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Poesie erotiche femminili contemporanee





lunedì 03 marzo 2008  legge Loredana Magazzeni
Nell’antologia di poesia femminile inglese contemporanea “Gatti come angeli”, l’universo variopinto e cosmopolita dell’eros spalanca, secondo le regole dello stile confessional (ricordiamo, tra le autrici migliori, Sylvia Plath e Anne Sexton) le porte delle case, autorizzando il lettore a divenire complice e confidente della ricerca di gioia e di libertà delle donne, così come delle loro disillusioni. Affrontano il tema dell’amore, il rapporto tra corporeità e relazione, nella interezza dei sensi, sentimenti e pensieri – che è propria della scrittura delle donne - molte autrici contemporanee, di diversa generazione e provenienza, in maggioranza statunitensi, ma anche afroamericane, britanniche, indiane, e di altre nazionalità, a testimoniare la multiculturalità, si potrebbe quasi dire la “planetarietà” di una parola femminile amorosa e consapevole, attenta alla posta in gioco, che è comunque alta, tra forza del desiderio e tutela della propria identità.

Ragazza ignota in reparto maternità.
Anne Sexton
Bimbo, la corrente del respiro ha sei giorni.
Piccola nocca t'accoccoli sul letto bianco,
piccolo e forte, come una chiocciola rattratto
ti rannicchi al seno.
Le labbra sono animali, sei nutrito con amore.
All'inizio la fame non è errore.
Tentennano le cuffiette le infermiere,
su ceste a rotelle sei pascolato
con la nidiata dei senza nido,
lungo corridoi inamidati.
La tua testa al mio tocco s'inclina,
vacilla piano come una tazzina.
Senti l'appartenenza.
Ma questo è un letto istituzionale.
Non farai per molto la mia conoscenza.
I dottori sono smaltati.
Vogliono sapere i fatti.
Si chiedono dell'uomo che mi ha lasciato,
un'anima pendolo che viene e che va
e come sempre ti lascia piena di bambino.
Ma la nostra cartella clinica rimane vuota.
Ti ho lasciato crescere, non ho fatto altro.
Ora siamo qui, guardati da tutto il reparto.
Hanno pensato che fossi strana
anche se non ho detto una parola.
Sono esplosa e svuotandomi di te
ti ho lasciato imparare cos'è l'aria.
I dottori fanno grafici d'indovinelli.
Volgo la testa altrove. Io non lo so.
È tua la sola faccia che riconosco.
Ossa da ossa mi bevi le risposte.
Sei volte al giorno soddisfo il tuo bisogno,
le tue labbra animali,
il tepore della pelle che si fa paffuta.
Vedo schiudersi le tendine degli occhi.
Sono pietre blu, il muschio va sparendo.
Sbatti le palpebre stupito,
e mi chiedo cosa vedi
strano parente che turbi il mio silenzio.
Sono un riparo di menzogne.
Dovrei di nuovo imparare a parlare,
o senza speranza di salute mentale
potrò toccare un viso che riconosco?
Nel corridoio ritornano le ceste.
Le mie braccia ti calzano a pennello,
avvolgono le lanose infiorescenze
dei tuoi salici piangenti,
l'arnia ronzante d'api dei tuoi nervi,
i muscoli e le grinze dei primi giorni.
La tua faccia da vecchino
disarma le infermiere.
I dottori mi rimproverano ancora.
Parlo allora. È a te che il mio silenzio nuoce.
Dovevo saperlo. Devo far scrivere qualcosa.
La voce s'allarma nella gola:
''Nome del padre: nessuno''.
Ti tengo fra le braccia e ti nomino bastardo.
E anche questa è fatta. Non ho più
niente da dire, niente da perdere.
Altre hanno già trafficato vita
e non potevano parlare.
Mi rattrappisco per evitare
i tuoi occhi gufigni, mio fragile ospite.
Sfioro le tue guance come fiori. Al contatto
illividisci. Ci disconosciamo. Sono
l'insenatura che t'accoglie, lo scoglio
contro cui ti frangi. Ti stacchi. Scelgo
l'unica via per te, piccolo erede,
e ti do via, squassando i noi stessi che perdiamo.
Va' bimbo che non sei nulla più d'un mio peccato.
La ballata della masturbatrice solitaria
Anne Sexton

La fine della cosa è sempre morte.
E’ lei la mia officina.. L’occhio viscido,
fuori dalla tribù di me stessa il mio respiro
scopre che te ne sei andato via. Metto terrore
a chi mi si avvicina.. Mi nutro.
Io da sola ogni notte sposo il letto.

Un dito dopo l'altro lei è mia..
Non è così lontana.. Mi ci imbatto.
La suono come una campana. Scivolo
nel nido d'amore dove la montavi,
tu che mi prendevi in prestito sul copriletto a fiori.
Io da sola ogni notte sposo il letto.

Prendi ad esempio questa notte, amore:
ogni singola coppia si compone,
su è giù si capovolge solidale,
e il due abbondante sopra piuma e spugna
si inginocchia spingendo, testa a testa.
Io da sola ogni notte sposo il letto.

In questo modo schizzo dal mio corpo,
è un irritante miracolo. Ma posso
mettere sullo schermo il mercatino
dei sogni? Mi distendo. Crocifiggo.
Mia piccola susina la chiamavi.
Io da sola ogni notte sposo il letto.

Poi viene la mia rivale occhi neri,
signora delle acque si leva sulla spiaggia,
ha dita vellutate da pianista,
labbra vezzose, voce come flauto.
E io una scopa con le gambe a X.
Io da sola ogni notte sposo il letto.

Ti prese come una donna che prende
un vestito d'occasione dal mobile.
Mi spacco come si spacca una pietra.
Ti ridò i libri e gli attrezzi da pesca.
Dice il giornale che ti sei sposato.
Io da sola ogni notte sposo il letto.

I ragazzi stanotte e le ragazze
sono tutt'uno. Aprono le camicie, abbassano
le cerniere, si tolgono le scarpe.
Spengono la luce. Le scintillanti
creature sono colme di menzogne.
Si mangiano l'un l'altra. Sono sazi.
Io da sola ogni notte sposo il letto.

Magia nera
Anne Sexton

Una donna che scrive è troppo sensibile e sensuale,
quali estasi e portenti!
Come se mestrui, bimbi ed isole
non fossero abbastanza; come se iettatori pettegoli
e ortaggi non fossero già abbastanza.
Crede di poter prevedere gli astri.
Nell'essenza una scrittrice è una spia.
Amore mio, così son io ragazza.

Un uomo che scrive è troppo colto e cerebrale,
quali fatture e feticci!
Come se erezioni, congressi e merci
non fossero abbastanza; come se macchine galeoni
e guerre non fossero già abbastanza.
Con un mobile usato costruisce un albero.
Nell'essenza uno scrittore è un ladro.
Amore mio, tu sei questo uomo.

Mai amando noi stessi,
odiando anche le nostre scarpe, i nostri cappelli,
ci amiamo preziosa, prezioso.
Le nostre mani sono azzurre e gentili,
gli occhi pieni di tremende confessioni.
Ma quando ci sposiamo
ci abbandonano i figli, disgustati.
Il cibo è troppo e nessuno è restato
a mangiare l'estrosa abbondanza


Cosa vogliono le donne
Kim Addonizio

Io voglio un vestito rosso.
Lo voglio leggero e a buon mercato,
voglio che sia troppo stretto, lo voglio portare
finché qualcuno non me lo strappi di dosso.
Lo voglio sbracciato e scollato,
quel vestito, così nessuno dovrà immaginarsi
cosa c’è sotto. Voglio andarci per strada
passare davanti al discount e alla ferramenta
con tutte quelle chiavi che brillano in vetrina,
davanti al caffé dei cinesi che hanno i bomboloni
del giorno prima, davanti ai fratelli Guerra
che buttano i maiali dal camion sul muletto,
issandosi in spalla quei lucidi grugni.
Voglio andare in giro come fossi l’unica
donna al mondo a caccia di una preda.
Lo voglio davvero quel vestito.
Lo voglio per confermare
i tuoi peggiori sospetti su di me,
per farti vedere quanto poco ci tengo a te
o per farti vedere tutto, tranne quello
che voglio. Appena lo trovo, lo tiro giù
dalla gruccia come un corpo
scelto per trasportarmi nel mondo, in mezzo
alle urla del parto e a quelle dell’amore,
e lo indosserò come ossa, come pelle,
sarà lo stramaledetto
vestito dentro cui mi seppelliranno.


Quando vado in bianco
Lisa Glatt

Quando vado in bianco
troppo a lungo
le mie poesie
come me
non vengono
e ci vuole un certo
quantitativo di nudo, morte, cipolle,
o malattie
per indurmi a
una poesia
e giovedì sera
un uomo del tutto improbabile
ha fatto proprio questo; mi ha indotto
a uscire dal bar dei poeti per entrare
nel suo salotto, a uscire dalla
mia gonna e dagli stivali neri per entrare
nelle sue lenzuola, nel lavandino e nei suoi Levis ed ora
è già domenica sera
e non ha ancora chiamato.
Entro lunedì lo odierò
ed esaurirò la vena
e se nessuno muore o s’ammala
le poesie finiranno
ma oggi
ne ho già scritte quattro.
Woow, che uomo!



Momenti rubati
Kim Addonizio

Se è successo, è successo una volta. Adesso tutto
è memoria – lui tagliava un’arancia: la buccia
intatta, poi il coltello, lo spicchio gelato
sollevato alla mia bocca, la sua bocca, la fine
membrana tra di noi, l’arancia squisita,
lingua, arancia, la mia nudità e la sua,
il modo in cui mi ha spinto contro il frigo –
Ora sento ancora le sue mani, il bacio
che non durò, ma che mandò neuroni gemelli
a balenare folli sulla corteccia. L’amore
è spietato, il modo in cui penetra
e continua ad emettere luce. Accanto alla stufa
mangiammo un’arancia. E c’erano fiori viola
sul tavolo. E davanti a noi poche ore.


La prima volta che faremo l’amore
Dorothy Doyle Mienko

Sarà quando le stelle
cadranno sugli alberi e sui marciapiedi

così brutali e belle che ti
indicheranno la strada dentro di me

e tu verrai copioso come pioggia
e grandine, e più forte ancora

batterai contro la mia tenerezza
poi, dopo, sembreremo abbattuti

come petali ammaccati per terra
e staremo lì; come fanno gli dei sfiniti

confetto
di Gayle Brandeis
(9/15/99)

dolciume consistente in un pezzo
di frutta secca, una radice (come la liquirizia), una mandorla,
o un seme rivestito e conservato con lo zucchero

Voglio rotolarti nello
zucchero. Ti voglio
dolce di glassa.
Voglio i granellini
stipati nel ricciolo
dell’orecchio, che
ti luccicano dalle ciglia,
che ti riempiono l’ombelico
come lanugine. Vorrei rivestire
tutte le parti del tuo corpo
di una seconda pelle zuccherina.
Voglio sciroppare ogni
dolcissimo pezzo di te.
Voglio amarti
fino a che i denti mi fanno male.


Desiderio
Joy Harjo

Facciamo che mastico desiderio e il succo esplode
di ali di zucchero in bocca.

Facciamo che ha il tuo sapore.

Facciamo che potrei anche annegare se te ne vai
per il tempo che occorre a un merlo
per capire un pino.

Facciamo che all’alba entriamo in pineta.

Non abbiamo dormito e il solo oppio che abbiamo fumato
è quello che esala dai nostri respiri congiunti.

Facciamo che le stelle non hanno mai imparato
a dire addio. (Una è un gioiello
di magia azzurra nel tuo orecchio perfetto).

Facciamo che tutto questo è vero

com’è vero che ci sono merli
in un paradiso di merli.

Asparago bianco
Sujata Bhatt

Chi parla mai delle forti correnti
che scorrono nelle gambe, nei seni
di una donna incinta
al quarto mese?

È giovane, è la sua prima volta
è snella e la nausea è passata.
La pancia comincia a farsi tonda
i seni prudono tutto il giorno,

ed è sorpresa che quello che vuole
è lui
di nuovo dentro di lei.
Oh vieni come un cavallo, vorrebbe dire,
muoviti come un cane, un lupo,
diventa un poppante cucciolo di leone.

Vieni qui, e qui, e qui,
ma nuota veloce e non ti fermare.

Chi parla mai del verde utero noce di cocco
i muscoli scoscesi, una profonda risacca
e il verde latte di cocco che sigilla
il suo pozzo, però scorre e la bagna
al suo tocco più lieve?

Chi capisce la logica
dietro questo desiderio?
Chi parla della montante marea
che risveglia
il suo sangue che lentamente ingrossa?
E la fame
cruda ossessione che nasce
dalla forma dell’asparago:
bianco per mancanza di sole e venato di ombre porporine,
ne compra tre chili
di quelli grossi, più spessi di qualunque dito,
ne accarezza le teste seriche
alcune allegramente incappucciate...
perfino l’odore la fa eccitare.

Spogliarsi
Beatrice Garland

Perdendo maglie
o disfacendo il letto
o come pioggia dai coppi,
arrivano ruzzolando:
vestiti verdi, calze pallide,
seta sciolta – come erba mietuta
o rose in fiore,
placandosi in piccoli mucchi
e catturando per un istante
la levità di un sentore – sapone,
pelle fragrante – congiungendo
queste flessuose repliche di sé.

E perché fermarsi lì?
O come un animale,
un seme, un frutto, andare avanti
a mutare gli antichi strati di pelle,
muta di serpente, pula, pelliccia
o duro acerbo mallo di noce,
finché l’intera selvatichezza
dell’età che incombe
è perduta e qualcosa di
dolce, intatto, immacolato
emerge ammiccando
all’aria aperta?

E forse nel tempo
questo lento disfare arriverà
a qualche immaginata profondità,
la densa e verdepallida gemma,
lieve, impalpabile.
Sì. Accadrà,
quell’ultima capriola di indumenti,
tendini, ciocche di luce e alveoli –
il resto è terra,
vetrate d’aria,
chiuse cortine di pioggia,
il sole inatteso.

Conformazioni
Grace Nichols

Lui le dà tutte le conformazioni
dell’Europa.

Lei gli dà una tempesta di pappagalli.

Lui le dà lisci capelli biondi
e una bianca frenesia.

Lei gli dà lana nera. L’oscurità dei suoi frutti gemelli.

Lui le dà uranio, platino, alluminio
e concordia.

Lei gli dà le sue “natiche Bantu”.

Lui vanta la spina dorsale sotto la pelle di lei.

Lei canta il suo alabastro e lo accarezza.
Lui fa come Colombo

che cade sulle rive intricate del suo frutteto riccio.

Lei gli consegna ancora le Indie tutte
ma questa volta chiude le lunghe gambe
piano piano
facendo della testa di lui il trono d’oro del suo impero.

un piccolo dono
Brenda Porster
per gf.

Sta invecchiando
e nel catalogo dei suoi lamenti
c’è il dolore persistente
a un ginocchio artritico:
non può dormire la notte
se non prende
una pillola e poi assume
l’unica posizione possibile.

Quando penso
che non molto tempo fa
facevamo insieme
lunghe camminate e parlavamo,
parlavamo, e lui declamava
le sue incessanti assurde
filastrocche, verso dopo verso,
La caccia al serpesce,
o altre cose sceme
di cui sono fatti i sogni
finché non gemevo basta
e avrei voluto, solo per un poco,
far tacere quella bocca bizzarra
in quel momento e luogo, con un bacio.

E come vorrei adesso che la mia bocca
con un bacio mandasse via il male,
vorrei essere una strega,
o una mamma, o qualche altra
specie di donna magica
con lingua e labbra taumaturgiche
per leccare e succhiar via le pene
degli anni che passano, veleno di serpente
da sputar fuori, per farlo ancora nuovo.

Labbra di maga avrebbero senz’altro
possanza contro quest’oltraggio,
quest’umiliazione, questo invecchiare,
le mie posson solo portare un dono
di estasi effimera, leccandolo per
restituirgli un corpo,
ancora, ancora,
in un immortale istante
di delizia.

Il canto della biancheria sporca
Erica Mann Jong

Quest’è il canto della biancheria sporca –
dacché viaggiammo di città in città
Accumulando intimo macchiato & camicie sudate
& jeans incrostati & coagulati dei nostri fluidi
& T-shirt raggrinzite dalla nostra gloriosa confusa passione
& biancheria irrigidita dall’intera nostra gioia.

Sono tornata a casa per lavare i miei panni.
Come la pioggia ticchettano, cadendo sul pavimento del bagno.
L’acqua sgocciola via i giorni fino a te.
L’acqua sporca mi parla d’amore.

Vaporosamente nelle bolle del nostro amore
Ho tuffato le mani nell’acqua bollente
Così come avrei potuto tuffarle
Dentro il tuo cuore.

Dopo anni di macchie & schizzi
Sto finalmente diventando pulita.
Voglio volare da te con una valigia di biancheria fresca,
togliermi i vestiti, ammucchiarli sul pavimento,
& farti strofinare il mio corpo con il tuo amore.

I gatti come gli angeli
Marge Piercy

I gatti come gli angeli dovrebbero essere magri;
i maiali e i cherubini dovrebbero essere grassi.
La gente sta di solito nel mezzo, un nodo
d’osso che spunta dal ginocchio che vorresti
imbottire, un rotolo di ciccia che penzola
dalla cintura. Ti autopunisci,
una di quelle palle di gomma che hanno i bambini
che rimbalzano sempre sulla
paletta, ripicchiando sulla stessa superficie.
Vorresti essere snella e liscia
come una saetta.
Quando ero giovane
amavo uomini spinosi con ghigni ascetici
tutti gomiti e parole e cartilagini
costoluti come chiglie grigio-nebbia sulla riva,
facce taglienti che accecano
come lame lucenti, il mento
rivolto al saccheggio come una prora egea.

Ora cerco uomini le cui pance serene
mostrano piacere per la carne e per la tavola,
uomini che vengono in cucina
e si siedono, che non pensano che a pelare patate
gli diventi piccolo; uomini con dita
larghe e testicoli violetti come fichi,
uomini con rughe gualcite e l’aspetto
stropicciato adatto ai letti recentemente
usati bene.
Non ci è richiesto
di sembrare quattordicenni malnutriti
malgrado quello che impone
la moda. Tu sei fatto per tirare un carro,
per sollevare un carico pesante e reggerlo,
e trascinarlo su per la salita, e sono così
anch’io, corpi contadini, rustici, solidi
belle pentole d’argilla scura che sanno
stare al fuoco. Quando mettiamo le pance
insieme non facciamo rumori metallici
rimbalziamo sulla buona imbottitura.

Ogni felicità assediata dai leoni
Jane Hirshfield

A volte quando
ti prendo nel mio corpo
posso quasi vederli che girano pazienti.
Quasi intravedo l’ombra della coda che si muove,
odo quasi il suono attutito degli artigli ritratti.
Questo è il momento – ne sono certa –
in cui anche loro sono meno sicuri.
È il momento in cui potrebbero quasi lasciarci liberi.

Omaggio ai miei fianchi
Lucille Clifton

Questi fianchi sono fianchi larghi
hanno bisogno di spazio
in cui girarsi.
Non ci stanno in piccoli
spazi meschini. Questi fianchi
sono fianchi liberi.
Non vogliono essere trattenuti.
Questi fianchi non sono mai stati schiavi,
vanno dove vogliono andare
fanno ciò che vogliono fare.
Questi fianchi sono fianchi possenti.
Questi fianchi sono fianchi magici.
Ho saputo che sono capaci
di fare un incantesimo a un uomo
e farlo girare come una trottola!

Le poesie “Unknown Girl in the Maternity Ward” (Ragazza ignota in reparto maternità), “The Black Art” (Magia nera), tradotte da Rosaria Lo Russo e “The Ballad of the Lonely Masturbator” (Ballata della masturbatrice solitaria), tradotta da Antonello Satta Centanin (Aldo Nove), sono tratte da: Anne Sexton, L’estrosa abbondanza, a cura di Rosaria Lo Russo, Antonello Satta Centanin ed Edoardo Zuccato, Milano, Crocetti editore, 1997.
Le altre poesie sono tratte da AA.VV., Gatti come angeli, L’eros nella poesia femminile di lingua inglese, a cura di Loredana Magazzeni e Andrea Sirotti, Milano, Medusa, 2006.