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La memoria e il tempo. Rileggendo Proust



Introduce Luigi Mariucci   
lunedì 12 gennaio 2009
Rileggere è un esercizio utile, talora persino necessario, ma anche rischioso. A volte toglie il fascino della prima lettura, altre volte ti costringe a ripensare, poiché quando rileggi sei diverso da come eri quando leggevi. Perché, dunque, rileggere –in particolare- Proust? Chi ha frequentato questo autore, con l’intensità e l’immedesimazione che esige, può dare risposte diverse. Il fatto è che quando lo si rilegge sempre colpisce quanto in Proust sia labile il confine tra ciò che appartiene a un mondo che non c’è più, ed è quasi storiografia, e quello che parla alla condizione umana di oggi. Ciò che accade non per tutti i classici, ma solo per i veramente grandi autori. Non c’è niente da fare: parlando di se stesso, solo ed esclusivamente, e quasi ossessivamente, di se stesso, Marcel in realtà parla di noi. Perciò rileggerlo non è un obbligo, ma un piacere, come accade per la musica. Qui si propongono una serie di brani selezionati in relazione a specifici significati: una scelta in apparenza frammentaria, ma che ha tuttavia una sua logica.



La memoria e il tempo. Rileggendo Proust


(Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, voll.1-4, Torino, Einaudi, trad. vari)

La memoria e il tempo

Un uomo che dorme tiene intorno a sé in cerchio il filo delle ore, gli ordini degli anni e dei mondi…

Ma, da qualche tempo, ricomincio a percepire assai bene, se tendo l’orecchio, i singhiozzi ch’ebbi la forza di trattenere davanti a mio padre, e che non scoppiarono se non quando mi ritrovai solo con la mamma. In realtà non sono mai cessati; ed è solo perché la vita ora tace più spesso intorno a me, ch’io li sento di nuovo, come quelle campane di conventi che i frastuoni della città coprono così bene durante il giorno che si crederebbero ferme, ma riprendono a suonare nel silenzio della sera.

Ma poiché quello che avrei ricordato mi sarebbe stato offerto soltanto dalla memoria volontaria, la memoria dell’intelligenza, e poiché le notizie che essa dà sul passato non ne serbano nulla, non avrei mai avuto voglia di pensare a quel resto di Combray. Tutto questo in verità era morto per me. Morto per sempre? Forse. Il caso ha una gran parte in tutte queste cose…Ed ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla prospettiva d’un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di te, in cui avevo inzuppato un pezzetto di Maddalena. Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m’aveva invaso, insolito, senza nozione della sua causa…Donde m’era potuta venire quella gioia violenta?...Depongo la tazza di te e mi rivolgo al mio animo…sento in me trasalire qualcosa che si sposta e che vorrebbe alzarsi, qualcosa che si fosse come disancorata, a una grande profondità; non so che sia, ma sale adagio adagio; sento la resistenza, e odo il rumore delle distanze traversate…E ad un tratto il ricordo mi è apparso…Quel sapore era quello del pezzetto di Maddalena che la domenica mattina a Combray …la zia Lèonie mi offriva dopo averlo bagnato nel suo infuso di te e di tiglio…Ma quando niente sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come delle anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso edificio del ricordo…Così ora tutti i fiori del nostro giardino e quelli del parco di Swann, e le ninfee della Vivonne, e la buona gente del villaggio e le loro casette e la chiesa e tutto Combray e i suoi dintorni, tutto questo che vien prendendo forma e solidità, è sorto, città e giardini, dalla mia tazza di te.

La realtà che avevo conosciuto non esisteva più. Bastava il fatto che la signora Swann non giungesse identica nel medesimo istante, perché il viale fosse altra cosa. I luoghi che abbiamo conosciuto non appartengono soltanto al mondo dello spazio, nel quale li situiamo per maggiore facilità. Essi non erano che uno specchio sottile fra le impressioni contigue che formavano la nostra vita d’allora; il ricordo di una certa immagine non è che il rimpianto di un certo minuto; e le case, le strade, i viali, sono fuggitivi, ahimè, come gli anni.

1. Le due strade
C’erano intorno a Combray due "parti" per le passeggiate, e così opposte che infatti non si usciva da casa nostra per la stessa porta, se si voleva andare da una parte o dall’altra: la parte di Meseglise-la-Vineuse, che chiamavamo anche la parte di casa Swann…e la parte di Guermantes…Ma soprattutto interponevo fra loro, ben più delle loro distanze chilometriche, la distanza che c’era tra le due regioni del mio cervello in cui le pensavo, una di quelle distanze spirituali che non soltanto allontanano, ma separano e pongono su un piano diverso. E quella divisione era resa più assoluta ancora , poiché la nostra abitudine di non andare mai da entrambe le parti in uno stesso giorno, in una sola passeggiata, ma una volta dalla parte di Meseglise, una volta dalla parte di Guermantes, le chiudeva, per così dire, lontano l’una dall’altra, inconoscibili l’una all’altra, nei vasi chiusi e non comunicanti di due pomeriggi diversi.

E così fu dalla parte di Guermantes ch’io appresi a distinguere gli stati che si succedono in me, per certi periodi, e giungono a spartirsi ogni giornata, l’uno tornando a metter l’altro in fuga, con la puntualità delle febbre; contigui, ma così esterni l’uno all’altro, così privi di mezzi di comunicazione tra loro, che non posso più capire, non posso neppure più rammentare, nell’uno, quel che ho desiderato, o temuto, o compiuto nell’altro. Quindi la parte di Meseglise e la parte di Guermantes rimangono per me legate a tanti piccoli avvenimenti di quella vita che è più folta di peripezie tra tutte le vite diverse che conduciamo parallelamente, che più è ricca di episodi, voglio dire la vita intellettuale. …La parte di Meseglise coi suoi lilla, i biancospini, i fiordalisi, i papaveri, i meli, la parte di Guermantes col fiume e i girini, le ninfee e i botton d’oro, composero eternamente per me la figura dei paesi che amerei abitare…Ciò che voglio rivedere è la parte di Guermantes che ho conosciuto…sono le sue praterie, sulle quali, quando il sole le rende riflettenti come uno stagno, si disegnano le foglie dei meli…Quando nelle sere d’estate il cielo armonioso ringhia come un animale selvatico, e ciascuno s’imbroncia per il temporale, è alla parte di Meseglise ch’io sono debitore se rimango solo, in estasi, a respirare, nel suono della pioggia che cade, l’odore di invisibili e persistenti lilla.

2. Le donne, l’amore
Ed è il terribile inganno dell’amore che comincia col farci giocare con una donna che non sta nel mondo esterno, ma con una bambola che sta nel nostro cervello

Non ne amavo nessuna, amandole tutte...Ma quando, anche senza saperlo, pensavo a loro più inconsciamente ancora, esse erano per me le ondulazioni montuose e azzurre del mare, il profilo di una sfilata davanti al mare. Era il mare quello che speravo di ritrovare, andando in qualche città dove fossero loro. L’amore più esclusivo per una persona è sempre l’amore di un’altra cosa.

Variazione di una convinzione, inconsistenza dell’amore anche, il quale, preesistente e mobile, si ferma all’immagine di una donna semplicemente perché quella donna sarà quasi impossibile a raggiungersi…Da allora si pensa non tanto alla donna, quanto ai mezzi di conoscerla…L’amore diventa immenso, noi non pensiamo quanto poco posto vi abbia la donna reale

Così, a mezzo dell’alchimia stessa del suo male, dopo aver costruito gelosia con l’amore, riprendeva a creare tenerezza…Ella ridiventava l’Odette seducente e buona…. E Swann vide, immobile di fronte a quella felicità rivissuta, uno sventurato che gli fece pietà perché non lo riconobbe subito, tanto che dovette chinar gli occhi per non dare a scorgere ch’erano pieni di lagrime. Era lui stesso. Quando l’ebbe compreso, la sua pietà cesso’, ma fu geloso dell’altro se stesso ch’ella aveva amato, fu geloso di quelli di cui s’era detto sovente, senza troppo soffrire: "Ella forse li ama".

Un tempo, avendo spesso pensato con orrore che un giorno avrebbe cessato d’amare Odette, egli s’era ripromesso d’essere vigile e non appena sentisse che l’amore cominciava a lasciarlo, aggrapparsi a lui, trattenerlo. Ma ecco che all’affievolirsi dell’amore corrispondeva al tempo stesso l’affievolirsi del desiderio d’essere innamorato.

"E dire che ho perduto degli anni della mia vita, che ho voluto morire, che ho avuto il mio più grande amore, per una donna che non mi piaceva, che non era il mio tipo!"

…Perché una certa somiglianza esiste, pur evolvendosi, fra le donne che amiamo successivamente: somiglianza dovuta alla fissità del nostro temperamento, dato che è lui a sceglierle…Sono, queste donne, un prodotto del nostro temperamento, una immagine, una proiezione rovesciata, una "negativa" della nostra sensibilità. Di modo che un romanziere potrebbe, nel corso della vita del suo eroe, dipingerne quasi esattamente simili i successivi amori, e dare così l’impressione non di ripetersi, ma di creare, poiché c’è meno forza in una innovazione artificiosa che in una ripetizione destinata a suggerire una verità nuova

In realtà c’è nell’amore una sofferenza permanente, che la gioia neutralizza, rende virtuale, aggiorna, ma che può in ogni momento diventare quello che da molto tempo sarebbe se non si fosse ottenuto ciò a cui si aspirava: atroce.

3. Sensualità e trasmutazione
…Decidendosi ad accordare al signor di Charlus ciò che quest’ultimo gli aveva chiesto, Jupien, dopo osservazioni prive di distinzione come: "Avete un culo che è una meraviglia!" disse al barone con aria sorridente, commossa, superiore e grata: "E va bene, sì, bambinone!".

Egli apparteneva alla razza di quegli esseri meno contraddittori di quel che non sembrino…Razza su cui grava una maledizione, e costretta a vivere nella menzogna e nello spergiuro, poiché sa come sia reputato colpevole, inconfessabile, vergognoso il suo desiderio…; figli senza madre, alla quale sono costretti a mentire tutta la vita…; amici senza amicizie, nonostante tutte quelle che il loro fascino spesso riconosciuto ispira e che il loro cuore, sovente buono, proverebbe…Essi formano una framassoneria molto più vasta, più efficiente e insospettata di quella della legge, poiché si fonda su una identità di gusti, di necessità, di abitudini, di pericoli, di esperienze, di tirocinio, di cognizioni, di traffico, di glossario, e nella quale anche i membri che non desiderano riconoscersi si riconoscono subito, da segni naturali o convenzionali, involontari o voluti…

Tutt’a un tratto Saint-Loup comparve a fianco alla sua amica; e allora in quella donna che era per lui tutto l’amore, tutte le dolcezze possibili della vita, la cui personalità misteriosamente racchiusa in un corpo come in un tabernacolo era pur sempre l’oggetto sul quale si travagliava senza posa l’immaginazione del mio amico, che egli sentiva che non sarebbe mai arrivato a conoscere, della quale si domandava quale potesse essere l’essenza dietro il suo velo di sguardi e di carne, in quella donna io riconobbi all’istante "Rachel quando il Signore": quella stessa che, pochi anni prima …diceva alla mezzana: "Allora, domani sera, se avete bisogno di me per qualcuno, mi manderete a chiamare".

Ogni persona in visita da un’altra diventava diversa. Per non parlare delle meravigliose metamorfosi che si compievano come in una fiaba nel salotto della signora Swann

Ma a volte il futuro abita in noi senza che lo sappiamo, e le nostre parole, credendo di mentire, delineano una prossima realtà

4. I vizi
Io non ero che lo strumento di certe abitudini, di non lavorare, di non andare a letto, di non dormire, che dovevano realizzarsi per conto loro a qualunque costo: se io non offrivo resistenza…me la cavavo senza troppi danni, riuscivo egualmente a riposare qualche ora ..,a leggere un po’, a evitare certi eccessi. Ma se invece pretendevo di contrariarle, di mettermi in letto presto, bere solo acqua, lavorare, quelle si irritavano, ricorrevano ai grandi mezzi, mi rendevano malatissimo; ed ero obbligato a raddoppiare la dose di alcool, a non andare a letto per due giorni, e non riuscivo neanche più a leggere; e mi ripromettevo di essere più ragionevole, un’altra volta: cioè in sostanza meno savio, come uno che è vittima di un piccolo furto e può aspettarsi, se resiste, di essere assassinato

Voi conoscete la storia di quell’uomo che credeva di avere in casa in una bottiglia la principessa della Cina. Era una follia: lo guarirono; ma quando non fu più pazzo, diventò scemo. Ci sono dei mali da cui non bisogna cercar di guarire, perché essi soli ci proteggono contro altri più gravi

5. La tecnologia
Un bel mattino Saint-Loup mi disse d’avere scritto a mia nonna per darle mie notizie e per suggerirle l’idea, poiché ormai funzionava il servizio telefonico tra Doncieres e Parigi, di chiacchierare con me…Quel congegno non era a quel tempo d’un uso così corrente come oggi…quello straordinario incantesimo in grazia del quale pochi istanti bastano perché appaia presso di noi, invisibile ma presente, l’essere a cui vogliamo parlare…Ci basta, per far compiere questo miracolo, avvicinare le nostre labbra alla membrana magica e chiamare quelle Vergini Vigilanti di cui sentiamo tutto dì la voce senza mai conoscerne il viso, e che sono i nostri Angeli guardiani, nelle tenebre vertiginose di cui sorvegliano gelosamente l’accesso: le Onnipotenti per cui mezzo gli assenti si trovano al nostro fianco senza che ci sia permesso vederli, le Danaidi dell’invisibile… quelle ironiche Furie che, nel momento in cui sussurriamo una confidenza a un’amica nella speranza di non essere intesi da nessuno, ci gridano crudelmente, "Sento anch’io", le cameriere sempre irritate del Mistero, le suscettibili sacerdotesse dell’Invisibile, le Signorine del Telefono!

A un tratto il mio cavallo s’impennò; aveva sentito un rumore strano, faticai a domarlo e a non essere sbalzato per terra, poi levai verso il punto da cui sembrava provenire quel rumore i miei occhi pieni di lagrime, e vidi a una cinquantina di metri sul mio capo, nel sole, fra due grandi ali d’acciaio scintillante, un essere il cui volto un po’ confuso mi parve assomigliare a quello d’un uomo. Fui non meno commosso di quanto lo sarebbe stato un greco nel vedere per la prima volta un semidio. Pensai anche, poiché m’ero sentito prossimo a piangere non appena m’ero reso conto che il rumore proveniva dall’alto –gli aeroplani erano rari a quell’epoca- al pensiero che ciò ch’io stavo per vedere per la prima volta era un aeroplano

6. Società e politica
Egli m’insegnava in questa occasione come un operaio sia un signore non meno di un uomo di società. Lezione di parole soltanto. Perché quanto alla cosa in sé, io non avevo mai fatto distinzione fra le classi.

…Nella grande sala da pranzo la quale diventava come un immenso e meraviglioso acquario dinanzi alla cui parete di vetro la popolazione operaia di Balbec, i pescatori e anche le famiglie piccolo-borghesi, invisibili nell’ombra, si schiacciavano contro i vetri per scorgere…la vita lussuosa di quelle persone, straordinaria per i poveri quanto quella dei pesci e dei molluschi strani (un grande interrogativo sociale è se la parete di cristallo proteggerà sempre il festino delle bestie meravigliose e se la gente oscura che guarda avidamente nella notte non verrà a catturarle nel loro acquario e a mangiarle)

Ma, per quanto riguarda Norpois, c’era soprattutto il fatto che, in una lunga pratica della diplomazia, egli si era imbevuto di quello spirito negativo, abitudinario, conservatore, detto "spirito di governo" e che è, infatti, proprio di tutti i governi e, in particolare, sotto tutti i governi, delle cancellerie.

Disgraziatamente in società, così come nel mondo politico, le vittime sono tanto vili, che non si può serbar rancore molto a lungo ai carnefici

La nostra personalità sociale è una creazione del pensiero altrui.

Gli sciocchi si immaginano che le vaste dimensioni dei fenomeni sociali siano un’ottima occasione per penetrare più addentro nell’animo umano: dovrebbero invece comprendere che solo discendendo in profondità nell’interno di un individuo abbiamo qualche probabilità di capire la natura di quei fenomeni.

7. La guerra
Mica si direbbe che c’è la guerra qui… Parigi era, almeno in certi quartieri, ancora più buia della Combray della mia infanzia…La più forte impressione di bellezza che suscitavano tali umane stelle filanti, forse proveniva più che altro dal costringerci a guardare il cielo, al quale raramente, di solito, si alzano gli occhi in questa Parigi la cui bellezza, nel 1914, io avevo veduto quasi inerme attendere la minaccia del nemico che si avvicinava. Certo, ora come allora, c’era l’antico immutato splendore d’una luna crudelmente, misteriosamente serena, che riversava sui monumenti ancora intatti l’inutile bellezza della propria luce…

8. La morte
"Ci si aspetta da un momento all’altro che il signor marchese muoia" "Ah! Dunque è vivo!", esclamò il marchese con un sospiro di sollievo…"Finchè c’è vita c‘è speranza", ci disse il duca con aria allegra…"E’ vivo! che cosa volete di più"…"Abbiamo voluto avvertirvi temendo che siate visto a quella mascherata: il povero Amamien è spirato adesso, un’ora fa". Il duca ebbe un istante di panico. Vedeva la famosa mascherata sfumare, dal momento che quelle maledette montanare lo avevano avvertito della morte del signor d’Osmond. Ma si riebbe prontamente e lanciò questa frase …"E’ morto? Ma no, esageriamo, esageriamo!"

Il signor Verdurin ci venne incontro in quel momento. Gli facemmo le condoglianze per la morte della signora Sherbatof. "So che è molto grave", ci disse. "Ma no, è morta alle sei", esclamò Saniette. "Voi esagerate sempre" ribattè brutalmente il signor Verdurin, che, non avendo disdetto il ricevimento, preferiva l’ipotesi della malattia, imitando così senza saperlo il duca di Guermantes

Non appena qualcuno era morto, era come non fosse mai esistito (signora Verdurin)

Per la prima volta capii come quello sguardo fisso e senza lagrime…che ella aveva dalla morte della nonna, s’era fermato su quella incomprensibile contraddizione del ricordo e del nulla…Il morto s’impossessa del vivo che ne diviene il successore a lui rassomigliante, il continuatore della sua vita interrotta…In tal senso si può dire che la morte non è inutile, che il morto continua a agire su di noi.

Come in quel tempo lontano in cui i suoi genitori le avevano scelto uno sposo, essa aveva i tratti delicatamente segnati dalla purezza e dalla sottomissione: le guance illuminate da una casta speranza, da un sogno di felicità, persino da un’innocente gaiezza, che gli anni avevano poi lentamente distrutte. La vita, ritirandosi da lei, le aveva tolte le delusioni della vita. Un sorriso sembrava aleggiare sulle labbra della nonna. La morte, come certi scultori del medioevo, l’aveva distesa su quel letto funebre con le parvenze d’una giovinetta

.. Ribellioni nelle quali bisogna vedere un modo segreto, parziale, tangibile e vero della resistenza alla morte, della lunga resistenza disperata e quotidiana alla morte frammentaria e successiva qual è quella che s’inserisce in tutta la durata della nostra vita

La memoria volontaria, la memoria dell’intelligenza, non spiega nulla, non serve a contrastare la morte…

Ma quel giorno imparai…che le variazioni dell’importanza che hanno per noi un dolore o un piacere possono non dipendere solo dall’alternarsi dei due stati, ma dallo spostamento di convinzioni invisibili, che per esempio ci fanno apparire indifferente la morte perché vi irradiano sopra una luce di irrealtà…

10. Il dolore
Si guarisce da una sofferenza solo a condizione di sperimentarla pienamente

In realtà c’è una sconfinata distanza fra i dolori veri, com’era quello della mamma, che vi tolgono letteralmente la vita per molto tempo, a volte per sempre – e gli altri dolori, passeggeri nonostante tutto, come doveva essere il mio, che se ne vanno presto come son venuti tardi, che non si conoscono se non lungo tempo dopo l’avvenimento perché, per provarli, ci è stato necessario comprenderli.

E il timore d’un avvenire in cui saranno tolti la vista e la compagnia di coloro che amiamo e dai quali traiamo oggi la nostra gioia più dolce, quel timore, lungi dal dissiparsi, si accresce se al dolore di una simile privazione pensiamo che si aggiungerà ciò che per noi sembra attualmente più crudele: non sentirla come un dolore, renderla indifferente; perché allora il nostro io sarebbe cambiato, non sarebbe più soltanto la dolcezza dei nostri genitori, della nostra amante, dei nostri amici a non esser più intorno a noi, ma il nostro affetto per loro…; sarebbe dunque una vera e propria morte di noi stessi.