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Lamento della Pace - Erasmo da Rotterdam



lunedì 05 febbraio 2007 legge Federico Cinti
Esiste un luogo in cui la pace sia, permanentemente, riuscita a perdurare? Ed esiste un tempo che non sia stato funestato da guerre? Erasmo, padre dell’Europa moderna, è, per il suo impegno etico-civile, anche padre del pacifismo moderno e post-moderno. È singolare come questo profondo conoscitore dell’animo umano resti, paradossalmente, famoso ai più solo per l’Elogio della Follia.
Nel testo che qui si propone, la Querela Pacis, assimilabile all’Elogio per la personificazione della Pace, raminga e reietta dai singoli e dalle nazioni, l’autore denuncia (e qui sta l’ambiguità anche di querela: lamento o querela?) l’iniquità dell’agire umano, l’aberrazione rispetto a ogni legge, naturale e positiva, rispetto addirittura a una religione – quella cristiana – che nella visione del mondo erasmiana dovrebbe perfezionare, con un ritorno filologico alle fonti sacre e pagane, l’uomo.
Parole forti e vere, quelle che Erasmo stampa nel 1517: una realtà purtroppo ancora attualissima.


(Erasmo da Rotterdam, Lamento della pace,testo latino a fronte, trad. Federico Cinti, Milano, BUR, 2005)

IL LAMENTO DELLA PACE RESPINTA E ANNIENTATA DA OGNI NAZIONE
COMPOSTO DA DESIDERIO ERASMO DA ROTTERDAM


Se gli uomini mi girassero le spalle, mi respingessero e mi annientassero, come è ovvio non perché io ne abbia colpa, ma per l’utile che essi ne traggono, io compiangerei soltanto l’ingiuria di cui sono vittima e l’iniquità che muove le loro azioni. Ora, considerato che proprio il mio annientamento li costringe ad allontanare da sé l’origine della felicità degli uomini e fa sì che essi ricerchino le ondate di tutte le sventure, sono costretta a deplorare maggiormente la loro infelicità che l’ingiuria di cui sono vittima, e non posso che provare dolore per la sorte di questi, non posso che commiserare questi, con cui sarebbe stato preferibile per me solo arrabbiarmi. Non è comportamento degno di uomini, infatti, spingere lontano da sé chi li ama senza posa, non è da persone che provino gratitudine girare le spalle a chi fa il loro bene, è da gente empia procurare afflizione a chi produce e salvaguarda tutto quanto. Del resto, privare sé, e di propria volontà, delle numerose e ottime utilità che porto con me e ricercare poi in loro sostituzione un mostro così orribile di tutti i mali, non si impone questo forse come il prodotto della pazzia estrema? È come montare in ira contro gli scellerati: possiamo fare qualche cosa di più che versare amare lacrime su chi ha compiuto le sue azioni sotto la balia delle Furie? E su di essi non sono da versare amare lacrime per altro motivo se non perché non versano amare lacrime su se stessi proprio loro, né per altro infelici se non perché non capiscono la loro infelicità, visto che un passettino sulla strada della guarigione si attua nel riconoscimento di quanto sia grande la propria malattia.
Se quindi sono sul serio io quella Pace che gli dèi e gli uomini lodano insieme, origine, madre, nutrice, benefattrice, protettrice di ogni bene posseduto sia dal cielo sia dalla terra; se in mia assenza non v’è cosa in nessun luogo florida, non v’è cosa sicura, non v’è cosa pura o santa o gioiosa per gli uomini o gradita agli dèi; se, contrariamente a tutte queste cose, la guerra è – per dirla in una parola – una specie di immenso mare in cui si accumulano tutti i mali presenti nella natura delle cose; se per colpa sua all’istante si fa marcio il florido, si annulla ciò che fu fatto crescere, è sul punto di rovinare quanto è saldo, perisce quanto ha sicure fondamenta, si fa amaro il dolce; se, pertanto, la guerra è così non santa che è una peste che agisce subito su ogni forma di pietà e religione, se non v’è cosa più infelice per i mortali e non v’è cosa più detestabile agli dèi di questa sola, mi domando per il Dio immortale: chi crederà che costoro sono uomini, chi crederà che possiedono un briciolo di mente sana persone che, anche se io sono così eccezionale, si danno da fare con tanti mezzi, tanta abnegazione, tanti sforzi, tante tecniche artificiose, tante preoccupazioni, tanti pericoli per respingermi, e vorrebbero a un prezzo così caro acquistare tanto gran numero di mali?
Se fossero gli animali a nutrire questo grande disprezzo nei miei confronti, mi sarebbe più facilmente sopportabile; ascriverei la colpa, quindi, alla natura, perché ha instillato in essi un istinto feroce. Se le bestie non capaci di parlare mi avessero in odio, io perdonerei questa loro manchevolezza, perché non hanno ricevuto quella facoltà dell’animo che è l’unica a essere in grado di comprendere le mie qualità. Ma che vergogna, che mostruosità! La natura ha creato un unico animale dotato di ragione e capace di mente divina, uno soltanto ne ha generato per la benevolenza e la concordia; e, pure, gli animali più feroci e il bestiame più bruto mi accoglierebbero più facilmente di quanto farebbero gli uomini. Addirittura i tanti corpi celesti privi, pure, di un ugual moto e di un’ugual potenza da secoli e secoli tuttavia garantiscono costanza e validità alle loro leggi. Le forze degli elementi, che combattono tra di esse, conservano in eterno la pace, a motivo di un equilibrio costante, e in quest’enorme discordia la alimentano di concordia grazie a reciproco consenso e reciproco rapporto. Nei corpi degli esseri animati quanta fede1 Gli elefanti vivono in branchi, i maiali e le pecore pascolano in greggi, le gru e le cornacchie volano in stormi; le cicogne (maestre anche di pietà filiale2) hanno le loro adunanze, e i delfini si difendono con reciproci compiti. È noto come formiche e api abbiano nelle loro comunità un’organizzazione statale. Ma che senso ha che io parli ancora degli animali che, se è vero che sono privi di ragione, sono pur dotati di sensi?
Tra gli alberi, tra gli erbaggi si potrebbe riconoscere una sorta di amicizia. Alcuni, se non vengono uniti a un maschio, non producono frutto; la vite abbraccia l’olmo;3 il pesco ama la vite. Esseri che non hanno alcuna sensibilità sembrano sentire fino a questo punto i benefici della pace. Ma questi, sebbene non siano dotati della facoltà di provare sensazioni, per il fatto stesso di avere la vita sono assimilabili a quelli che hanno i sensi. Esiste al mondo una specie tanto inerte quanto quella dei sassi? Eppure, si potrebbe affermare che anche essi percepiscono pace e concordia. Il magnete, in tal modo, attira il ferro e, dopo averlo attratto, lo trattiene. Dove le bestie più terribili trovano tra esse un punto d’accordo? «Il leone più feroce non combatte col suo pari».4 Il cinghiale non fulmina un altro cinghiale con la sua zanna. Tra lince e lince c’è la pace. non c'è crudeltà tra serpente e serpente. Addirittura la concordia tra i lupi è divenuta proverbiale.5 Se ciò non bastasse, anche se può apparire cosa del tutto incredibile, dirò di più:gli spiriti maligni, che hanno infranto in origine la concordia tra gli abitanti del cielo e gli uomini e continuano a tutt'oggi a violarla, sono stretti da un patto, e conservano la tirannide cui sono sottomessi, qualunque essa sia, sulla base di un qualche consenso.

Gli uomini, soltanto gli uomini, cui più di ogni altro essere conveniva ed era particolarmente necessaria una concordia unanime, né la natura, che pure in tante altre circostanze dà prova di essere potentemente efficace, li concilia, né l’educazione li rende uniti, né le tante utilità, che il consenso garantirebbe loro, li cementano, né infine la percezione e l’esperienza di tanti mali li riconducono al vicendevole amore. Tutti hanno un aspetto comune, tutti hanno una stessa voce; e, se è vero che la differenza maggiore tra gli altri esseri animati appartenenti alle restanti specie risiede nella forma del corpo, è l’uomo l’unico ad avere avuto la facoltà razionale: essa è tanto comune tra gli uomini quanto non ne sono messi a parte tutti i rimanenti esseri animati. Solo a questo essere animato è stato concesso in dono il linguaggio che è lo strumento principe nella conciliazione dei rapporti di amicizia. A ogni uomo sono stati assegnati i semi della conoscenza e della virtù, la mitezza e la pacatezza di carattere, per non dire della naturale tensione alla vicendevole benevolenza, al punto che per l’uomo è un piacere di per sé essere amato e gli dà gioia poter fare del bene ai suoi simili, sempre che non vi sia qualcuno che, inquinato da passioni perverse, come dalle pozioni di Circe,6 non sia degenerato da uomo a bestia. Da ciò deriva, come è ovvio, che il volgo chiama ‘umana’ ogni realtà che interessa la benevolenza vicendevole. Le lacrime,7 che la natura ha aggiunto e che sono la testimonianza di un carattere accondiscendente, servono agli uomini per tornare in buoni rapporti senza difficoltà se capita l’inciampo di una qualche offesa o una qualche nuvoletta getta ombra sulla serenità dell’amicizia. Ecco, allora, con quanti calcolati accorgimenti la natura ha insegnato loro la concordia! Ma nemmeno di questi allettamenti della pace la natura fu soddisfatta: ha preteso, infatti, che per gli uomini l’amicizia fosse non soltanto motivo di gioia, ma che fosse anche necessaria. Per questo motivo, ha ripartito le doti tanto del corpo quanto dello spirito, perché non vi fosse nessuno tanto provvisto di tutte da non aver bisogno in qualche circostanza dell’aiuto dei suoi simili, anche se umili, e non ha attribuito a tutti le stesse cose e nella stessa misura, per far sì che la reciproca amicizia uguagliasse questa disuguaglianza. ecco allora il motivo per cui un prodotto proviene da una regione e uno da un’altra, perché proprio il bisogno insegni ad avere reciproci scambi commerciali.
La natura ha dotato gli altri animali di armi e protezioni loro appropriate, perché avessero il modo di difendersi; essa ha creato soltanto l’uomo senza armi e senza forze, e lo ha creato senza la piena sicurezza, perché potesse esserlo soltanto ricercando l’accordo e il reciproco vincolo d’assistenza.8 La necessità ha fatto nascere le città e sempre la necessità ha insegnato loro ad associarsi: in tal modo, con la forza che si genera dall’unione, sono in grado di respingere la violenza delle bestie e dei briganti.9 Tant’è vero che nella realtà umana non esiste cosa che possa bastare a se stessa. Il genere umano si sarebbe estinto subito, all’origine della vita, se, appena creato, la concordia coniugale non lo avesse diffuso; l’uomo non nascerebbe e, appena nato, morirebbe all’istante e proprio sulla soglia della vita perderebbe la vita, se la levatrice con la sua mano amica, se la balia con le sue premurose cure10 non venissero in aiuto al piccolino. la natura ha seminato quelle ardenti scintille di pietà filiale per questo fine, perché i genitori amassero anche quello che ancora non hanno visto. In aggiunta dispose che i figli provassero nei confronti dei genitori pietà filiale, per far sì che la difesa di quelli fosse a sua volta di sollievo alla debolezza di questi e originasse quella pietà filiale che tutti quanti veramente sono d’accordo a ritenere degna di approvazione, ma che i Greci, con definizione felicissima, chiamano ¢ntipel£rgwsij.11 Vanno, poi, aggiunti i vincoli di parentela e affinità; alcuni si somigliano nel carattere, nelle inclinazioni, nell’aspetto, e ciò fa sì che si sappiano conquistare senza dubbio la benevolenza; in molti si aggiunge una sorta di misteriosa sensibilità spirituale e una stupenda tensione al reciproco amore, che gli antichi, pieni di stupore, ascrivevano alla numinosità di un dio.12
Sono tanti gli argomenti utilizzati dalla natura per insegnare pace e concordia, sono tante le lusinghe con cui spinge alla pace, sono tanti i lacci con cui trascina ad essa, sono tanti i modi con cui costringe ad essa. Qual è, allora, qual è quest’Erinni13 che possiede tanta potenza nel danneggiare da prima fare a pezzi, gettare disordinatamente qua e là e disperdere tutti quanti questi argomenti e, quindi, da porre nel petto degli uomini il seme di un incontenibile desiderio di combattere? È l’abitudine che strappa via prima la meraviglia e, quindi, la percezione stessa del male: se non fosse per questo, chi potrebbe credere che possiedono una mente umana costoro, che combattono, guerreggiano e si levano l’uno contro l’altro senza mai dar tregua ai dissidi, alle lotte e ai conflitti? Si arriva così che saccheggiando, ammazzando fino a compiere stragi e distruzioni mettono sotto sopra ogni realtà sacra e profana, e nessun patto risulta tanto inviolabile che li possa distogliere dal furore che li porta ad annientarsi l’uno con l’altro. bastava, allora, senz’altro aggiungere, bastava il nome comune di uomo perché gli uomini si accordassero tra loro.
Va bene, si conceda che la natura, pur così potente tra le belve, non abbia avuto alcuna efficacia tra gli uomini. E Cristo? Ha avuto Cristo un qualche potere tra i cristiani? Si ammetta pure che l’insegnamento della natura, che si è rivelato tanto potente anche in questi esseri privi di sensi, non abbia poi tutta quest’efficacia. Del resto, considerato che l’insegnamento di Cristo è ben superiore a questo, perché non convince chi lo professa relativamente soprattutto a quell’elemento verso cui più d’ogni altro spinge, vale a dire la pace e la reciproca benevolenza? O, se non ce la si fa proprio, perché non fa disimparare questa tanto empia e bestiale pazzia che è il muoversi guerra? All’udire: «Uomo» mi metto subito a correre, come se mi dirigessi verso l’essere generato espressamente per me, e sono pienamente fiduciosa che presso di lui io riesca ad acquietarmi; al sentire il titolo: «Cristiani», addirittura volo, con la più certa speranza che io riesca tra costoro a regnare. Però, anche in questa circostanza, e mi vergogno e mi dispiace dirlo; però, in piazze e palazzi, in senati e basiliche, dovunque s’ode il fragore delle liti, come in nessun luogo mai riescono a fare i pagani; tant’è vero che il popolo degli avvocati, che sicuramente rappresenta la parte maggiore delle sventure umane, appare cosa piccola e isolata, se la si paragona alle ondate dei litiganti. Guardo una città: germoglia in me la speranza che lì, almeno, si possano trovare d’accordo su qualche punto i suoi abitanti, chiusi dalle stesse mura, governati dalle stesse leggi, che come passeggeri della stessa nave insieme affrontano gli stessi pericoli. Ma che miseria! Anche in questo luogo mi accorgo che i dissidi inquinano tutto a tal punto ogni cosa che riesco a stento a trovare per qualche giorno una casa che mi accolga. Della plebe, però, non voglio trattare, investita come mare com’è dalle sue turbolenze.
Il mio rifugio, quasi fosse per me una specie di porto, lo trovo nelle corti dei principi «Presso costoro è chiaro – mi dico – che ci sarà un posto per la pace: sono più sapienti del volgo, loro, tanto che sono lo spirito della plebe e l’occhio del popolo; sono loro, del resto, a fare le veci di Colui che è maestro e principe di concordia, che mi ha inviato sì a tutti ma, in particolar modo, a loro ». Ogni cosa pare che si realizzi bene. Vedo cortesia nel salutarsi, amicizia nell’abbracciarsi, simpatia nel bere e tutti i restanti uffici della convivenza umana. Ma è una vergogna! Nelle corti non si può trovare nemmeno l’ombra della vera concordia. Non v’è nulla che non sia truccato e finto, non v’è cosa che fazioni palesi o dissidi nascosti e rivalità non rendano spregevole. E, per finire, mi rendo conto che tra i principi non solo non dimora la pace, ma anzi sono proprio loro che spargono i semi di tutti quanti i conflitti. Dove mi potrò, quindi, recare, povera me, dopo che si è infranta tante volte la mia speranza? D’altronde, i principi hanno più potenza che sapienza, e sono mossi più dalla loro cupidigia che dal retto giudizio della coscienza.
Cercherò un rifugio nelle scuole dei dotti. Le buone lettere rendono uomini, la filosofia più che uomini, la teologia divini. Dopo un lungo cammino per vie impervie, tra costoro potrò certamente trovare quiete. Ma che lancinante dolore! Anche qui vi sono guerre, anche se di diverso genere: sì, è vero, è meno sanguinario, ma non certo meno folle. Una scuola combatte contro un’altra scuola; e, come se fosse il luogo a determinare la verità delle cose mutando con esso, vi sono alcune nozioni che non passano il mare, altre che non valicano le Alpi, altre poi che non oltrepassano il Reno; c’è di più: nella stessa università il dialettico muove guerra al retore, il teologo non conviene col giurista. Nella stessa disciplina, allo stesso modo, lo Scotista è in dissidio col Tomista, il Nominalista col Realista, il Platonico col Peripatetico,14 e si arriva al punto che non raggiungono un compromesso nemmeno nelle discussioni più sciocche e tutte le volte si accaniscono venendo ai ferri corti su questioni di lana caprina,15 finché il fuoco della polemica non viene esacerbato dalle argomentazioni agli alterchi, dagli alterchi ai pugni e, se la vicenda non giunge ai pugnali o alle picche, si tirano frecciate con penne intinte nel veleno, si lacerano a vicenda coi denti dei loro scritti eleganti,16 l’uno contro la fama dell’altro vibra frecciate mortali con la propria lingua. Dove volgermi ancora, dal momento che è una delusione dopo l’altra?
Che cos’altro rimane, se non la religione soltanto, come un’ancora sacra di salvezza? Sì, è vero: tutti i cristiani ne fanno professione; sono quelli, però, che il volgo onora con l’appellativo di sacerdoti gli unici a professarla in modo particolare con titoli, culti e riti. Guardo, quindi, da lontano, e non v’è cosa che non mi lasci speranza di un porto preparato per me. Mi sorridono le vesti, candide e riconoscibili dal mio colore;17 scorgo le croci, simbolo della pace; ascolto quel soavissimo appellativo di ‘fratello’, prova di eccellentissima carità; ascolto i saluti favorevoli nell’annunciare con letizia la pace; vedo che tutti i beni sono messi in comunione, vedo che il capitolo è unito, vedo che vi è un’unica chiesa, che hanno le stesse leggi e che si riuniscono quotidianamente. Chi non crederà che questa è la sede della pace? Ma che cosa vergognosa! Sono rarissimi i luoghi, quasi nessuno si può dire, ove il vescovo è in accordo con il capitolo; e questo sarebbe nulla se non fossero loro i primi a spaccarsi in fazioni tra di loro. Quanti sono i sacerdoti che non hanno motivo di contesa con qualche sacerdote? Paolo sostiene che non siano accettabili le liti tra cristiani.18 E il sacerdote contende col sacerdote, il vescovo col vescovo? Ma pure costoro si potrebbero perdonare: da lunghissimo tempo, infatti, si sono confusi tra i profani, e ciò è avvenuto nel momento in cui hanno cominciato a possedere gli stessi beni, proprio come loro. Sì, va bene. Godano pure costoro del loro diritto: lo rivendicano quasi fosse assurto a dignità di legge. Rimane solo un genere di uomini, tanto legati alla religione che non se ne possono in nessuna maniera staccare, anche quando lo desiderassero, come la tartaruga non può lasciare il suo guscio. Vorrei, vorrei sperare che vi fosse un posto per me in mezzo a costoro; vorrei, ma la speranza, divenuta tante volte vana, mi ha insegnato a disperare. Ma devo, devo provare, perché nulla mi resti di intentato. Vuoi sapere qual è la conclusione? Sono scappata da tutti, ma mai così tanto come da questi! Cosa si può sperare, infatti, quando tra religione e religione vi è dissidio? Vi sono tante fazioni quanti sono gli ordini religiosi; i Domenicani19 sono in dissidio coi Minoriti,20 i Benedettini21 coi Bernardini22: tante denominazioni, tanti culti, tanti riti calcolatamente diversi per non essere d'accordo su alcun punto! Ciascuno ama ciò che gli è proprio, e ciascuno condanna e odia ciò che è altrui. Non c’è nulla da fare! ogni ordine si divide in fazioni: gli Osservanti23 perseguitano i Coletani,24 e ambedue una terza famiglia religiosa, la cui denominazione deriva dal convento,25 dato che tra di essi non vi è un solo punto su cui andare d’accordo.26 era ovvio che, ormai, avevo perso fiducia in tutto quanto e bramavo con tutta me stessa di starmene almeno nascosta in un qualche piccolo monastero, tranquillo, tranquillo sul serio. no, non vorrei dirlo, e volesse il Cielo che quanto sto per dire non fosse la cosa più vera! A tutt'oggi non sono stata capace di trovarne uno soltanto che non fosse inquinato da odi e lotte intestine. C’è da arrossire se si fa l’elenco di quali e quanti conflitti per quisquiglie e per bazzecole riescano a far montare in ira vecchi venerandi per barba e saio, e in più a sentir loro, sia dotti sia santi come nessun altro. mi sorrideva l’idea di una speranza che, in qualche luogo, in mezzo a tanti innumerevoli matrimoni, avrei potuto trovare una sede qualsiasi. Non è questo, infatti, che promettono la casa comune, la sorte comune, il letto comune e i figli comuni? E persino là dove vi è il reciproco diritto dell’uno sul corpo dell’altro, perché si creda che siano un’unica persona composta di due piuttosto che due persone distinte?27Quell’Eris scelleratissima addirittura penetrò qui e divise con le contese dell’animo chi è unito da tanti vincoli. E, pure, in mezzo a questi dovrei avere il mio posto, invece che in mezzo a coloro che con tante denominazioni, con tanti simboli e con tanti riti professano un’assoluta carità.
Comincio, per concludere, ad augurarmi che almeno nel petto dello stesso individuo io possa avere un posto. No, nemmeno questo mi viene concesso: l’uomo è in lotta anche con se stesso. La ragione fa guerra ai sentimenti, ma ciò non basta: una passione è in guerra con un’altra; la pietà porta di qua e la cupidigia spinge di là. E, ancora, la sensualità dà un suggerimento,l’ira un altro,l’ambizione ancora un altro e l’avidità un altro ancora diverso.28 E pur essendo così, non arrossiscono nel chiamarsi Cristiani, se anche fanno di tutto per tenersi lontani e divisi dall'essenza precipua e peculiare di Cristo.
[…]
Ascoltate, accaniti guerrieri! Considerate di chi siano le insegne sotto cui voi prestate il vostro servizio! Non c’è dubbio: appartengono a colui che fu il primo a insinuare il dissidio tra Dio e uomo. È a questo dissidio, sì, a questo dissidio, che vanno ricondotte tutte le sciagure umane. E no, non ha senso, come pure fanno certuni, addurre quest’argomento, ossia che le Sacre Scritture dicono:«Dio degli eserciti»29 e «Dio delle vendette».30 È abissale, vedete, la differenza che intercorre tra il Dio degli Ebrei e il Dio dei cristiani, se anche per sua natura è un Dio unico e uguale.31 Ma concediamo pure che ci piacciano i titoli antichi, egli sia il Dio degli eserciti, a patto però che s’intendano le schiere come armonia delle virtù, con la cui difesa gli uomini pii fanno letteralmente a pezzi i vizi.32 E va bene, che sia il Dio delle vendette, a patto che si prenda come vendetta soltanto la correzione dei vizi, in modo da riferire le stragi sanguinarie, di cui sono costellati i libri degli Ebrei, non all’annientamento degli uomini in carne e ossa, ma all’eliminazione dal cuore umano delle malvagie passioni. Ma, se ritorniamo all’oggetto in discussione, ogni volta che le Sacre Scritture intendono trattare dell’assoluta felicità, si servono del nome ‘pace’, alla stregua di Isaia: «Dimorerà – dice – il mio popolo nella bellezza della pace».33 E un altro: «Pace – dice – su Israele».34 Isaia, in un altro luogo, si stupisce «dei piedi di coloro che annunciano la pace, che annunciano il bene».35
Chiunque rechi l’annuncio di Cristo, reca l’annuncio di pace. Chiunque va predicando la guerra, va predicando colui che è il più dissimile a Cristo. E, pertanto, che cosa ha indotto il figlio di Dio sulla terra, se non la sua volontà di riconciliare il mondo al Padre,36 far sì che gli uomini siano uniti tra loro Mediante una vicendevole e inscindibile carità? E, a ben considerare, tutto ciò non ha come ultimo fine di rendersi amico37 l’uomo stesso?38 Era stato, quindi, mandato come mio ambasciatore, era lui a perorare la mia causa. Non per altro motivo, del resto, ha voluto che fosse Salomone, che noi rendiamo con e„rhnopoiÒj,39 ossia ‘operatore di pace’, a essere sua figura. Davide è stato, non c’è dubbio, grande; e, nonostante questa sua grandezza, visto che era un guerriero, visto che il sangue lo aveva reso empio, non gli viene permesso di edificare la dimora di Dio.40 Se lo si pone in rapporto con queste considerazioni, non merita di essere stimato figura di Cristo, l'operatore di pace. Già da questo punto, guerriero, pensa a ciò: se sono una profanazione le guerre che sono state dichiarate e sono state intraprese per volere di Dio, quale effetto sortiranno quelle cui si è stati spinti dall’ambizione, dall’ira, dalla follia? Se spargere il sangue di gentili ha contaminato il sovrano devoto, che effetto produrrà spargere così enormemente il sangue dei cristiani?
Ti scongiuro, o principe cristiano, se veramente sei cristiano, contempla l’immagine del tuo principe, osserva il modo in cui è entrato nel suo regno, vi è proceduto e se ne è andato via, e all’istante capirai il modo in cui vuole che tu lo regga: significa che desidera che la vetta delle tue cure siano la pace e la concordia. Quando è nato Cristo, con trombe forse di guerra suonano gli angeli? Gli Ebrei, cui pure è stato concesso di fare guerra, hanno sentito un fragore di trombe. questi erano gli auspici di gente per cui era lecito l’odio dei nemici. Ma per la gente operatrice di pace gli angeli della pace intonano un canto che è diversissimo. suonano, forse, la tromba di guerra, forse promettono vittorie, trionfi e trofei? Ma nemmeno per sogno! E cosa allora? Sulla scorta dei vaticini dei profeti annunciano la pace, e la annunciano non a chi aspira a distruzioni e guerre, che smania ferocemente per le armi, ma a chi è incline «per buona volontà» alla concordia.41 Trovino pure mille scuse, gli uomini, per nascondere la loro malattia: se non provassero amore per la guerra, è ovvio che non combatterebbero l’uno contro l’altro con queste guerre senza fine. E allora, quando Cristo è divenuto adulto, cos’altro ha insegnato, cos’altro si è prodigato a esprimere, se non la pace? Tante volte saluta i suoi augurando la pace: «Pace a voi»,42 e dà il comando ai suoi che è quella l’unica formula di saluto degna dei cristiani.43 E gli apostoli, non dimenticandosi di questo precetto, pongono la pace44 in apertura alle loro lettere,45 bramano intensamente la pace per chi amano in particolar modo. Brama intensamente la cosa più perfetta chi brama intensamente la salvezza, ma invoca la massima felicità chiunque invoca la pace. Tante, tante volte Egli si è preoccupato di raccomandarla durante la sua vita; considera con quanta apprensione la raccomandi prima della morte: «Amatevi – dice – l’un l’altro come io ho amato voi 46», e ancora: «Vi do la mia pace, vi lascio la pace».47
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Non voglio parlare, in questa sede, delle tragiche guerre dell’antichità. Prenderò in considerazione solamente le guerre degli ultimi dieci anni: si è dato il caso di una nazione che non si sia intrattenuta in una guerra per terra e per mare con la violenza più estrema? C’è qualche terra che non abbia trasudato sangue cristiano? C’è qualche fiume, c’è qualche mare che non sia stato lordato di fiotti di sangue umano?48 Che si vergognino! Sono più feroci nel combattere degli Ebrei, dei pagani, delle bestie! Ogni guerra che gli Ebrei hanno combattuto contro i non Ebrei, i cristiani avrebbero dovuto combatterle contro i vizi, con cui oggi invece sono in pieno accordo, mentre sono in guerra contro gli uomini. Era stato Dio che aveva ordinato agli Ebrei di andare in battaglia. I cristiani, se si accantonano i pretesti e si considerano i fatti per come veramente stanno, sono travolti e trascinati dall’ambizione, sono mossi dall’ira, la peggiore di tutti i consiglieri, vengono incalzati da una cupidigia mai sazia di possesso. Occorre aggiungere, poi, che mentre gli Ebrei andavano in guerra pressocché soltanto con gli stranieri,49 i cristiani no, si alleano con i Turchi50 e si muovono guerra l’uno contro l’altro. I tiranni pagani erano talmente assetati di gloria che, nella maggior parte dei casi, erano spinti da questa a far guerra; nonostante ciò, assoggettavano popoli tanto barbari e tanto efferati, che l’essere sottomessi si trasformava in una sorta di guadagno, il vincitore faceva di tutto per divenire a sua volta degno dei vinti. Facevano tutto quanto era in loro potere perché la vittoria fosse il meno incruenta possibile, così che contemporaneamente il vincitore ottenesse in premio una fama degna d’onore e i vinti venissero confortati dalla benignità del vincitore.
Eppure c’è da arrossire se si passano in rassegna i così brutti e inutili motivi per cui i principi cristiani spingono il mondo alle armi.51 Arriva uno e dice che ha scovato, o forse si è inventato, un titolo vecchio e putrido,52 come se fosse poi tanto importante chi amministra il regno, a patto che vengano correttamente assolti gli interessi pubblici. Ne arriva un altro che piglia come pretesto non so che omissione in un trattato che conta cento capitoli. Ne viene, poi, un altro cui rimane indigesta una faccenda privata, una sposa che gli è stata portata via,53 o un’espressione forse un po’ troppo salace. Ma la cosa più scellerata è che alcuni, scaltriti come tiranni, sapendo bene che, se il popolo è concorde al suo interno, il loro potere è meno sicuro e che, se il popolo è diviso, riescono a comandare più stabilmente, subornano persone che, di proposito, inneschino una guerra: in tal modo, dividono coloro che erano uniti e derubano l’infelice popolo con più libertà. Questo è l’agire di alcuni tra i più scellerati: costoro si alimentano dei mali del popolo e, quando non c’è guerra ma pace, non hanno nulla da fare nello Stato. quale furia è uscita dall’inferno capace di instillare nel cuore dei cristiani tale veleno? Chi mai ha ammaestrato i cristiani a comportarsi da tiranno a tal punto che nessun Dionigi e nessun Mezenzio54 sono stati? Sono bestie, bestie più che uomini, famosi solamente sono potenti come tiranni, provvisti di un’intelligenza finalizzata solo al nuocere, che trovano un punto d’accordo soltanto quando devono opprimere lo Stato. e chi agisce in tal modo si ritiene cristiano, è così tracotante che, anche se è tutto sporco di sangue umano, si avvicina agli edifici sacri e ai sacri altari? Oh, costoro sono morbi da relegare nelle isole più lontane! Dal momento che i cristiani sono le membra di un solo corpo, perché non sono felici l’uno della felicità dell’altro? Oggi, al contrario, se un regno confinante è in tutti gli ambiti un po’ più prospero, questo fatto di per sé pare fornire la giusta motivazione per fargli guerra.
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Se la vostra repulsione per la guerra scaturisce dal cuore, vi consiglierò un rimedio per salvaguardare la concordia. Una pace davvero incrollabile non affonda le sue radici nelle parentele come non le ha nei trattati degli uomini da cui troppo spesso vediamo scatenarsi guerre. Vanno purificate le stesse fonti da cui scaturisce questo male: queste contese si originano dalle perverse cupidigie. Orbene, mentre tutti si prodigano ad assecondare le loro passioni, lo Stato nel frattempo languisce, e senza che nessuno riesca ad ottenere quanto desidera con le sue malvagie macchinazioni. I principi devono essere sapienti, lo devono essere per il popolo, non per se stessi, ma devono essere sapienti sul serio, perché misurino la loro maestà, la loro felicità, le loro ricchezze, il loro splendore su ciò che li rende grandi ed eccellenti. Devono avere per lo Stato l’animo del buon padre di famiglia. Un re deve stimarsi tanto più grande quanto migliori sono i suoi sudditi, tanto più felice quanto più felici saranno per causa sua i sudditi, tanto più sublime quanto più essi sono liberi, tanto più ricco quante più disponibilità ha il suo popolo, tanto più florido, quanto più le sue città prosperano in una pace senza interruzioni. Devono imitare questa disposizione d’animo del principe pure i nobili e i magistrati: la misura di ogni loro azione deve essere l’interesse dello Stato e, percorrendo questo cammino,con maggiore saggezza saranno in grado di curarsi dei loro interessi. Il sovrano che possiede questa disposizione d’animo potrà mai con leggerezza estorcere ai suoi sudditi denaro, onde prezzolare soldatesche barbare? Potrà mai ridurre alla fame i suoi per far arricchire qualche empio condottiero? Potrà mai esporre la vita dei suoi a tanti e tanto gravi pericoli? Io temo proprio di no.