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Quaderni del carcere - Sulla società civile e lo Stato - Antonio Gramsci





lunedì 17 gennaio 2005 legge Gian Mario Anselmi
Nei quaderni di Antonio Gramsci - scritti nelle difficoltà e le ristrettezze del carcere tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta - si sviluppano in maniera frammentaria alcune riflessioni divenute poi fondamentali nella formazione delle generazioni del secondo Dopoguerra.
Sono problemi quali il partito, lo Stato, la tradizione letteraria, filosofica, gli intellettuali, ordinati per temi da Togliatti. Nel 1975 uscì l’edizione critica a cura di Valentino Gerratana (Einaudi), che ha avuto il merito di riportare all’ordine originario i pensieri di Gramsci, seguendone lo sviluppo cronologico e fornendo in appendice un preziosissimo indice per argomenti.
Proprio seguendo quest’ultima edizione si affronterà il tema della società civile nel rapporto con la società politica – Gramsci fu uno dei primi a porre sul tappeto il problema – argomento di straordinaria attualità e ancora molto sentito dalla tradizione storica della Sinistra.
Particolarmente autorevole è il lettore della serata, Gian Mario Anselmi, direttore dell’Istituto Gramsci Emilia-Romagna.


Dal Quaderno 6 (VIII), 1930-32: MISCELLANEA


§ 24. Nozioni enciclopediche. La società civile. Occorre distinguere la società civile come è intesa dallo Hegel e nel senso in cui è spesso adoperata in queste note (cioè nel senso di egemonia politica e culturale di un gruppo sociale sull’intera società, come contenuto etico dello Stato) dal senso che le danno i cattolici, per i quali la società civile è invece la società politica o lo Stato, in confronto della società famigliare e della Chiesa. Dice Pio XI nella sua Enciclica sull’educazione («Civiltà Cattolica» del 1° febbraio 1930): «Tre sono le società necessarie, distinte e pur armonicamente congiunte da Dio, in seno alle quali nasce l’uomo: due società di ordine naturale, quali sono la famiglia e la società civile; la terza, la Chiesa, di ordine soprannaturale. Dapprima la famiglia, istituita immediatamente da Dio al fine suo proprio, che è la procreazione ed educazione della prole, la quale perciò ha la priorità di natura e quindi una priorità di diritti, rispetto alla società civile. Nondimeno, la famiglia è società imperfetta, perché non ha in sé tutti i mezzi per il proprio perfezionamento: laddove la società civile è società perfetta, avendo in sé tutti i mezzi al fine proprio, che è il bene comune temporale, onde, per questo rispetto, cioè in ordine al bene comune, essa ha preminenza sulla famiglia, la quale raggiunge appunto nella società civile la sua conveniente perfezione temporale. La terza società, nella quale nasce l’uomo, mediante il Battesimo, alla vita divina della Grazia, è la Chiesa, società di ordine soprannaturale e universale, socie|tà perfetta, perché ha in sé tutti i mezzi al suo fine, che è la salvezza eterna degli uomini, e pertanto suprema nel suo ordine».
Per il cattolicesimo, quella che si chiama «società civile» in linguaggio hegeliano, non è «necessaria», cioè è puramente storica o contingente. Nella concezione cattolica, lo Stato è solo la Chiesa, ed è uno Stato universale e soprannaturale: la concezione medioevale teoricamente è mantenuta in pieno.


§ 81. Egemonia (società civile) e divisione dei poteri. La divisione dei poteri e tutta la discussione avvenuta per la | sua realizzazione e la dogmatica giuridica nata dal suo avvento, sono il risultato della lotta tra [la] società civile e la società politica di un determinato periodo storico, con un certo equilibrio instabile delle classi, determinato dal fatto che certe categorie di intellettuali (al diretto servizio dello Stato, specialmente burocrazia civile e militare) sono ancora troppo legate alle vecchie classi dominanti. Si verifica cioè nell’interno della società quello che il Croce chiama il «perpetuo conflitto tra Chiesa e Stato», in cui la Chiesa è presa a rappresentare la società civile nel suo insieme (mentre non ne è che un elemento gradatamente meno importante) e lo Stato ogni tentativo di cristallizzare permanentemente un determinato stadio di sviluppo, una determinata situazione. In questo senso la Chiesa stessa può diventare Stato e il conflitto può manifestarsi tra società civile laica e laicizzante e Stato-Chiesa (quando la Chiesa è diventata una parte integrante dello stato, della società politica monopolizzata da un determinato gruppo privilegiato che si aggrega alla Chiesa per sostenere meglio il suo monopolio col sostegno di quella zona di società civile rappresentata dalla Chiesa). Importanza essenziale della divisione dei poteri per il liberalismo politico ed economico: tutta l’ideologia liberale, con le sue forze e le sue debolezze, può essere racchiusa nel principio della divisione dei poteri e appare quale sia la fonte della debolezza del liberalismo: è la burocrazia, cioè la cristallizzazione del personale dirigente che esercita il potere coercitivo e che ad un certo punto diventa casta. Onde la rivendicazione popolare della eleggibilità di tutte le cariche, rivendicazione che è estremo liberalismo e nel tempo stesso sua dissoluzione (principio della Costituente in permanenza ecc.; nelle repubbliche l’elezione a tempo del capo dello Stato dà una soddisfazione illusoria a questa rivendicazione popolare elementare). Unità dello stato nella distinzione dei poteri: il Parlamento più legato alla società civile, il potere giudiziario tra Governo e Parlamento, rappresenta la continuità della legge scritta (anche contro il Governo). Naturalmente tutti e tre i poteri sono anche organi dell’egemonia politica, ma in diversa misura: 1) Parlamento; 2) Magistratura; 3) Governo. E’ da notare come nel pubblico| facciano specialmente impressione disastrosa le scorrettezze dell’amministrazione della giustizia: l’apparato egemonico è più sensibile in questo settore al quale possono ricondursi anche gli arbitri della polizia e dell’amministrazione politica.

§ 88. Stato gendarme-guardiano notturno, ecc. E’ da meditare questo argomento: la concezione dello Stato gendarme-guardiano notturno, ecc. (a parte la specificazione di carattere polemico: gendarme-guardiano notturno ecc.) non è poi la concezione dello Stato che sola superi le estreme fasi “corporative-economiche”? Siamo sempre nella identificazione di Stato e Governo, identificazione che appunto è un ripresentarsi della forma corporativa- economica, cioè della confusione tra società civile e società politica, poiché è da notare che nella nozione generale di Stato entrano elementi che sono da riportare alla nozione di società civile (nel senso, si potrebbe dire, che Stato = società politica + società civile, cioè egemonia corazzata di coercizione). In una dottrina dello stato che concepisca questo come possibile tendenzialmente di esaurimento e di risoluzione della società regolata, l’argomento è fondamentale. L’elemento Stato coercizione si può immaginare esaurentesi mano a mano che si affermano elementi sempre più cospicui di società regolata (o Stato etico o società civile). Le espressioni di Stato etico o di società civile verrebbero a significare che quest’«immagine» di stato senza Stato era presente ai maggiori scienziati della politica e del diritto in quanto si ponevano nel terreno della pura scienza (= pura utopia, in quanto basata sul presupposto che tutti gli uomini sono realmente uguali e | quindi ugualmente ragionevoli e uguali, cioè passibili di accettare la legge spontaneamente, liberamente e non per coercizione, come imposta da altra classe, come cosa esterna alla coscienza). Occorre ricordare che l’espressione di guardiano notturno per lo Stato liberale è di Vassalle, cioè di uno statalista dogmatico e non dialettico (Cfr bene la dottrina di Vassalle su questo punto e sullo Stato in generale in contrasto col marxismo). Nella dottrina dello Stato → società regolata, da una fase in cui Stato sarà uguale Governo, e Stato si identificherà con società civile, si dovrà passare a una fase di Stato – guardiano notturno, cioè di una organizzazione coercitiva che tutelerà lo sviluppo degli elementi di società regolata in continuo incremento, e pertanto riducente gradatamente i suoi interventi autoritari e coattivi. Né ciò può far pensare a un nuovo «liberalismo», sebbene sia per essere l’inizio di un’era di libertà organica.


Dal Quaderno 7 (VII), 1930-32: APPUNTI DI FILOSOFIA II

§ 16. Guerra di posizione e guerra manovrata o frontale. E’ da vedere se la famosa teoria di Bronstein sulla permanenza del movimento non sia il riflesso politico della teoria della guerra manovrata (ricorda|re osservazione del generale dei cosacchi Krasnov), in ultima analisi il riflesso delle condizioni generali-economiche-culturali-sociali di un paese in cui i quadri della vita nazionale sono embrionali e rilasciati e non possono diventare «trincea o fortezza». In questo caso si potrebbe dire che Bronstein, che appare come un “occidentalista” era invece un cosmopolita, cioè superficialmente nazionale e superficialmente occidentalista o europeo. Invece Ilici era profondamente nazionale e profondamente europeo. Bronstein nelle sue memorie ricorda che gli fu detto che la sua teoria si era dimostrata buona dopo….quindici anni e risponde all’epigramma con un altro epigramma. In realtà la sua teoria, come tale, non era buona né quindici anni prima né quindici anni dopo: come avviene agli ostinati, di cui parla il Guicciardini, egli indovinò all’ingrosso, cioè ebbe ragione nella previsione pratica più generale; come a dire che si predice che una bambina di quattro anni diventerà madre e quando lo diventa a venti anni si dice “l’avevo indovinato”, non ricordando però che quando aveva quattro anni si voleva stuprare la bambina sicuri che sarebbe diventata madre. Mi pare che Ilici aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata vittoriosamente in oriente nel 17, alla guerra di posizione che rea la sola possibile in Occidente, dove, come osserva Krasnov, in breve spazio gli eserciti potevano accumulare sterminate quantità di munizioni, dove i quadri sociali erano di per sé ancora capaci di diventare trincee munitissime. Questo mi pare significare la formula del «fronte unico» che corrisponde alla concezione di un solo fronte dell’Intesa sotto il comando unico di Foch. Solo che Illici no ebbe il tempo di approndire la sua formula, pur tenendo conto che egli poteva approfondirla solo teoricamente, mentre il compito fondamentale era nazionale, cioè domandava una ricognizione del terreno e una fissazione degli elementi di trincea e di fortezza rappresentati dagli elementi di società civile ecc. In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta | struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno, da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale. La teoria del Bronstein può essere paragonata a quella di certi sindacalisti francesi sullo sciopero generale e alla teoria di Rosa nell’opuscolo tradotto da Alessandri: l’opuscolo di Rosa e la teoria di rosa hanno del resto influenzato i sindacalisti francesi come appare da certi articoli di Rosmer sulla Germania nelle «Vie Ouvurière» (prima serie in fascicoletti): dipende in parte anche dalla teoria della spontaneità.


Dal Quaderno 8 (XXVIII), 1931-32: MISCELLANEA

§ 130. Nozioni enciclopediche e argomenti di cultura. Statolatria. Atteggiamento di ogni diverso gruppo sociale verso il propri Stato. L’analisi non sarebbe esatta se non si tenesse conto delle due forme in cui lo Stato si presenta nel linguaggio e nella cultura delle epoche determinate, cioè come società civile e come società politica, come «autogoverno» e come «governo dei funzioanri». Si dà il nome di statolatria a un determinato atteggiamento verso il «governo dei funzionari» o società politica, che nel linguaggio comune è la forma di vita statale a cui si dà il nome di Stato e che volgarmente è intesa come tutto lo Stato.
L’affermazione che lo Stato si identifica con gli individui (con gli individui di un gruppo sociale), come elemento di cultura attiva (cioè come movimento per creare una nuova civiltà, un nuovo tipo di uomo e di cittadino) deve servire a determinare la volontà di costruire nell’involucro del Società politica | una complessa e bene articolata società civile, in cui il singolo individuo si governi da sé senza che per ciò questo suo autogoverno entri in conflitto con la società politica, anzi diventandone la normale continuazione, il complemento organico. Per alcuni gruppi sociali, che prima della ascesa alla vita statale autonoma non hanno avuto un lungo periodo di sviluppo culturale e morale proprio e indipendente (come nella società medioevale e nei governi assoluti era reso possibile dall’esistenza giuridica degli Stati o ordini privilegiati), un periodo di statolatria è necessario e anzi opportuno: questa «statolatria» non è altro che la forma normale di «vita statale», di iniziazione, almeno, alla vita statale autonoma e alla creazione di una “società civile” che non fu possibile storicamente creare prima dell’ascesa alla vita statale indipendente. Tuttavia questa tale «statolatria» non deve essere abbandonata a sé, non deve, specialmente, diventare fanatismo teorico, ed essere concepita come «perpetua»: deve essere criticata, appunto perché si sviluppi, e produca nuove forme di vita statale, in cui l’iniziativa degli individui e dei gruppi sia «statale» anche se non dovuta al «governo dei funzionari» (far diventare «spontanea» la vita statale).


Dal Quaderno 13 (XXX), 1932-34: NOTERELLE SUL MACHIAVELLI

§ 24 […]
La stessa riduzione deve avvenire nell’arte e nella scienza politica, almeno per ciò che riguarda gli Stati più avanzati, dove la «società civile» è diventata una struttura molto complessa e resistente alle «irruzioni» catastrofiche dell’elemento economico immediato (crisi, depressioni, ecc.); le superstrutture della società civile sono come il sistema delle trincee nella guerra moderna. Come in questa avveniva che un accanito attacco d’artiglieria sembrava aver distrutto tutto il sistema difensivo avversario ma ne aveva solo invece distrutto la superficie esterna e al momento dell’attacco e dell’avanzata gli assalitori si trovavano di fronte una linea difensiva ancora efficiente, così avviene nella politica durante le grandi crisi economiche; né le truppe assalitrici, per effetto della crisi, si organizzano fulmineamente nel tempo e nello spazio, né tanto meno acquistano uno spirito aggressivo; per reciproca, gli assaliti non si demoralizzano né abbandonano le difese, pur fra le macerie, né perdono la fiducia nella propria forza e nel proprio avvenire. Le cose certo non rimangono tali e quali, ma è certo che viene a mancare l’elemento della rapidità, del tempo accelerato della marcia progressiva definitiva come si aspetterebbero gli strateghi del cadornismo politico. L’ultimo fatto del genere nella storia della politica sono stati gli avvenimenti del 1917. Essi hanno segnato una svolta decisiva nella storia dell’arte e della scienza della politica. Si tratta dunque di studiare con «profondità» quali sono gli elementi della società civile che corrispondono ai sistemi di difesa nella guerra di posizione. Si dice con «profondità» a disegno, perché essi sono stati studiati, ma da punti di vista superficiali e banali, come certi storici del costume studiano le stranezze della moda femminile, o da un punto di vista «razionalistico» cioè con la persuasione che certi fenomeni sono distrutti appena spiegati «realisticamente», come se fossero superstizioni popolari (che del resto anch’esse non si distruggono con lo spiegarle).
A questo nesso di problemi è da riattaccare la questione dello scarso successo ottenuto da nuove correnti nel movimento sindacale.
Un tentativo di iniziare una revisione dei metodi tattici avrebbero dovuto essere quello esposto da L. Davidovic Bronstein alla quarta riunione quando fece un confronto tra il fronte orientale e quello occidentale, quello cadde subito ma fu seguito da lotte inaudite: in questo le lotte si verificherebbero «prima». Si tratterebbe cioè se la società civile resiste prima o dopo l’assalto, dove questo avviene ecc. La quistione però è stata esposta solo in forma letteraria, brillante, ma senza indicazioni di carattere pratico.