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Parole di stelle- Memorie di bambini nascosti 1939-1945



lunedì 28 gennaio 2008 leggono vari
Un percorso di Vita, di Storia, di storie di vite per imparare ad essere individui ma non individualisti, per imparare ad essere gruppo ma non gregge, per imparare ad essere fautori e non spettatori della propria vita, per imparare a pensare prima di agire poi ad agire convinti che sia giusto farlo, per imparare che la differenza tra un sì e un no può essere una vita umana.

Regia di Lorenzo Bonaiuti e Micaela Piccinini


Parole di stelle, memoria di bambini nascosti, Ed Librio, France Bleu, trad. Giulia Zambonelli

BASSA MAREA

La spiaggia è vuota, la marea bassa e le scogliere deserte…aldilà delle dune, nell’entroterra, la vecchia Europa giace soffocata dalla complessità delle sue radici, dalle sue divisioni. Un vento malvagio soffia dall’est. Porta la sabbia, sradica le ginestre. Inquina l’acqua delle sorgenti. Soffoca il canto dei fiumi. Respinge il fumo nei condotti dei camini. Spenge le candele. Disperde le braci. Prosciuga gli stagni dove si abbeverano le bestie. Rende infeconde le uova nei nidi.
Tutti tendono a designare delle vittime espiatorie, dei reietti, che dovranno alleggerire il resto dell’umanità da tutta la colpevolezza umana, che dovranno addossarsi tutto il peso della responsabilità della miseria inumana.
Bisogna designare un popolo maledetto. Bisogna escludere. Bisogna espurgare le differenze, perché la somma delle differenze è infinitamente troppo sovversiva per i dittatori. Occorre che l’arca di Noè funzioni al contrario. Bisogna scatenare il diluvio. Occorre che la colomba della pace sia infilzata sul suo stesso ramo d’ulivo o straziata dall’aquila che affila con i suoi artigli il lampo del fulmine.
Utilizzano il potere della paura e la loro immaginazione attinge ai pozzi degli incubi dell’infanzia che hanno rinnegato…hanno scatenato il vento dell’odio e del terrore, le fiamme dell’inferno e il freddo degli abissi.
Ma sotto il cielo che si carica, i porti e le spiagge sono ancora silenziosi; la marea sembra stanca e il tempo sospeso; il vento trattiene ancora il suo soffio…

Ciò che fa la felicità dell’infanzia è l’infanzia stessa. Quando ci si può alzare e non pensare a niente…”
Yves
Prima della guerra, la Francia rappresentava il paese della libertà e della gioia di vivere.
Salomon
Sono venuti in Francia perché pensavano che qui tutto fosse bello, che questo fosse il paese del latte e del miele…
Betty
I miei genitori erano come certi uccelli migratori che, in ciascun paese dove fanno tappa, costruiscono un nido provvisorio e depongono un uovo. Se noi bambini tra di noi parlavamo francese, papà e mamma parlavano yiddish o ungherese. Mio padre,un avventuriero e sognatore, aveva sete di altri mondi.
Maurice
Noi siamo arrivati a Parigi il 14 luglio 1933. Io bambina, sbalordita, in mezzo a tutta quella gente che danzava per le strade, stupita da quel mondo in festa, mi chiesi si i francesi danzavano così tutti i giorni, se ogni giorno, in Francia, fosse celebrato come una festa.
Henny
Io sono nato il primo ottobre 1930 a Strasburgo. Mio padre era chirurgo, mia madre figlia di farmacisti. I miei antenati erano strasburghesi da più di due secoli.
Anne-Lise
Le due famiglie dei miei genitori erano russe, l’una di Kiev, l’altra di Mosca. Erano arrivate in Francia nel 1917, dopo la rivoluzione. Erano fuggite attraverso la Finlandia. Conoscevano la Francia, ci venivano in vacanza. I miei genitori impararono prima il francese del russo. Parlavano anche l’inglese e il tedesco. Erano dei privilegiati, Il lavoro non era una preoccupazione. Malgrado le vicende storiche avevano preservato il loro patrimonio e mantenevano una vita agiata e senza problemi.
Denise
Mia nonna è arrivata in Francia con mia madre neonata. La sua famiglia era molto povera. Abitavano tutti in una piccola casa e come unico patrimonio avevano una mezza mucca. L’altra metà era di proprietà dei vicini.
Simone
Il retro del negozio serviva da sala da pranzo. Un corridoi senza finestre faceva da locale di servizio tra la cucina e la sala da pranzo e portava verso la sola stanza da letto dove si ritirava tutta la famiglia alla sera per dormire….
Claudine
Il mio primo ricordo di vita resta quello dell’alcova dove sono nata. Una stanza buia divisa da una tenda. E gli odori. Gli odori della povertà. L’odore della vecchia scala che portava alla nostra camera. I bagni sul pianerottolo, l’odore di un posto dove certamente non esisteva il riscaldamento. Un posto umido e tetro.
Marion
Mia sorella ed io siamo nate a Parigi nel 1930 e nel 1929. I miei genitori non erano religiosi praticanti, il loro sogno era l’integrazione, io non sapevo nulla del giudaismo.
Marie
Mi ricordo l’odore di mia madre; mi è rimasto addosso per molti anni. Un odore di bucato, di legna umida che brucia sotto la lisciviatrice; anche odori della cucina, odori di bambini, odori indefinibili e senza nome. Altri sconosciuti. Odore di sudore, di forno del panettiere. Tutti profumi di una madre ebrea.
Maurice
Intorno a me, gli adulti della mia famiglia parlavano poco, male o per niente il francese. Si esprimevano tutti i giorni in Yiddish, quella lingua giudaica tedesca degli ebrei ashkenaziti dell’Europa centrale. Una lingua scorrevole, così immaginosa, così piena di tenerezza! La lingua nella quale non ci si accontenta di dire “Andiamo!” ma si dice “ Andiamo in buona salute!” La lingua nella quale è quasi inconcepibile chiamare un bambino solo con il suo nome senza aggiungere un diminutivo dolce a sentirsi. Così che, tutti i giorni, un bambino si senta amato. Quando gli adulti si esprimevano in francese, non potevano trattenersi dal tradurre le pudiche parole che, come se niente fosse, distillavano amore. Così, piuttosto che chiamarmi “Chanè”, il mio nome in Yiddish, mi chiamavano “ Chanelè” E quando m’interpellavano in francese, non era mai “Annette” ma “Annetelè” oppure “annettekelè”. A chi non capisce il perché di queste sfumature, posso affermare che esse cambiano tutte le cose. E’come una carezza che accompagna le parole. Come un sorriso…per fare piacere. Oppure una mano che stringe l’altra. E’qualcosa che si dona così….per fare del bene.
Annette
A Natale, con la bambola per me e l’immancabile Meccano per mio fratello, avevamo diritto ciascuno a una reticella contenente due arance. Era per noi un frutto di lusso. Noi le guardavamo delle settimane, le facevamo passare da una mano all’altra e, quando infine, ci decidevamo a mangiarle, erano tutte secche.
Claudine
I miei genitori si amavano e mi amavano molto. Sono nata nel 1935. Il ricordo più bello della mia infanzia è legato a mio padre. Mio padre mi lanciava in aria. Avevo circa due anni e io e lui, noi, scoppiavamo a ridere improvvisamente e mia madre si prendeva paura. Mio padre mi metteva a seder sulla schiena di un grande cane, il cane del fattore, e mi portava in giro per la piazza. E’ stato mio padre ad insegnarmi ad andare in bicicletta. Mio padre mi ha insegnato a nuotare nella Marne. Era un uomo molto dolce, molto tenero e io sapevo che era anche molto intelligente, sempre di buonumore; un uomo molto calmo, molto modesto. Si occupava molto di me e io l’adoravo. Ero figlia unica.
Micheline
I miei genitori si amavano molto. Erano molto allegri. Cantavano tutto il tempo. Mamma cucinava secondo le usanza polacche. Da noi non si dicevano le preghiere, andavamo una volta all’anno in sinagoga Ci andavamo a piedi per lo Yom Kippur. Il resto dell’anno mio padre non era religioso. Non seguivamo nessuno dei punti di vista religiosi. Mo padre suonava il violino, aveva imparato in Polonia. Anche i miei zii suonavano strumenti a corde, il violino e il mandolino. Suonavano così, ad orecchio. E spesso, quando avevano un po’ di tempo libero, mia madre cantava e papà l’accompagnava. Era un ambiente sereno.
Georgette
La famiglia di mio padre fuggì dalla Polonia davanti all’armata rossa al momento della Rivoluzione. Come mia madre venne a parigi all’inizio del 1930. Si incontrarono mentre facevano la fila alla prefettura per ottenere il visto.
Mio padre era pellicciaio. Mia madre aiutava mia zia che era sarta a domicilio. Dopo il matrimonio si sono fermati e hanno iniziato a fare maglioni. Cucivano gilets e pullovers, a sopraggitto. Lavoravano a casa.
Henriette
Rue de Coteau era piena di piccoli fruttivendoli. C’erano molti commercianti. E, qualche volta, mia madre mi comprava una banana quando mi portava a fare la spesa. Era ciò che c’era di buono! In rue Ordener c’era il municipio e poco più avanti un gelataio molto conosciuto. E d’estate c’era veramente tutto un mondo. Gli ebrei si incontravano, così parlavano Yiddish, si ritrovavano tutti. Mi ricordo che la sera, i bambini correvano per le strade, giocavano a campana e dopo facevamo il giro del quartiere, suonavamo a tutte le porte per infastidire i portinai. E la gente si parlava da una finestra all’altra. Ci guardava giocare e allo stesso tempo parlava con i vicini. Tutto il mondo si metteva alla finestra…
Denise
Cominciava l’anno 1940 e l’esercito tedesco trionfava dappertutto: era la fine. Capimmo che i tedeschi stavano arrivando. Noi avevamo molta paura. Alcuni nostri parenti erano già partiti per l’America, altri per la Svizzera. A Dinar, nelle vicinanze, fu fatto saltare un deposito di munizioni. La gente fuggiva verso Bordeaux, verso il sud.ovest. Gli italiani mitragliavano sulla gente. Iniziò l’esodo. Avevamo saputo che alcuni soldati si erano imbarcati a Dunkerque per L’Inghilterra e cge erano stati bombardati sai tedeschi. Dappertutto c’erano morti.
Arlette
Mio padre, mia madre e noi quattro bambini eravamo stretti dentro la citroen B14, familiare, come veniva chiamata a quel tempo. Sul tetto dell’auto c’era accatastato tutto quello che avevamo potuto portare via in quella fuga improvvisa: materassi, bacinelle…Un poco più avanti di Compiegne, iniziarono a mitragliare dagli aeroplani. Ci rifugiammo sotto la macchina e tutti urlavano…
Georges
Ho visto arrivare i tedeschi a Parigi. Ero all’uscita della metropolitana Temple e ho visto i tedeschi sfilare in ranghi e ho visto la totalità dei francesi applaudire a due mani….erano disposti su cinque, sei file, i marciapiedi erano neri….tutto il mondo applaudiva i tedeschi…
Albert
La Francia firmò la sua capitolazione il 25 giugno 1940. Dinar fu occupata così come Parigi. Non potevamo più andare né avanti né indietro così tornammo a Parigi. Io ripresi ad andare al liceo. Parigi era diventata una città tedesca. Bandiere naziste, frusciare di stivali, parate e discorsi in tedesco. Tutto questo mi faceva male, mi faceva paura e noi assistevamo impotenti. Noi, ebrei francesi assimilati, avevamo visto arrivare ebrei stranieri dalla Polonia e dalla Germania che raccontavano cose terribili! Noi sapevamo già, fin dall’inizio, di che cosa erano capaci i tedeschi verso noi ebrei. Numerosi francesi, influenzati senza dubbio dal governo collaborazionista di Vichy, trovavano queste cose “corrette”! La Francia era in quel momento governata dal maresciallo Petain e divisa in due zone: una occupata dai tedeschi e l’altra no:la zona libera.
Arlette
Dei primi giorni di occupazione, non mi ricordo niente di terribile, di tragico, di drammatico. Tutto il contrario: presto la gente del quartiere iniziò a dire che “i tedeschi non erano così crudeli come noi avevamo lasciato intendere”, che non erano tutti dei bruti, che ce n’erano di molto simpatici e corretti. In tutti i casi non erano certamente dei barbari. Ed erano molto gentili, così pensava la popolazione. Loro davano dei concerti a Parigi, nei chioschi, per i Parigini.
Per noi, marmocchi del quartiere, era effettivamente uno spettacolo vedere la fanfara tedesca marciare impeccabilmente, suonando una marcia militare, verso il chiosco all’angolo dove tenevano un concerto che tutti avevano piacere di sentire. Alla fine del concerto, i soldati ci davano caramelle e barrette di cioccolata.
Leon

TEMPESTA

Avete dovuto prendere il mare di giorno e per molto tempo....Abbandonare il calore del vostro letto da bambini, quello che vi ha accolti le mattine senza scuola. Avete dovuto lasciare la quiete delle settimane di vacanza, i pomeriggi d'estate, la magia delle ore tranquille, la dolcezza degli istanti che segnavano la fine del riposo e vi accompagnavano al bagno della sera. Affrontare in famiglia la tempesta che covava da anni e anni...
Progressivamente, lentamente ma profondamente, voi siete diventati "l'altro"...Lo straniero, l'invasore, il predatore, il colpevole. Avete dovuto affrontare l'odio...un odio feroce e sbrigliato. Un odio spaventoso venuto improvvisamente a scuotere l'onda chiara e tranquilla davanti ai vostro occhi di bambini...
Fategli portare la stella di David! Come i nostri padri, noi dobbiamo porre fine ai loro abominevoli traffici! Bisogna rivedere i requisiti per la naturalizzazione! Bisogna applicare anche a loro lo statuto per gli stranieri! Bisogna sottrarre i loro beni per il risarcimento delle vittime di guerra e degli incidenti. E obbligarli infine a portare, bene in evidenza sui loro vestiti, il segno distintivo della loro reale identità…di colore giallo, sui loro abiti, in fretta, se noi non vogliamo finire presto, come disse il nostro Edmond de Goncourt, “addomesticati e schiavizzati”
Da un volantino distribuito per la strada, 1940

Nel 1938 ci arrivò un libro che noi bambini non avevamo il diritto di leggere: era tenuto sul comodino dei miei genitori e poiché come tutti i bambini ero curiosa successe che un giorno, i miei genitori non c’erano, lo aprii. Conteneva delle foto e delle descrizioni di quello che stava succedendo a Buchenwald. Mostrava le foto dei posti dove impiccavano la gente e mostrava il sindaco di una piccola cittadina tedesca che era comunista. Aveva l’obbligo di fare il cane, cioè di marciare a quattro zampe e abbaiare. E poi si vedeva lui impiccato. Tutto quello mi aveva molto impressionato. Noi avevamo, come tutti, una bella foto del generale Petain, in sala da pranzo e i miei genitori erano assolutamente sicuri che saremmo stati protetti dal papa in quanto ebrei sefarditi e dal generale Petain in quanto ebrei francesi, non rischiavamo niente…
Jean
C’era una pescivendola, che era veramente come uno se la immagina solitamente: una pescivendola forte, con due guance rosse, un grembiule blu e una gonna lunga. Ed era veramente una profonda antisemita! Avevamo il WC allo stesso piano e ogni giorno diceva “Questi ebrei mi hanno messo qualcosa nel Wc che lo rende inutilizzabile." C’era anche una cremeria che era in rue Tourtille; in questa cremeria tutto brillava, tutto era lucido…C’era anche qualcuno di profondamente antisemita. Mia madre era una persona molto pulita; mi mandava a prendere il latte con la brocca e quando facevo la coda, la lattaia non guardava nemmeno la brocca e mi diceva” Io non metto il mio latte in una brocca che non è pulita. Torna da tua madre e chiedila di rilavarla” Io me ne andavo in lacrime. MIa madre non rilavava la brocca perché era già pulita, ma mi faceva tornare…Questo era il genere di vessazioni che subivamo…
Lola
L’estate del 1940 vedemmo apparire sui muri dei manifesti rappresentanti delle caricature ignobili della ‘razza ebraica’. La stessa cosa si sentiva per radio, commenti violenti nei nostri confronti e così al cinema durante le sequenze d’attualità. I giornali, che fossero quotidiani, settimanali o mensili erano violenti nei nostri confronti e non facevano altro che ingigantire l’odio contro di noi e alimentare la speranza di vederci sparire…
Lazare
Noi, il maresciallo di Francia, capo dello stato francese, sentiti il consiglio dei ministri, decretano:
Art. 1- sono considerati ebrei, per l’applicazione della presente legge, tutte le persone con tre nonni di razza ebraica o con due nonni della stessa razza, se il loro coniuge è ebreo.
Philippe Petain 3 ottobre 1940 (ADULTO)
1940. Siamo in Francia. Arriva un convoglio per il campo di ‘concentrazione’. Il convoglio si ferma tutti i giorni fuori dalla stazione, lontano dalla stazione, e tutti i giorni all’alba perché non si sappia che c’è. A noi è detto: “Lasciate tutte le vostre cose, ve le porteremo, e venite” Allora n marcia, senza sapere dove si va. E d’improvviso, in lontananza, vediamo scintillare delle piccole luci, vediamo delle ombre che corrono con delle coperte e poi vediamo le baracche. E’un campo, circondato di filo spinato, doppio filo spinato, e c’è un’entrata, non è una porta. Ci sono delle capriate con del filo spinato che sono sorvegliate…dalla Guardia repubblicana. Là ci fanno fermare; ci sono cento, duecento persone, donne, bambini, genitori, la madre e il padre. E di colpo un ufficiale viene a dirci: “Ascoltate, non vogliamo farvi del male ma solo separare gli uomini da una parte e le donne e i bambini dall’altra” In realtà era terribile. Le donne iniziarono a piangere, piangere per la disperazione. Gli uomini si abbracciano, le donne si abbracciano e non vogliono lasciarsi. I sorveglianti iniziano a bastonare sulla testa, a tirare la gente per i piedi, per le braccia, per i capelli. C’è una cosa che segna la deportazione, l’internamento: la separazione, la lacerazione, i colpi, i rumori…
Lena
Mio padre era molto amico di un commissario di polizia. Giocavano a briscola insieme alla sera di ritorno dal lavoro. Nel febbraio del 1941, il commissario entrò in negozio e disse a mio padre: “Simon, in municipio Si chiede di te. Hanno bisogno di qualche informazione” Mio padre, avendo fiducia nell’amico, come poteva non aver fiducia in un amico con cui giochi a briscola, mangi insieme, bevi l’aperitivo, andò in municipio e nemmeno un quarto d’ora dopo, il commissario di polizia venne da mia madre e le disse:” Ecco, prepara una valigia per Simon, è stato arrestato”. Era il febbraio 1941.
Betty
Per la vita, per la sicurezza del nostro paese, senza indugi, estirpano la cancrena ebraica. Si sbarazzano di noi come si fa con le orrende cimici e i ratti”
J. Dursort “Le pays libre, 12 aprile 1941 (ADULTO)

PARIGI SI SBARAZZA DI NUMEROSI EREI STRANIERI
SONO INVIATI NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO


Conformemente alla legge del 4 ottobre 1940 del governo francese, secondo la quale gli ebrei provenienti dai paesi stranieri devono essere confinati nei campi di concentramento, la polizia francese ha proceduto, ieri mattina, a una vasta retata di 5000 stranieri ebrei, dai diciotto ai quaranta anni, ex polacchi soprattutto, ex cecoslovacchi e ex austriaci. Tre campi sono stati preparati per riceverli nella zona occupata. Il più importante è quello di Gurs ( Bassi Pirenei), capace di contenere 20000 persone. Gli altri due sono vicini a Orleans:
Questa gente sarà occupata a lavorare al rifacimento delle strade, degli edifici e degli uffici pubblici danneggiati dalla guerra
Le Matin, 18 maggio 1941(ADULTO)
Mio padre fu inviato a Beaune-la-Rolande; il circuito classico. Sulla scheda d’internamento de Beaune-la-Roland, c’era scritto, con un timbro, si erano presi la briga di fabbricarne uno apposito: “Causa d’internamento: soprannumero nell’economia nazionale”
Estelle
Andammo a far timbrare la carta d’identità con la menzione ebreo e mi ricordo molto bene che l’impiegato disse a mia madre” Ci tenete veramente?” e mia madre rispose” Non lo so, io ho visto che è obbligatorio sul giornale, che c’è una legge” e l’uomo insistette “ ma voi lo volete?” e mia madre rispose “Ma ascolti, io non lo so, io credo sia obbligatorio”. E il buonuomo, esasperato, timbrò la carta di mia madre, quella di mio padre e disse al suo vicino:” Ascolta, sono incorreggibili. Tanto peggio per loro, quello che arriverà, sarà ben fatto per gli ebrei."
Jean
Due mesi dopo il rientro a scuola, le professoresse di storia del collegio ricevettero l’ordine imperativo di accompagnare i loro studenti al Palazzo Berlitz a vedere l’esposizione “ Gli ebrei e la Francia”. Io appresi, con gli altri, la “morfologia ebrea”: naso arcuato, orecchie a sventola, labbro sporgente, occhi in fuori….Io presi coscienza del pericolo che “quella gente là” faceva incombere sul mondo e specialmente sulla Francia. Per noi, bambine ebree che eravamo in prima fila, fu sbalorditivo. I giornali, Je suis partout, Gringoire e altri, scoperta la loro anima antisemita, scrissero: Centomila persone hanno visitato la mostra in tre giorni”
Un ragno gigante rappresenta l’ebraicità mentre festeggia con il sangue della Francia. Questa razza s’infiltra al modo di un serpente e avvelena tutto quello che tocca”
Claudine Burinovici
Un ebreo, è facile da riconoscere, secondo Radio-Paris, i giornali e i manifesti: a causa del naso adunco, delle grandi orecchie a sventola. Io e jeannot ci guardammo bene e non trovammo niente di simile, né per il naso né per le orecchie. Altro caso era quello di Carasco e lopez, con i loro capelli bruni e crespi talmente visibili che si direbbero degli arabi.
Marcel
Quando iniziai a leggere, a cinque o sei anni, vedevo sui muri “Morte agli ebrei” le prime letture che io feci furono le scritte sui muri. Io non potevo evitarle perché erano scritte in grandi caratteri per tutta la città. “Morte agli ebrei”, “Gli ebrei sono dei cani”, “Interdetto agli ebrei” nei cinema “Interdetto agli ebrei” nei caffè.
Poco a poco fu interdetto tutto. Lo spazio vitale fu ridotto e ridotto e ridotto ancora. Non per il giardino pubblico, non la spiaggia. Non avevamo più il diritto di andare in spiaggia perché gli ebrei erano sporcizia e inquinavano la spiaggia, inquinavano il mare. Era un orizzonte molto stretto. E per la bambina che ero, ho sofferto moltissimo. Perché io che ero esuberante, che amavo uscire, vedere cose nuove non vedevo che cose malvagie intorno a me. Capivo le preoccupazioni dei miei genitori…
Franca
I.- E’ interdetto agli ebrei, dai sei anni in su, di passeggiare in pubblico senza portare la stella ebraica.
II.- La stella ebraica è una stella a sei punte avente le dimensioni di un palmo di mano con il bordo nero, l’iscrizione ‘ebreo’. Dovrà essere portata ben in evidenza sul lato sinistro del petto, solidamente cucita sui vestiti.
Ordinanza concernente le misure contro gli ebrei del 29 maggio 1942
Ho preso coscienza di essere ebreo il giorno in cui ho portato la stella e che mi hanno interdetto ogni cosa.
Simon
In un primo tempo, il commissariato accordò una sola stella alla nostra famiglia: la mia…In quel momento portare la stella non era ancora obbligatorio per “gli israeliti d’origine ungherese e i bambini più piccoli di sei anni…ma siccome non volevo essere l’unica a portare quel marchio distintivo, mio padre andò al commissariato per chieder che gli dessero “un supplemento di stelle”. Il commissario rifiutò e gli consigliò di comprarle al mercato nero. Allora tutta la famiglia comprò dei “fermagli” di contrabbando, come li chiamava la mia sorellina, e da quel momento le abbiamo portate tutti.
Jeannette
La stella ebraica solleva un’indignazione unanime. Questa misura è condannata dagli stessi antisemiti, in particolare il fatto che i bambini siano costretti a portare il segno.
I membri del corpo insegnanti delle scuole parigine dicono ai bambini, e lo pretendono, di essere estremamente gentili con i bambini ebrei che devono portare la stella. Peraltro molti ebrei si sottraggono dal dovere di portare la stella. Si sono in parte sistemati da amici, o semplicemente omettono di portarla. Gli ebrei tedeschi, emigrati, in particolare, non portano la stella. La polizia del 16° arrondissement non le ha ancora distribuite.
Rapporto della polizia tedesca, 1942(ADULTO)
La prima domenica che uscì l’obbligo di portare la stella gialla, sul boulevard de belleville, nel 20 arrondissement dove la gente del quartiere aveva l’abitudine di incontrarsi per parlare del paese che avevano lasciato, quale fu la mia sorpresa nel vedere la stella sulla giacca di certa gente. Era sul petto di certi vecchi mutilati della guerra del 1914-1918, mutilati in faccia che venivano chiamati “bocche rotte”, la tenevano sul petto e allo stesso tempo esibivano le loro decorazioni e medaglie di guerra. Gente umile tradita dal paese che aveva dato loro asilo e per il quale loro avevano combattuto in trincea sulla Somme o nelle Argonne e che ne portavano le conseguenze.
Lazare
Nel 1942 ebbi l’età per portare la stella: avevo più di sette anni. Un giorno, di ritorno da scuola, ero in lacrime perché mi avevano presa un poco in giro in cortile. Mamma mi disse: “ Domani verrò con te dalla direttrice”. L’indomani mattina, mamma mi vestì come se fosse stata domenica, ed essa stessa si svestì in modo elegante. Teneva la sua borsetta al braccia un po’ sollevata per nascondere la stella e andammo dalla direttrice che ci ricevette nel suo ufficio freddamente. Mamma le spiegò perché eravamo lì, ma lei la interruppe dicendo che lo sapeva già. Mamma si attendeva qualche parola di conforto o di sostegno, infine ci diede una risposta totalmente diversa da quella che mia madre si aspettava, disse testualmente: “ Non posso stare dietro ogni bambino nel cortile della scuola, credo che la cosa migliore sia che Cecile non venga più a scuola”. E fu quello che feci, non andai più a scuola.
Cecile
Un giorno, boulevard de Belleville, io e mia madre eravamo seduti ai tavolini di un cafè, mamma portava la stella e io guardavo tutta la gente che era seduta vicino, di cui molti erano bambini e portavano la stella. Allora mi misi a piangere “Io voglio la stella, voglio la stella! Perché non ho una stella?!” C’era un curato, nel tavolino di fianco, e questo prete portava la stella, se la tolse e mi disse” Tienila per tutto il tempo che vuoi mentre stai qui di fianco a me, porta la stella”. E io ho portato la stella per una mezz’ora, un’ora, E poi lui ha ripreso la sua stella.
Liliane-Georgette
La direttrice della scuola, Mlle Le conte, sapeva che noi eravamo ebrei. Ci presentò ai bambini della scuola e disse:” Voi vedete, bambini, le caricature che ci sono sui muri, con tutti quegli ebrei con i loro grossi nasi, la grossa pancia….queste caricature sono delle menzogne. Guardate questi bambini, sono esattamente uguali a voi. Se vengono dei gendarmi nel cortile della scuola voi dovete aiutarli a mettersi in salvo” e un giorno vennero dei gendarmi nel cortile e tutti i bambini ci diedero manforte e ci aiutarono a metterci in salvo.
Rosa-Clara
Nel 1942 noi eravamo a Parigi. Cominciammo a portare la stella gialla. Io ho un ricordo straordinario: ero uscito sulla strada, era il primo giorno. E c’era un signore che mi sembrò vecchio, un signore molto dignitoso e molto distinto, con la Legione d’onore, che si avvicinò. Sollevò il suo cappelli e mi disse:”Signore, vi domando perdono per la Francia”. Nel 1942 era qualcosa di straordinario.
Bene, vado a scuola. E il primo giorno tutti gli alunni della classe hanno cucita una stella gialla e tutti sono usciti con una stella gialla. Ho dei ricordi straordinari come questi.
Simon
Io arrivai al liceo con questa stella gialla. Non ero la sola. E successe una cosa alla quale tengo rendere omaggio ancora oggi: la direttrice del liceo riunì tutti gli alunni nel cortile e disse” A partire da questa mattina, alcuni di voi porteranno un segno distintivo. Io vi avverto che la prima osservazione che sentirò a questo proposito, prenderà la porta!”Fu un atto molto coraggioso, perché in realtà lei correva dei rischi. Lei non sapeva chi erano i genitori di tutti gli alunni.
Irene
Ero lettore assiduo al municipio del 3. Io amavo leggere. E il giorno del decreto fui costretto a restituire i miei libri. Mentre li restituivo Mlle Boucher mi disse:” Vi conosco bene, voi amate leggere, vedo le scelte dei vostri libri. Vorreste continuare?” Io rispose: “Si, certamente, ma non è più possibile” E lei mi disse: “Aspettami questa sera alle cinque fuori dal municipio. Naturalmente io l’aspettai. Mi fece salire sulla sua bicicletta, dietro, lei non aveva problemi con la mia stella, io non più, e noi risalimmo rue de Bretagne; mi portò da lei, eravamo al museo Carnavalet: lei era la figlia del custode. E c’erano delle biblioteche, delle biblioteche magnifiche, che appartenevano a loro. Erano parecchie ragazze. E io potei stare tra quei libri per molto tempo, finchè un giorno dovetti lasciare Parigi.
Georges
Tutte le persone di razza ebraica sono tenute a presentarsi, entro il termine di un mese, al commissariato di polizia della loro zona di residenza, o alla caserma dei gendarmi per fare apporre la menzione “ebreo” sulla carta d’identità di cui sono titolari o sul titolo di cui sono in possesso e sulla carta d’alimentazione individuale.
Philippe Petain, 11 dicembre 1942 ( Zona sud)
Noi portavamo la stella.Un giorno ero con un mio amico davanti ad una pasticceria. Una signora con un bambino piccolo, passa, entra ed esce dalla pasticceria e ci fa segno di seguirla; lei si infila in una strada laterale e ci regala un pezzo di torta ciascuno e ci dice “ mangiate in fretta e gettate la carta per terra.” E io che ero un ragazzo ben educato, cominciai a mangiare il pezzo di torta e mi accorsi con stupore che non avevamo ringraziato. Corsi dietro la signora, la fermai e le dissi “Grazie, signora” poi tornai dal mio amico per finire la torta.
Robert
Passammo la Loira, e non me lo scorderò mai, in una barca con un traghettatore che avevamo pagato. Vedemmo una casa illuminata con della gente e una guardia che teneva un fucile. Il mio fratello più piccolo, che era nato nel 1940, pianse tutto quello che poteva piangere. Eravamo una decina sulla barca e la gente iniziò a dire a mia madre” Lo getti in acqua così che non saremmo presi tutti”. Si vide la vigliaccheria della gente che era pronta a gettare un bambino per salvarsi”
Albert
Dopo due mesi di attesa trovammo un passatore per rifugiarci nella zona libera. Il prezzo era di cinquemila franchi per persona esclusi i neonati. In treno avevamo scucito le nostre stelle. Il passatore si teneva a distanza. Scendemmo alla stazione di Vierzon. Tutta la famiglia ne approfittò per andare in bagno e cambiare mio fratello che non era stato cambiato da almeno dodici ore. Fu proprio in quel momento che i tedeschi presero tutti. Quando la retata fu terminata, uscimmo. Mio padre era molto nervoso. Raggiunse il passatore e gli chiese di onorare la sua promessa. Attraversammo la campagna….Arrivammo ad un villaggio, il passatore ci mostrò una bandiera francese e ci disse che eravamo in zona libera….ci domandò il resto dei soldi…E’ partito….noi siamo rimasti nascosti poi mio padre ha chiesto a una vecchia signora che lavorava in un campo se era vero che eravamo in zona libera….era il 2 ottobre 1942…e lei rispose: “ Mio povero signore! Voi siete giusto dietro la Kommandantur” …Molti passatori facevano così…il nostro non era né il primo né l’ultimo…
Jeannette
Si camminava. C’era un campo di cavoli. Era novembre ed era gelato. Mia sorella piccola aveva perduto una scarpa e si ritrovò in questo campo con la sua bambola alla mano. Perse in mezzo al campo anche quella. Allora mi tirò la mano “Suzanne, ho perso la mia bambola” “Te ne comprerò un’altra” Non avevo soldi ma lei non sapeva che non avrei potuto ricomprargliene un’altra.. Allora camminavamo, camminavamo. E tutta ad un tratto, arrivammo presso un cespuglio e vedemmo un signore uscirne. Era vestito in grigioverde come i soldati tedeschi. Mia sorella mi tirò per le braccia e disse:” Suzanne, guarda, c’è un crucco” Allora io la presi in braccio e lui disse “Non avere paura bambina, sono un soldato svizzero e tu sei salva”
Sarah

NAUFRAGIO

Ecco un'onda mostruosa e violenta che è venuta a distruggere il castello di sabbia della vostra infanzia,a cancellare il vostro piccolo mondo, a spegnere la lampada che plasmava sui visi il caloroso ambiente della cucina, a rovesciare i cassetti, violare i ricordi, sporcare i vostri libri e i vostri quaderni, spalancare le ante degli armadi, rompere gli specchi, i bicchieri e le stoviglie, devastare l'ordine nel cuore degli armadi della biancheria, sventrare le pile di vestiti, di lenzuola e di tovaglie che spargevano i loro effluvi di lavanda, di naftalina e di acqua di Colonia.
Un'onda in abiti civili o in uniforme, perfettamente abbottonata, un'onda nera, beige o verde, un'onda di uomini, più o meno rasati, più o meno fieri, più o meno arroganti, più o meno pettinati, più o meno mogi, guidati, influenzati, condotti dalla voce stridente della portinaia: un'onda francese, di grida di colpo alla porta; un'onda che urla, che sale, che sembra inghiottire, immergere la tromba delle scale; un'onda venuta a spazzare via la vostra spensieratezza, la vostra innocenza, la vostra quiete...

All’alba della mia vita c’erano mia madre e mio padre, le ore supreme senza paure, poi sono venute tutte le altre ore della mia esistenza…
Silvie
Bisogna trovarsi in questa situazione per capire bene il gesto di mia madre che praticamente metteva fuori di casa mia sorella e me. Non c’è niente di più orribile che allontanare un bambino dalla propria madre, decidere spontaneamente di separarsene, tagliare gli ormeggi prima che la tempesta peggiori ancora di più. E’ questa percezione del pericolo, inspiegabile, che si può identificare con l’istinto, che ha salvato la vita a me e a mia sorella
Maurice
A quattro anni, quando fu presa la decisione di nascondermi, non avevano discusso davanti a me. Mia zia mi accompagnò per andare dai miei genitori adottivi e mi disse:” Questo pomeriggio vai a passeggiare e potrai portare con te tutte le tue bambole. Trovai tutto questo un po’inquietante. E sono partita, Abbracciai mia madre come se stessi andando a fare un giretto; aveva le lacrime agli occhi…
Più tardi i miei genitori adottivi mi raccontarono che mia madre era malata; che era in ospedale e che andava tutti i weekend dalla famiglia per riposare. Mi potevano raccontare qualsiasi cosa, avevo solo quattro anni…
E molto velocemente iniziai a disabituarmi ai miei genitori. Non me li ricordavo più bene.
Louise
Un giorno il nostro vicino che lavorava in polizia ci venne a dire” Signor Reisman, domani mattina non andate a lavorare perché tutte le uscite della metropolitana saranno bloccate…” Mio padre rise e disse:”Ma perché?” “Perché succederà una cosa che mai prima d’ora era successa, faranno una grande retata””Ma non è possibile”disse mio padre. “Ascolti signor Reisman, io sono sceso per comunicarvi una cosa confidenziale, unica e voi non mi credete?” E mio padre rispose “No, non vi credo”
Gabrielle
Le nostre quattro piccole valigie erano pronte per la nostra partenza verso i campi di lavoro. “che non fanno paura al mio papà”. Il lavoro manuale non lo spaventava, A casa non era un grande amante del fai-da-te? E poi, qui, in Francia, “ lui che non aveva avuti mai a che fare con la Polizia”, non ci avrebbero fatto niente di male. Ne era così sicuro.
Qui, eravamo in Francia, e tutti gli ebrei che scappavano nella zona libera gli facevano schifo. Quelli là non capivano che qui in Francia non ci sarebbe successo niente di simile.
Erano proprio delle bestie! E allora i campi di lavoro! Non era mica il pogrom! Se i francesi andavano lavorare, gli ebrei dovevano fare lo stesso!
Denise
M.B era un uomo straordinario che lavorava al commissariato. Era brigadiere e andava a informare le persone ebree che conosceva. Veniva ad avvertire mio padre. E’ venuto spesso ad avvertirci che stava per avvenire una retata, ad avvertirci di fare attenzione, ad avvertirci di nasconderci. E un giorno è venuto e ha detto: “Non ci sono più quartieri, loro vanno dappertutto, è terribile”.
Simone
La grande retata fu terribile. Mi ricordo soprattutto il grande silenzio, il grande silenzio che si era abbattuto su Belleville. Non ero abituato a sentire un silenzio totale. E tutto ad un tratto i colpi sulle porte, abitavamo in un palazzo con tanti appartamenti; i colpi sulle porte, i pianti, un brusio. Era inquietante. Sentivamo molti fruscii per le scale. E mamma mi mise la mano sulla bocca, e guardava dalla finestra. Di fronte c’era una vicina che ci fece segno di non muoverci. Continuava a tenere il dito sulle labbra. Io non vedevo bene la strada. A tratti scendeva il silenzio e poi tornava il brusio. E si sentivano dei pianti, forti. Vidi qualcuno buttarsi dalla finestra. Mi ricorderò sempre le loro urla. E la mano di mia madre, contro la mia bocca, per impedirmi di fare rumore. Fu orribile. Dopo fu tutto molto strano. La notte, i rumori delle auto…E poi ecco la vicina farci un segnale. Mamma prese un ombrello e la sua borsa. Chiuse la porta dietro di noi e fuggimmo senza portare via niente. Nient’altro che l’ombrello e la sua borsa.
Raymonde
Era un giorno d’estate, il tempo era bello… Le tende della finestra si muovevano agitate da un vento leggero. Io ero sola e stavo mangiando della pasta. Fu allora che la porta tremò violentemente. Sentii scoppiare dei pianti, nel palazzo. Un agente della polizia francese entrò nell’appartamento. Mia madre indossava un vestito nero, a collo alto con le maniche lunghe. E io ricordo il suo viso, di fronte a me, mentre teneva lo schienale della sedia con la mano, ricordo l’ufficiale francese, mia sorella in piedi di fianco a mia madre. E l’ufficiale voleva portare via anche noi. Ma mia madre non volle e disse: “ La grande si occuperà della piccola”. La mia infanzia si è fermata quel giorno. Quel giorno là io sono diventata adulta, avevo sei anni. Io ricorderò sempre il viso di mia madre, una madre come tutte le madri, probabilmente, calma, affettuosa, particolarmente generosa.
Colette
Attraversammo Parigi una mattina, in autobus, faceva molto caldo. I parigini non ci vedevano, erano indifferenti. Nessun gesto, niente. Parigi dormiva, in piena estate, una domenica. Non ci ha visti. Eravamo sorvegliati dagli sbirri francesi…
Annette
Dalle fessure delle persiane vediamo delle famiglie riunite nel cortile con i loro bagagli, circondati dai poliziotti francesi e il portinaio indica con il dito le finestre degli appartamenti abitati da famiglie ebree, molto soddisfatto, molto sicuro, certo di compiere il suo dovere di cittadino francese.
Suzanne
Partimmo, mia madre e io, con qualche vestito caldo, sebbene fossimo in luglio. Andammo da un amico che abitava a Vincennes e che disse:” Sono già venuti a cercare mia sorella, non posso nascondervi, andate, andate che stanno per tornare!”. Andammo allora dalla mia nonna, aveva sessantatre anni e disse a mia madre” Non so se potete restare, perché i francesi sono già venuti a cercare tuo fratello!” Lei ci diede l’indirizzo della fidanzata di mio zio. Restammo tre giorni in quella camera alla buona. Il ricordo che rimarrà sempre impresso nella mia mente è quello della fame, avevo fame e mia madre mi diceva “Non ho niente, non ho niente da darti..” Non aveva né pane, né zucchero, né conserve, né provviste. Mia madre non osava scendere. Alla fine dei tre giorni avevamo finito tutto il cibo. Noi restammo nascoste, le finestre chiuse, senza radio, senza fare rumore, parlando a bassa voce, per la paura che la vicina ci sentisse, che il portinaio sentisse il brusio…Mia madre non piangeva più, ma io piangevo, per la fame; perché volevo andare a scuola e non ci potevo andare.
Liliale
La sola cosa che ricordo è l’ultima volta che l’ho visto. E’ stato strano perché quel giorno era con la mamma, mi sono voltata e lui mi ha guardata in modo particolare, come se sentisse che non l’avrebbe più fatto. Quando penso a lui, io vedo questa immagine, come una fotografia impressa dentro di me. Questo è quello che ricordo di lui.
Renée
Siamo in molti, stretti l’uno contro l’altro. Mia madre, a un certo punto pensa ad una cosa: vederci fuggire…Lei non fa che ripetere alle altre donne “No, non possono portarci a lavorare in Germania, non possiamo lavorare, abbiamo i bambini” Allora una vicina si avvicina a mia madre e le dice: “Léa, mia figlia è appena fuggita da un’uscita di sicurezza”. Mia madre ci ordina di fare così e di andare dai nonni; io non voglio, ho otto anni, mi aggrappo alla sua gonna. Allora mia madre mi da uno schiaffo per farmi reagire. In quel momento io non ho capito che il suo gesto era un atto d’amore e di dolore per lei…
Rachel
Ritrovammo il nostro appartamento vuoto, pensavamo che l’avessero svuotato i tedeschi. Ma poi si è saputo che non erano stati i tedeschi che l’avevano svuotato, erano stati i nostri vicini, la portinaia, tutti arraffavano le nostre cose. Ed era così per la maggior parte degli appartamenti di ebrei.
Jacques
Dal 1942 la situazione va di male in peggio, mio padre si accorda per cambiare appartamento con dei portinai. Si tratta di appartamenti dove gli abitanti sono già stati portati via e nei quali si può tornare con l’aiuto del portinaio e di una candela. Si riscalda il sigillo in cera rosa, si entra nell’appartamento, ma senza accendere il fuoco. Ed una volta la porta di un appartamento è chiusa. Il portinaio rimette un po’ di cera per rincollare il sigillo. Per tutto il tempo in cui siamo stati là, abbiamo assistito a tutte le retate che ci sono state nel palazzo, ma quell’appartamento non è mai stato toccato.
Colas
La Paura, la Paura con una P “colossale”, la Paura in grandi gocce di pioggia…
La tristezza e la paura sono entrate in noi e non sono più uscite.
Non canto più, non rido più, le persone qui non capiscono cosa ci è successo, cosa ci ha travolto. Dove sono i miei amici?
La notte, i bambini piangono, si svegliano spaventai dai loro incubi…
Silvie
Vicino all’uscito del campo di Drancy, fummo fatti entrare in una piccola stanza. Un uomo dietro un tavolo ci disse: “ Voi lascerete il campo, i gendarmi vi accompagneranno” Ci fecero salire su una macchina della polizia, ci accompagnarono quattro gendarmi. Quando la vettura partì, Manuel e io gridammo di gioia. Non smettevamo di parlare, velocemente, ciascuno interrompeva l’altro” Torniamo a casa”. Immaginavamo il nostro ritorno a casa: immaginavamo di chiedere la chiave alla portinaia, di nasconderci sotto il tavolo e uscire improvvisamente per fare una sorpresa a mamma e papà, Andrè e Jacques. Sarebbe stata una bella sorpresa. Eravamo sicuri di ritrovare tutti a casa. Ad un certo punto mi voltai verso i gendarmi seduto dietro di noi. Ci avevano ascoltato mentre parlavamo e ora piangevano silenziosamente. Capii che non stavamo tornando a casa e allora anche io iniziai a piangere.
Annette

NOTTE

Alcuni bambini giocano in cortile; le vie risuonano delle loro risate...ma voi siete altrove....
Voi siete bambini del silenzio. Navigate di notte, da passeggeri clandestini, rannicchiatI sul fondo dello scafo, o sul ponte di questo bastimento che vi ha raccolti e che sembra errare alla cieca: vascello fantasma, senza capitano, senza porto d'attracco, pronto a nascondere sempre da dove viene e dove va....Quando il mare è in tempesta, voi, terrorizzati, vi nascondete nel punto più profondo della nave, nascosti in un baule, in un armadio, prigionieri di una notte sterile, sorda e senza stelle...nauseati dagli odori di muffa, di chiuso, di rancido e di sudore.
Quando non indossano l'uniforme, i demoni, i naufraghi e i pirati che abitano i vostri incubi tornano normali. Potete veder il viso dell'uomo che passeggia per la strada, la vecchia signora che si sistema i bigodini, il ragazzo che scende le scale ma altri scrivono lettere anonime e violente di denuncia alla polizia o al Kommandatur....altri svuotano gli appartamenti dopo l'arresto dei loro proprietari....Altri sfruttano il prossimo vendendo a peso d'oro il cibo, i documenti, un'altra identità....Infine, altri vendono i propri vicini, in cambio di qualche vile moneta...
Ma voi scoprite anche che tra questi demoni, tra l'indifferenza, la miseria e la folla anonima, c'è anche qualcuno di coraggioso e di giusto, uomini e donne di buona volontà, che non hanno perduto nè l'anima nè la sensibilità della loro infanzia....Non sono numerosi....non sono nemmeno rari...


Ero sola al mondo…Ho passato una settimana a dormire nei sottoscala dei palazzi, e mi chiudevo in bagno quando sentivo un brusio. Non mi potevo nemmeno sedere….avevo qualche soldo ma non avevo la carta alimentare e l’unica cosa che vendevano senza carta era l’uva. Allora mi sono rimpinzata d’uva…delle violente coliche mi costrinsero a smettere…Non sapevo dove andare; non mangiavo più niente; mi misi a vagare e andai da coloro che erano stati in buone relazioni con la mia famiglia, amici dei miei genitori. La loro risposta era sempre la stessa, che fossero ebrei o che non lo fossero. Dovevano avere paura. Probabilmente più paura che indifferenza. Nel migliore dei casi, mi invitavano a prendere il the “un giorno o l’altro”, “per parlare dei miei”: nessuno mi pose la sola questione vitale per il mio futuro “Quando hai mangiato l’ultima volta? Hai fame? Dove dormirai questa notte?”
Irene
Ricordo i consigli di mia madre durante la guerra: “Ti devi nascondere”. Avevo appena sei anni, provavo un senso di vergogna e di colpa, e così mi nascosi dietro gli alberi del cortile della mia scuola.
Caroline
Si fa fatica a comprendere il significato dell’espressione “bambino nascosto”. Ma il senso va oltre queste parole, ancora più in profondità di così, perché veramente il bambino era nascosto, di notte, nelle stalle, non poteva respirare, non poteva muoversi, con la paura costante di quello che faceva dovenque fosse.
Simon
Sembra che i capelli di mamma siano diventati più grigi e i suoi occhi più infossati. Io ho la sgradevole sensazione che qualcosa in lei si sia spezzato, qualcosa che mi fa soffrire perennemente. “Voi dovete stare nascosti, non dovete uscire, non potete fare rumore, vi porterò il cibo di notte, siete grandi ora, dovete fare onore a papà!” segue un silenzio pieno di domande …
Renée
Potete immaginarvi di avere nove anni e qualcuno vi guarda negli occhi e vi dice: A partire da adesso tu ti chiami così, sei solo al mondo, non hai fratelli, né sorelle e i tuoi genitori sono morti durante i bombardamenti. Qualunque cosa tu dica, qualunque cosa tu faccia, tu dirai tutti i giorni la stessa cosa, se no, ti si ucciderà! Lo choc psicologico che ho subito quel giorno è stato tale che per quattro anni feci pipì a letto tutte le notti.
Solange

Quando eravamo a Nizza e le cose iniziarono a peggiorare, rimanemmo sei mesi nascosti in una camera mansarda. Mio padre, per prendere un po’ d’aria, montava sulla tavola sulla quale metteva una sedia in modo che la sua testa fosse fuori dalla finestra e questo lo chiamava “uscire”. “Esco un momento!” E prendeva aria, poveretto….
Jean
Non muoversi, non farsi vedere. Sono un camaleonte, cambio colore, cambio forma; sono come una pianta che per sopravvivere prende il colore e la forma delle cose che le stanno intorno. Sono l’acqua che dorme; sono quel movimento circolare che non ha fine, sono l’eternità, sono inesistente, pressappoco niente. Perché muoversi, perché tentare? Vanità delle vanità! L’Universo ritorna tutti i giorni al punto di partenza. Allora ecco la mia difesa migliore: l’immobilità. Sono un mobile, il piede di un pianoforte. Sono nascosto sotto il piano a coda, immensità delle immensità. Seduto sulla mia piccola panca, io osservo i movimenti lenti e furiosi del piano, ascoltando il battito del mio cuore.
Simone
La paura è paura di non rivedere mai più lo sguardo di mia madre e di mio padre. La paura di non rivederli più….La mia linea dell’orizzonte si è spezzata da quando loro se ne sono andati. Ho paura di sapere che non li incontrerò né loro verranno da me, mai più…
Ho tentato di ascoltare la mia paura, di conversare con lei, di considerarla come una compagna, ho provato ad abituarmi a lei per non aver più paura! Ma lei mi fa così male….
Sylvie
A Lione andavo a scuola. C’era una classe unica con bambini di tutte le età. Prima di rientrare a scuola mi fecero una “lezione d’identità” e mi dissero: “Tu non ti chiami più Goldberg, tu ti chiami Page, Lily Page”. Ho provato a interiorizzare questo nome. Mi sono ritrovata in un' aula. Ero una bambina spigliata, organizzata e con senso d’adattamento. Mi si diceva che ero vivace e carina. Ma nei miei ricordi, qualcosa in me era passivo, come se subisse totalmente le cose che mi stavano accadendo. E allora mi ritrovai in classe, e l’insegnante faceva l’appello, aveva già chiamato molti bambini. Qualche volta tornava indietro, ripeteva un nome e qualcuno rispondeva “Presente”. E a un certo punto iniziò a ripetere un nome con insistenza, e nessuno rispondeva. Lo pronunciò ancora una volta, ma niente. E improvvisamente m’illuminai, ero io. Io ero “Page”. E di colpo alzai la mano come mi avevano insegnato e dissi” Sono io”, con l’impressione di aver commesso qualcosa di orribile.
Liliane
Quando Lucine Benard andò a cercare dei bambini ebrei per nasconderli all’inizio della guerra, lui disse a sua nonna: “ Tornerò con dei piccoli ebrei”. La nonna Vaillant, quando tornò con tre piccoli bambini ebrei disse:” Ma dove sono i piccoli ebrei”, perché si aspettava degli essere diversi. E lui rispose “Ma sono questi” E lei:” Ma io questi li conosco, non sono ebrei, sono come noi!”. Vedete, nelle credenze popolari, gli ebrei erano veramente gente con le corna in testa, esseri di altri mondi.
Henrietta
Sembra un fatto paradossale, ma io sono stata molto felice. Non ho il ricordo di aver sentito la mancanza dei miei genitori. Stavo bene, ero come una bambina del paese, perfettamente a mio agio tra la gente, in quei luoghi, con le bestie. Guardavo le capre, andavo a cercare le erbe per i conigli, ero veramente felice. Prima della guerra, ero sempre malaticcia. Mamma diceva tutti i giorni che io prendevo tutte le malattie possibili e immaginabile dei bambini. Ma là, non mi ammalai nemmeno un giorno, nemmeno un raffreddore nonostante gli inverni fossero molto rigidi e la casa non avesse né acqua ne elettricità. Era veramente l’Eta di Mezzo. Vivevamo in completa autarchia.
Henriette
Lei si chiamava Mamma Blanche, lui papà Clement. Era gente rude perché la loro vita era rude. Ma se mi sentivo un disgraziato, questo psicologicamente, era perché mi trovavo in campagna, e mi sentivo intellettualmente isolato. Non avevo abbastanza contatti con gli altri. Conducevo una vita semplice della quale ora non sento nostalgia ma che all’epoca non mi dispiaceva. In tutti i casi non è stato un periodo traumatizzante. Si parla di bambini nascosti ma io non ho brutti ricordi di quel periodo….salvo la separazione dai miei genitori e il fatto che mi mancasse il mio compagno di scuola Milda. A dir la verità non so chi mi mancasse di più, se il mio amico o l’affetto dei miei genitori, perché là non c’era nessun affetto. Non potevo appoggiare la testa sulla spalla o sul petto di mamma Blanche. Si era lì per lavorare e per trovare il cibo. Si doveva provvedere alle cose.
Icchak
Nel castello arrivano dei profughi. Tra loro ci sono una vecchia donna e sua figlia. Si assomigliano come gocce d’acqua. Restano molto tempo ma poi la donna muore e bisogna vegliarla. Le istruttrici si danno il cambio, non dormono più nel dormitorio. Mi chiedono di sorvegliare io un po’ perché sono una bambina molto calma. Ho otto anni, la notte da passare in un immenso castello. Ci sono gli spettri al piano di sotto, dei sonnambuli e dei bambini che gridano di terrore, una morta al piano di sopra e dei cani che ululano alla morte e scoppia il temporale. Il rumore dei tuoni, i lampi, le finestre che sbattono e l’acqua che bagna, che mi bagna. Sono acqua, scorro da tutte le parti. Ho paura, grido, chiamo soccorso ma è un grido interno; è una notte di terrore ma non è un sogno. Nessuno viene a confortarmi.
Simone
Molto lontano, in un angolo remoto del mondo io ho una mamma. La mia mamma è molto bella, bionda con due grandi occhi azzurro mare, come due specchi d’acqua immensi. La sua bocca dorata sorride tutti i giorni e la sua pelle diafana è tinta di rosa. Forse un giorno la mia mamma tornerà, io lo spero. Forse la troverò invecchiata, pallida ma tutti i giorni, nel mio cuore, la mia mamma mi apparirà giovane, gioiosa, bella, fresca…Lei resterà la mia stupenda mamma. Si è fatto tardi, io torno sul mio letto. Il cielo si è tinto di un blu scuro. I meravigliosi colori sono scomparsi. Un vento leggero soffia ed entra attraverso la finestra aperta. Vado a dormire. Sta apparendo la luna. Arrivederci, caro piccolo diario; questa sera ti ho aperto il mio cuore. Mi sento sollevata, in apparenza. Questa sera io penserò alle persone che amo tanto.
Monique
Qualche volta, alle cinque del mattino, lei entrava nelle camere e battendo le mani diceva “Su bambini! Andiamo in montagna per vedere sorgere il sole!” Allora tutti si alzavano veloci veloci. Ci vestivamo in fretta. I più grandi preparavano i più piccoli e partivamo, di buon passo, alle cinque e mezza della mattina, velocemente verso la montagna. Noi non comprendevamo. Ma poi abbiamo capito: si faceva così perché in quei giorni arrivava al villaggio la Milizia, e i resistenti avvisavano in anticipo la direttrice perché ci portasse via. Così, capitava qualche volta, che andassimo in montagna a vedere sorgere il sole.
Suzanne
Tutti i bambini sono partiti per le vacanze. Noi siamo soli nel refettorio e nel dormitorio. Le suore cercano di consolarci, ci fanno dei regali.
E’ lì che ho capito che non ti avrei mai più rivisto, mamma. Non me l’hanno mai detto ma io lo so. Ci hanno raccontato che siete stati portai via ma che tornerete. Io non chiedo spiegazioni perchè so che non è vero.
Contro ciò che non si può cambiare, come posso difendermi? Come accettare, così piccolo,di andare avanti di terrore in terrore? di sapere che tu, mamma, non mi stringerai più tra le tue braccia, che mai più il tuo respiro mi sfiorerà? Come posso pensare che il mio sorriso si è cancellato per sempre?
Simone
E' la più bella storia della mia vita. Io sono capitata da una coppia molto anziana, il signor e la signora Beyrand. Io immagino di essere là ancora oggi. Loro non si sono accontentati di nasconderci, che sarebbe già stato molto. Loro ci hanno amato, amato profondamente tanto da donarci il loro cognome. Mia sorella si chiama Jacqueline Beyrand e io Colette Beyrand. La mia sola certezza è sapere che c'erano persone straordinarie, affettuose e piene d'amore. E per me sono stati la mia famiglia, i miei nonni. La loro foto è sempre a portata del mio sguardo tutti i giorni. Io sono a loro immensamente riconoscente.
Colette
Io sono diventata la quarta bambina Nicolas. I Nicolas fecere questo gesto con naturalezza, nonostante il pericolo che facevo loro correre, Cusset era alla periferia di Vichy. Questo periodo sinistro, segnato dalla separazione dai miei genitori, l'angoscia, tutto quello che non si poteva dire sulla guerra e sulla morte, ha lasciato delle tracce indelebili nella mia anima, delle sensazioni impossibili da estripare ancora oggi. E nonostate questo, grazie ai Nicolas ho avuto un'infenzia quasi normale e molto gioiosa. Io porto con me dei ricordi meravigliosi. ricordi di un'infanzia indimenticabile: i pasticcini alla mela della mamma, le fragile del giardino. Ricordi di un'infanzia gioiosa: il giorno in cui ho imparato ad andare in bicicletta, le cose sciocche che i miei compagni di gioco facevano e che ai mie occhi sembravano delle prodezze...Durante questo periodo, i Nicolas hanno ripettato ogni giorno la mia identità: non hanno mai preteso di prendere il posto dei miei genitori. Io avevo una loro foto in una grande cornice e qualche volta la guardavo. Io non so cosa pensassi in quei momenti; era troppo misterioso. Le cose erano molto complicate. Bisognava vivere e non pensare troppo.
Helene
Ho capito più tardi che quella signora, quella famiglia che mi aveva accolto, che mi aveva adottato, era una famiglia senza bambini, lei non poteva averne. La mia permanenza da loro doveva essere temporanea ma pochi giorni prima di andare via lei disse alla suora: " No, non voglio lasciarla partire, ci occuperemo noi di lei". E la suora disse: "Ma voi sapete quali rischi correte nascondendo un bambino ebreo in casa?" E la signora prontamente rispose: "Io preferisco morire ma avere conosciuto la gioia di avere avuto un bambino in casa, che vivere senza" Da quel momento si assunsero tutti i rischi e così io rimasi in quella famiglia. Ho ricevuto tanto affetto. Ricordo le punizioni, mi si mandava a letto e la mattina mi si svegliava con tanti baci. Quando mia madre, quella vera, veniva a trovarmi, io le dicevo "Buongiorno signora". E' stato molto difficile per lei e quando ripartiva piangeva.
Liliane
Conoscevano i nostri nomi, sapevano che noi eravamo i bambini nascosti, sapevano chi ci nascondevano ma sapevano anche che era un segreto. E nessuno di questi paesani, mai, ci ha tradito, sebbene fossero a rischio le loro vite e quelle dei loro familiari, nessuno venne mai meno alla legge dell'ospitalità propria degli umili, grandezza dei montanari, dignità silenziosa dei poveri. Nonostante fossero tutti poveri, senza soldi, senza comodità, conducevano una vita rude e austera, un'esistenza aspra e difficile, furono tutti, in quel momento, dei signori. Intuivano ciò che dovevano e ciò che non dovevano fare. Olga
Lettera pastorale scritta da Padre Saliege, vescovo della diocesi di Tolosa, letta sull'altare della chiesa il 22 agosto
1942. (ADULTO)
C'è una morale cristiana. C'è una morale umana che impone doveri e concede diritti.
Questi diritti e questi doveri sono propri della natura dell'uomo. Vengono da Dio. Non si possono violare. Nessun mortale ha il potere di sopprimerli.
Che bambini, uomini, donne, padri e madri, vengano trattati come vili bestie, che i membri di una stessa famiglia vengano separati e deportati verso una destinazione sconosciuta, questo triste spettacolo è stato riservato al nostro tempo.
Perchè il diritto d'asilo, nella nostra chiesa, non esiste più? Perchè siamo diventati dei vinti?
Signore, abbi pietà di noi. Madre nostra, prega per la francia.
Gli ebrei sono uomini,gli ebrei sono donne. Gli stranieri sono uomini, le straniere sono donne. Contro di loro non è tutto permesso, contro questi uomini, contro queste donne, contro questi padri, queste madri di famiglia.
Sono parte del genere umano. Sono nostri fratelli come tutti gli altri.
Un cristiano non lo può dimenticare.
Francia, beneamata patria, Francia che porti nella coscienza dei tuoi figli la tradizione del rispetto e della persona umana, Francia, nobile e generosa, io non dubito che tu non diventerai responsabile di questo orrore.
Padre Saliege(ADULTO)

INCAGLIAMENTO

In apparenza il mare si è ritirato...voi non sapete perchè siete sulla spiaggia. La vita ricomincia sotto i vostri occhi: l'allegria dei balli improvvisati, le note della fisarmonica, le risate, i baci scambiati furtivamente per le strade...I rumori della terra ricoprono i rumori del mare...I rumori della festa sommergono i rumori della guerra.
Voi dovete imparare a vivere senza nascondervi...Dovete imparare ad affrontare una nuova forma di quiete. Avete imparato a sopravvivere di giorno in giorno, a racchiudere nell'istante sospeso il riflesso del vostro passato e il flusso del vostro futuro.

E' la liberazione! Io sento il clamore che viene dalla strada, la gente ride e fa molto brusio, c'è adesso un'altra vita davanti, che sembra gioiosa e spensierata. Naturalmente loro sono partiti, non torneranno più ma il male è fatto, e questo mi rode. Tra la folla in festa, Angela piange disperatamente: hanno rasato i bei capelli della sua mamma, mi fa paura così; la gente la insulta e la ridicolizza; ho pietà di lei e piango anche io; malgrado tutto è da lei che ho trovato rifugio, è lei che mi ha tenuto con sè...
Renée
Per la liberazione, la gente danzava per le strade. La mia mamma mi aveva fatto un bellissimo vestito di mussola rosa decorato con dei fiori, così inadatto alla mia situazione. Inconsciamente io sapevo di aver perduto mio padre e mio fratello per sempre e non mi veniva nè da ridere nè da cantare.
Caroline
Per me la liberazione è stata un inferno; mi sentivo così in colpa, di fronte a tutta quella gente che stava così male perchè non riusciva a trovare i propri familiari. Ho lasciato una famiglia dov'ero stata adottata e amata profondamente. Sono stata sbattuta nella mia vera famiglia, dove l'angoscia spingeva mio padre e mia madre a litigare furiosamente tutti i giorni. Per me, che venivo da un ambiente calmo, sereno e piacevole, era un orrore. Ho scoperto cosa può essere il mondo degli adulti quando non si capiscono tra loro.
Liliane
Un giorno torno da scuola e la gente mi dice "Mado, veloce, vieni a vedere chi c'è" e io dissi "E' la mia mamma!" "No, non è la mamma, vieni a vedere" C'era un uomo, magro,triste...Era uscito dal campo. Era mio padre. E io ho provato disgusto per quell'uomo. Mio padre era tutto un altra cosa, era un uomo forte. Questa ferita, non si è mai rimarginata. Mio padre singhiozzava dalla felicità...Più singhiozzava e più provavo disgusto...
Larissa
Una domenica mattina suonarono alla porta. Era mia zia...E io la sentii dire " La madre di Luce è tornata". Allora mia sorella adottiva iniziò a ballare per la stanza perchè era contenta per me. Io mi misi a piangere perchè vidi il mio avvenire sbriciolarsi: dovevo lasciare la mia famiglia adottiva. Mia sorella pensava che il ritorno di mia madre fosse un buon fatto per me, ma lei non pensava che avrei dovuta lasciarla.
Lo stesso giorno andammo da un'altra zia. Mia madre era là e io mi sono detta:"E' qui?" e mia madre piangeva. Io pensavo " E' commossa quindi deve essere lei" E fui obbligata ad abbracciarla anche se non la riconoscevo più. Dopo è venuta a vivere da noi per due settimane. Io la osservavo. Lei non aveva mangiato per anni; lei non si comportava come tutti gli altri; lei mangiava come se avesse sempre fame, si gettava sul piatto. Tutti la guardavano...
Louise
Da tutti era venuto qualcuno a dire: "Ecco, io so che tu sei qui. I tuoi genitori non li ho visti ma noi siamo tornati e se hai bisogno di qualcosa noi ci siamo". Da noi, nessuno. Il tempo passava e non arrivava nessuno, mai nessuno. E il centro d'accoglienza iniziava a svuotarsi. Il tempo passava, la gente tornava, veniva a prendere i propri bambini. C'erano sempre meno bambini, di giorno in giorno, ma nessuno è venuto a prendere noi.
Helene
C'era mio padre, avevo ritrovato mio padre! Il pomeriggio fummo mandate, mia cugina e io, a Mont Valerien...E la mia piccola cugina scoppiò a piangere: aveva capito che suo padre non c'era. Io, però, avevo il mio. L'indomani arrivò un telegramma, annunciava l'arrivo di mia madre. E' tornata il 10 maggio 1945, dieci giorni dopo il ritorno di mio padre. C'era una folla che mi spingeva, e io vidi una specie di ombra che avanzava lentamente. Era mia madre. E io mi sono precipitata tra le sue braccia urlando "Mamma!"
Irene
Mamma ha anticipato il suo ritorno, ci attende da ore, tutta sola. Quale gioia nel rivederla! Noi vogliamo parlare tutti insieme, allo stesso tempo e mamma non ci risponde, si accontenta di stringerci forte tra le sue braccia. E' un' emozione talmente forte che non si può spiegare, solo un lungo silenzio, degli sguardi complici e delle lacrime tradiscono il nostro buonumore impregnato di incertezze.
Marcel
La mia seconda madre e suo marito, mi hanno allevato come una loro figlia, con amore. Mi hanno accudito come il figlio quindicenne che era deceduto per una meningite e del quale io prendevo il posto.
Non ho mai sentito la mancanza nè del necessario nè del superfluo, il mercato nero aiutava. Ero la loro piccola, "la piccola" come mi chiamavano. Furono per noi tre anni di perfetta armonia, tre anni di spensieratezza per me, così piccola in mezzo alla tormenta, d'angoscia e di coraggio per loro.
I miei veri genitori sono tornati nell'aprile del 1945, due scampati dei 167 sopravvissuti del convoglio 76. Sono arrivati l'uno ad una settimana dall'altro. Quando mia madre ha suonato alla porta, io ho avuto molto paura, avvertivo che stava per tornare ma senza capire che il suo arrivo mi avrebbe strappato dalla mia mamma adottiva; il suo forte accento russo mi terrorizzava. Una settimana più tardi mio padre arrivò davanti ad una porta con una valigia. Subito volli aprirla per vedere i regali che secondo la mia immaginazione doveva contenere. Che delusione!
Da quel momento la vita continuò a essere dolce per qualche mese ancora. Poco a poco mi ero abituata all'idea di avere una seconda madre e un secondo padre. Ma finchè la separazione non fu definitiva, io non comprendevo quanto dolore stava per abbattersi su di me e su i miei genitori adottivi. Nel settembre 1945, "mamma Gaby" cominciò a preparare la mia valigia per la mia partenza verso gli Stati Uniti. Andavo con i miei veri genitori da un fratello di mio padre a passare qualche mese di vacanza. Una volta pronta la valigia, nascosi qualche cosa sotto il letto, come se così potessi scampare a quella separazione. Non fu così. invece che qualche mese rimanemmo tre anni negli Stati Uniti. Tre anni che furono vissuti da Gaby e Alphonse come tre anni di lutto per "la loro bambina", al quale si aggiunse per Gaby il lutto per Alphonse, che morì sussurrando "piccola" prima di andarsene. Quale prova d'amore! (con sonoro dal cd)
Viviane
Cosa diventerò, senza di te, mamma? Come farò a diventare grande, io che non ho più un'infanzia? Come potrò tenere un bambino tra le mie braccia se non ho nessuno da cui imparare? Dovrò fare tutto da sola.
Simone
Non potrò mai comprendere a quale punto mi amasse la mia mamma adottiva...Lei mi avrebbe voluto tenere con se ma è naturale che mi abbia riportato dalla mia mamma legittima. Ma ha talmente sofferto, e io non l'ho mai saputo. L'ho so solamente dalla sua scomparsa. C'è sempre stata un'eterna gelosia tra le due madri che mi amavano....
Louise
Un giorno, avrò avuto tredici anni, mia madre mi annunciò che si sarebbe risposata. Io lo vissi come un tradimento. Voleva dire che lei non credeva più che papà sarebbe tornato. Iniziai anche a fare dei sogni. Si parlava molto della gente che era in Russia e io mi dicevo che mio padre stava tornando e che mia madre stava per ritrovarsi bigama....Ho fatto questo sogno per mesi e mesi.
Micheline
Siamo tornati, tutti e quattro, mia madre con i suoi tre bambini, in un appartamento assolutamente vuoto. I tavoli, gli armadi erano stati portati via, i fili dell'elettricità attorcigliati, nessun mobile. Allora, poco dopo, mia madre trovò un utensile della nostra cucina a casa di una vicina e quella le disse: "Oh, io l'ho preso così...posso ridarvelo, ora"
Henriette



TERRA 

Il silenzio è devastatore. Il silenzio è la continuità del nascondersi. Solo la parola è salvifica, generatrice di una reale voglia di vivere, del bambino nascosto, e poi liberato.
Amnom Grimbaum, Psicanalista
Io credo di non aver mai abbandonato l'infanzia. Il 16 luglio 1942, io non ho compreso che la mia vita, se non si era fermata, si era come pietrificata.
Maurice
Con la liberazione, i bambini che erano stati nascosti, dovettero confrontarsi con l'indifferenza e l'ignoranza degli adulti. L'attenzione si concentrò sulla scoperta dell'ampiezza di ciò che era stata la Shoah. Milioni di bambini assassinati, ma i bambini nascosti erano vivi. Di cosa potevamo lamentarci, noi? Niente ferite, niente amputazioni. Noi eravamo stati salvati da gente calorosa e ammirevole. Un' affettività mutilata? Bah, i bambini sono troppo sensibili, difficili e bizzarri.
Chaskel
Nessuno ci venne a dire:" Tu sei bravo, abbiamo fiducia in te". Nessuno ci guardò come si guardano i bambini. Se queste cose vengono dette dopo, non hanno lo stesso valore, perchè non sono state poste le basi affinché assumano significato. La mia mamma adottiva si è sempre data da fare perchè io ritrovassi fiducia in me. Ma la ferita, il vuoto interiore sono rimasti per molto molto tempo. D'altra parte, a dispetto del cammino che la vita ci esorta a compiere, a dispetto delle circostanze soddisfacenti, di un ambiente caloroso, quel che è stato non può essere cancellato. E non posso dire a cinquantacinque anni:" Ho ritrovato mia sorella, sono contenta" o " Ho ritrovato mia cugina, eccomi soddisfatta". Questo non è vero.
Marion
I bambini nascosti subirono senza tregua questioni di questo tipo"Tu sei sopravvissuta, tu, tu non hai il diritto di essere triste" Nell'immediato dopo guerra, numerosi orfanotrofi accolsero gli orfani di madre e di padre. Ma sembra che i bambini più disgraziati furono quelli capitati nelle famiglie dei vicini circondati di bambini della loro età che non potevano capire e ai quali si ripeteva senza tregua che dovevano essere grati.
Oggi io so che gli anziani bambini nascosti hanno avuto percorsi molto differenti, alcuni hanno condotto una buona vita, ma spesso, hanno anche condotto delle esistenze costellate di divorzi e separazioni. Ma una cosa hanno in comune: una sofferenza profonda che non sono mai riusciti a cancellare, una piaga sempre aperta. qualcosa che è ancora intatto dopo cinquant'anni.
Marion
Ci sono stati momenti difficili, fino al 1950. Tutti i giorni mia madre prendeva me e mio fratello per la mano e andavamo a piedi fino alla stazione tutte le volte che c'era un treno che arrivava da Parigi. Lei diceva " Papà sta per tornare, non è possibile che ci abbia abbandonato, sta per tornare". E ogni volta lo cercava, piangeva e mio padre non c'era. Nessuna notizia. Non ne sapevamo niente. Mia madre aveva fatto delle ricerche presso la Croce rossa francese che non aveva nulla su mio padre. Mia madre ha continuato a cercare. Niente. Il governo Francese non sapeva niente. Ci aveva rilasciato un atto di sparizione con su scritto che era partito per una destinazione sconosciuta. E infine, dopo cinque anni, è arrivato un giudice. E' da questo giudice che noi abbiamo saputo che mio padre era morto durante la deportazione.
Betty
Noi che eravamo stati nascosti, noi eravamo bambini miracolati. Tanti bambini erano stati inceneriti, erano stati uccisi, tanta gente era morta, come potevamo noi permetterci di infastidire con i nostri problemi personali? Come potevamo arrogarci il diritto di avere dei problemi? Noi non avevamo il diritto di avere problemi personali, in quel momento sembravamo solo
capricciosi.
Charles
Non avevo più nè zia nè zio,(genitori adottivi) mi sentivo veramente solo. E la cosa più drammatica fu l'abbandono affettivo. Non dico "abbandono" per caso, noi abbiamo vissuto molto male la separazione. Ero furioso con i miei genitori. Perchè erano partiti, lasciandomi solo? io vivevo questa situazione come un abbandono ingiusto. Perchè mi avevano separato dai miei fratelli e dalle mie sorelle? Non potevo capire. Io ce l'avevo con loro moltissimo. E infine, quello che io vivevo come una colpa di essere rimasto mentre loro erano partiti si trasformò nelle accuse che gli facevo dentro di me di non aver fatto tutto il possibile per rimanere insieme, per andare nella zona libera come avevano fatto in molti. Era un modo di difendersi dal dolore della separazione. Ce l'ho avuta terribilmente con i miei genitori.
Robert
Io sono acqua iridata sopra le rocce, atomizzata, esplosiva. Io sono nebulosa nell'immensità, come mia madre che è volata nell'atmosfera; confusione, per questo non capisco niente di quello che succede attorno. Bisogna che torni in me, prima lo faccio e meglio sarà. Ci arriverò.
Io so che non posso rimanere immobile. Allora io rido, sorrido, parlo, gioco a campana, il pallone rimbalza, rincorro il gatto. Scappo ma non mi prenderete. Niente mi è stato dato, io me lo prenderò, non starò ad assistere.
E' la fine, ci vengono a cercare. Mi rimetto a cantare. Tutto è permesso, tutto è possibile, perfino la speranza. La mia gioia è immensa, io corro per i prati, grido, rido, canto, la vita è là.
Simone
In quanto bambino nascosto ho da dire due cose: se io sono vivo oggi, se posso fare queste dichiarazioni, io lo devo anche a tutte quelle famiglia francesi, alcune cattoliche, altre protestanti, che mettendo in pericolo la loro vita, hanno accettato di salvare dei bambini. Non so se oggi qualcuno sarebbe pronto a fare la stessa cosa...
C'è una maniera anche di rendere omaggio a queste persone che erano cristiane, che erano generose, che hanno rischiato la loro vita, che mi hanno salvato, me e mia sorella e tanti altri. Non le dimenticheremo mai. E quando posso, pianto regolarmente alberi in loro memoria a Gerualemme. Questo non li farà mai cadere nell'oblio. C'è gente che ha voluto farci del male, che ci ha fatto del male. Ma non tutti sono come questi e c'è anche una speranza di pace.
Jacques


Mamma,
questa parola mi fa trasalire, io non l'ho più pronunciata da quando avevo nove anni. Oggi, fanno cinquantanove anni. Questa parola così dolce, così tenera, mi manca tanto.
Tu sei partita dalla Polonia per la Francia, dove credevi di poter vivere finalmente felice, senza antisemitismo. Hai incontrato papà che era nato a Varsavia. Vi siete sposati al municipio dell'11 distretto di Parigi. Tutto sembrava essere meraviglioso nonostante le difficoltà della lingua e l'adattamento a quella nuova esistenza, senza i familiari, rimasti in Polonia. Nacque mia sorella e poi io...dopo parecchi traslochi, ci siamo trasferiti in un appartamento carino, non lontano da Place de la Republique, "Repubblica": che bella parola!...
Papà lavorava, tu, mamma, facevi di tutto per renderci felici e noi lo eravamo. Non ho che bei ricordi di quei nove anni.
Disgraziatamente, qualche giorno dopo il mio nono compleanno, quando stavi per arrivare con la mia torta e poi avremmo soffiato insieme le candeline, la mia gioia si è trasformata in tristezza: sei stata arrestata su denuncia si una vicina in cambio di denaro "Un'ebrea in meno..."
L'autobus di raccolta portò te e papà a Drancy fin dal 1942. Io con mia sorella rimanemmo da una nutrice dove tu ci avevi lasciato, con l'aiuto dell'OSE, per farci nascondere.
A partire dal tuo arresto, è cominciato l'errare. Andavamo di famiglia in famiglia, in luoghi di volta in volta diversi. eravamo trattate come bestie. Credevo che un giorno ti avrei ritrovata: io ti cerco ancora...
Tuttavia, io so che tu sei stata ridotta in cenere ad Auschwitz. Io non posso e non voglio accettare una morte così sordida. Tu eri felice, gioiosa e bella....I nazisti ti hanno annientato solo perchè ebrea. hanno annientato in parte anche me. Io ti ho voluto onorare vivendo; ho voluto che tu fossi fiera di tua figlia. Io ti ho portato nella mia ombra per tutto il cammino della mia vita. Ho formato una famiglia. Ho avuto tre bambini che, a loro volta, mi hanno donato tre piccoli nipoti. La vita è continuata e continua:io ho adesso 68 anni.
Tuttavia niente mi rende completamente felice. Io non ho potuto condividere con te nessuna gioia, ma tu sei tutti i giorni indirettamente presente nella mia vita. Quanto avrei amato farti piacere: quante volte ho pianto perchè avevo bisogno di te, del tuo amore, di quell' amore che solo una madre sa donare: poichè tu sei insostituibile.
Io guardo vivere i miei bambini, mi chiamano "mamma": quale fortuna hanno avuto nell'avere una madre! Lo sapranno?
Mamma, mi sono promessa di trasmettere la tua storia, quella di papà e dei tanti ebrei ridotti in fumo, assassinati dai nazisti.
Io sono in pensione, io sono libera, non ho più responsabilità, adesso!...i miei bambini hanno lasciato il nido e sono volati senza di me.
Mamma, io ho vagato, sola, dopo la guerra: avevo dodici anni e credevo nel tuo ritorno che non è mai avvenuto...Sono diventata orfana e ho capito cosa significa questa parola: contare solo su se stessi, andare avanti,nella vita, da soli, senza un focolare, senza il calore di una famiglia... Quante volte ho pensate:"Cosa c'è di buono in questa vita?" Ma la tua ombra, mamma, mi vietava di porre fine al mio cammino. Tu sei stata assassinata, io avevo il dovere di farti vivere, di trasmettere la tua memoria, affinchè tu vivessi per lungo tempo, oltre la mia stessa vita.
Mamma, non ho potuto, da quando avevo nove anni, stringerti a me, godere della tua presenza e soprattutto amarti.
Di te non mi resta che una foto di famiglia che inspira il buon umore.
Quando la guardo, non posso credere che tu sia stata gasata, bruciata, ridotta in cenere dai nazisti.
Avevi 42 anni, la tua vita era appena iniziata. Il tuo viso è così vitale...
Per me tu non sei morta, mamma,ti voglio bene.
Tua figlia Rosette che ti amerà fino al suo ultimo respiro.