Nell’antologia di poesia femminile inglese contemporanea “Gatti come angeli”, l’universo variopinto e cosmopolita dell’eros spalanca, secondo le regole dello stile confessional (ricordiamo, tra le autrici migliori, Sylvia Plath e Anne Sexton) le porte delle case, autorizzando il lettore a divenire complice e confidente della ricerca di gioia e di libertà delle donne, così come delle loro disillusioni. Affrontano il tema dell’amore, il rapporto tra corporeità e relazione, nella interezza dei sensi, sentimenti e pensieri – che è propria della scrittura delle donne - molte autrici contemporanee, di diversa generazione e provenienza, in maggioranza statunitensi, ma anche afroamericane, britanniche, indiane, e di altre nazionalità, a testimoniare la multiculturalità, si potrebbe quasi dire la “planetarietà” di una parola femminile amorosa e consapevole, attenta alla posta in gioco, che è comunque alta, tra forza del desiderio e tutela della propria identità.
Ragazza ignota in reparto maternità. Anne Sexton Bimbo, la corrente del respiro ha sei giorni. Piccola nocca t'accoccoli sul letto bianco, piccolo e forte, come una chiocciola rattratto ti rannicchi al seno. Le labbra sono animali, sei nutrito con amore. All'inizio la fame non è errore. Tentennano le cuffiette le infermiere, su ceste a rotelle sei pascolato con la nidiata dei senza nido, lungo corridoi inamidati. La tua testa al mio tocco s'inclina, vacilla piano come una tazzina. Senti l'appartenenza. Ma questo è un letto istituzionale. Non farai per molto la mia conoscenza. I dottori sono smaltati. Vogliono sapere i fatti. Si chiedono dell'uomo che mi ha lasciato, un'anima pendolo che viene e che va e come sempre ti lascia piena di bambino. Ma la nostra cartella clinica rimane vuota. Ti ho lasciato crescere, non ho fatto altro. Ora siamo qui, guardati da tutto il reparto. Hanno pensato che fossi strana anche se non ho detto una parola. Sono esplosa e svuotandomi di te ti ho lasciato imparare cos'è l'aria. I dottori fanno grafici d'indovinelli. Volgo la testa altrove. Io non lo so. È tua la sola faccia che riconosco. Ossa da ossa mi bevi le risposte. Sei volte al giorno soddisfo il tuo bisogno, le tue labbra animali, il tepore della pelle che si fa paffuta. Vedo schiudersi le tendine degli occhi. Sono pietre blu, il muschio va sparendo. Sbatti le palpebre stupito, e mi chiedo cosa vedi strano parente che turbi il mio silenzio. Sono un riparo di menzogne. Dovrei di nuovo imparare a parlare, o senza speranza di salute mentale potrò toccare un viso che riconosco? Nel corridoio ritornano le ceste. Le mie braccia ti calzano a pennello, avvolgono le lanose infiorescenze dei tuoi salici piangenti, l'arnia ronzante d'api dei tuoi nervi, i muscoli e le grinze dei primi giorni. La tua faccia da vecchino disarma le infermiere. I dottori mi rimproverano ancora. Parlo allora. È a te che il mio silenzio nuoce. Dovevo saperlo. Devo far scrivere qualcosa. La voce s'allarma nella gola: ''Nome del padre: nessuno''. Ti tengo fra le braccia e ti nomino bastardo. E anche questa è fatta. Non ho più niente da dire, niente da perdere. Altre hanno già trafficato vita e non potevano parlare. Mi rattrappisco per evitare i tuoi occhi gufigni, mio fragile ospite. Sfioro le tue guance come fiori. Al contatto illividisci. Ci disconosciamo. Sono l'insenatura che t'accoglie, lo scoglio contro cui ti frangi. Ti stacchi. Scelgo l'unica via per te, piccolo erede, e ti do via, squassando i noi stessi che perdiamo. Va' bimbo che non sei nulla più d'un mio peccato. La ballata della masturbatrice solitaria Anne Sexton
La fine della cosa è sempre morte. E’ lei la mia officina.. L’occhio viscido, fuori dalla tribù di me stessa il mio respiro scopre che te ne sei andato via. Metto terrore a chi mi si avvicina.. Mi nutro. Io da sola ogni notte sposo il letto.
Un dito dopo l'altro lei è mia.. Non è così lontana.. Mi ci imbatto. La suono come una campana. Scivolo nel nido d'amore dove la montavi, tu che mi prendevi in prestito sul copriletto a fiori. Io da sola ogni notte sposo il letto.
Prendi ad esempio questa notte, amore: ogni singola coppia si compone, su è giù si capovolge solidale, e il due abbondante sopra piuma e spugna si inginocchia spingendo, testa a testa. Io da sola ogni notte sposo il letto.
In questo modo schizzo dal mio corpo, è un irritante miracolo. Ma posso mettere sullo schermo il mercatino dei sogni? Mi distendo. Crocifiggo. Mia piccola susina la chiamavi. Io da sola ogni notte sposo il letto.
Poi viene la mia rivale occhi neri, signora delle acque si leva sulla spiaggia, ha dita vellutate da pianista, labbra vezzose, voce come flauto. E io una scopa con le gambe a X. Io da sola ogni notte sposo il letto.
Ti prese come una donna che prende un vestito d'occasione dal mobile. Mi spacco come si spacca una pietra. Ti ridò i libri e gli attrezzi da pesca. Dice il giornale che ti sei sposato. Io da sola ogni notte sposo il letto.
I ragazzi stanotte e le ragazze sono tutt'uno. Aprono le camicie, abbassano le cerniere, si tolgono le scarpe. Spengono la luce. Le scintillanti creature sono colme di menzogne. Si mangiano l'un l'altra. Sono sazi. Io da sola ogni notte sposo il letto.
Magia nera Anne Sexton
Una donna che scrive è troppo sensibile e sensuale, quali estasi e portenti! Come se mestrui, bimbi ed isole non fossero abbastanza; come se iettatori pettegoli e ortaggi non fossero già abbastanza. Crede di poter prevedere gli astri. Nell'essenza una scrittrice è una spia. Amore mio, così son io ragazza.
Un uomo che scrive è troppo colto e cerebrale, quali fatture e feticci! Come se erezioni, congressi e merci non fossero abbastanza; come se macchine galeoni e guerre non fossero già abbastanza. Con un mobile usato costruisce un albero. Nell'essenza uno scrittore è un ladro. Amore mio, tu sei questo uomo.
Mai amando noi stessi, odiando anche le nostre scarpe, i nostri cappelli, ci amiamo preziosa, prezioso. Le nostre mani sono azzurre e gentili, gli occhi pieni di tremende confessioni. Ma quando ci sposiamo ci abbandonano i figli, disgustati. Il cibo è troppo e nessuno è restato a mangiare l'estrosa abbondanza
Cosa vogliono le donne Kim Addonizio
Io voglio un vestito rosso. Lo voglio leggero e a buon mercato, voglio che sia troppo stretto, lo voglio portare finché qualcuno non me lo strappi di dosso. Lo voglio sbracciato e scollato, quel vestito, così nessuno dovrà immaginarsi cosa c’è sotto. Voglio andarci per strada passare davanti al discount e alla ferramenta con tutte quelle chiavi che brillano in vetrina, davanti al caffé dei cinesi che hanno i bomboloni del giorno prima, davanti ai fratelli Guerra che buttano i maiali dal camion sul muletto, issandosi in spalla quei lucidi grugni. Voglio andare in giro come fossi l’unica donna al mondo a caccia di una preda. Lo voglio davvero quel vestito. Lo voglio per confermare i tuoi peggiori sospetti su di me, per farti vedere quanto poco ci tengo a te o per farti vedere tutto, tranne quello che voglio. Appena lo trovo, lo tiro giù dalla gruccia come un corpo scelto per trasportarmi nel mondo, in mezzo alle urla del parto e a quelle dell’amore, e lo indosserò come ossa, come pelle, sarà lo stramaledetto vestito dentro cui mi seppelliranno.
Quando vado in bianco Lisa Glatt
Quando vado in bianco troppo a lungo le mie poesie come me non vengono e ci vuole un certo quantitativo di nudo, morte, cipolle, o malattie per indurmi a una poesia e giovedì sera un uomo del tutto improbabile ha fatto proprio questo; mi ha indotto a uscire dal bar dei poeti per entrare nel suo salotto, a uscire dalla mia gonna e dagli stivali neri per entrare nelle sue lenzuola, nel lavandino e nei suoi Levis ed ora è già domenica sera e non ha ancora chiamato. Entro lunedì lo odierò ed esaurirò la vena e se nessuno muore o s’ammala le poesie finiranno ma oggi ne ho già scritte quattro. Woow, che uomo!
Momenti rubati Kim Addonizio
Se è successo, è successo una volta. Adesso tutto è memoria – lui tagliava un’arancia: la buccia intatta, poi il coltello, lo spicchio gelato sollevato alla mia bocca, la sua bocca, la fine membrana tra di noi, l’arancia squisita, lingua, arancia, la mia nudità e la sua, il modo in cui mi ha spinto contro il frigo – Ora sento ancora le sue mani, il bacio che non durò, ma che mandò neuroni gemelli a balenare folli sulla corteccia. L’amore è spietato, il modo in cui penetra e continua ad emettere luce. Accanto alla stufa mangiammo un’arancia. E c’erano fiori viola sul tavolo. E davanti a noi poche ore.
La prima volta che faremo l’amore Dorothy Doyle Mienko
Sarà quando le stelle cadranno sugli alberi e sui marciapiedi
così brutali e belle che ti indicheranno la strada dentro di me
e tu verrai copioso come pioggia e grandine, e più forte ancora
batterai contro la mia tenerezza poi, dopo, sembreremo abbattuti
come petali ammaccati per terra e staremo lì; come fanno gli dei sfiniti
confetto di Gayle Brandeis (9/15/99)
dolciume consistente in un pezzo di frutta secca, una radice (come la liquirizia), una mandorla, o un seme rivestito e conservato con lo zucchero
Voglio rotolarti nello zucchero. Ti voglio dolce di glassa. Voglio i granellini stipati nel ricciolo dell’orecchio, che ti luccicano dalle ciglia, che ti riempiono l’ombelico come lanugine. Vorrei rivestire tutte le parti del tuo corpo di una seconda pelle zuccherina. Voglio sciroppare ogni dolcissimo pezzo di te. Voglio amarti fino a che i denti mi fanno male.
Desiderio Joy Harjo
Facciamo che mastico desiderio e il succo esplode di ali di zucchero in bocca.
Facciamo che ha il tuo sapore.
Facciamo che potrei anche annegare se te ne vai per il tempo che occorre a un merlo per capire un pino.
Facciamo che all’alba entriamo in pineta.
Non abbiamo dormito e il solo oppio che abbiamo fumato è quello che esala dai nostri respiri congiunti.
Facciamo che le stelle non hanno mai imparato a dire addio. (Una è un gioiello di magia azzurra nel tuo orecchio perfetto).
Facciamo che tutto questo è vero
com’è vero che ci sono merli in un paradiso di merli.
Asparago bianco Sujata Bhatt
Chi parla mai delle forti correnti che scorrono nelle gambe, nei seni di una donna incinta al quarto mese?
È giovane, è la sua prima volta è snella e la nausea è passata. La pancia comincia a farsi tonda i seni prudono tutto il giorno,
ed è sorpresa che quello che vuole è lui di nuovo dentro di lei. Oh vieni come un cavallo, vorrebbe dire, muoviti come un cane, un lupo, diventa un poppante cucciolo di leone.
Vieni qui, e qui, e qui, ma nuota veloce e non ti fermare.
Chi parla mai del verde utero noce di cocco i muscoli scoscesi, una profonda risacca e il verde latte di cocco che sigilla il suo pozzo, però scorre e la bagna al suo tocco più lieve?
Chi capisce la logica dietro questo desiderio? Chi parla della montante marea che risveglia il suo sangue che lentamente ingrossa? E la fame cruda ossessione che nasce dalla forma dell’asparago: bianco per mancanza di sole e venato di ombre porporine, ne compra tre chili di quelli grossi, più spessi di qualunque dito, ne accarezza le teste seriche alcune allegramente incappucciate... perfino l’odore la fa eccitare.
Spogliarsi Beatrice Garland
Perdendo maglie o disfacendo il letto o come pioggia dai coppi, arrivano ruzzolando: vestiti verdi, calze pallide, seta sciolta – come erba mietuta o rose in fiore, placandosi in piccoli mucchi e catturando per un istante la levità di un sentore – sapone, pelle fragrante – congiungendo queste flessuose repliche di sé.
E perché fermarsi lì? O come un animale, un seme, un frutto, andare avanti a mutare gli antichi strati di pelle, muta di serpente, pula, pelliccia o duro acerbo mallo di noce, finché l’intera selvatichezza dell’età che incombe è perduta e qualcosa di dolce, intatto, immacolato emerge ammiccando all’aria aperta?
E forse nel tempo questo lento disfare arriverà a qualche immaginata profondità, la densa e verdepallida gemma, lieve, impalpabile. Sì. Accadrà, quell’ultima capriola di indumenti, tendini, ciocche di luce e alveoli – il resto è terra, vetrate d’aria, chiuse cortine di pioggia, il sole inatteso.
Conformazioni Grace Nichols
Lui le dà tutte le conformazioni dell’Europa.
Lei gli dà una tempesta di pappagalli.
Lui le dà lisci capelli biondi e una bianca frenesia.
Lei gli dà lana nera. L’oscurità dei suoi frutti gemelli.
Lui le dà uranio, platino, alluminio e concordia.
Lei gli dà le sue “natiche Bantu”.
Lui vanta la spina dorsale sotto la pelle di lei.
Lei canta il suo alabastro e lo accarezza. Lui fa come Colombo
che cade sulle rive intricate del suo frutteto riccio.
Lei gli consegna ancora le Indie tutte ma questa volta chiude le lunghe gambe piano piano facendo della testa di lui il trono d’oro del suo impero.
un piccolo dono Brenda Porster per gf.
Sta invecchiando e nel catalogo dei suoi lamenti c’è il dolore persistente a un ginocchio artritico: non può dormire la notte se non prende una pillola e poi assume l’unica posizione possibile.
Quando penso che non molto tempo fa facevamo insieme lunghe camminate e parlavamo, parlavamo, e lui declamava le sue incessanti assurde filastrocche, verso dopo verso, La caccia al serpesce, o altre cose sceme di cui sono fatti i sogni finché non gemevo basta e avrei voluto, solo per un poco, far tacere quella bocca bizzarra in quel momento e luogo, con un bacio.
E come vorrei adesso che la mia bocca con un bacio mandasse via il male, vorrei essere una strega, o una mamma, o qualche altra specie di donna magica con lingua e labbra taumaturgiche per leccare e succhiar via le pene degli anni che passano, veleno di serpente da sputar fuori, per farlo ancora nuovo.
Labbra di maga avrebbero senz’altro possanza contro quest’oltraggio, quest’umiliazione, questo invecchiare, le mie posson solo portare un dono di estasi effimera, leccandolo per restituirgli un corpo, ancora, ancora, in un immortale istante di delizia.
Il canto della biancheria sporca Erica Mann Jong
Quest’è il canto della biancheria sporca – dacché viaggiammo di città in città Accumulando intimo macchiato & camicie sudate & jeans incrostati & coagulati dei nostri fluidi & T-shirt raggrinzite dalla nostra gloriosa confusa passione & biancheria irrigidita dall’intera nostra gioia.
Sono tornata a casa per lavare i miei panni. Come la pioggia ticchettano, cadendo sul pavimento del bagno. L’acqua sgocciola via i giorni fino a te. L’acqua sporca mi parla d’amore.
Vaporosamente nelle bolle del nostro amore Ho tuffato le mani nell’acqua bollente Così come avrei potuto tuffarle Dentro il tuo cuore.
Dopo anni di macchie & schizzi Sto finalmente diventando pulita. Voglio volare da te con una valigia di biancheria fresca, togliermi i vestiti, ammucchiarli sul pavimento, & farti strofinare il mio corpo con il tuo amore.
I gatti come gli angeli Marge Piercy
I gatti come gli angeli dovrebbero essere magri; i maiali e i cherubini dovrebbero essere grassi. La gente sta di solito nel mezzo, un nodo d’osso che spunta dal ginocchio che vorresti imbottire, un rotolo di ciccia che penzola dalla cintura. Ti autopunisci, una di quelle palle di gomma che hanno i bambini che rimbalzano sempre sulla paletta, ripicchiando sulla stessa superficie. Vorresti essere snella e liscia come una saetta. Quando ero giovane amavo uomini spinosi con ghigni ascetici tutti gomiti e parole e cartilagini costoluti come chiglie grigio-nebbia sulla riva, facce taglienti che accecano come lame lucenti, il mento rivolto al saccheggio come una prora egea.
Ora cerco uomini le cui pance serene mostrano piacere per la carne e per la tavola, uomini che vengono in cucina e si siedono, che non pensano che a pelare patate gli diventi piccolo; uomini con dita larghe e testicoli violetti come fichi, uomini con rughe gualcite e l’aspetto stropicciato adatto ai letti recentemente usati bene. Non ci è richiesto di sembrare quattordicenni malnutriti malgrado quello che impone la moda. Tu sei fatto per tirare un carro, per sollevare un carico pesante e reggerlo, e trascinarlo su per la salita, e sono così anch’io, corpi contadini, rustici, solidi belle pentole d’argilla scura che sanno stare al fuoco. Quando mettiamo le pance insieme non facciamo rumori metallici rimbalziamo sulla buona imbottitura.
Ogni felicità assediata dai leoni Jane Hirshfield
A volte quando ti prendo nel mio corpo posso quasi vederli che girano pazienti. Quasi intravedo l’ombra della coda che si muove, odo quasi il suono attutito degli artigli ritratti. Questo è il momento – ne sono certa – in cui anche loro sono meno sicuri. È il momento in cui potrebbero quasi lasciarci liberi.
Omaggio ai miei fianchi Lucille Clifton
Questi fianchi sono fianchi larghi hanno bisogno di spazio in cui girarsi. Non ci stanno in piccoli spazi meschini. Questi fianchi sono fianchi liberi. Non vogliono essere trattenuti. Questi fianchi non sono mai stati schiavi, vanno dove vogliono andare fanno ciò che vogliono fare. Questi fianchi sono fianchi possenti. Questi fianchi sono fianchi magici. Ho saputo che sono capaci di fare un incantesimo a un uomo e farlo girare come una trottola!
Le poesie “Unknown Girl in the Maternity Ward” (Ragazza ignota in reparto maternità), “The Black Art” (Magia nera), tradotte da Rosaria Lo Russo e “The Ballad of the Lonely Masturbator” (Ballata della masturbatrice solitaria), tradotta da Antonello Satta Centanin (Aldo Nove), sono tratte da: Anne Sexton, L’estrosa abbondanza, a cura di Rosaria Lo Russo, Antonello Satta Centanin ed Edoardo Zuccato, Milano, Crocetti editore, 1997. Le altre poesie sono tratte da AA.VV., Gatti come angeli, L’eros nella poesia femminile di lingua inglese, a cura di Loredana Magazzeni e Andrea Sirotti, Milano, Medusa, 2006. |