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L'immagine dell'uomo - George Mosse, Claudio Risè


lunedì 14 aprile 2003 legge Arnaldo Spallacci
Negli ultimi trent'anni, specialmente in area anglosassone, si è già prodotta una vastissima letteratura sul tema della “crisi” (reale o supposta) del maschio nel mondo occidentale, dell’affievolirsi della “identità maschile”, con le sue molteplici e contrastanti manifestazioni - dall’impotenza al narcisismo, dalla fragilità alla violenza.
Il tema è sentito, se ne parla, viene abbondantemente riportato dai media. Giornali, riviste, pubblicistica di grande diffusione e pessima qualità, talk show televisivi ripropongono con cadenza ciclica la suggestione di un “uomo in crisi” e della sua difficoltà a disegnare per sé stesso un futuro, specialmente nei rapporti con l’altro genere.
La lettura proposta potrebbe costituire un tentativo per uscire dagli angusti limiti imposti, da una parte, dal dibattito accademico, dall'altra dalla superficialità e volgarizzazione imposta dai media, o anche dalla fatale autoreferenzailità di ristretti circoli politici.
Il confronto di brani di autori diversi - non sempre omogenei sul piano teorico e politico – può aiutare a delineare immagini e rappresentazioni, spesso controverse, qualche volta suggestive, dell’uomo in occidente, nell’epoca moderna. 



1) George Mosse.
L’immagine dell’uomo. Lo stereotipo maschile nell’epoca moderna

L'ideale maschile aveva resistito alla guerra e alla rivoluzione, destinando al fallimento qualsiasi tentativo di modificazione radicale. La mascolinità rifletteva, infatti, un'aspirazione della società moderna che rimaneva in larga misura immutata, non tanto nelle sue componenti economiche o persino sociali - dopo tutto, la Rivoluzione bolscevica le aveva modificate entrambe - bensí nel riconoscimento della rispettabilità come cemento indispensabile della società e della nazione. Fin dal tempo di Winckelmann la vera virilità era simbolo di una società essenzialmente sana, la quale, a sua volta, non si limitava a proporla come aspirazione ideale, bensí come parte integrante del proprio meccanismo…. Da sempre la società occidentale era governata dagli uomini, ma solo in epoca moderna lo stereotipo della mascolinità fu istituzionalizzato e saldamente radicato nella struttura dello stato. (Pag. 177)
Le immagini della mascolinità, di uomini che affermano quella che essi considerano la propria virilità, rimangono ovunque presenti nella nostra cultura. Ancora nel 1993 le ansie che ne derivano potevano essere definite “la maledizione del maschio”: sulla via che porta alla mascolinità mancano ormai tutti i segnali concreti, non esiste più, cioè, una prova semplice, il cui superamento basti ad attestare la raggiunta mascolinità. In passato c'era un criterio di base, e degli esami che consentivano di stabilire senza incertezze chi erano i veri uomini: il duello, la prova di coraggio in guerra, e più in generale, la volontà e il possesso di virtù virili come la «forza serena» e un corretto atteggiamento morale. L’aspetto e il portamento erano la prova della vera virilità. La corrispondenza tra l'aspetto del corpo e la qualità dell’anima costituisce l’essenza di qualsiasi stereotipo; ora invece i contorni di quello maschile si vanno sfumando, nonostante la persistenza dell'ideale.
La virilità di cui ci siamo occupati era un ideale da proclamare in pubblico; nella sfera privata ne coesistevano molte interpretazioni diverse - è indubbio comunque che lo stereotipo normativo fosse tutt'altro che estraneo alla maggioranza delle vite individuali: troppo a fondo si era insinuato nella società, di cui sapeva esprimere tante esigenze e aspirazioni. La virilità normativa era divenuta un momento centrale nei codici morali e di comportamento, nel modello rispettabile al quale si dovevano informare tutti gli aspetti della vita, dal rapporto con il corpo e la sessualità, all'abbigliamento, all'aspetto esteriore, alle relazioni interpersonali.
Le sorti della mascolinità moderna erano e sono legate alla società di cui essa fa parte, e in particolare al valore sociale della rispettabilità. La quale rispettabilità, peraltro, costituisce un essenziale fattore di coesione, ed è dunque difficile immaginarne la scomparsa, o un cambiamento davvero radicale. Il nazionalismo è ben vivo e vegeto, sebbene molti lo avessero dichiarato morto dopo la seconda guerra mondiale, e con esso il culto dei suoi simboli … Non si tratta dunque di scomparsa dello stereotipo maschile, bensí della sua erosione.
Se la virilità riflette le speranze e i desideri della società moderna, che cosa accadrebbe se questi mutassero radicalmente, se non fosse piú necessario conciliare l’ordine e il progresso, se il dinamismo considerato indispensabile al funzionamento della società non fosse piú percepito come una minaccia per l'aspirazione all'armonia? Un tale cambiamento priverebbe lo stereotipo maschile di buona parte della sua funzione tradizionale - ma non pare probabile che questo avvenga in tempi brevi. E però possibile che altri simboli rimpiazzino quelli della virilità e le loro funzioni, data l'attuale indifferenza per l'aspetto esteriore dell'uomo e per ciò che si riteneva esso esprimesse.
La nuova cultura giovanile continua a prosperare a fianco della mascolinità normativa, ma sinora ben poco fa pensare che riuscirà ad avere la meglio rispetto alle istanze della società tradizionale. La battaglia, comunque, è ancora in corso, e l'interrogativo che rimarrà senza risposta non è se la vera virilità verrà o meno demolita, bensì fino a quale punto essa possa piegarsi. In questo contesto il movimento delle donne riveste importanza prioritaria: può lo stereotipo maschile sopravvivere alla caduta del patriarcato? L’ideale maschile è comunque riuscito a tenere duro anche nelle condizioni di maggiore parità che caratterizzano oggi i rapporti tra uomini e donne, in modo particolare all'interno della famiglia. L'ideale non è mai stato determinato esclusivamente dai rapporti di potere, ma traeva forza da tutto il reticolo di codici morali e di comportamento di cui tanto abbiamo parlato. La mascolinità è stata uno dei collanti della società moderna: per questo è difficile debellare l'ideale virile. La storia non si lascia cancellare.
Il futuro della mascolinità moderna è materia di speculazione, ma la sua rilevanza nel passato, in quasi tutti gli aspetti della società, è al di là di ogni dubbio.
Chiunque voglia cambiare la società, e chiunque voglia sfuggire all'emarginazione, deve tener conto dello stereotipo maschile. Nessuna storia, per esempio, dei movimenti di emancipazione delle donne o degli omosessuali può dirsi completa se l'avrà trascurato. Individuando il metro di riferimento dell'uomo possiamo dare un importante contributo alla comprensione della società in cui viviamo, offrendo forse qualche utile indicazione sui cambiamenti possibili. (Pag. 252-254)

(George Mosse. L’immagine dell’uomo. Lo stereotipo maschile nell’epoca moderna. Einaudi, 1997)


2) Claudio Risè. Il maschio selvatico

Per la prima volta nella storia dell’umanità, il giovane maschio non è piu’ iniziato alla vita da altri maschi.
Si tratta di una situazione antropologica completamente nuova, i cui risultati sono evidenti ..: una profonda insicurezza, una perdita di contatto con l’istinto maschile e quindi con i propri desideri. Ne consegue una sorta di abulia dell’immagine, nel progettare la propria vita, spesso coperta da un maniacale attivismo (per esempio sul piano del lavoro, dello sport, del sociale) che cerca di nascondere il vuoto e l’angoscia.
Noi ci troviamo su questo crinale, su questo confine. Difficile dire se questi uomini senza padre, questi fatherless children, potranno ridiventare capaci di relazione coi loro figli maschi in quanto uomini, non in quanto neutre controfigure materne. Neppure è semplice immaginare quali esperienze potrebbero modificarli fino a questo punto. L’analisi? La wilderness?
E’ certo però che la situazione è quella descritta sopra: per la prima volta nella storia, il maschio entra nel mondo adulto senza che altri maschi gli abbiano trasmesso il sapere, l’istinto, il sentimento dell’esperienza degli uomini. E quindi non lo possiede. (Pag. 138-139)
Luogo degli istinti e delle pulsioni primarie, ricettacolo di tutti quei comportamenti e desideri dell'uomo che sono stati banditi nel corso dei secoli, il mondo selvatico è diventato lo spazio del male. E il suo abitante e custode, il selvatico che vive nella profondità dell'inconscio di ogni uomo, è oggi l'immagine umana di quel male, di quel mondo negativo. Avvicinarsi, a esso, proporsi di integrarne i contenuti, è però operazione non solo psicologica, ma morale.
Sul piano psicologico i suoi effetti non sono difficili da riconoscere. La rimozione secolare degli istinti ha finito col separare il maschio da una buona parte della sua libido, della sua energia. Tanto da non essere più in grado (sempre più spesso) di riconoscere i propri autentici desideri, e doversi affidare agli strumenti del collettivo, i mass media e il sistema pubblicitario, per poter desiderare qualcosa o qualcuno. Soltanto una nuova, profonda conoscenza e amicizia col mondo selvatico, in cui quelle antiche energie sono state cacciate, può ridare all'impersonale e devoto suddito del 'villaggio globale' il senso e il valore della propria soggettività maschile.
Il recupero e l'integrazione del lato selvatico porterebbero così a una morale che non procederebbe più, nel costume quotidiano come nelle relazioni intenzionali, attraverso l'identificazione e persecuzione di una serie ininterrotta di capri espiatori, ma attraverso l'assunzione di responsabilità dirette, in prima persona.
Come raccontano le narrazioni leggendarie e fiabesche …l'uomo selvatico è colui che accetta di prendersi la responsabilità degli aspetti più oscuri della personalità maschile. Egli, così facendo, redime la Terra attorno a lui (la società) dallo squilibrio creato dalla precedente frattura tra un conscio collettivo 'perbene' ma falso, e un inconscio ufficialmente proscritto, ma costantemente pronto a rigettare nel mondo le energie terrificanti che vi sono state cacciate.
Integrare quest'aspetto non significa dunque cadere nell’arbitrio di un selvaggio soggettivismo, dove il maschio potrebbe agire ogni pulsione a danno del resto della società. L'avvicinamento all'uomo selvatico, restituendo al maschio l'energia perduta e quindi anche la capacità di rigore verso se stesso, lo renderebbe più forte. Quindi anche più autenticamente tollerante. (Pag. 169-170)

(Claudio Risè, Il maschio selvatico. Ritrovare la forza dell’istinto rimosso dalle buone maniere, Red Edizioni, 1993)


3) Franco La Cecla
Modi bruschi. Antropologia del maschio

Che cosa mai è la mascolinità? Posto che non è qualcosa di naturale, che tipo di situazione, di definizione, di maniera è l'essere maschi? Intanto, una volta per tutte: non c’è identità che non sia giocata, formata, modellata e ridefinita ogni quindici minuti dall'interazione con altre identità. La follia e la ricchezza contraddittoria degli studi sull'identità sessuale è dovuta al fatto che la maggior parte di essi sono dedicati … solo alla condizione femminile. Al punto da identificare praticamente i womens studies con gender studies. Gran parte dei saggi, delle ricerche sono state dedicate alla formazione dell'identità femminile in questo o in quel gruppo, in un'ottica attenta a mettere in risalto la condizione spesso subalterna, sfruttata, censurata delle donne. E chiaro che questi studi presupponevano che dall'altra parte ci fosse un "genere maschile" che dominava, sfruttava e censurava. Il punto è che molto spesso a questi studi mancava una visione interazionista, mancava una metodologia della negoziazione e dell’azione reciproca. Questo non vuol dire che le donne erano vittime consenzienti, vittime complici, ma piuttosto che lo squilibrio di forze tra condizione maschile e femminile nascondeva spesso campi di potere dove avvenivano altre negoziazioni. E stata per prima l'antropologa Susan Rogers fare notare che l 'ideologia della dominazione maschile universale è un’ideologia maschile, e che accettarla significa introdurre il sospetto che le donne siano davvero inferiori. (Pag. 28-29)
Anche nei nostri ricordi di provincia c'è un mondo maschile che doveva ricorrere alla separazione per potersi "da solo" confermare…. Gli uomini prima erano una strana compagine di spavalderia e chiusura, una compagnia di ragazzi, adulti, marinai, contadini, civili, vitelloni, anziani. L'ostentazione della mascolinità, la mascolinità come "prova" si pongono dal lato di un primitivo imbarazzo da superare. Come se la mascolinità fosse la risposta a una identità non abbastanza connotata, che rischia continuamente di ricadere non solo nella vaghezza, ma piuttosto nel grande mondo delle madri. Per questo gli uomini devono isolarsi tra loro, stare tra uomini. Nel Sud Italia soprattutto, passare i lunghi anni dell'adolescenza per strada, al muretto, al mare, in compagnia maschile serviva a questo. E d'altro canto significava anche accettare continuamente di mettere a repentaglio la propria identità sessuale. Aggressività, messa in ridicolo, un toccare provocatorio, fisicità al limite dell'omosessualità, come per indurre gli altri a dissipare i dubbi sulla propria virilità spingendoli all'estremo limite, in cui devono dimostrare di togliersi dall'imbarazzo: tutto ciò serviva/serve a "rozzare" i maschi, a far loro acquisire modi che li denotino nettamente come non femmine.
Si diventa maschi a scatti". Gli "scatti" da acquisire devono avere a che fare con una reazione/continuazione con l'imbarazzo fisico dell'adolescenza. Il maschio vero è un po' maldestro, brusco, duro con il suo corpo… Il maschio deve perdere la "grazia", diventare "sgraziato`', "disgraziato”. E’ un lungo training dove il frequentarsi tra uomini è una sfida su cui attestare e ridefinire la propria fisicità. (Pag.43-44)
Occorre riscoprire l’espressività maschile nella sua ricchezza e nelle sue fluttuazioni, impossessarsi di nuovo dell’imbarazzo, della timidezza, del coraggio del corteggiamento, del saperci fare tra nomini e con le donne, tutte cose che fanno parte del costume` maschile non come travestimento, ma come abilità del sé
Sapendo che il pene dietro le spalle ci assicura che dobbiamo andare verso una mascolinità non ancora conosciuta, diversa da quella del passato, anche se di questa cultura abbiamo bisogno per rifare il nostro corpo maschile. Il corpo del maschio futuro …
E una mascolinità che deve “dirsi”, che deve raccontarsi al passato non per chiaccherare, ma per ascoltarsi. Sembrerebbe una contraddizione. Una mascolinità nuova dovrebbe sbarazzarsi di tutto il carico del passato, tanto più che esso è stato da piu’ parti condannato. Si tratta invece di una archeologia della nostra identità che ci interessa fortemente se vogliamo capire di quali costruzioni, di quali abiti e di rituali ideologie siamo costituiti nella nostra soggettività maschile, oggi. La scatola col pene dietro le spalle serve al Briccone Divino per continuare le sue imprese da scavezzacollo, senza essere tradito dal fratellino che è molto meno disciplinato di lui
Come è possibile che ciò accada? Solo accettando una identità “furtiva”, “guizzante”, fatta di svicolamenti e di salti, di sveltezza e di incoerenza, cioè di scatti ma non di "modi bruschi". Il Briccone Divino, a differenza di Peter Pan e di Pinocchio è altamente sessuato, ma non vuole che la sua monelleria venga scambiata per puerilità. E’ un puer nel senso di Hillman, e nel senso di Siva. E il principio della mascolinità inafferrabile, dell’èlan vital, della leggerezza maschile di chi "va per luoghi''.
Principio difficile da rendere in un mondo mascolinità imborghesita e pantofolara, di moralismo da palestra e di estetica da clonazione. Difficile da mantenere sotto uno sguardo femminile che ammira il maschio adolescente ed efebico e non ha piu’ modelli di maschi adulti perché ricordano troppo i maschi dominanti. Difficile infine da attuare se il proprio sguardo deve fare i conti con una rarefazione dei corpi, traumatizzati da un’ascesa informatica e telefonica. La mascolinità è vittima della mancanza di" tatto" della nostra epoca, della mancanza di generazione per contatto fisico. Siamo tutti figli illegittimi nati in provetta. I nostri corpi maschili non sono stati "generati".
I nostri padri e nonni non ci hanno installato nel loro genere maschile. Sono stati tutti un pò padri illegittimi, non hanno creduto di poterci trasmettere la loro mascolinità, erano dubbiosi o smemorati, rarefatti e depressi. Oggi la mascolinità deve ricostituirsi a partire da un atto di generazione che sarà difficile, lento e che è tutta una cultura a dover compiere. (Pag.167-168)

(Franco La Cecla, Modi bruschi. Antropologia del maschio, Bruno Mondadori 2000)