logo dell'associazione

logo dell'associazione

Mozart, una personalità complessa e consapevole del proprio tempo - W.A. Mozart



lunedì 09 ottobre 2006 legge Lidia Bramani
Abituale frequentatore dell’intellighenzia più progressista dell’epoca, uomo di grande umanità e di straordinaria cultura, in possesso di una selezionatissima biblioteca, Mozart non fu soltanto l’immortale compositore che tutti conoscono e nemmeno il genio capriccioso e infantile che molti hanno descritto. Personaggio scomodo e irriverente, nel corso della propria vita coltivò gli ideali illuministi della libertà e dell’eguaglianza, senza mai cedere alle derive ideologiche della grandiosa congerie storica e culturale di cui fece parte: libertario convinto e tuttavia ostile all’uso della violenza, fervente anticlericale che pure coltivò una forte visione sacrale dell’esistenza, Mozart è stato un artista capace di dare agli uomini della nostra epoca una grande lezione di modernità.

Lidia Bramani ha collaborato con le più grandi istituzioni musicali e case discografiche. Ha curato per Il Saggiatore l’autobiografia di Hans Werner Henze Canti di viaggio e, per la stessa casa editrice, sta lavorando all’edizione italiana delle lettere di Mozart.
Tra le sue opere si segnalano le conversazioni con Claudio Abbado Musica sopra Berlino (Bompiani, 2000 ) e Mozart massone e rivoluzionario (Bruno Mondadori, 2005).
Il testo che segue è stato tratto dalla nota di sala scritta da Lidia Bramani per i concerti mozartiani che l’Accademia di Santa Cecilia (Roma) ha dedicato, nel corso della stagione 2006, al musicista salisburghese.
Il brano non sarà letto, ma sintetizza il percorso del ragionamento che l’autrice condurrà analizzando le lettere di W.A. Mozart nel corso della serata.
Lidia Bramani sta traducendo l’intera raccolta della corrispondenza mozartiana, che sarà pubblicata dall’editore Il Saggiatore : il lavoro è in corso e non è possibile pubblicarne parti in anticipo.
La Bottega dell’Elefante e l’Associazione amici dell’Orchestra Mozart collaborano nell’organizzazione di questa serata per celebrare l’anno mozartiano e per esprimere l’auspicio che l’appello di Claudio Abbado a proseguire l’attività dell’Orchestra Mozart venga accolto dalla città di Bologna nelle sue molteplici articolazioni, come significativo apporto alla crescita culturale del territorio.


Le celebrazioni, checché se ne dica, servono. E l’esplosione di manifestazioni, articoli, libri, dibattiti del 2006 verrà ricordata soprattutto per aver sollecitato un pubblico più ampio a parlare di Mozart e a pensare a Mozart. Nella gabbia di un qualunquismo comunicativo quasi ermeticamente chiuso alle istanze culturali – che continuano a sopravvivere nei circuiti esecutivi, didattici, famigliari, del passaparola e di un patrimonio collettivo in grado di tramandarsi, nonostante tutto, fuori da canali prevedibili – è giunta un’ondata positiva che ha investito sicuramente migliaia di persone. Qualcuno ha ascoltato per la prima volta il grande compositore. I più si sono avvicinati a opere che ancora non conoscevano o hanno ripensato al suo messaggio. Altri, già appassionati e iniziati al suo mondo, ne hanno scoperto prospettive inattese. (…)
Non bisogna ridimensionare il mito di Mozart, ma piuttosto riposizionarlo. E correggendolo, ci accorgiamo che ne aumentiamo l’aura, ancora una volta meravigliati dalla sua universalità. Né dobbiamo temere di esagerare la portata di ciò che Mozart ancora riesce a dirci a distanza di duecentocinquant’anni dalla nascita. Anzi, avvicinarsi alla sua vita e alla sua storia, ci assicura un’ulteriore sorpresa. Il compositore è più vicino a noi di quanto credessimo. E lo è in quanto ben diverso da come ce lo siamo voluti immaginare per più di due secoli. Restano alcune domande, che possono aiutarci a riflettere su ciò che siamo oggi. Perché abbiamo avuto paura della sua statura morale? Perché, pur avendo forzato ideologicamente l’interpretazione di tanti autori, musicisti e non, ci siamo ritratti di fronte alla sua cultura, alle sue idee, alla sua straordinaria umanità? Perché abbiamo strumentalizzato la sua figura per avallare la tesi dell’estromissione della vera, grande arte dalla realtà e dalla storia? Il mito di Mozart si estende fino a mettere in crisi se stesso e noi con lui. I problemi che ci troviamo a dover risolvere nel 2006 sono quelli affrontati da un musicista consapevole in tutto l’arco della sua produzione e volutamente resi espliciti negli ultimi capolavori – che vanno da opere emblematiche come Il flauto magico e La clemenza di Tito a piccoli gioielli come la Teutsche Kantate. In questi estremi lasciti mozartiani si invoca senza mezzi termini la necessità di guardare agli altri, superando l’orrore della diversità e confidando in una gerarchia di valori che ponga la dignità di ogni uomo al centro degli obiettivi etici e politici. Si sottolinea l’urgenza di garantire libertà di pensiero e di religione a ogni essere, a ogni gruppo, a ogni etnia. E vengono ribaditi con cristallina determinazione assiomi sui quali costruire un possibile mondo migliore: il rifiuto della guerra, della violenza e della vendetta, individuale e sociale; l’esaltazione del perdono, non come forma di assoggettamento o di acquiescenza passiva all’ingiustizia, soggettiva e collettiva, ma come atteggiamento di superiore comprensione della complessità esistenziale; il rispetto della natura, quale ecosistema da proteggere, animali compresi; la conservazione dell’arte, in quanto strumento di continua rigenerazione, del singolo e della comunità; infine, la tutela dello stato, inteso come espressione di una volontà generale resa credibile proprio dalla partecipazione creativa di tutti.
Ripartiamo da lì, ripartiamo da Mozart. Ascoltiamolo. Leggiamo le sue lettere, i libri da lui amati e citati, i testi da lui scelti. E ascoltiamolo ancora, prima, dopo, durante queste letture e queste riflessioni, le stesse che ci travolgono e commuovono mentre scorriamo il suo epistolario.
*
Nell’anno della morte, Mozart scrive per il teatro due opere che sembrano provenire da mondi antitetici, ma costituiscono in realtà un dittico inscindibile. Sicuramente si riallacciano a generi assai lontani. Il flauto magico è frutto della storia tipicamente tedesca del Singspiel, che alterna parti recitate a parti musicate e cantate e accosta intenti edificanti a spunti comico-popolari. Clemenza di Tito è nello stile alto dell’opera seria italiana, con il chiaro succedersi di forme chiuse già ben delineate nell’originale libretto di Metastasio, pur rivisto per l’occasione da Cesare Mazzolà. (….. )
Nonostante la diversità delle scelte formali e drammaturgiche, i temi che animano nel profondo la trilogia dapontiana vengono portati alle estreme conseguenze nei due affreschi morali con i quali Mozart si congeda dal suo tempo.
Per questo, per poter comprendere come il complesso percorso iniziatico del Flauto magico sia strettamente connesso con quello giuridico di Clemenza e con l’utopia degli affetti delineata nei tre lavori precedenti, è necessario sintetizzare il denso universo culturale nel quale Mozart era immerso da anni. Il fatto che il suo pensiero si esprimesse solo ed esclusivamente in termini squisitamente musicali, non esclude affatto che si alimentasse d’altro. Giacché l’autonomia del suo linguaggio appartiene sempre e comunque alla più ampia sfera dell’umano.

*
Mozart, genio assoluto, forse il più famoso e il più universale musicista. Proprio a causa di questa sua immensa popolarità, è stato imprigionato in un cliché che lo voleva genio istintivo, infantile, preda dei propri impulsi erotici, assolutamente chiuso nel suo mondo. Irriverente sì, ma in modo del tutto primitivo.
Di contro, si è messo in rilievo il fatto che avesse aspirato per tutta la vita ad un’autonomia professionale letta come anticipatrice di una moderna figura di artista. In realtà Mozart desiderava essere inserito nei circuiti dell’organizzazione artistica del suo tempo e non riteneva più o meno umiliante essere assunto o libero professionista. Semmai erano le concrete possibilità di essere indipendente, come artista e come uomo, che lo interessavano. Se poi di tale indipendenza si fosse fatta garante una struttura statale, ciò sarebbe stato più consono ai suoi ideali politici e sociali. Aspirò ad un incarico pubblico fino alla fine dei suoi giorni e detestò, come si deduce dalle lettere, la precarietà delle situazioni lavorative che legittimavano un condizionamento del musicista tanto grave quanto indiretto.
*
Ecco quindi questa interpretazione di Mozart giungere fino a noi, attraversando Ottocento e Novecento. Un famoso film degli anni Ottanta, Amadeus di Forman (1984), su sceneggiatura di Shaffer, il quale a sua volta si era ispirato, oltre che alla biografia di Hildesheimer, anche al Mozart e Salieri di Puskin (1830), ha diffuso presso il grande pubblico uno stereotipo mozartiano che comunque corrisponde a quello avallato da gran parte della musicologia tradizionale.
Mozart, la cui vita abbraccia alcuni decenni di storia europea di capitale importanza, basti citare la rivoluzione americana e quella francese, era tutt’altro personaggio.
Guardando da vicino il mondo letterario, etico, politico e religioso di Mozart, si scopre che ci troviamo di fronte a un uomo colto, che conosceva molte lingue (oltre al tedesco, l’italiano, il francese e il latino, si mise pure a studiare, nel 1787, l’inglese), amava leggere, era informato nonché curioso e soprattutto frequentava l’intellighenzia più progressista e aperta dell’epoca.
Se per comodità espositiva e per correttezza nei confronti di chi legge o ascolta, è più utile descrivere l’universo culturale e ideale di Mozart – per poi dimostrarne, nelle sedi adatte, la presenza nelle opere, il suo tradursi e svelarsi nei termini specificamente musicali - dal punto di vista metodologico, il lavoro del musicologo è, e deve essere, prevalentemente – e non dico esclusivamente perché in effetti ci sono anche feed-back, interferenze, reciproci contributi – inverso.
E’ infatti scavando nella partitura del Così fan tutte che ci si rende conto di quanto non possa stare in piedi la tesi di un soggetto frivolo con una musica sublime, poiché la musica stessa segnala i momenti cruciali e indica che si tratta di un rito alchemico, di un’importante, sacra iniziazione alla vita. (...)
*

Mozart entrò in massoneria alla fine del 1784, nella loggia Zur Wohltätigkeit (Alla Beneficenza), per poi passare, alla fine dell’anno successivo, nella Zur Neugekrönten Hoffnung (Alla Speranza Nuovamente Incoronata), in seguito alla riforma giuseppina che riduceva il numero delle logge viennesi. Ma la sua adesione ideale all’ordine risale, attraverso influenze indirette da parte di personalità da lui frequentate, a molto prima. Vi sono opere precedenti, come il Thamos, re d’Egitto del massone Gebler, per il quale Mozart compose le musiche di scena (1773-79), che si possono considerare veri e propri precedenti del Flauto magico (basti dire che l’azione si svolge a Eliopoli, con tutta la simbologia massonica legata al sole che tornerà nella Zauberflöte). (...)
La massoneria si stava diffondendo in tutta Europa come associazione segreta nella quale gli adepti si sostenevano l’uno con l’altro e si impegnavano a operare per il bene collettivo. Una fede non ortodossa, di matrice cristiana ma con massicce inserzioni pagane e influssi di religioni orientali, auspicava che si realizzassero ideali assai simili a quelli in cui credevano gli Illuministi francesi e che sfoceranno nella Rivoluzione del 1789. Tant’è che a tutt’oggi l’ampia trattatistica sulla massoneria riconosce all’ordine stesso un contributo sostanziale nell’evolversi degli eventi che portarono alla rivoluzione parigina. Si pensi che molti protagonisti della Rivoluzione Americana, come Franklin, Washington, Lafayette, e, più tardi, della stessa Comune Parigina, furono massoni.
Gli elementi alchemici ed esoterici – con la lettura simbolica della natura e dell’uomo, la ricerca della cosiddetta pietra filosofale attraverso la nascita dell’uomo artificiale, nonché la capacità di trasformare i metalli vili in oro – svelano un patrimonio che non può essere liquidato come magico, irrazionale, farraginoso. Anzi, il pensiero alchemico alimentò le opere di scienziati come Newton (1642- 1727) o di filosofi come Bacone (1561-1626) e Giordano Bruno (1548-1600), per non parlare degli artisti, da Shakespeare a Goethe (che riprenderà il tema di Così fan tutte in chiave romantica nelle Affinità elettive e scriverà una seconda parte del Flauto magico mozartiano).
Azzardando una sintesi, ovviamente assai riduttiva e restrittiva, si può comunque dire che la concezione alchemica ed esoterica tendeva a rifiutare la scissione tra materia e spirito, tra interno ed esterno, tra percezione soggettiva e realtà oggettiva. Inoltre, coglieva la circolarità della storia individuale e sociale in un ciclo ininterrotto di vita-morte e rinascita. Non vi è quindi il percorso lineare della freccia, ma piuttosto quello di una spirale, che continuamente ritorna su se stessa. Molte teorie scientifiche contemporanee hanno in realtà rivalutato alcune posizioni elaborate dall’alchimia. Ma questo è un discorso che ci porterebbe troppo lontano. L’importante è che lo teniamo presente, poiché scorreva nelle vene del pensiero massonico del quale Mozart si nutriva. (… )
*
Molte delle persone con cui Mozart collaborò furono Illuminati di Baviera. Si chiamavano così gli adepti di un ordine massonico che veniva allora definito “comunista”. Propugnava l’uguaglianza dei cittadini, istruzione e sanità gratuita per tutti, condannando le interferenze religiose nel potere politico, la tortura e la pena di morte, la proprietà privata nelle sue forme di eccessiva concentrazione, il divario esasperato tra povertà e ricchezza.
Era Illuminato Sonnenfels, fondatore del Giornale dei Massoni, nel quale si trova un saggio di Born sugli antichi misteri egizi (Ueber die Mysterien der Aegyptier), che è considerato una delle fonti del Flauto magico. Lo stesso Born, insigne scienziato e mineralogista, dedicatario della Cantata Die Maurerfreude (La gioia muratoria) KV471, per tenore, coro maschile e orchestra, del 1785, fu Illuminato. Di questo giornale era invece capo redattore il poeta Blumauer, autore di un Lied der Freyheit (Canto della libertà) musicato da Mozart alla fine del 1785 (per voce e pianoforte). Blumauer era un ex gesuita divenuto acceso anticlericale, autore di un’Eneide travestita (1783), che è una parodia del poema virgiliano, nella quale si critica ferocemente l’operato della Chiesa. Ricorriamo a questo punto alla preziosa testimonianza lasciataci dal compositore ed editore britannico Vincent Novello e da sua moglie Mary. I due, com’è noto, partirono per Salisburgo, da Londra, nel 1829, con l’intento di raccogliere notizie per una monografia su Mozart (A Mozart Pilgrimage) e di supportare economicamente la sua ormai anziana sorella. Ogni giorno annotavano le conversazioni con Constanze, vedova anche del secondo marito Nissen, con il quale aveva curato la prima biografia mozartiana. Mary Novello chiese a Constanze quale tipo di lettura Mozart prediligesse. Constanze le rispose che Mozart era un appassionato lettore e lo era in particolare di Shakespeare.
In effetti, Mozart evoca con famigliarità, nelle lettere, la figura di Amleto e il fascino esercitato su di lui da Shakespeare (condiviso da molte persone del suo entourage) segnerà, non solo il Flauto magico, ma anche, in modo più sotterraneo e forse più sostanziale, Nozze di Figaro, Don Giovanni e il complesso reticolo letterario e drammaturgico di Così fan tutte. E Die Geisterinsel (L’isola degli spiriti) è per l’appunto intitolato il libretto, ispirato alla Tempesta shakespeariana, al quale pare Mozart avesse guardato con interesse proprio poco prima di morire.
Constanze aggiunse che tra gli scrittori preferiti da Mozart ve n’era uno del quale possedeva ancora un’opera in nove volumi - ma non ne avrebbe svelato l’identità poiché era all’indice nelle terre austriache. L’autore, a parer nostro, potrebbe essere Aloys Blumauer, del quale Mozart possedeva una raccolta di poesie. (…).
In effetti, la parodia di Blumauer del poema virgiliano, Virgils Aeneis travestiert (1783), è, per l’appunto, in nove libri e subito dopo la morte del poeta, nel 1798, il testo fu messo all’indice in Austria.
L’opera aveva suscitato scalpore poiché conteneva una dura denuncia della politica ecclesiastica, con una cruda sparata sull’inquisizione nel quarto libro. Allo sdegno per la corruzione degli organi di potere, Blumauer contrapponeva l’ammirazione incondizionata per Giuseppe II, da lui descritto come garante dell’autonomia statale nonché paladino dei diritti civili. Il dileggio del bigottismo e dell’ipocrisia di frati e suore si accompagna all’esaltazione della vita e dell’amore. Amore vitale, sensuale, spregiudicato, per uomini e donne. ( …)
Abbiamo nominato Sonnenfels, Blumauer e Pezzl: ebbene, tutti e tre erano presenti nella biblioteca mozartiana. Di Sonnenfels, che riuscì a convincere Maria Teresa d’Austria ad abolire la tortura, che fu contrario, ancor prima di Beccaria, alla pena di morte e che scrisse a favore di un garantismo assoluto e di una società più egualitaria in tutti i sensi, Mozart possedeva quattro volumi dell’opera omnia. Basti questo a spazzar via i luoghi comuni che lo volevano ignaro di questioni sociali, politiche, giuridiche. (…)

Ma tra le conoscenze di Mozart vi sono altri personaggi davvero radicali nel loro modo di pensare. Sarebbero moltissimi, ma ci soffermeremo, benché assai brevemente, su almeno tre di loro.
L’ipotesi di un liberismo capitalistico legittimato da una tutela intransigente dello stato sociale era avanzata da quell’illuminismo pedagogico che trova eco nelle parole di Christoph Martin Wieland, quando dichiara (nel romanzo politico La storia del filosofo Danischmende (1774)) che “l’oppressione e le sue figlie, la dissolutezza dal lato degli oppressori e l’indigenza e la miseria dal lato degli oppressi sono le vere fonti della rovina umana”. (…)
Il medico Mesmer fu invece l’ideatore della scuola, che da lui prese il nome di Mesmerismo. Ellenberger, nella sua monumentale Storia dell’inconscio, non esita a considerarlo come precursore, se non fondatore, della psichiatria dinamica. Mesmer comprese il legame tra malattia e psicologia, curò diverse persone vicinissime ai Mozart, come Maria-Theresia von Paradis, la straordinaria pianista non vedente - allieva e amica del compositore che per lei scrisse il concerto KV456 - ottima organista e cantante, colta, poliglotta, lei stessa autrice.
I Mozart erano legatissimi a Mesmer, come dimostra l’epistolario e la citazione nel Così fan tutte in un momento cruciale dell’azione. Questo medico innovatore propugnò una sanità che fosse davvero uguale per tutti (lui stesso curava gratuitamente i mendicanti e lasciava re, regine e nobili ai suoi assistenti), nonché un rapporto totalmente rovesciato tra medico e paziente. Inoltre considerò in tutt’altro modo le malattie mentali e la loro influenza su quelle fisiche. Gli studi più recenti su Memser hanno messo in luce quanto sia stato perseguitato per le sue idee politiche. (…)
La commedia popolare inframmezzata da canzoni La folle Journée ou le Mariage de Figaro, scritta nel 1780 e allestita a Parigi nel 1784, gira l’Europa accompagnata dalla nomea di opera giacobina. E' il secondo tassello, dopo Le Barbier de Séville (musicato da Paisiello nel 1782 e destinato al successo dell’opera rossiniana), di una trilogia che Beaumarchais concluderà nel 1792 con La Mère coupable.
In quest’opera, il servo Figaro avrà la meglio sul padrone, il Conte d’Almaviva, che si è invaghito della sua futura sposa, Susanna. E avrà la meglio alleandosi con la Contessa stessa, la quale, dopo avere smascherato il marito, saprà, da vincente, perdonarlo.
Abbiamo già detto abbastanza, per quanto possibile in questa sede, per sfatare il pregiudizio che vuole Mozart indifferente all’assunto politico. Ricordiamo che il compositore aveva dichiarato in una lettera di avere scartato più di cento libretti prima di scegliere questo. Il tema politico è tutt’altro che smorzato: nessuna arringa dell’epoca è tagliente quanto la stilizzazione di Se vuol ballare signor contino, il chitarrino le suonerò, l’aria nella quale Figaro accarezza l’idea di un vero e proprio scontro fisico con l’esponente di una classe fino ad allora reputata intoccabile. Il presunto ballo dell’azzimato contino viene stravolto dall’arguzia di parole e suoni alleati nella loro irriverenza. Sotto le movenze artefatte di una danza di corte si avverte il pulsare affannoso di un vagheggiato pestaggio. Figaro sogna di mettere le mani addosso al Conte e noi sentiamo crescere la sua rabbia nella scansione ternaria sospesa tra andamento di danza e incedere – minaccioso – di marcia.
Semmai, la rivoluzione postulata da Mozart è tanto radicale negli obiettivi quanto moderata nei mezzi e profonda nell’elaborazione. Il tema dello stato di diritto coincide con quello del perdono, come valore su cui fondare un’etica individuale e collettiva.
Vediamo ora perché la condanna di Don Giovanni sia, per Mozart - anche in questo caso in contrasto con molte delle interpretazioni più diffuse - una condanna etica e politica. Don Giovanni è l’esponente di una nobiltà arrogante che naviga nel nulla del proprio egotismo sconfinato. Nella lettera inviata da Mozart al padre il 4 aprile 1787, è contenuta una toccante riflessione sulla morte, che nella geografia simbolica del pensiero massonico è intesa come “migliore amica”, “fine ultimo della vita”, e “chiave della nostra felicità”. Poiché corrisponde alchemicamente alla nigredo (al buio, alla caduta, alla putrefazione), ha in sé il suo contrario, vale a dire la luce, la purificazione, l’ascesa. Mozart scrive queste parole al padre gravemente ammalato, che morirà di lì a breve, il 28 maggio 1787, pochi mesi prima dell’allestimento del Don Giovanni, con un accenno in uso tra i Fratelli alla comune appartenenza massonica (“Ella m’intende”):
“Essendo la morte (a voler ben guardare), il fine ultimo della nostra vita, da un paio d’anni mi sono a tal punto familiarizzato con la più vera e migliore amica dell’uomo, che la sua immagine non solo non ha più nulla di spaventoso per me, ma m’infonde molta tranquillità e conforto! E ringrazio il mio Dio d’avermi concesso la fortuna di procurarmi l’opportunità (Ella m’intende) d’impararla a conoscere come chiave della nostra felicità” (…)

L’attrattiva esercitata da Don Giovanni sul compositore e la malia musicale che il personaggio emana coesistono - la genialità essendo per sua natura ambivalente - con la riprovazione morale.
Don Giovanni non vuole allargare i possibili confini delle azioni, ma forzarli mantenendoli inalterati. Né intende cambiare una virgola del mondo che lo circonda. Gli sta bene che l’etica altrui sancisca ciò che è lecito e ciò che non lo è. Anzi, più il divieto è rigido, più si diverte a infrangerlo. In questo patologico bisogno di sfidare le regole senza metterle in discussione si riconosce l’influenza dell’ipocrita personaggio tratteggiato da Molière, “una variante di Tartufo”, come sostiene lo studioso Barbetti. I caustici biasimi di Pezzl nel Faustin e di Blumauer nell’Eneide travestita hanno come principale bersaglio la mancanza di coerenza della chiesa, accusata di quella gesuitica falsità che rintracciamo anche nella presunzione atea di Don Giovanni, così come ci viene descritto da Molière. Come Tartufo si finge pio ed è agnosticamente senza scrupoli, così Don Giovanni gode nel concedersi continue deroghe a statuti che considera certi – senza contestarne la legittimità, ma per pura, istintuale propensione. Per accendere un desiderio artificioso, ha bisogno di inventarsi scenografie di violazione, di inganno e di sopruso. Ecco perché è destinato al fallimento ed ecco perché sarebbe un fraintendimento pensarlo come un vero trasgressore. La stasi che ha soffocato, in vita, l’impulso etico e conoscitivo, si estende anche alla morte. L’inanità di Don Giovanni immobilizza il trapasso, uccidendone la spinta dinamica. Il decesso non è, come verrà invece evocato nel Flauto magico, un passaggio dinamico, un convertitore di energia limitata e terrena in energia eterna e collettiva. Per Mozart massone, togliere all’esistenza la sua parte rigeneratrice, vale a dire la morte, significa gettarsi nel baratro del vuoto.
Che l’incontro tra Don Giovanni e il Convitato di pietra avvenga durante un banchetto, fa pensare a una sorta di Tafelloge, il cui rito iniziatico conduce alla morte come passaggio simbolico. ( ….. ) Nella condanna complessiva, Mozart lascia aperto uno spiraglio. (… )
Mozart, che invoca e predica il perdono per la prepotenza del Conte nelle Nozze, per la maligna strategia dei ragazzi e per l’immaturità delle ragazze in Così fan tutte, persino per chi ha tradito nella Clemenza, getta il suo sguardo smarrito là dove non c’è più spazio per il riscatto. Coloro che, come Pheron e Don Giovanni, oltrepassano il limite (e quello del libertino non consiste nella sua leggerezza erotica, ma nell’essersi macchiato di omicidio e di due tentativi di stupro), vengono puniti da un’entità superiore. Che non ha le fattezze del dio monoteista, ma del vuoto abissale nel quale sprofonda chi si sottrae all’eterno ciclo di vita-morte-rinascita. Già in Thamos interviene il sovrannaturale, e lo fa con il fuoco, che tornerà come fulmine (“tuoni, lampi e tempesta”) nella Zauberflöte e in altra forma in Don Giovanni e in Clemenza.
*
Ed è sempre l’atteggiamento politico e giuridico del giovanile e massonico Thamos a trasformarsi, sul piano esistenziale, nella morale di Così fan tutte. Mettere alla prova, nella vita privata come nello stato, non è ammissibile, poiché presuppone un vizio di fondo. Non si può incolpare chi cade in una rete, ma chi l’ha ordita concependola come trappola.
Il monito a fidarsi di chi si ama si fa urgenza etica. Chi osa “mettere alla prova” si pone a priori nel torto. Perché se incolpa un innocente è certamente in difetto, ma lo è anche in caso contrario, ponendosi a un livello inferiore rispetto a quello di chi ha commesso l’errore. “Ma accusarlo senza prove oltrepassa i limiti della difesa”, dice in Thamos colui che si chiama Sethos come il protagonista del romanzo considerato una delle fonti certe del Flauto magico, non fiaba per bambini, ma progetto politico ed esistenziale. C’informa Diodoro che Iside – la grande Iside di Thamos e della Zauberflöte, signora della natura anche nei Discepoli di Sais di Novalis e nell’Immagine velata di Sais di Schiller – aveva diffuso le norme giurisdizionali fra gli uomini. Dato che “per molti aspetti”, la dea era – sempre secondo Diodoro – “assimilabile a Demetra”, quest’ultima veniva a sua volta soprannominata “legislatrice” in quanto aveva condotto gli uomini al rispetto reciproco. Il garantismo giuridico è la proiezione sociale di un’onestà interiore e di una coerenza emotiva che impediscono la calunnia, la maldicenza, l’accusa senza prove ai danni di un imputato (è il caso di Pheron in Thamos) o di un’amata (è il caso di Dorabella e Fiordiligi in Così fan tutte). Dove, per Gebler, l’atto di postulare il sospetto si fa colpa, negando amicizia, amore e quindi coesistenza.
In fondo, i valori giuridici e politici della tolleranza e del perdono, che già serpeggiano nelle prime sperimentazioni mozartiane (a partire da Re Pastore, attraverso Thamos, Il ratto dal serraglio e Idomeneo), trovano corrispondenza affettiva nel senso musicale e drammaturgico di Nozze, Don Giovanni e Così fan tutte per sfociare, accrescendosi come un fiume in piena di progressiva consapevolezza, nel Flauto Magico e nella Clemenza di Tito.

*
Il titolo di Così fan tutte prende spunto da una frase detta dal mellifluo, falso Basilio, nel Terzetto Cosa sento di Nozze di Figaro, su un motivo che Mozart riprenderà nell'Ouverture della nuova opera. La sentenza “Così fan tutte” è, insieme alla frase di Don Giovanni “la nobiltà ha dipinta negl’occhi l’onestà”, uno degli esempi più alti e mordaci di ironia.
In realtà, Mozart affronta qui il tema del tradimento riallacciandosi a una serie di fonti illustri: dalle Mille e una notte – che aveva letto da ragazzo in italiano – alla nona novella della seconda giornata del Decameron di Boccaccio, dall’Orlando furioso di Ariosto ad Aurora und Cephalus di Wieland, dal Cymbelin e dalla Lucrece di Shakespeare alla Scuola delle mogli e alla Scuola dei mariti di Molière, dalla novella Il curioso impertinente di Cervantes alle Pescatrici dell’amato Goldoni. Fonti nelle quali il tema della prova della fedeltà cui sottoporre l’amata finisce sempre per ritorcersi contro colui che l’ha escogitata.
Don Alfonso, in Così fan tutte, rappresenta il sacerdote-filosofo che guida un esperimento alchemico-affettivo di cui Mozart coglie gli aspetti esistenziali e scientifici tanto cari all’epoca. Pensiamo in particolare alle tesi di Oetinger, seguace di Swedenborg – a sua volta fondatore di una “nuova chiesa” che reinterpretava il cristianesimo in chiave teosofica, con influenze derivate da Paracelso, da Newton e dalle teorie neoplatoniche e cabalistiche. La metafisica in connessione alla chimica di Oetinger, uno dei testi presenti nella biblioteca mozartiana, rivalutava gli aspetti immanenti ed empirici della natura e del sentimento rispetto a quelli puramente deterministici e razionali, con motivazioni tanto scientifiche e filosofiche, quanto etiche ed esistenziali. (…)
Nella Scuola delle mogli, Molière pone la questione proprio nei termini in cui verrà ripresa in Mozart. E l’influenza del grande commediografo francese – di cui Mozart possedeva le opere, che gli erano state regalate fin dal 1778 dal futuro suocero - è forte tanto in Don Giovanni quanto in Così fan tutte. Cedere al piacere e alla seduzione fa parte della natura umana, femminile e maschile. Sdrammatizza Crisaldo:
“Le corna sono scherzi della sorte, che non dipendono affatto da noi; e per me sono degli stupidi quelli che se ne preoccupano tanto” (…)
Vogliamo anche ricordare l’importanza, in Così fan tutte, della citazione di Mesmer da parte di Despina proprio nel momento in cui i due fidanzati, sotto mentite spoglie, svengono per provocare la pietà delle due ragazze, che infatti, da quel momento, cominceranno a essere meno ferme nella loro fedeltà agli antichi amanti. Affiorano quelle pulsioni profonde, che, lungi dall’essere liquidate come irrazionali, vengono considerate da molti pensatori vicini a Mozart, Mesmer per primo, come parte integrante della nostra personalità.
*

In quest’ottica va considerata anche la storia iniziatica del principe egiziano votato alla dea Iside narrata dall’abate Terrasson in Sethos, una delle fonti riconosciute del Flauto magico. In questo romanzo esoterico e filosofico, gli oracoli dei Sacerdoti di Iside consistono in veri e propri spettacoli congegnati con tecniche scenografiche talmente avanzate da suggestionare il pubblico come fossero emanazioni divine. Senza inganno, ammonisce Terrasson, giacché la saggezza degli iniziati era tale, per cui, nonostante le loro risposte alle domande del popolo fossero gigantesche simulazioni, aiutate da luci soffuse e marchingegni sofisticatissimi (nonché dall’uso di droghe ipnotiche), nascevano da interpretazioni del futuro che solo la grande sapienza dei sacerdoti poteva rendere utili e veritiere. I profani accorsi per interrogare l’oracolo venivano spinti su un carro fino a uno pseudo-Eliso (si noti bene, un teatro chiamato tempio della divinazione!), predisposto in modo acconcio dai Sacerdoti e dalle Sacerdotesse.
Gli oracoli descritti da Terrasson in Sethos sono la chiave per comprendere il senso del Flauto magico: le divinazioni affidate ai sacerdoti e alle sacerdotesse di Iside e Osiride erano imponenti messinscene e la cosa non stupisce pensando come musica e teatro fossero discipline elette per i massoni, capaci di custodire e comunicare i misteri alchemici. L’allestimento – cui contribuivano registi, scenografi, attori, musicisti e scienziati – era veicolo di una verità rielaborata dagli adepti in modo da diventare accessibile alla collettività. Magico, divino e artistico coincidono. Si rappresenta il Mythos come lo intendeva Omero: “parola”, “discorso”, ma anche “progetto”, “macchinazione”.