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Non si presta solo ai ricchi - Maria Nowak



lunedì 03 aprile 2006 legge Antonio Andreoni
Maria Nowak ha l’autorevolezza di chi ha vissuto come protagonista attiva la nascita e lo sviluppo della rivoluzione del microcredito, esportando l’esperienza della Grameen Bank fondata da Muhammad Yunus in Bangladesh.

Maria Nowak ci dà un quadro dettagliato di questo complesso fenomeno, che ormai è arrivato a coinvolgere più di 60 milioni di persone. Si tratta di una nuova pratica del credito che pone “al centro l’essere, non più l’avere”, riconoscendo a tutti gli esseri umani il diritto alla cittadinanza economica, il diritto all’accesso al credito, il diritto-dovere ad essere soggetti attivi promotori dello sviluppo proprio e della comunità di cui si è parte.

La proposta ci viene da Antonio Andreoni, operatore micro.Bo - Associazione per lo sviluppo della microfinanza a Bologna.


Maria Nowak Non si presta solo ai ricchi -La rivoluzione del microcredito, Torino, Einaudi 2005

(pp. 121-122)

Come molte innovazioni, il microcredito nacque, in modo pressappoco simultaneo, in differenti regioni del mondo. Se l’esperienza più conosciuta resta la Grameen Bank, la cui sperimentazione partì nel 1976, il primo progetto di microcredito in America Latina è stato organizzato da Accion (Americans for Community Cooperation in Other Nations) a Recife, in Brasile, nel 1973, e le prime casse di risparmio e credito, in Africa, datano anch’esse dagli anni Settanta. L’introduzione del microcredito è stata più tardiva nei paesi industrializzati: l’Adie ha trasferito l’esperienza della Grameen Bank in Europa occidentale alla fine degli anni Ottanta, più o meno nello stesso momento in cui la Southshore Bank di Chicago lo faceva negli Stati Uniti. Il primo progetto di microcredito in Europa centro-orientale è stato quello dei fondi di villaggio in Albania, nel 1992. Tutte queste esperienze pionieristiche hanno dissodato il terreno, scoprendo o riscoprendo parallelamente, in diversi angoli del globo, il ruolo fondamentale del credito nello sviluppo, ed elaborando metodi appropriati a un pubblico fin allora ignoto. Si sono intersecate e arricchite, ciascuna evolvendo nel suo ambiente, tanto che non è facile oggi offrirne un’immagine complessiva, ed è quasi impossibile descrivere le migliaia di esperienze fatte in tutto il mondo.

(pp. 132-135)
È impossibile raccontare qui tutte le esperienze pionieristiche e i mille modi tramite cui si è disseminato il sapere acquisito grazie ad esse e tramite il quale si è inoculato il virus a nuovi attori.
I metodi del microcredito sono stati diffusi dagli operatori e dalle agenzie internazionali o regionali sotto forma di modelli istituzionali più o meno compiuti, adattabili alle condizioni locali. Dopo un lungo periodo di gestazione, il movimento ha preso l’abbrivio. Ma la storia di un gran numero di istituzioni di microcredito è innanzitutto quella del rifiuto della fatalità come della disuguaglianza delle possibilità. Il solidarismo attivo nella lotta contro la miseria e l’esclusione si è spesso concretizzato in un percorso in tre tempi: lancio, ad opera di militanti, di un’azione sociale, orientamento di tale azione verso il microcredito in seguito a un raffronto costo/efficacia degli interventi condotti sul campo, professionalizzazione ed evoluzione verso un approccio più finanziario che consenta all’istituzione di perpetuarsi e di cambiare dimensione.
Nato quasi simultaneamente in diverse regioni del pianeta, il microcredito conta oggi più di sessanta milioni di clienti in tutto il mondo. È distribuito da migliaia di istituzioni di microfinanza, ma le cinque più grandi coprono la metà del mercato e una discreta maggioranza delle organizzazioni non è finanziariamente vitale. […]
Ogni regione ha le proprie caratteristiche. Senz’ombra di dubbio, il microcredito ha visto la sua crescita più rapida in Asia, dove i bisogni sono immensi. In Asia operano le più importanti banche di microcredito: la Grameen Bank, Asa e Brac (Bangladesh Rural Advanced Committee) in Bangladesh, Bri in Indonesia. Otto istituti hanno più di un milione di clienti. La maggior parte delle banche asiatiche è orientata verso le zone rurali con un più significativo approccio di sviluppo e di lotta contro la povertà che non di credito. A fianco delle grandi banche, esiste una moltitudine di piccoli progetti, che fanno più o meno fatica a trovare la loro strada.
In America Latina, la dimensione delle banche di microcredito è tra i centomila e i trecentomila clienti, e le organizzazioni di tipo commerciale inglobano il 54% dell’attuale clientela. […]
Lo sviluppo del microcredito in Africa si appoggia molto sulle cooperative di risparmio e credito messe in piedi con l’appoggio delle reti mutualistiche e degli organismi professionali. […]
In Europa orientale e in Asia centrale, il microcredito ha preso slancio negli anni Novanta, nel momento della transizione verso l’economia di mercato. Il crollo del settore pubblico, che assicurava la quasi totalità dei posti di lavoro, provocò una disoccupazione massiccia. […] La domanda di credito era forte e non era soddisfatta dalle banche. Finanziatori internazionali fornirono il capitale di partenza e incoraggiarono la diffusione delle procedure corrette. Sorte in condizioni di rottura storica, favorevoli al cambiamento, le istituzioni di microfinanza si sono sviluppate rapidamente e una buona percentuale di esse copre i propri costi operativi. A fine 2003, erano circa seimila.

(pp. 71-73)
Cosa c’è di fondamentalmente nuovo nel microcredito? È sempre fondato sulla valutazione della capacità del cliente e della fattibilità del progetto, sulla riduzione del rischio e dei costi di gestione.
Ma la differenza principale, rispetto al credito classico, è di essere orientato su nuovi destinatari: i poveri e gli esclusi. Ne riconosce i talenti, i bisogni, la capacità di rimborsare i prestiti. Invece di respingerli, in anticipo, dalla clientela del credito per il fatto che i metodi, i criteri, le garanzie non sono adatti alla loro situazione, inventa metodi e garanzie che si adattino ad essi. Invece di imporre l’oggetto del prestito, come avveniva con il credito agricolo previsto dai progetti di sviluppo, si pone all’ascolto dei bisogni della gente. Esso consente così di scoprire come gli esclusi dal credito bancario, alla stregua degli altri, siano dotati di spirito imprenditoriale, di capacità di giudizio, e come, in aggiunta, siano decisamente più affidabili dei ricchi quanto a restituzione. È ovvio. Hanno maggior necessità di accesso al credito di chi ha le tasche piene. Sanno che, se rimborsano il primo prestito, potranno avere accesso al successivo. Sono anche più solidali e tengono alla loro reputazione più di chi ha dei beni al sole, perché la loro reputazione, in realtà, è tutto quanto posseggono. La reputazione e i buoni rapporti con i vicini sono il loro sistema di protezione sociale.
In caso di forte crisi, le persone senza soldi si aiutano reciprocamente. In simili condizioni, la garanzia reciproca, tanto del gruppo dei beneficiari del prestito come del gruppo di amici, è sicura, anche se i garanti sono anch’essi poveri.
A conti fatti, i metodi del microcredito si fondano su principi che corrispondono ai metodi del marketing, applicati da banche e imprese. Non sono metodi nuovi, ma la loro estensione alle persone in difficoltà è un’autentica rivoluzione. Sono persone che non sono mai state prese in considerazione, che sono sempre state guardate dall’alto in basso, giudicate sommariamente senza che nessuno le abbia mai avvicinate. La giustificazione implicita di tale statuto di esclusione è il disprezzo che si prova per quanti non sono riusciti, è l’idea che sia colpa loro e non del sistema se sono bloccati. Il riconoscimento del diritto al credito è una rivoluzione analoga all’affrancamento degli schiavi o al voto delle donne: cambia lo sguardo che si posa su una categoria della popolazione accordandole una visibilità prima inesistente.
Con tutto ciò, i principi applicati sono abbastanza elementari:
- adattamento dei prestiti ai bisogni del cliente: somme modeste, procedure semplici e tempi rapidi;
- sistema di garanzia che tenga conto dell’assenza di beni e di capitale proprio tra i destinatari. L’incentivo al rimborso si fonda su prestiti di volume progressivo, su gruppi di contraenti che si garantiscono a vicenda o su garanzie personali provenienti dall’ambiente circostante, garanzie che possono essere molto deboli, ma che giocano un importante ruolo di prevenzione del rischio. Il rapporto di fiducia tra il contraente e l’agente di credito gioca anch’esso un ruolo essenziale, in particolare nei paesi industriali, dove il legame sociale è lasco e la complessità amministrativa maggiore. Il consigliere ha il compito di aiutare il cliente a risolvere il problema che mette la sua attività in pericolo, cosa che, contemporaneamente, gli permette di rimborsare il prestito;
- recupero, anch’esso adattato alle caratteristiche dei clienti, mediante scadenze frequenti e di piccola entità;
- copertura dei costi tramite gli interessi, al fine di acquisire, in un lasso di tempo
relativamente breve, autonomia operativa e finanziaria. Benché questo principio sollevi spesso delle obiezioni, la realtà è che i piccoli prestiti hanno un costo troppo elevato in rapporto all’utile assai modesto e, di conseguenza, esigono un aumento del tasso d’interesse. I clienti, che per parte loro, vivono nella realtà, preferiscono pagare un po’ di più ed avere accesso al credito piuttosto di avere la garanzia di tassi esigui, ma non avere il credito.
Sulla base di questi principi, sono state elaborate metodologie differenti di microcredito. Grosso modo, si suddividono in prestiti individuali e prestiti di gruppo e corrispondono a destinatari e a contesti diversi.
In linea di massima, i metodi di credito di gruppo sono utilizzati, in particolare, per lo sviluppo delle attività generatrici di reddito nelle zone in cui il tessuto sociale è rimasto solidale, mentre i piccoli prestiti individuali si applicano soprattutto alle microimprese. Il punto comune è la duplice preoccupazione di raggiungere destinatari ignorati dalle banche classiche e di coprire i costi di gestione il più rapidamente possibile.

(pp.136 – 141)
Le esperienze fatte in tutto il mondo hanno prodotto, più o meno contemporaneamente, risultati simili circa tre punti essenziali: il grande impatto del microcredito, le condizioni della sua riuscita e le prospettive aperte sull’avvenire.
Il primo punto di convergenza è l’impatto. Innanzitutto, sul beneficiario del prestito. Per capirlo, bisogna rendersi conto dell’importanza del denaro nella psicologia umana. Come si esprime lo psicoanalista Russel A. Lockhart: “Il denaro è la più potente forza di trasformazione, la più pratica e la più reale. Lo si può trasformare in qualsiasi cosa. Nient’altro raggiunge lo stesso campo di possibilità di trasformazione nel mondo reale o nei nostri fantasmi. Alla lettera, il denaro simboleggia tutto”. Ecco allora degli uomini e delle donne, che non disponevano di altro, se non dei loro sogni e del disprezzo dei concittadini, cui si mette nelle mani, attraverso il credito, questo strumento di trasformazione. Ecco il credito, che simboleggia, a un tempo, la speranza di cambiare la testa e ritrovare fiducia nella propria stella. “Il nostro rapporto con il denaro, - dice ancora Lockhart, - è quello che abbiamo con il nostro destino”, e il destino è legato con un filo indistruttibile al passato. Non per niente i greci battevano moneta nel tempio di Giunone, regina madre dei cieli. Per le persone sprovviste di mezzi, avere accesso al capitale significa ritrovare il filo della propria vita e poterla orientare come si desidera. “Il sangue del povero è il denaro” , dice Marc Bloch. Per i ricchi, il problema si pone in modo opposto: il denaro può nascondere le ragioni autentiche del vivere. “La potenza (e il denaro, questo grimaldello della potenza) è il mezzo puro. Per ciò stesso, è il fine supremo per tutti coloro che non hanno capito”, scriveva Simone Weil.
Tralasciando le considerazioni filosofiche, il significato simbolico del denaro lo ritroviamo in questa confessione, che frequentemente abbiamo ascoltato dai disoccupati creatori di impresa, finanziati dall’Adie: “Il denaro che mi avete prestato è importante, ma quel che è stato più importante ancora è che abbiate creduto al mio progetto. Ciò mi ha permesso di ritrovare la speranza”. Dignità ritrovata, fiducia in se stessi, responsabilità delle donne sono risultati universalmente ammessi, ma difficilmente misurabili, che appaiono in tutte le indagini fatte, dal Sud al Nord. Mentre gli studi di impatto dei grandi progetti non sempre vengono fatti e di rado vengono resi noti, il microcredito è stato oggetto, fin dalle sue origini, di valutazioni approfondite.
L’investimento si trasforma in un aumento di reddito (ogni anno il 5% dei mutuatari della Grameen Bank si lascia alle spalle la soglia di povertà); comporta una crescita dei beni del gruppo familiare (terra, attrezzature, abitazione); consente il miglioramento della salute dei suoi membri e l’istruzione dei bambini; riduce inoltre i rischi, che costitusicono l’assillo dei quotidiano dei poveri.
Simili effetti che investono direttamente i beneficiari del prestito si prolungano a livello della collettività, rafforzando il legame sociale e quello che ormai si chiama il “capitale umano”.
Partiamo, di nuovo, dal significato simbolico del debito: “Il debito originario o primordiale è insieme costitutivo dell’essere degli individui vivi e della perennità della società nel suo insieme. È un debito di vita”, ci dicono Michel Aglietta e André Orléan, due prestigiosi economisti. “Il più grande errore che si possa fare, se si vuole capire la nozione di denaro, sarebbe di rigettare il concetto di tale debito, col protesto che non si pratica più il linguaggio della tradizione, che ce l’ha lasciato in eredità. Infatti, l’ipotesi del debito di vita ci rammenta che la società è minacciata nella propria coesione, cioè nella propria stessa esistenza, se non assicura le condizioni della sua riproduzione”. È dunque il “debito di vita” a creare il legame sociale e a dare coerenza ai debiti privati, affinché essi “inseriscano gli individui in una divisione del lavoro nascosta dietro lo scambio […]. Il debito privato è un rapporto di dipendenza dell’individuo rispetto alla società, grazie a cui l’individuo acquisisce un riconoscimento sociale”. Per dire le cose altrimenti, l’accesso al credito diventa, in questa prospettiva simbolica, uno dei fondamentali della cittadinanza economica, visto che il credito gioca il ruolo di legame sociale.
Tornando agli esempi concreti, gli studi fatti dalla Grameen Bank hanno messo in luce non solo una migliore integrazione dei clienti della banca nei circuiti di produzione e di scambio, ma anche un innegabile impatto del microcredito sul funzionamento del mercato locale: creando posti di lavoro attraverso lo sviluppo di attività economiche indipendenti, esso riduce l’eccesso di manodopera disponibile sul mercato del lavoro e spinge in direzione di un rialzo dei salari. Gli operai agricoli sono, così, meno sfruttati. Nel contempo, il microcredito induce una tendenza al ribasso nei tassi praticati dagli usurai. L’aumento degli scambi e il miglioramento delle condizioni della concorrenza limitano il crollo dei prezzi nel periodo di raccolto.
Le sedici decisioni votate dai soci della Grameen Bank appaiono risibili di fronte all’immensità dei problemi dello sviluppo. Esse mirano, tuttavia, a cambiare piuttosto a fondo le condizioni di vita e di salute e le relazioni in seno alla società. Così, a titolo d’esempio, “coltivare un orto e mangiare verdura tutti giorni” consente di lottare in modo naturale contro la carenza di vitamina A nell’alimentazione, carenza all’origine di numerose malattie, specialmente della cecità dei bambini.
E le zucche si possono piantare pure sui tetti delle case. “Rifiutare la pratica della dote” libera da un obbligo finanziario insopportabile le famiglie che hanno figlie in età da matrimonio e, insieme, affranca le ragazze da un complesso di colpa che le schiaccia fin dall’infanzia, “Costruire latrine” è fondamentale in un paese dove gli abitanti vivono in promiscuità e dove le epidemie sono frequenti.
Nei paesi in industrializzati, nei quali questi problemi di base sono ormai risolti, il microcredito svolge un ruolo diverso: riduce le patologie sociali che si tratti di passività o di violenza, migliora la coesione sociale riducendo le disuguaglianze e garantisce una migliore integrazione della comunità.
Facilità l’ingresso di nuovi attori in un’ economia fondata sui servizi e sulle piccole unità di produzione. Aumenta il potenziale di crescita, valorizzando una forza lavoro inutilizzata e stimolando il consumo con un potere d’acquisto prima inesistente. Sviluppando la creazione di ricchezza a livello locale, riduce lo squilibrio tra economia reale e economia virtuale. Infine, sul piano delle finanze, riduce la spesa pubblica – il credito è, infatti, una delle rare forme di intervento che, una volta lanciate, si mantengono da sole - , allarga i limiti del mercato finanziario a beneficio di clienti e banche, e contempla le evoluzioni demografiche il cui costo può essere pesante sia per i paesi vecchi, i quali debbono finanziare le pensioni, sia per i paesi più giovani, i quali sono privi di infrastrutture.
[…] Nei paesi del Sud, il microcredito è soprattutto uno strumento di sviluppo e di lotta contro la povertà. Nei paesi postcomunisti, si è rivelato come un mezzo di decentramento delle decisioni, in precedenza prese dallo Stato, e di privatizzazione dell’economia sulla base delle capacità reali dei cittadini, privati per quarantacinque anni del diritto all’iniziativa economica, giocando così un ruolo significativo nel processo di transizione verso l’economia di mercato e nella lotta contro la disoccupazione.
Nei paesi che escono da un conflitto con nemici esterni o da una guerra civile, il microcredito si è dimostrato uno straordinario strumento di riconciliazione e di pace. Il successo ottenuto in Bosnia ha portato all’inclusione del microcredito nel ventaglio di strumenti da utilizzare in situazioni postbelliche. I risultati sono stati altrettanto notevoli in Kosovo come in Afghanistan. In Congo, la rete Mucodec (Mutuelles congolaises d’épargne-crédit) ha resistito alla guerra civile meglio delle banche. Essa continua ad avere 175.000 associati, un ammontare di risparmio pari a 26 miliardi di franchi Cfa e un’esposizione creditizia di sei miliardi di franchi Cfa.
A qualsiasi latitudine e in qualsiasi contesto, il credito, con la sua carica di speranza e di fiducia, aiuta a riannodare o a sviluppare il legame sociale e a strutturare l’organizzazione economica e sociale dei poveri. Questa è la via maestra per conferire loro un peso maggiore nella società.

(pp. 207)
Così, in materia di microcredito nei paesi industriali, la vera posta in gioco non è soltanto quella di procurare un finanziamento. È anche quella di creare una realizzazione del loro proprio lavoro.
“Non avere una sola persona con cui parlare che non sia pagata per farlo” è una constatazione terribile per una società che si pretende solidale. La possibilità di essere riconosciuti, di comunicare con qualcuno su una base di uguaglianza e non di dipendenza, consente ai rifiutati dell’economia di mercato di liberarsi dal senso di fallimento e di colpa. Un appoggio giunto al momento buono, e non tre mesi dopo, allorché l’amministrazione ha esaminato la pratica, può spesso avere un effetto determinante per l’inserimento. Non ci si libera dal dovere della “fraternità” trasferendone la responsabilità allo Stato.
Ugualmente, la solidarietà nei confronti del Terzo mondo non può tradursi soltanto in contributi occasionali, il cui effetto principale è di scaricare la coscienza dei donatori. Non ci si può smarcare dalle politiche che preservano i nostri privilegi e sprofondano i paesi del Sud nella miseria, facendo l’elemosina.
[…] “Le nostre società sono diventate moralmente schizofreniche, se si pensa che fanno tranquillamente coesistere una sincera compassione di fronte alla miseria del mondo con la feroce difesa degli interessi acquisiti”, scrive Pierre Rosanvallon. Non sono i discorsi politici, ma la rinascita del senso civico e dell’azione concreta a vantaggio dell’interesse generale che possono aiutarci a riemergere da questa situazione.

(pp. 143-145)
Il secondo punto di convergenza dei programmi di microcredito è che la loro riuscita riposa su tre gambe: la clientela, le istituzioni di microfinanza e il contesto regolamentare.
Abbiamo visto, in tutta questa seconda parte, l’importanza di costruire il sistema del microcredito sulla conoscenza della domanda. Non si tratta di puntare a una clientela che possa avere un normale accesso alle banche, né a una clientela la quale, in un dato momento, si trovi in una situazione di disagio fisico o morale che non le permette di impegnarsi in attività economiche. Il microcredito, nei paesi in sviluppo, è mirato sui “poveri attivi” e, nei paesi sviluppati, sugli esclusi che desiderano reinserirsi nell’economia. È ai loro bisogni che deve impegnarsi a rispondere. In entrambi i casi, le situazioni non sono cristallizzate: ognuno può, in un momento o nell’altro del proprio percorso, diventare cliente.
Per poter offrire dei servizi finanziari in modo continuativo, è indispensabile allestire istituzioni permanenti. […] esse possono assumere tutte le forme giuridiche: banche commerciali o mutualistiche, banche specializzate in microfinanza con uno statuto speciale sul modello della Grameen Bank, cooperative di risparmio e credito, fondazioni o associazioni. L’importante è che esse riescano, il più rapidamente possibile, a rendersi finanziariamente autonome e che i loro interventi si completino e si appoggino reciprocamente in modo da creare un ventaglio di istituzioni di microcredito tale da coprire tutti i segmenti della clientela. Tutte le forme di cooperazione tra le organizzazioni non bancarie e le banche vanno, naturalmente, in questa direzione e debbono essere incoraggiate.
Affinché la clientela del microcredito possa creare impresa in condizioni efficaci e affinché le istituzioni di microcredito siano capaci di buone prestazioni, ci vuole anche un contesto favorevole.
Ne parleremo più in là con maggior precisione. Qui ci limitiamo a dire che il ruolo dello Stato consiste prima di tutto nel creare un ambiente semplice e stabile, senza schiacciare l’imprenditore con prelievi fiscali e sociali eccessivi, e nel garantire il buon funzionamento delle istituzioni di microfinanza. Per le istituzioni non bancarie, ciò esige, tra l’altro, che possano prendere a prestito per poter, a loro volta, prestare, e che il tasso di interesse sia compatibile col costo di gestione del piccolo credito.
Il terzo punto di convergenza delle speranze internazionali è l’apertura crescente del microcredito ad altri servizi finanziari. La segmentazione del credito è fondamentalmente una rivoluzione umanista, giacché mette il capitale al servizio di tutti gli uomini e, proprio per questo fatto, le sue ripercussioni sono multiple. Così, posando lo sguardo sul cliente, anziché definirlo astrattamente, ci si è accorti che, al di là del credito, aveva anche bisogno di altri servizi finanziari. Per meglio rispondervi, le istituzioni di microcredito hanno quindi ampliato la gamma dei loro prodotti.

(p. 172)
Aprendosi a una visione più ampia dei servizi finanziari, la microfinanza ha anche allargato la propria clientela. La sua ambizione, oggi, non è soltanto di servire i segmenti più poveri della popolazione, ma di aprirsi all’insieme degli attori economici. Per rispondere a questo obiettivo, il settore finanziario deve incorporare ogni tipo di istituzione bancaria e non bancaria.
È un cambiamento di scala e di dimensioni, una vera rivoluzione a livello dei metodi e dei modi di finanziamento. Lo sviluppo della microfinanza significa, a un tempo, spingere la frontiera delle banche verso un mercato servito alla meno peggio dalle istituzioni non bancarie, e quella delle istituzioni non bancarie verso settori di pubblico di più difficile accesso, nelle zone rurali e nei quartieri difficili. Come abbiamo visto, ciò richiede un grande sforzo di diffusione delle procedure corrette per creare delle istituzioni capaci di sopravvivere autonomamente, o beneficiando di finanziamenti bancari o raccogliendo il risparmio dei privati. E richiede anche l’applicazione delle nuove tecnologie che permettono di ridurre i costi operativi dei servizi finanziari di ammontare modesto, in vista di poterli coprire con i proventi degli interessi. E, infine, ciò suppone di inventariare tutte le istituzioni tangenti alla microfinanza, che potrebbero diventare sue alleate.

(pp. 210 – 214)
Torniamo alla storia. Albert O. Hirschman, in The Passions and the Interests, ci illustra come i grandi pensatori dell’epoca precapitalistica abbiano sperato di trasformare le passioni degli uomini in interessi, nella speranza di mitigarle. Da Sant’Agostino a Montesquieu, passando per Adam Smith, la speranza dei filosofi e dei moralisti è stata di creare un mondo prevedibile e stabile, governato dall’interesse. La storia del capitalismo dimostra che non è andata affatto così.
L’orgoglio, l’invidia e la cupidigia che infiammano il cuore dell’uomo hanno continuato a produrre i medesimi effetti, amplificati dal rimpicciolimento del pianeta e dal progresso tecnico. Il grande insegnamento ricavabile dalla storia è che l’uomo rimane uguale a se stesso, capace del meglio
come del peggio. Il denaro in tutte le circostanze è alleato del potere. L’unico mezzo per limitare le derive dell’uno e dell’altro è un sistema di contropoteri non solamente sul piano politico, ma anche sul piano economico.
Terminando il suo libro sulla Dinamica del capitalismo, pubblicato nel 1985, Fernand Braudel lamentava che “nel mondo capitalistico, come nel mondo socialista, ci si rifiuta di distinguere tra capitalismo ed economia di mercato”. Il capitalismo, per lui, rappresenta il mondo del profitto elevato. Egli cita Lenin: “Il capitalismo è la produzione mercantile al suo più alto grado di sviluppo: decine di migliaia di grandi imprese sono tutto, milioni di piccole imprese sono niente”. E aggiunge: “Ma questa verità evidente sin dal 1917 è una verità vecchia, molto vecchia”.
In seguito, l’economia socialista è crollata. L’opzione dell’economia di Stato non si è rivelata né giusta né praticabile. I socialisti utopisti avevano avvertito la cosa fin dall’Ottocento. Proudhon, avversario della proprietà privata, alla fine della sua vita vedeva tuttavia la proprietà privata, alla fine della sua vita vedeva tuttavia in essa un limite necessario al potere dello Stato. La frase di Lenin descrive ben il mondo di oggi. La mondializzazione dei grandi fa dimenticare finanche l’esistenza dei piccoli. E, nondimeno, sono i piccoli, gli invisibili a costituire l’economia reale e la società reale. Dopo il crollo dell’economia socialista, sono costoro a rappresentare il solo contrappeso possibile alla potenza di un capitalismo per sua natura élitario, ad essere la sola garanzia di un’economia di mercato che offra una possibilità a tutti.
Per preservare l’economia di mercato e la democrazia possono e debbono essere utilizzate tutte le strade. La mondializzazione limita il ruolo regolatore degli stati e necessita di istanze normative a livello planetario. Il potere delle banche e delle imprese transnazionali diventa eccessivo, nella misura in cui nessun altro potere vi si oppone. L’organizzazione dei cittadini, la forza della società civile che si rivolge ai governi e alle organizzazione internazionali, la pressione congiunta dei lavoratori, dei consumatori e degli azionisti sulle grandi imprese costituiscono un contropotere possibile e necessario.
L’obiettivo di questo libro è di difendere una rotta a metà strada tra socialismo e liberismo, a immagine del socialismo detto “utopista”, che recupera oggi tutta la sua attualità. Owen, Saint- Simon, Proudhon hanno tutti voluto difendere sia l’efficacia che la giustizia, sia la libertà individuale che la solidarietà sociale. Hanno fallito. Ammettiamolo pure. Ma hanno fatto qualcosa di più che sostenere discussioni intellettuali con i marxisti, loro avversari dell’epoca: hanno tentato, ciascuno a suo modo, di passare all’atto, cosa che ben pochi intellettuali sanno fare oggigiorno. Non è questione di tornare ai vecchi modelli né di credere che si possa chiudere la parentesi storica della società salariale e della protezione che essa garantiva ai lavoratori, ma di cercare ispirazione in un pensiero che non aveva ancora privato il lavoro della sua dimensione di libertà. Se si accetta la rotta del “socialismo liberale”, rispettoso della libertà dell’uomo, o del “liberismo sociale” attento alla solidarietà – rotta che mi sembra l’unica possibile in una società che sta facendosi sempre più individualistica – una delle vie per salvare l’economia di mercato dagli eccessi del capitalismo è di frazionare il capitale e di metterlo a disposizione di tutti gli attori economici.
Partita da un’equazione elementare (lavoro + capitale = creazione di ricchezza) la nostra riflessione perviene a un’equazione altrettanto semplice: fiducia + progresso tecnico = microcredito.
Per progresso tecnico, intendo ciò che permette di abbassare i costi di gestione dei piccoli crediti, ma anche ciò che rende possibile lo sviluppo delle piccole unità di produzione collegate, se necessario, in rete. Per fiducia, intendo fiducia verso tutti gli attori economici, compresi quelli che sono invisibili agli occhi dell’opinione pubblica. Quel che ho tentato di caldeggiare, nel corso di questo libro, è la necessità di un altro sguardo sull’uomo. Uno sguardo che riconosca l’immerso potenziale di iniziativa e di creatività di tutti gli esseri umani, imbrigliato tanto dalla mancanza di accesso al capitale come da normative inopportune. Le regole esprimono, in certa misura, rapporti di forza tra i diversi gruppi, ma anche, e in misura trascurabile, l’ignoranza dei popoli da parte di coloro che li governano. Dopo Turgot con il suo laissez-faire, Alain Peyrefitte aveva fatto della fiducia il fattore chiave dello sviluppo. È una tesi semplice e giusta, poiché non fa che trasporre in campo economico l’evidenza psicologica di base, applicata sia dai genitori nei confronti dei figli, sia dai dirigenti d’azienda nei confronti degli impiegati: affinché un individuo riesca, occorre che abbia fiducia in se stesso; bisogna quindi accordargli fiducia. Una volta che si sia modificato il nostro sguardo, non è difficile mettere a punto metodi e tecniche che stimolino lo sviluppo della microfinanza. Le nuove tecnologie facilitano enormemente una simile messa a punto e accelerano la diffusione del microcredito nel mondo.
La questione è, in fin dei conti, di riconciliare il commercio del denaro e il commercio degli uomini, facendo un passo ulteriore verso la democratizzazione finanziaria. Il primo passo era stato l’invenzione della moneta contante, che ha consentito a tutti di partecipare all’economia di scambio.
Il credito è un’altra forma di moneta, giocata sull’avvenire, forma che può essere segmentata in piccoli prestiti, se si crede che i poveri hanno diritto, anch’essi, a non vivere solo nell’istante presente, e si è peraltro in grado di coprire i costi del microcredito. La forza e la bellezza del microcredito stanno nel fatto che esso può offrire a ciascuno l’opportunità di costruire la propria vita, di proiettarsi nel futuro e di partecipare alla creazione di ricchezza.
Allorché ho cominciato a occuparmi di questo argomento, circa vent’anni fa, era un’idea pressoché clandestina, che interessava poco coloro che avevano il potere di decidere. Il «sogno di una testa mozzata», si direbbe in polacco. Devo confessare che questo aspetto di «causa persa», simile alla carica della cavalleria polacca di fronte ai mezzi corazzati tedeschi, mi aveva sedotta. Ma l’idea è stata convalidata da milioni di piccoli attori economici e da migliaia di istituzioni di microfinanza.