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Storia naturale - Gaio Plinio Secondo




lunedì 31 marzo 2003 leggono Flavio Fusi Pecci e Pierluigi Battistini
Dice Calvino che "i classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si troveranno nuovi, inaspettati, inediti". Ciò è particolarmente vero per un autore come Plinio che è poco frequentato anche nei i licei classici - destino peraltro comune alla maggior parte delle opere classiche di contenuto scientifico.
Di Plinio il Vecchio (di cui si ricorda la morte a Pompei dove si era recato su una nave a soccorrere le vittime e a osservare da vicino l'eruzione del Vesuvio) è giunta intera fino a noi questa monumentale Storia Naturale in 27 libri. Si tratta di una vasta compilazione enciclopedica in cui trovano posto tutte le scienze allora conosciute: astronomia, meteorologia, geografia, i tre regni della natura, storia, arte, medicina ecc.
Verranno letti i primi capitoli del libro secondo in cui si tratta della struttura dell'universo o, come dice Plinio, del "cielo, nella cui curvatura si raccoglie ogni vita, [e che] è giusto reputarlo una divinità, eterna, sconfinata, senza origine né morte."
I due astronomi Flavio Fusi Pecci e Pierluigi Battistini leggeranno queste antiche pagine accompagnandole con riferimenti ed informazioni sulla descrizione dell'universo su piccola e grande scala e sulle più moderne teorie cosmologiche.



Gaio Plinio Secondo (Plinio il Vecchio)
STORIA NATURALE - Libro secondo

(1) Il mondo, e tutta questa realtà che, con una altro nome, piace chiamare «cielo», nella cui curvatura si raccoglie ogni vita, è giusto reputarlo una divinità, eterna, sconfinata, senza origine né morte. Investigare ciò che cade al di fuori non importa all’uomo, e sorpassa le ipotesi dello spirito umano. Il mondo è sacro, eterno, sconfinato, tutto intero nel tutto, o meglio, coincidente con il tutto, infinito e apparentemente finito, determinato in ogni cosa e apparentemente indeterminato, capace di abbracciare in sé tutte le cose, dentro e fuori, ed è insieme una produzione della natura e la natura stessa. È pazzia aver immaginato, come certuni hanno fatto, di fissare la sua estensione e divulgarla, o, come altri, che da questi presero spunto o lo fornirono, aver tramandato che esistono innumerevoli mondi, per cui occorrerebbe credere che esistano altrettante nature o che, se una sola li coprisse tutti, tuttavia vi siano altrettanti soli e lune e in più altrettanti astri (già immensi e incalcolabili in un mondo solo!) Come se gli stessi problemi non dovessero sempre, in conclusione, presentarsi al pensiero, per nostalgia di un qualche limite o, se questa infinita realtà può essere attribuita ad una natura creatrice di tutto, non fosse possibile concepire tutto ciò in un singolo caso, tanto più di fronte ad una simile opera. Sì, è pazzia, senza dubbio, uscire dal mondo e, quasi che tutto il suo interno fosse già chiaramente conosciuto, frugare all’esterno: come se, poi, potesse tracciare la misura di qualcosa chi è ignaro del suo o lo spirito dell’uomo sapesse scorgere ciò che nemmeno il mondo riesce a contenere.

(2) La sua forma è arrotondata in un globo perfetto, come insegna anzitutto il nome di «globo» su cui si accorda l’umanità, ma anche per indizi concreti: non solo perché una figura del genere converge su se stessa in tutte le sue parti, e deve sostenersi da se stessa, si racchiude e si compatta in sé senza avere alcun bisogno di impalcatura, senza conoscere né fine né inizio in alcuna delle sue parti; non perché una figura simile è la più adatta a muoversi – e si muove di continuo, come presto sarà chiaro –; ma perché anche gli occhi confermano questa idea: dovunque lo si guardi, appare come una curvatura osservata dal centro, il che, con altre forme geometriche, sarebbe impossibile.

(3) Dunque, questa sua forma, in una rivoluzione eterna e instancabile, con inesprimibile velocità, gira su se stessa nel tempo di ventiquattro ore: il sorgere e il tramontare del sole non ammettono dubbi in proposito. Sarà incommensurabile, superiore alla sensibilità del nostro udito, il suono di una massa così grande che ruota senza posa? Io non saprei dire facilmente, né mi sarebbe più facile, lo giuro, chiarire se il risuonare delle stelle, che sono trasportate insieme ad esso e descrivono le loro orbite, sia davvero una dolce armonia, di una soavità incredibile. A noi, che viviamo al suo interno, pare che il mondo scorra nel silenzio, di giorno come di notte. Che vi siano nella volta delle figure incise, di animali e di ogni genere di cose, e che il mondo non sia, come vediamo nelle uova di uccello, un corpo ininterrottamente liscio e scivoloso (idea che studiosi molto importanti hanno sostenuto), è indicato da analogie terrene. Infatti, dai germi di tutte le cose, che cadono di lassù, sono generate innumerevoli forme animali, soprattutto nel mare e per lo più mostruose, per la mescolanza dei germi. Inoltre c’è la conferma visiva: qui appaiono orsi, lì tori, lì la forma di una lettera, e nel mezzo un cerchio bianco che attraversa lo zenit. Per mio conto, anche la convergenza dei popoli mi tocca: di fatto i greci hanno dato alla volta un nome che significa «ornamento», e noi il nome di «mondo», che allude alla sua compiuta e perfetta eleganza. Quanto al cielo, senz’altro, l’abbiamo chiamato così a somiglianza di un oggetto cesellato, come argomenta Marco Varrone. Questo è in accordo con l’ordine universale, per cui il cerchio chiamato zodiaco si divide nelle dodici figure di esseri viventi, e il sole le attraversa secondo un principio coerente e regolare durante così numerosi secoli.

(4) Anche riguardo agli elementi, non vedo incertezze sul fatto che siano quattro: nello spazio più alto, i fuochi, e per questo tutti quegli occhi di stelle brillano di lassù; subito dopo, il soffio, che i greci e noi chiamiamo con la stessa parola, «aria»: elemento di vita, che si insinua per la totalità delle cose ed è intrecciato al tutto universale; per sua forza si sostiene in equilibrio nel centro dello spazio la terra, e con lei il quarto elemento, le acque. Così, in un abbraccio reciproco di differenze si produce una coesione: le sostanze leggere non possono volare via, perché quelle pesanti le trattengono, e all’inverso i corpi pesanti non sprofondano grazie ai corpi leggeri che li tengono in equilibrio, spingendo verso l’alto. In tal modo, per uno sforzo bilanciato e contrapposto, ogni elemento resta in posizione, bloccato proprio dall’inquieta rotazione del mondo: in questa perpetua rivoluzione la terra è al fondo e al centro del tutto; resta sospesa come a far da perno per l’universo, equilibrando i corpi a cui è sospesa, e così lei sola sta immobile in mezzo alla totalità rotante; la terra è collegata a tutte le cose, e tute le cose poggiano su di essa.
Tra di lei e il cielo, il medesimo soffio sorregge sette astri, separati da intervalli fissati: per il loro spostamento, li chiamiamo «erranti», per quanto non vi siano corpi meno erranti di quelli. In mezzo a loro cammina il sole, con la sua amplissima vastità e potenza, che governa non solo le stagioni e le terre, ma anche gli stessi astri e il cielo. Egli è l’anima, più esattamente lo spirito di tutto il mondo, è la fondamentale regola e divinità della natura; è giusto pensarla così, se si considera la sua azione: il sole dispensa la luce alle cose e le libera dalle tenebre, nasconde e illumina le altre stelle; presiede al ritmo delle stagioni e alla continua rinascita dell’anno, secondo le necessità della natura; spazza via la tristezza dal cielo e rasserena perfino i cuori umani, quando sono rannuvolati; e concede in prestito la sua luce anche alle restanti stelle, splendido, insigne, spettatore di ogni cosa, e anche ascoltatore di ogni cosa – come, a quanto vedo, il re dei letterati, Omero, ha ritenuto, a proposito del sole e di nessun’altro. [5…]

(6) Torniamo adesso agli altri aspetti della natura. Le stelle (che, come abbiamo detto, sono fissate alla volta celeste) non è vero che, come pensa la gente, siano assegnate a ciascuno di noi, e distribuite fra i mortali con uno splendore proporzionale al destino di ognuno, brillanti per i ricchi, più piccole per i poveri, oscurate per chi è in calando; non nascono e non muoiono insieme al proprio rispettivo uomo e, quando cadono, non vuole dire che qualcuno si spegne. Non c’è una tale affinità fra il cielo e noi, da rendere mortale, insieme al destino nostro, anche il fulgore delle stelle di lassù. Quelle troppo alimentate dal liquido che aspirano, rimettono il sovrappiù in forma di fuoco, e allora sembra che cadano, come qui da noi, lo si nota, avviene con le lampade ad olio quando sono accese. Del resto, è eterna la natura dei corpi celesti, che formano il tessuto del mondo e in questo tessuto sono concresciuti. Il loro potere, poi, ha una forte rilevanza sulla terra, ed essi, grazie ai loro effetti, alla luminosità e alla grandezza, sono stati riconosciuti, ricerca delicata e complessa: lo mostreremo al momento adatto. Quanto alla dottrina dei circoli celesti, sarà più giusto spiegarla nella trattazione della terra, perché ad essa è nel suo complesso afferente; soltanto non rimanderemo il discorso sulle scoperte dello zodiaco. Si tramanda che per primo Anassimandro di Mileto, nella cinquantottesima olimpiade [548-545 a.C.], capì la sua forma obliqua – e, con ciò, aprì le porte dell’universo; poi Cleostrato vi scoprì le costellazioni, a partire da Ariete e Sagittario; la sfera, molto tempo prima, era stata delineata da Atlante.
Ora, lasciando da parte il corpo vero p proprio del cielo, affrontiamo gli altri fenomeni intermedi fra cielo e terra. È certo che l’astro cosiddetto Saturno è il più elevato, e perciò sembra il più piccolo; che percorre l’orbita più grande, e che nel giro di tent’anni ritorna esattamente al suo punto di partenza; e che i moti di tutte le stelle erranti, tra i quali quelli del sole e della luna, vanno in senso contrario a quello della volta, e cioè verso sinistra, mentre quella gira sempre verso destra. E benché siano sollevate e scagliate verso il tramonto dalla sfera, nella sua continua rotazione di incommensurabile velocità, esse tuttavia, ciascuna sulla sua strada, vanno secondo un moto contrapposto. In tal modo avviene che l’aria non si concentra sempre dalla stessa parte a causa dell’eterno piroettare della sfera, impigrendosi in una massa inattiva, ma viene fluidificata, scissa e distribuita dall’azione contraria dei pianeti. La stella di Saturno ha un carattere freddo e congelato; molto più sotto c’è l’orbita di Giove, che ha pertanto rivoluzione più rapida, terminata ogni volta nel giro di dodici anni. Al terzo posto è Marte, da certuni chiamato Ercole, che per la vicinanza del sole è incendiato e infuocato, e compie il suo movimento in due anni circa; pertanto, collocato al centro fra l’eccessivo calore di Marte e il gelo di Saturno, Giove è alla confluenza di questi due eccessi, e ne risulta un astro benefico. Viene poi il cammino del sole, che in effetti è ripartito in 360 gradi; ma, perché la sua ombra ritorni al segno di osservazione iniziale sul quadrante, vi si aggiungono cinque giorni, e in più un quarto di giorno, per ogni anno. Per tale ragione ogni quattro anni si inserisce un giorno intercalare, in modo che il calcolo del tempo concordi con il viaggio del sole.
Al di sotto del sole gira un grosso pianeta chiamato Venere, dal corso alternato, e che gareggia, già nei nomi che porta, con il sole e la luna. Infatti, quando anticipa il sole e sorge prima dell’alba, ha nome Lucifero, perché è come un altro sole che fa affrettare il giorno; all’opposto, quando scintilla dopo il tramonto, è denominato Vespero, perché prolunga la luce e interpreta la parte della luna. Questa sua caratteristica la scopri per primo Pitagora di Samo ', verso il periodo della 42a Olimpiade, che coincise con l’anno 142 di Roma [612 a. C.]. Già in grandezza è al di là di tutti gli altri astri, e il suo splendore è cosi forte, che solamente i raggi di questa stella producono ombre. E cosi è al centro di una grande contesa di nomi: infatti c’è chi l’ha chiamata Giunone, chi Iside, chi Madre degli Dèi. Per il suo influsso ogni cosa è generata sulla terra. E infatti, spargendo una rugiada fecondatrice ad entrambe le sue apparizioni, non solo ingravida i processi di concezione della terra, ma stimola anche quelli di tutti gli esseri animati. Percorre il giro dello zodiaco in 348 giorni, senza mai scostarsi dal sole più di 46 gradi, come afferma Timeo.
Simile per carattere, ma non certo per grandezza o poteri, la stella più vicina a Venere, Mercurio, da alcuni chiamato Apollo, passa per un’orbita più bassa con una rivoluzione più corta di 8 giorni, risplendendo ora prima dell’alba, ora dopo il tramonto del sole, senza mai allontanarsi da esso più di 22 gradi, come insegnano Cidena e Sosigene. Perciò è speciale la caratteristica di questi due pianeti, e non è coincidente con quelli già citati, che infatti si scorgono lontani dal sole la terza o la quarta par te del cielo, e spesso in opposizione al sole. Essi hanno tutti delle rivoluzioni più grandi, date dal loro movimento completo, che saranno trattate nel discorso sul Grande Anno.
Ma supera la meraviglia di tutti l’ultimo degli astri, il più familiare ai terrestri, rimedio alle tenebre escogitato dalla natura: la luna. Polimorfa, essa ha torturato col dubbio la mente dei suoi osservatori, incapaci di sopportare che proprio l’astro più vicino restasse sconosciuto; sempre in via di crescita o di senescenza, e ora incurvata a formare due corni, ora tagliata in due metà uguali, ora arrotondata in un disco; macchiata e, di colpo, sfolgorante di luce, sconfinata con il suo cerchio pieno e, d’un tratto, annientata; a volte veglîa notti intere, altre volte appare sul tardi, e aiuta la luce del sole per una parte del giorno; in eclissi e tuttavia visibile – a fine mese è celata, ma non si crede a un’eclissi –; ora è bassa sulla terra, ora elevatissima, e neppure in modo costante, ma talora accostata alla volta celeste, talora prossima alle montagne, ora alzata verso il nord, ora discesa a sud. Queste sue peculiarità furono scoperte da Endimione, per primo fra gli uomini: perciò la leggenda del suo amore con la luna. Non siamo davvero riconoscenti verso chi, con fatica e devozione, ci ha aperto la luce su questa luce: per una strana malattia dello spirito umano, piace depositare negli annali fatti di sangue e massacri, in modo che sia ben informato sui crimini dell’uomo chi ignora la realtà del suo mondo!
Dunque, essendo la più vicina al centro del mondo, essa ha il tracciato più breve di tutti: in ventisette giorni e un terzo percorre la stessa rivoluzione per cui la stella di Saturno, la più elevata, impiega, come si è detto, 30 anni. Poi, dopo essersi trattenuta due giorni in congiunzione col sole, dal trentesimo giorno, al più tardi, riparte verso le solite successioni. Direi che è stata maestra di tutte le conoscenze del cielo che abbiamo potuto conquistare: che è opportuno dividere l’anno in 12 periodi di un mese, perché lei, appunto, raggiunge altrettante volte il sole intanto che questi ritorna al suo punto di partenza; che, come tutte le altre stelle, è dominata dallo splendore del sole, poiché in effetti essa risplende di una luminosità completamente mutuata da quest’ultimo, simile al riflesso oscillante che scorgiamo sullo specchio dell’acqua; perciò, con la sua forza più fiacca e imperfetta, essa si limita a sciogliere e anche ad accrescere quell’umidità che i raggi del sole consumano. Il suo splendore è disuguale alla vista perché, piena quando infine è in opposizione, per tutti i giorni restanti si mostra alla terra solo nella misura in cui assume luce dal sole; in congiunzione, appunto, è invisibile perché, dalla parte opposta alla nostra, rimanda tutta la luce assorbita alla fonte da cui l’aveva ricevuta. Inoltre, senza dubbio alcuno, le stelle si cibano di umidità terrestre, dato che la luna, quando è a metà, non si vede mai macchiata, perché la sua forza normale non le consente ancora di attingere qualcosa di più; le macchie infatti non sono altro che impurità di terra aspirate insieme all’umidità. E poi, le sue eclissi e quelle del sole, il fenomeno più straordinario e simile a un portento in tutto il quadro della natura, sono rivelatrici dell’ombra che ciascuno proietta, e delle dimensioni.

(7) In realtà, è chiaro che il sole è coperto dall’interporsi della luna e la luna da quello della terra: si tratta di effetti simmetrici, per cui gli stessi raggi solari sono tolti alla terra dalla frapposizione della luna, e alla luna da quella della terra. Se la luna si fa avanti le tenebre si spandono d’un tratto, e inversamente l’astro è spento dall’ombra della terra. E la notte non è altro che l’ombra della terra; la forma dell’ombra è conica, simile a una trottola rovesciata. Essa arriva a toccare la luna solo con la punta, e non la supera in altezza, dal momento che nessun’altra stella viene oscurata allo stesso modo, e che una forma del genere termina sempre in punta. Che le ombre siano divorate dallo spazio, lo provano gli uccelli che volano a grandi altezze. Dunque, il confine delle ombre coincide con la fine dell’aria e l’inizio dell’etere. Sopra la luna, tutto è puro e compenetrato da una luce diurna. Noi, invece, scorgiamo le stelle per tramite della notte, e cosi pure vediamo le altre luci grazie alle tenebre; per tali ragioni la luna si eclissa solo nottetempo. Le eclissi di entrambi i pianeti sono regolari, ma non mensili, a causa dell’obliquità dello zodiaco e delle già menzionate‘ oscillazioni multidirezionali della luna; il moto di questi astri non concorda sempre sino alle minime frazioni di grado.

(8) Questo studio solleva le menti mortali verso il cielo, e dischiude, come se potessimo spaziare di lassù, la grandezza di tre grandissime parti della natura. In effetti, il sole non potrebbe essere completamente nascosto alla terra dall’interporsi della luna, se la terra fosse maggiore della luna. In terzo luogo, sulla base di queste due osservazioni, risulterà chiara l’immensità del sole, in modo che non occorrerebbe indagare la sua vastità con testimonianze visive e ipotesi intellettuali: e cioè, concludere che è sconfinato perché un filare d’alberi esteso lungo un sentiero per una lunghezza di quante miglia si vuole getta ombre a intervalli pari, come se il sole fosse a perpendicolo di tutto quello spazio; e perché all’equinozio il sole è sulla verticale di tutti gli abitanti della zona meridionale contemporaneamente; cosi pure, perché per chi abita al di qua del cerchio solstiziale le ombre cadono a mezzodì verso nord, all’alba verso il tramonto: il che non sarebbe assolutamente possibile, se non fosse molto maggiore della terra; senza dire che, al suo levarsi, esso supera in larghezza il monte Ida, contornandolo ampiamente a destra e a sinistra: e pensare che un tale immenso intervallo lo separa! L’oscuramento della luna evidenzia in modo indubitabile la grandezza del sole, cosi come l’eclissi solare di per sé ha mostrato la piccolezza della terra. Infatti, essendoci tre diversi tipi di ombre, risulta che, se l’oggetto che dà ombra è pari alla fonte luminosa, l’ombra si proietta in forma di colonna e non ha termine. Se è più grande l’oggetto che la fonte, l’ombra ha la forma di un cono capovolto, cioè con la parte più sottile in basso, ed ha lunghezza, come nel caso precedente, infinita. Se però è più piccolo l’oggetto della luce, risulta la figura di un cono appuntito – e questa è l’ombra che si vede ad un’eclisse di luna. Quindi risulta ovvio, senza che resti più alcuno spazio d’incertezza, che la grandezza della terra è inferiore. Silenziose indicazioni della natura stessa ce lo confermano: infatti perché, essendo l’anno diviso in sequenze alterne, d’inverno il sole si allontana? O perché la terra si ristora con l’oscurità notturna? Il fatto è che, di sicuro, il sole la incendierebbe, come del resto già fa, in una qualche sua parte: tale è la grandezza del sole.

(9) Il primo uomo di stirpe romana a divulgare l’analisi delle eclissi (di entrambi i tipi) è stato Sulpicio Gallo, che fu collega di Marco Marcello nel consolato, ma, all’epoca, era tribuno militare. Fu lui che liberò l’esercito dall’apprensione (si era al giorno prima della sconfitta che Emilio Paolo inflisse al re Perseo): di fronte alle truppe riunite, il suo comandante lo fece parlare e preannunciare l’eclissi; più tardi egli trattò l’argomento anche in un libro.

[Plinio, Storia naturale, s c. di G.B. Conte, trad. di A. Barchesi e altri, pref. di Italo Calvino, Totino, Einaudi 1982, coll. I Millenni, 5 voll., vol. 1, pp. 214 – 239]