dell’ombra,
o il sibilo del vento, o il fragore del tuono,

senza constatare che essi testimoniano della Tua Unicità,
che nulla al mondo è uguale a te,
che Tu domini e non sei dominato,
che Tu tutto sai e niente ignori,
che Tu sei misericordioso
e non opprimi con i tuoi rimproveri,
che Tu sei giusto e non commetti ingiustizia,
che Tu sei veritiero e non menti mai.

Yahyâ Ibn Mu’âdh al-Râzî (m. 258/871)
Dio, mio unico sostegno

O mio Dio,
il mio argomento presso di Te
è il mio bisogno di Te;

la mia risorsa per venire a Te
è la mia povertà;
il mio mezzo per raggiungerTi
è il dono della Tua grazia per me;
il mio intercessore presso di Te
sono i Tuoi benefici per me.

O mio Dio,
come gioire, dato che Ti ho offeso?
Come non gioire, dato che Ti ho conosciuto?
Come invocarti, dato che sono peccatore?
Come non invocarti, dato che Tu sei il Generoso?

Al-Hallâj (m.309/922)
Labbayka, labbayka: Eccomi a Te, eccomi a Te
(parole che il pellegrino pronuncia arrivando alla meta del suo pellegrinaggio)

Quando, come pellegrino, al-Hallaj si fu avvicinato al territorio sacro, pregò così:

Eccomi a Te, eccomi a Te,
mio segreto e mio confidente.
Eccomi a Te, accomi a Te,
mio fine e mio significato.
Io Ti invoco,
no, sei Tu che mi chiami a Te.
Sono io che Ti invoco,
o sei Tu che parli a me, nel mio intimo?

O essenza dell’essenza della mia esistenza!
O termine ultimo del mio agognare!
O Tu, mia parola, mia espressione, mio balbettare!

O tutto del mio tutto!
Mio udito, mia vista, mia totalità;
mia totalità e mie parti!

O Tutto del mio tutto!
Il Tutto del Tutto è rivestito di mistero,
e il Tutto del Tuo Tutto si è rivestito del mio spirito!

O Tu!
In Te il mio spirito è come sospeso,
ormai consumato nell’estasi.
[…]

Perdona loro! 3

“Quando al –Husayn Ibn Mansûr (al-Hallâj) fu condotto sul luogo della crocefissione, guardò il legno e i chiodi e rise tanto forte che gli vennero le lacrime agli occhi. Voltosi verso la folla, vide tra loro al-Siblî (un suo compagno sufi) e gli chiese: “O Abû Bakr, hai con te il tappeto per la preghiera?”. Gli rispose: “Certamente, maestro!”. “Stendilo per me!”, gli ordinò.
Al-Siblî stese il tappeto e al-Husayn Ibn Mansûr compì la preghiera con due prostrazioni. Io ero lì, vicino a lui. Durante la prima prostrazione recitò la fâtiha e le parole dell’Altissimo: “Certamente vi metteranno alla prova con la paura e la fame” (C 2, 155). Alla seconda prostrazione recitò pure la fâtiha del Libro e le parole di Dio l’Altissimo: “Ogni essere umano gusterà la morte” (C 3, 185). Terminata la preghiera disse molte cose che ora non ricordo. Fra l’altro proclamò questa preghiera:

“O Dio,
Tu ti manifesti da ogni parte,
e ti nascondi pure da ogni parte.

Ti scongiuro
per il sostegno che Tu dai
alla mia realtà
e per il sostegno che io do
alla Tua realtà;
ma il Tuo operare è diverso dal mio:
il Tuo è divino, mentre il mio è umano.
[…]

Io Ti prego:
per la realtà della tua eternità
che copre la mia temporalità,
e per la realtà della mia temporalità
avvolta nelle pieghe
della tua eternità;
concedimi di ringraziarTi
per questa grazia che mi concedi.

Tu
Hai nascosto agli altri
I tratti del Tuo volto
E hai proibito loro
Ciò che a me hai concesso:
di gettare il mio sguardo
nelle profondità del Tuo Mistero.

Ecco!
I tuoi servitori si sono riuniti
Per uccidermi,
perché zelanti della tua religione
e desiderosi di avvicinarsi
a Te!

Perdona loro!
Poiché se Tu avessi rivelato ad essi
Ciò che a me hai rivelato,
non avrebbero agito
come hanno agito.
E se Tu avessi nascosto a me
Ciò che hai nascosto a loro,
non sarei stato messo 
a questa prova.

Lode a Te per quello che Tu fai!
Lode a Te per quello che Tu decreti!”.
[…] 2

Muhyî al-Dîn Ibn ‘Arabî (m.638/1240)
Invito all’amore

O mio diletto, ascolta!
Io sono la realtà del mondo,
il suo centro e la sua circonferenza,
le sue parti e il suo tutto.

Io sono la volontà fissata fra il cielo e la terra,
non ho creato in te la sua percezione
se non per essere io stesso oggetto della mia percezione.

Se dunque tu mi percepisci, percepisci te stesso,
ma non riusciresti a percepirmi attraverso te stesso.

E’ attraverso il mio occhio
che tu vedi me e vedi te stesso, 
non è col tuo occhio che puoi percepirmi.

O mio diletto,
quante volte ti ho chiamato
e tu non mi hai sentito!

Quante volte mi sono mostratoa te
e tu non mi hai visto!
Quante volte mi sono trasformato in soavi effluvi
e tu non te ne sei accorto!
Quante volte in cibo squisito
e tu non l’hai gustato!

Perché non puoi raggiungermi
attraverso gli oggetti che tocchi,
o respirarmi attraverso i profumi?
Perché non mi vedi?
Perché non mi senti?
Perché? Perché? Perché?

Per te le mie delizie superano
tutte le altre delizie,
e il piacere che ti procuro supera
tutti gli altri piaceri.

Per te sono preferibile
a tutti gli altri beni.
Io sono la bellezza,
io sono la grazia.

O mio diletto, amami!
Ama me solo, amami d’amore!
Nessuno ti è più intimo di me!
[…]

Jalâl al-Dîn Rûmî
Quando sarà?…

Quando sarà che questa gabbia divenga un giardino fiorito,
e degna divenga ch’io vi passeggi in letizia?

Quando questo veleno mortale si farà miele
e questa spina pungente sarà gelsomino?
Quando quella luna di quattordici giorni
sarà stretta al mio seno?
Quando l’invidioso maligno sarà triste e scornato?

Quando il sole ci proteggerà dai suoi raggi?
Quando quel cero resterà nel mio candeliere?

Quando quel liuto di gioia troverà nuovi accordi
e questo orecchio si adatterà al tan-tan del suo ritmo?

Quando nel campo del cielo avremo raccolti
di Luna e di Spica?
Quando la luce di Canopo brillerà sullo Yemen?

Quando le giare del vino d’amore traboccheranno
e sarà il momento di saporosi festini e banchetti?

Quando il Simorgh delle nostre brame arriverà dai monti Qaf
e cadrà nella rete di un Shibli e di un Abu l-Hasan?

Quando ogni atomo di pulviscolo diverrà come un sole
e ogni goccia, per grazia di Dio, diverrà un Paradiso?
[…]

‘Abd al-Karîm al-Jîlî (m. 832/1428)
Le parole dell’Amato all’Amato

Alcuni, interpellati dalla parola divina, sentono in se stessi l’invito della Realtà
essenziale e percepiscono tale parola non (come proveniente) da una parte 
determinata e senza l’intervento dei sensi; essi la percepiscono con tutto se stessi,
non solo con l’udito; e si sentono dire:

Tu sei il mio amato, tu sei il mio diletto!
Tu il mio desiderato e il mio volto nei miei servitori,
tu il mio termine estremo e il mio fine supremo.

Tu sei il mio segreto nei segreti e la mia luce nelle luci,
tu il mio occhio, il mio ornamento,
tu la mia bellezza, la mia perfezione,
tu il mio nome, la mia essenza,
il mio attributo e le mie qualità.

Io sono il tuo nome, la tua forma, il tuo segno,
e la tua traccia, o mio diletto!
Tu sei la quintessenza dei mondi,
e il fine dell’esistenza e del divenire.

Vieni vicino per contemplarmi,
poiché mi sono reso vicino a te nella mia esistenza.
Non restare lontano, poiché sono io che ho detto:
“Noi siamo più vicini a lui della sua vena giugulare”
(Corano 50,15).

Non restare limitato nel nome di servo,
poiché senza il Signore non ci sarebbe il servo.
Tu mi hai reso manifesto, come io ti ho reso manifesto:
senza il tuo stato di servitore
non ci sarebbe il mio stato di Signore.
[…]


1. Testi tratti da: Giuseppe Scattolin, Spiritualità dell’Islam, Bologna, EMI, 2004, pp.62-77 
2. ibidem, pp.166-174 (traduzioni dello stesso G. Scattolin e di A. Bausani per il brano di Rumî )
3. Scattolin G., Esperienze mistiche nell’Islam. I primi tre secoli,Bologna, EMI, 1994, pp. 112-114.