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De Sade, Francesi, ancora uno sforzo...


lunedì 02 febbraio 2009 legge Jessica Palmieri
Sade è un autore controverso che non ha mai smesso di fare scandalo e la sua opera si pone al centro di un infuocato dibattito circa la liceità di inserire testi tanto espliciti, scabrosi e violenti tra la grande letteratura. Autore scandaloso sì, ma ben consapevole del suo scopo: épater le bourgois, sconvolgere il borghese, celebre frase elevata successivamente a motto di un'intera generazione di artisti, i poeti del decadentismo francese. Sconvolgere, certo, ma il borghese del suo tempo, non del nostro, e dopo più di duecento anni sembra opportuno leggere le opere del divin marchese, magari partendo da quelle più filosoficamente intessute: Francesi, ancora uno sforzo se volete essere repubblicani è uno dei suoi scritti più programmatici e sinceri e offre sicuramente spunti di grande attualità, come la condanna della pena di morte, ma non solo. Dove ci  porta, per esempio, una riflessione libera e scevra da falsi ottimismi quando parliamo di natura, uguaglianza, ragione?



D. A. F. de Sade, Francesi, ancora uno sforzo se volete essere repubblicani, Bari, Dedalo, 1974, trad. Virginia Finzi Ghisi (con correzioni)

Prima edizione – clandestina: autunno 1785.

Vi propongo grandi idee: saranno ascoltate, saranno meditate. Se non tutte piaceranno, qualcuna almeno resterà e io avrò contribuito in qualcosa al progresso dei lumi e ne sarò soddisfatto.
Non lo nascondo affatto, è con sofferenza che vedo la lentezza con cui ci sforziamo di arrivare allo scopo, è con inquietudine che sento che stiamo per mancarlo ancora una volta. Si crede forse che questo scopo sarà raggiunto quando ci saranno state date delle leggi? Non illudiamoci. Che ce ne faremmo, senza una religione? Abbiamo bisogno di un culto e di un culto fatto per il carattere di un repubblicano, che non può certo riprendere quello di Roma. In un secolo in cui siamo tanto convinti che la religione debba poggiare sulla morale e non la morale sulla religione, ci vuole una religione che guardi ai costumi, che ne sia come lo sviluppo, come il seguito necessario, e che possa, elevando l'anima, tenerla perpetuamente all'altezza di quella libertà preziosa di cui oggi essa fa il suo unico idolo. Ora, io domando se si può pensare che quella di uno schiavo di Tito, quella di un vile istrione di Giudea, possa convenire a una nazione libera e guerriera che si è appena rigenerata? No, miei compatrioti, no, non lo credete. Se, disgraziatamente per lui, il francese si seppellisse ancora nelle tenebre del cristianesimo, da una parte l'orgoglio, la tirannia, il dispotismo dei preti, vizi sempre risorgenti in quest'orda impura, dall'altra la bassezza, le vedute anguste, la meschinità dei dogmi di questa indegna e fantasiosa religione, smussando la fierezza dell'anima repubblicana, la ricondurrebbero ben presto sotto il giogo che la sua energia ha appena infranto. Non dimentichiamo che questa puerile religione era una delle armi migliori nelle mani dei nostri tiranni: uno dei suoi primi dogmi era di rendere a Cesare ciò che appartiene a Cesare; ma noi abbiamo detronizzato Cesare e non vogliamo più rendergli nulla [...] O voi che avete messo mano alla falce, inferite l'ultimo colpo all'albero della superstizione, non accontentatevi di sfoltirne i rami: sradicate interamente una pianta dagli effetti così contagiosi […] Annientate dunque per sempre tutto ciò che un giorno potrà distruggere la vostra opera. Pensate che, poiché il frutto del vostro lavoro non è riservato che ai vostri nipoti, fa parte del vostro dovere, della vostra probità, di non lasciar loro nessuno dei germi pericolosi che potrebbero farli ripiombare nel caos da cui noi siamo usciti con tanta difficoltà. Già i nostri pregiudizi si dissolvono, già il popolo abiura le assurdità cattoliche, ha già soppresso i templi, ha abbattuto gli idoli, ha convenuto che il matrimonio non è più che un atto civile […] Francesi, ve lo ripeto: l'Europa attende da voi di essere a un tempo liberata dallo scettro e dall'incensiere. Pensate che vi è impossibile affrancarla dalla tirannia reale senza farle nello stesso tempo rompere i freni della superstizione religiosa: i lacci dell'una sono troppo intimamente uniti a quelli dell'altra. Non è più ai piedi di un essere immaginario né a quelli di un vile impostore che un repubblicano deve piegarsi: i suoi unici dèi devono essere ora il coraggio e la libertà. Roma scomparve da che il cristianesimo vi fu predicato e la Francia è perduta se esso vi riscuote ancora rispetto […] Chi può servire dei re deve adorare degli dèi! Ma noi, Francesi, ma noi, compatrioti, noi, strisciare ancora umilmente sotto un giogo così spregevole? Meglio morire mille volte che sottomettercisi di nuovo! Se crediamo necessario un culto, imitiamo quello dei romani: le azioni, le passioni, gli eroi, ecco oggetti degni di rispetto. Siffatti idoli elevavano l'anima, la elettrizzavano, meglio ancora, le comunicavano le virtù dell'essere venerato […]
Sarà allora nel teismo puro che troveremo maggiori motivi di grandezza e di elevazione? Sarà l’adozione di una chimera che, trasmettendo alla nostra anima il grado di energia necessario alle virtù repubblicane, condurrà l’uomo ad amarle e a praticarle? Non pensiamolo neppure: di quel fantasma ci siamo liberati e l'ateismo è attualmente il solo sistema di tutti coloro che sanno ragionare. Nella misura in cui si è stati rischiarati, si è sentito che, essendo il movimento inerente alla materia, l'agente necessario a imprimere questo movimento diveniva un essere illusorio e che, tutto ciò che esisteva dovendo essere in movimento per essenza, il motore era inutile […] Licurgo, Numa, Mosè, Gesù Cristo, Maometto, tutti questi grandi bricconi, tutti questi grandi despoti delle nostre idee, seppero associare le divinità che fabbricavano alla loro ambizione smisurata e, sicuri di cattivarsi i popoli con la sanzione di questi dèi, avevano, come si sa, sempre cura o di non interrogarli che quando tornava loro comodo o di non fargli rispondere se non ciò che credevano esser loro utile. Che l'estinzione totale dei culti entri dunque nei principi che noi diffondiamo nell'Europa intera. Non contentiamoci di spezzare gli scettri, polverizziamo per sempre gli idoli: non c'è mai stato che un passo tra la superstizione e l’apologia della monarchia.
Ancora uno sforzo: dal momento che lavorate a distruggere tutti i pregiudizi, non lasciatene sussistere alcuno, perché non ne basta che uno per richiamarli tutti. Smettiamo di credere che la religione possa essere utile all'uomo. Diamoci buone leggi e sapremo fare a meno della religione. Ma, si dice, il popolo ne ha bisogno di una, che lo diverta e lo freni. Ebbene, in tal caso, dateci allora quella che conviene a uomini liberi. Rendeteci gli dèi del paganesimo […]
Francesi, a quell'indegno fantasma sostituiamo i simulacri imponenti che rendevano Roma signora dell'universo […] Da questo culto almeno sbocceranno delle virtù, mentre non nascono che delitti da quello che abbiamo avuto la debolezza di professare. Questo culto si alleerà con la libertà che noi serviamo, la animerà, la nutrirà, la infiammerà, mentre il teismo è per sua essenza e per sua natura il più mortale nemico della libertà che noi serviamo […]
Abbiate fiducia che il popolo, ben più saggio di quel che voi non pensiate, una volta sciolto dai ferri della tirannia, lo sarà ben presto anche da quelli della superstizione. Voi lo temete, senza questo freno: che assurdità! Ah! siatene certi, cittadini, colui che non è fermato dalla spada materiale delle leggi non lo sarà di più dal timore morale dei supplizi dell'inferno, di cui si fa beffe fin dall'infanzia […] Confidiamo che un popolo abbastanza saggio, abbastanza coraggioso per condurre un monarca impudente dalla grandezza ai piedi del patibolo, per saper vincere in pochi anni tanti pregiudizi, infrangere tanti ridicoli freni, lo sarà abbastanza anche per immolare al bene della cosa, alla prosperità della repubblica, un fantasma ben più illusorio di quanto potesse esserlo quello di un re. Francesi, sarete voi a infliggere i primi colpi: la vostra educazione nazionale farà il resto, ma mettetevi quanto prima all'opera, che essa diventi tra le vostre cure la più importante, e soprattutto abbia per base quella morale essenziale così trascurata nell'educazione religiosa. Rimpiazzate le sciocchezze deifiche, con cui eravate soliti affaticare i giovani organi dei vostri fanciulli, con eccellenti principi sociali; che invece di imparare a recitare futili preghiere che si faranno un merito di dimenticare non appena avranno sedici anni, essi siano istruiti sui loro doveri nella società; insegnate loro ad amare le virtù di cui a mala pena vi sentivano parlare un tempo e che, senza le vostre fole religiose, bastano a fare la loro felicità individuale; fate sentir loro che questa felicità consiste nel render gli altri così fortunati come noi stessi desideriamo esserlo. Se voi appoggerete queste verità sulle chimere cristiane, come avevate la follia di fare in passato, i vostri allievi una volta riconosciuta la futilità delle basi, faranno crollare l'edificio e diventeranno scellerati proprio perché crederanno che la religione da loro abbattuta glielo vietava. Al contrario, facendo sentir loro la necessità della virtù unicamente perché da essa dipende la loro personale felicità, essi saranno onesti per egoismo e quella legge fondamentale degli uomini sarà sempre la più sicura di tutte. Con la massima cura si eviti dunque di mescolare favole religiose all'educazione nazionale. Non perdiamo mai di vista che sono uomini liberi quelli che noi vogliamo formare e non vili adoratori di un dio. Che un filosofo semplice istruisca questi nuovi allievi intorno ai sublimi misteri della natura; che è assai meno importante comprendere la natura, che goderne e rispettarne le leggi; che quelle leggi sono altrettanto sagge quanto semplici, che sono scritte nel cuore di tutti gli uomini e che è sufficiente interrogare il cuore per districarne l'impulso. Se vorranno assolutamente che voi parliate loro di un creatore, rispondete che le cose essendo sempre state quelle che sono, non avendo mai avuto un inizio e non dovendo mai avere una fine, diventa tanto inutile quanto impossibile all'uomo poter risalire a un'origine immaginaria che non spiegherebbe nulla e non porterebbe a nulla. Dite loro che è impossibile all'uomo avere idee sicure su di un essere che non agisce su alcuno dei nostri sensi. Tutte le nostre idee sono rappresentazioni di oggetti che ci colpiscono: che cosa può mai rappresentarci l'idea di un Dio, che è chiaramente un'idea priva di oggetto? […] La realtà è che sono stati terrorizzati e quando si ha paura si smette di ragionare; soprattutto è stato loro raccomandato di diffidare della ragione e, quando il cervello è turbato, si crede a tutto e non si esamina più nulla […] Ritornate poi sull'utilità della morale: offrite loro su questo grande soggetto più esempi che lezioni, più prove che libri e ne farete dei buoni cittadini, buoni guerrieri, buoni padri, buoni sposi; ne farete uomini tanto più attaccati alla libertà del loro paese quanto meno alcuna idea di servitù si presenterà più al loro spirito, alcun terrore religioso verrà a turbare la loro mente. Allora il vero patriottismo esploderà in tutte le anime, vi regnerà in tutta la sua forza e in tutta la sua purezza, perché diventerà il solo sentimento dominante e nessuna idea estranea ne intiepidirà l'energia […] Non ci venga il dubbio che le religioni non siano la culla del dispotismo; il primo di tutti i despoti fu un prete, il primo re e il primo imperatore di Roma, Numa e Augusto, sono associati l'uno e l'altro al sacerdozio, Costantino e Clodoveo furono più degli abati che dei sovrani, Eliogabalo fu sacerdote del Sole. In tutti i tempi, in tutti i secoli, ci fu sempre tra dispotismo e religione una tale connessione che è più che dimostrato come distruggendone uno occorra abbattere l'altra. Io non propongo tuttavia né massacri né deportazioni: tutti questi orrori sono troppo lontani dalla mia anima per osare anche solo concepirli per un minuto. No, non assassinate, non deportate nessuno: queste atrocità vanno bene per i re o per gli scellerati che li imitarono, non è facendo come loro che costringerete a prendere in orrore coloro che le compivano. Non usiamo la forza che per gli idoli, ci basta solo il ridicolo per chi li serve: i sarcasmi di Giuliano nocquero più alla religione cristiana che tutti i supplizi di Nerone […] In una parola, non è né la speranza frivola di un mondo migliore né il timore di mali più grandi di quelli che ci manda la natura, a dover guidare un repubblicano, la cui sola regola è la virtù, il cui unico freno è il rimorso.


Costumi

Dopo aver dimostrato che il teismo non conviene assolutamente a un governo repubblicano, mi sembra necessario provare che ancor meno gli convengono i costumi francesi. Questa parte è tanto più essenziale in quanto sono i costumi che serviranno da tema alle leggi che si debbono promulgare.
Francesi, voi siete troppo illuminati per non sentire che un nuovo governo ha necessariamente bisogno di nuovi costumi, è impossibile che il cittadino di uno Stato libero si comporti come lo schiavo di un re despota; le differenze nei loro interessi, nei loro doveri, nelle relazioni reciproche, determinano una maniera essenzialmente diversa di comportarsi in società […] Accordata la libertà di coscienza e di stampa, pensate cittadini che, salvo che in pochissimi casi, si deve accordare anche quella di agire, e che a eccezione di ciò che scuote direttamente le basi del governo, non vi resteranno quasi crimini da punire giacché, in effetti, esistono ben poche azioni criminali in una società le cui basi sono la libertà e l'uguaglianza […] Per meglio sviluppare le mie idee su un soggetto così essenziale, classificheremo ora le differenti azioni della vita dell'uomo che si era convenuto fino a oggi di chiamare criminali, e le commisureremo poi ai veri doveri di un repubblicano. In tutti i tempi i doveri dell'uomo sono stati considerati sotto i tre differenti rapporti che seguono:
1. quelli che la sua coscienza e la sua credulità gli impongono verso l'Essere Supremo;2. quelli che è obbligato ad adempiere con i suoi fratelli;3. quelli che non hanno relazione che con lui stesso.
La certezza che dobbiamo avere che nessun dio si è immischiato nelle nostre faccende e che, creature necessitate dalla natura, come le piante e gli animali, noi siamo al mondo perché era impossibile che non ci fossimo, questa certezza senza dubbio annulla, lo si vede, d'un sol colpo la prima parte di questi doveri. Se c'è qualcosa di stravagante al mondo, è vedere uomini che non conoscono il loro Dio e quello che può esigere quel Dio se non dall'idea limitata che se ne fanno, pretendere tuttavia di decidere sulla natura di ciò che contenta o di ciò che irrita quel ridicolo fantasma della loro immaginazione […] E basterà, spero, per dimostrare che non deve essere promulgata alcuna legge contro i delitti religiosi, perché chi offende una chimera non offende nulla, e perché sarebbe della massima inconseguenza punire chi oltraggi o chi disprezzi un culto di cui niente vi dimostra con evidenza la priorità sugli altri: vorrebbe dire adottare un partito e influenzare quindi la bilancia dell'eguaglianza, prima legge del vostro nuovo governo. Passiamo ai secondi doveri dell'uomo, quelli che lo legano ai suoi simili: questo gruppo è senza dubbio il più esteso. La morale cristiana, troppo vaga sui rapporti dell'uomo con i suoi simili, pone basi così piene di sofismi che ci è impossibile ammetterle, dato che, quando si vogliono edificare dei princìpii, bisogna guardarsi bene dal dare loro dei sofismi per basi. Questa assurda morale ci dice di amare il nostro prossimo come noi stessi. Niente sarebbe certo più sublime se fosse possibile che ciò che è falso potesse avere i caratteri della bellezza. Non si tratta di amare i propri simili come se stessi, perché ciò è in contrasto con tutte le leggi della natura e solo il suo codice deve dirigere ogni azione della nostra vita; non si tratta che di amare i nostri simili come fratelli, come amici che la natura ci dà, e con i quali dobbiamo vivere tanto meglio in uno Stato repubblicano in quanto la scomparsa delle distanze deve necessariamente stringere i legami.
Che l'umanità, la fraternità, la benevolenza ci prescrivano quindi i nostri reciproci doveri e adempiamoli individualmente con il semplice grado di energia che su questo punto ci ha conferito la natura, senza biasimare e soprattutto senza punire quanti, più freddi o più ipocondriaci, non provano in quei legami, pur così toccanti, tutte le dolcezze che altri vi incontrano; è una spaventosa ingiustizia esigere che uomini di carattere ineguale si pieghino a leggi eguali: ciò che va bene a uno non lo va affatto a un altro. Sono d'accordo che non si possono fare tante leggi quanti sono gli uomini, ma le leggi possono essere così miti e in così piccolo numero, che tutti gli uomini, qualunque sia il loro carattere, possano facilmente piegarvisi. Ebbene, sarà il colmo dell'ingiustizia se userete della legge contro colui al quale è impossibile piegarsi alla legge! Da questo primo principio discende, è ovvio, la necessità di fare leggi miti e soprattutto di abolire per sempre l'atrocità della pena di morte, perché la legge che attenta alla vita di un uomo è impraticabile, ingiusta, inammissibile. Non è, come dirò subito, che non vi sia un'infinità di casi in cui, senza oltraggiare la natura (ed è ciò che dimostrerò), gli uomini non abbiano ricevuto da questa madre comune la completa libertà di attentare alla vita gli uni degli altri, ma il fatto è che è impossibile che la legge possa godere dello stesso privilegio, perché la legge, essenzialmente fredda, non saprebbe essere accessibile alle passioni che possono legittimare nell'uomo la crudele azione dell'omicidio; l'uomo riceve dalla natura le impressioni che possono fargli perdonare quell'azione, e la legge al contrario, sempre in opposizione alla natura e non ricevendo nulla da essa, non può essere autorizzata a permettersi gli stessi eccessi: non avendo gli stessi motivi, è impossibile che abbia gli stessi diritti.
La seconda ragione per cui si deve abolire la pena di morte, è che essa non ha mai represso il crimine, dato che lo si commette ogni giorno ai spiedi del patibolo.
Si deve sopprimere questa pena, in una parola, perché non vi è calcolo più malvagio di quello di far morire un uomo perché ne ha ucciso un altro, perché il risultato evidente di questo modo di procedere, è che invece di un uomo in meno tutto a un tratto ve ne sono invece due e non ci sono che i boia o gli imbecilli ai quali una simile aritmetica possa essere familiare.
A ogni modo, comunque, i misfatti che possiamo commettere verso i nostri fratelli si riducono a quattro principali: la calunnia, il furto, i delitti che, causati dall'impurità, possono colpire sgradevolmente gli altri, e l'omicidio.
Tutte queste azioni, considerate capitali in un governo monarchico, sono altrettanto gravi in uno Stato repubblicano? E ciò che stiamo per analizzare con la fiaccola della filosofia, giacché è solo alla sua luce che un esame del genere deve essere intrapreso. Non mi si tacci di essere un innovatore pericoloso, non si dica che è rischioso smorzare, come faranno forse questi scritti, il rimorso nell'anima dei malfattori, che è male gravissimo aumentare con la mitezza della mia morale l'inclinazione che quegli stessi malfattori hanno verso il delitto: io affermo qui formalmente di non avere nessuna di quelle vedute perverse; io espongo le idee che dall'età della ragione si sono identificate con me e allo svilupparsi delle quali s'era opposto per tanti secoli l'infame dispotismo dei tiranni. Tanto peggio per coloro che potrebbero corrompere quelle grandi idee, tanto peggio per coloro che non sanno cogliere che il male in opinioni filosofiche, suscettibili come sono di corrompersi a tutto! Chissà se non incancrenirebbero anche alla lettura di Seneca o di Charron? Non è a loro che parlo; lo mi rivolgo a quelle persone che sono capaci di capirmi e quelle mi leggeranno senza pericolo.
Confesso con estrema franchezza che non ho mai creduto che la calunnia fosse un male, e soprattutto in un governo come il nostro, in cui tutti gli uomini più legati, più ravvicinati, hanno evidentemente un maggior interesse a conoscersi bene.
Esistono due possibilità: o la calunnia è rivolta a un uomo veramente perverso o essa cade su un essere virtuoso. È chiaro che nel primo caso diventa pressoché indifferente che si dica un po' più di male di un uomo che gode cattivissima fama, può darsi persino che il male che non esiste getti luce su quello che esiste ed ecco il malfattore meglio messo in vista. La calunnia cade invece su un uomo virtuoso? Che non si allarmi, si mostri, e tutto il veleno del calunniatore ricadrà presto su lui stesso. Per tali persone la calunnia non è che un vaglio decantatore dal quale la loro virtù non uscirà che più splendente. Ne verrà anche un profitto per l'insieme delle virtù della repubblica: quell'uomo virtuoso e sensibile, punto dall'ingiustizia provata, cercherà di comportarsi ancora meglio, vorrà superare quella calunnia da cui si sentiva al sicuro e le sue belle azioni non faranno che acquistare un maggior grado di energia. Così, nel primo caso il calunniatore, ingrandendo i vizi dell'uomo pericoloso, avrà prodotto effetti nel complesso buoni, nel secondo, ne avrà prodotti di eccellenti, costringendo la virtù a manifestarsi a noi nella sua pienezza. […] Il furto è il secondo dei delitti morali di cui ci siamo proposti l'esame. Se percorriamo l'antichità, noi vedremo il furto permesso, ricompensato in tutte le repubbliche della Grecia […] Senza parzialità ora io oserei domandare se il furto, il cui effetto è di pareggiare le ricchezze, sia un gran male in un governo il cui fine è l'eguaglianza. No, indubbiamente, perché, se favorisce l'eguaglianza da un lato, dall'altro rende più attenti a conservare i propri beni. C'era un popolo che puniva non il ladro, ma colui che si era lasciato derubare, per insegnargli ad aver cura delle sue proprietà. Dio non voglia che io qui intenda attaccare o distruggere quel giuramento di rispetto delle proprietà che è stato appena pronunciato dalla nazione, ma mi si permetterà di esprimere qualche idea sull'ingiustizia di quel giuramento? Qual è lo spirito di un giuramento pronunciato da tutti gli individui di una nazione? Non è forse quello di mantenere una perfetta eguaglianza tra i cittadini, di sottometterli tutti egualmente alla legge protettrice delle proprietà di tutti? Orbene, io vi domando se è proprio giusta una legge che ordina a chi non ha niente di rispettare chi ha tutto. In base a quale diritto si incatenerà chi non ha niente con un patto che protegge solo chi ha tutto? […] Se fate un atto di equità conservando, col vostro giuramento, le proprietà del ricco, non fate però un'ingiustizia esigendo questo giuramento dal "conservatore" nullatenente? Che interesse ha costui ad aderire al giuramento? E perché volete che prometta una cosa positiva solo a colui che gli è diverso proprio per le ricchezze? Non vi è certamente nulla di più ingiusto: un giuramento deve avere un effetto eguale su tutti gli individui che lo pronunciano, è impossibile che possa legare chi non ha alcun interesse al suo mantenimento, perché non sarebbe più allora il patto di un popolo libero, ma invece l'arma del forte sul debole, e quest'ultimo dovrebbe rivoltarsi senza posa contro il primo […]
I delitti che dobbiamo esaminare in questo secondo gruppo dei doveri dell'uomo verso i suoi simili sono quelli che dipendono dal libertinaggio. Tra di loro contravvengono maggiormente a ciò che ciascuno deve agli altri, la prostituzione, l'adulterio, l'incesto, lo stupro e la sodomia. Noi non dobbiamo certamente dubitare un momento che tutto ciò che si chiama delitto morale, cioè tutte le azioni della specie di quelle prima citate, non sia perfettamente indifferente in un governo il cui solo dovere consiste nel conservare, con tutti i mezzi possibili, la forma essenziale al suo mantenimento. Ora, dal momento che è sempre contrastato dai despoti che lo circondano, non si può ragionevolmente immaginare che i suoi mezzi di conservazione siano mezzi morali: infatti si conserverà solo con la guerra e niente è meno morale della guerra. A questo punto, io chiedo come si riuscirà a dimostrare che in uno Stato immorale per i suoi obblighi, sia essenziale che gli individui siano morali. Dico di più: è bene che non lo siano […] Cominciamo con l'analizzare il pudore, quel movimento pusillanime che contrasta gli affetti impuri. Se fosse stato nelle intenzioni della natura creare l'uomo pudico, certamente essa non l'avrebbe fatto nascere nudo; infiniti popoli, meno corrotti di noi dalla civiltà, vanno nudi e non ne provano alcuna vergogna. Non si può dubitare che l'uso di vestirsi non abbia avuto per unico movente e l'inclemenza del clima e la civetteria delle donne: esse sentirono che avrebbero perso ben presto tutti gli effetti del desiderio se li avessero prevenuti, invece di lasciarli nascere. E chiaro quindi che il pudore, lungi dall'essere una virtù, non fu altro che uno dei primi effetti della corruzione, uno dei primi mezzi della civetteria delle donne […]
Se ci fosse del male in qualcosa, sarebbe piuttosto nel resistere alle inclinazioni che la natura ci ispira che nel non combatterle […] Luoghi sani, vasti, ammobiliati con proprietà e sicuri da tutti i punti di vista, saranno eretti nelle città; là, tutti i sessi, tutte le età, tutte le creature saranno offerte ai capricci dei libertini che verranno a godere, e la più totale subordinazione sarà la regola degli individui presentati; il più leggero rifiuto sarà punito all'istante secondo l'arbitrio di chi l'avrà subito. Devo spiegare meglio questo punto; misurarlo ai costumi repubblicani; ho promesso dappertutto la stessa logica e manterrò la parola. E qui che l'uomo ama comandare, essere obbedito, circondarsi di schiavi costretti a soddisfarlo; ebbene, tutte le volte che non darete all'uomo il mezzo segreto di neutralizzare la dose di dispotismo che la natura gli mette nel fondo del cuore, egli si butterà per esercitarlo su quanto lo circonda e turberà il governo. Permettete, se volete evitare quel pericolo, un libero sbocco a quei desideri tirannici che, suo malgrado lo tormentano senza tregua; contento di aver potuto esercitare la sua piccola sovranità in mezzo a un harem di paggi o di odalische che le vostre cure e il suo denaro gli sottomettono, egli uscirà soddisfatto e senza alcun desiderio di turbare un governo che gli assicura così compiacentemente di soddisfare la sua concupiscenza […] Voglio andare più lontano e convincervi che la prostituzione delle donne conosciute sotto il nome di oneste non è più pericolosa di quella degli uomini, e che non soltanto dobbiamo associarle alle lussurie esercitate nelle case che ho detto, ma che dobbiamo anche erigerne per loro, dove i loro capricci e i bisogni del loro temperamento, ben più ardente del nostro, possano ugualmente soddisfarsi con tutti i sessi. Con quale diritto innanzitutto pretendete che le donne debbano essere esentate dalla cieca sottomissione, che la natura prescrive loro, ai capricci degli uomini? E poi con quale altro diritto pretendete di asservirle a una continenza impossibile al loro fisico e assolutamente inutile al loro onore? […]
Mai un atto di possesso può essere esercitato su un essere libero: è altrettanto ingiusto possedere esclusivamente una donna quanto possedere degli schiavi; tutti gli uomini sono nati liberi, tutti hanno eguali diritti: non perdiamo mai di vista questi principi. In base ad essi non può esser dato a un sesso il diritto legittimo di impadronirsi esclusivamente dell'altro e mai uno di questi sessi o una di queste classi può possedere l'altra arbitrariamente […]
L'amore, che si può chiamare la follia dell'anima, non ha più titoli per legittimare la loro costanza; non soddisfacendo che due individui, l'essere amato e l'essere amante, non può servire alla felicità degli altri, ed è per la felicità di tutti, e non per una felicità egoistica e privilegiata, che ci sono state date le donne. Tutti gli uomini hanno dunque un diritto di godimento uguale su tutte le donne; non c'è dunque nessun uomo che, secondo le leggi della natura, possa arrogarsi un diritto unico e personale su una donna […]
Dico dunque che le donne, avendo ricevuto inclinazioni ben più violente di noi ai piaceri della lussuria, potranno abbandonarvisi finché vorranno, assolutamente libere da tutti i legami dell'imene, da tutti i falsi pregiudizi del pudore e restituite in tutto e per tutto allo stato naturale; voglio che le leggi permettano loro di darsi a quanti uomini piacerà loro; voglio che il godimento di tutti i sessi e di tutte le parti del loro corpo sia loro permesso come agli uomini e, sotto la clausola speciale di darsi comunque a quanti le desidereranno, bisogna che abbiano la libertà di godere ugualmente di tutti coloro che riterranno degni di soddisfarle. Quali sono, domando io, i pericoli di questa licenza? Dei bambini che non avranno padri? E che cosa importa in una repubblica dove tutti gli individui non devono avere altra madre che la patria e in cui tutti coloro che nascono sono ugualmente figli della patria? Ah! come l'ameranno meglio coloro che, non avendo mai conosciuto che lei, sapranno fin dalla nascita che solo da essa dovranno attendersi tutto! Non pensate di fare dei buoni repubblicani finché isolerete nelle loro famiglie i bambini che non devono appartenere che alla repubblica […] Ciò che si è detto dovrebbe senza dubbio dispensarci dall’esaminare l’adulterio […] L'incesto è forse più pericoloso? No, senza dubbio; esso estende i legami della famiglia e rende per conseguenza più attivo l'amore dei cittadini per la patria; esso ci è dettato dalle prime leggi della natura […] Io oso assicurare, in una parola, che l'incesto dovrebbe essere la legge di ogni governo la cui base sia costituita dalla fraternità. Non è, vi chiedo, un pregiudizio abominevole considerare delittuoso che l'uomo elegga per il proprio piacere l'oggetto al quale il sentimento della natura lo fa sentire più vicino? Dal momento che mettere in comune le donne come io ho proposto comporta necessariamente l'incesto, resta ben poco da dire su un preteso delitto la cui nullità è già troppo dimostrata per indugiarvi ulteriormente […]
Ma la sodomia, questo preteso delitto, non è forse un traviamento mostruoso per il quale nessuna punizione sarà abbastanza severa? E indubbiamente ben doloroso per noi dover rinfacciare ai nostri antenati gli omicidi giudiziari che hanno osato permettersi a questo proposito. E mai possibile essere così barbari da osare condannare a morte un infelice il cui solo delitto è di non avere i vostri stessi gusti? C'è da fremere a pensare che nemmeno quarant'anni fa l'assurdità dei legislatori era ancora a questo punto […] In che cosa potrebbe consistere il crimine? Non certo nel fatto di mettersi in questo o quel posto, a meno di sostenere che tutte le parti del corpo non sono simili e che ne esistono di pure e di impure. Ma, data l’impossibilità di affermare simili assurdità, l’unico presunto delitto consisterebbe nella perdita del seme. Ora, domando se è verosimile che questo seme sia così prezioso agli occhi della natura da non poterlo perdere senza colpa. Se così fosse, come mai lei stessa provocherebbe quotidianamente quelle perdite? […]
Ascoltiamo Gerolamo il Peripatetico. L'amore per i ragazzi, egli ci dice, si diffuse in tutta la Grecia, perché conferiva coraggio e forza e serviva a cacciare i tiranni; le cospirazioni si formavano tra amanti e questi si lasciavano torturare piuttosto che svelare i loro complici; il patriottismo sacrificava così tutto alla prosperità dello Stato, si era certi che questi legami rafforzavano la repubblica, si declamava contro le donne, ed era una debolezza riservata al dispotismo attaccarsi a tali creature. Non vi è, in una parola, nessuna sorta di pericolo in tutte queste manie: si spingessero anche più lontano, giungessero sino ad accarezzare dei mostri e degli animali, come ci mostra l'esempio di parecchi popoli, non ci sarebbe in tutte quelle sciocchezze il più piccolo inconveniente, perché la corruzione dei costumi, spesso molto utile in un governo, non può nuocere sotto alcun profilo e noi dobbiamo aspettarci tanta saggezza, tanta prudenza da parte dei nostri legislatori, per essere ben certi che nessuna legge sarà da loro emanata per la repressione di quelle miserie che, dipendendo completamente dalla struttura universale, non potrebbero mai rendere colui che vi è incline più colpevole di quel che non lo sia l'individuo che la natura creò storpiato.
Non ci resta più che l'omicidio da esaminare nella seconda classe di delitti dell'uomo verso i suoi simili, e poi passeremo ai suoi doveri verso se stesso. Di tutte le offese che l'uomo può infliggere al suo simile, l'omicidio è, senza smentita, la più crudele poiché gli toglie il solo bene che abbia ricevuto dalla natura, il solo la cui perdita sia irreparabile. Parecchie domande tuttavia si presentano qui, fatta astrazione dai torto che l'omicidio causa a chi ne diviene la vittima.
1. Questa azione, riguardo alle sole leggi della natura, è veramente criminale?2. Lo è relativamente alle leggi della politica?3. E’ nociva alla società?4. Come dev'essere considerata in un governo repubblicano?5. Per ultimo: l'omicidio deve essere represso con l'omicidio?
Forse le nostre idee sembreranno piuttosto forti, ma che importa? Non ammia acquisito il diritto di dire tutto? Esponiamo agli uomini le grandi verità: è quanto si aspettano da noi; è tempo che l’errore scompaia; bisogna che la sua benda cada, insieme a quella dei re […]
Sembrerà certamente che noi stiamo per umiliare l'orgoglio dell'uomo, abbassandolo al rango di tutte le altre produzioni della natura, ma il filosofo non accarezza affatto le piccole vanità umane. Sempre ardente nel perseguire la verità, egli la districa sotto gli sciocchi pregiudizi dell'amor proprio, la raggiunge, la sviluppa e la mostra arditamente alla terra attonita. Che cosa è l'uomo, e che differenza c'è fra lui e le altre piante, fra lui e tutti gli altri animali della natura? Nessuna sicuramente […] Sarà dunque altrettanto delittuoso uccidere un animale che un uomo, o altrettanto poco male e solo nei pregiudizi del nostro orgoglio si troverà la distanza, ma niente è sciaguratamente assurdo come i pregiudizi dell'orgoglio […] Se tutti gli individui fossero eterni, non diventerebbe impossibile alla natura crearne di nuovi? Se l'eternità degli esseri è impossibile per la natura, la loro distruzione diventa dunque una delle sue leggi. Ebbene, se le distruzioni le sono talmente utili da non poterne assolutamente fare a meno e se essa non può pervenire alle sue creazioni senza attingere a queste masse di distruzione che le prepara la morte, da questo momento l'idea di annientamento che noi annettiamo alla morte non sarà più reale, non vi sarà più annientamento constatato, quella che chiamiamo la fine dell'animale che ha vita non sarà più una fine reale, ma una semplice trasmutazione, alla cui base sta il movimento perpetuo, vera essenza della materia e che tutti i filosofi moderni ammettono come una delle sue prime leggi […]
L'uomo che distrugge il suo simile è per la natura la stessa cosa della peste o della carestia, ugualmente mandate dalla sua mano, che si serve di tutti i mezzi possibili per ottenere più presto quella materia prima di distruzione, essenziale alle sue opere. Ma ecco che ce n'è più che abbastanza per convincere ogni lettore illuminato che è impossibile che l'omicidio possa in qualche modo oltraggiare la natura. E è un delitto in politica? Osiamo confessare, al contrario, che sfortunatamente non è che una delle più grandi risorse della politica. Non è forse a forza di uccisioni che Roma è diventata la padrona del mondo? Non è a forza di uccisioni che la Francia è libera oggi? […]
E per finire: l’omicidio è un crimine contro la società? Chi può mai ragionevolmente pensarlo? Cosa importa a questa società così numerosa che vi sia in essa un membro in più o in meno? Le sue leggi, le sue usanze, i suoi costumi ne saranno forse viziati? Influì mai la morte di un individuo sulla massa generale? […]
Come dev'essere visto l'omicidio in uno Stato guerriero e repubblicano?
Sarebbe certo estremamente pericoloso, sia gettare il disfavore su quell'azione, sia punirla. La fierezza del repubblicano richiede un po’ di ferocia; se si rammollisce, perde la propria energia e sarà presto soggiogato. Si presenta a questo punto alla nostra attenzione una riflessione molto singolare, ma poiché è vera anche se molto ardita, la esporrò. Una nazione che incomincia a governarsi come repubblica non si sosterrà che con le virtù, perché, per arrivare al più, bisogna sempre partire dal meno; ma una nazione già vecchia e corrotta che, coraggiosamente, scuoterà il giogo del suo governo monarchico per adottarne uno repubblicano, non si manterrà che per mezzo di molti delitti: infatti essa è già nel delitto e se volesse passare dal crimine alla virtù, cioè da uno stato violento a uno stato mite, cadrebbe in un'inerzia il cui risultato sarebbe la sua certa e rapida rovina. […]
Quale popolo fu a un tempo più grande e più crudele dei romani, e quale nazione conservò più a lungo il suo splendore e la sua libertà? Lo spettacolo dei gladiatori sostenne il suo coraggio, essa diveniva guerriera per l'abitudine di farsi gioco dell'assassinio […] Fino alla traslazione della sede dell'impero, tutti i romani che non volevano nutrire i loro figli li gettavano nel letamaio pubblico. Gli antichi legislatori non avevano alcuno scrupolo di destinare i fanciulli alla morte e mai nessuno dei loro codici represse i diritti che un padre si riservava sempre sulla sua famiglia. Aristotele consigliava l’aborto; e quegli antichi repubblicani, pieni di entusiasmo e amor di patria, ignoravano quella commiserazione per il singolo individuo che troviamo nelle nazioni moderne. Si amavano meno i propri figli, ma si amava di più […]
Non si può negare che sia straordinariamente necessario, estremamente politico mettere una diga alla popolazione in un governo repubblicano: l'abbondanza della popolazione, non dubitiamone, è un vizio reale in un governo repubblicano. Guardatevi dal moltiplicare troppo un popolo di cui ciascun membro è sovrano e siate certi che le rivoluzioni sono frutto di una popolazione troppo numerosa […]
È tempo di concludere.
L'omicidio deve essere represso con l'omicidio? No, senza dubbio. Non imponiamo mai all'omicida altra pena che quella in cui può incorrere per la vendetta degli amici o della famiglia dell'ucciso. Io vi accordo la grazia, diceva Luigi XV a Charolais, che aveva ucciso un uomo per divertirsi, ma la accordo anche a colui che vi ucciderà. Tutte le basi della legge contro gli omicidi si trovano in questa sentenza sublime. In una parola, l'assassinio è un orrore, ma un orrore spesso necessario, mai criminale, che in uno Stato repubblicano è essenziale tollerare. Io ho dimostrato che l'universo intero ne aveva dato l'esempio, ma è da considerare come un'azione punibile con la morte? Coloro che risponderanno al dilemma seguente avranno soddisfatto alla domanda:
L'omicidio è un crimine o non lo è? Se non lo è, perché fare delle leggi che lo puniscano? E se lo è, per quale barbara e stupida inconseguenza lo punirete con un crimine uguale?
Ci rimane da parlare dei doveri dell'uomo verso se stesso. Il solo delitto che l'uomo possa commettere in questo settore è il suicidio. Non mi divertirò qui a provare l'imbecillità della gente che erige questa azione a delitto: rimando alla famosa lettera di Rousseau quanti potrebbero avere ancora qualche dubbio in materia. Quasi tutti gli antichi governi autorizzavano il suicidio giustificandolo con la politica e con la religione. Gli ateniesi esponevano all'Areopago le ragioni che avevano per uccidersi: poi si pugnalavano […] Quando Roma fu presa dai Galli, i più illustri Senatori si diedero la morte; riprendendo quello stesso spirito, noi adottiamo le stesse virtù […]
Sosteniamo, a prezzo delle nostre fortune e delle nostre vite, questa libertà che già ci costa tante vittime. Non rimpiangiamone alcuna se raggiungeremo lo scopo; tutte si sono sacrificate volontariamente; non rendiamo inutile il loro sangue. Ma unione… unione o perderemo il frutto delle nostre fatiche […] Facciamo poche leggi, ma che siano buone. Non si tratta di moltiplicare i freni: ma di dare a quelli che impieghiamo una qualità indistruttibile. Che le leggi che promulghiamo abbiano per solo scopo la tranquillità del cittadino, la sua felicità e lo splendore della repubblica. Ma, dopo aver cacciato il nemico dalle vostre terre, francesi, io non vorrei che l'ardore di propagare i vostri principi vi trascinasse più lontano; non è che col ferro e col fuoco che potrete portarli al limite dell'universo. Prima di porre mano a risoluzioni del genere, ricordatevi dei disgraziati successi delle crociate. Quando il nemico sarà dall'altra parte del Reno, credetemi, custodite le vostre frontiere e restate a casa vostra, rianimate il vostro commercio, ridate energia e sbocchi alle vostre manifatture, fate rifiorire le vostre arti, incoraggiate l'agricoltura, così necessaria in un governo come il vostro, il cui spirito deve essere di poter fornire prodotti a tutti senza aver bisogno di nessuno. Lasciate che i troni d'Europa crollino da soli: il vostro esempio, la vostra prosperità li abbatteranno ben presto, senza che voi dobbiate immischiarvene. Invincibili al vostro interno e modello di tutti i popoli per la vostra politica e le vostre buone leggi, non ci sarà un governo al mondo che non cerchi di imitarvi, non uno solo che non si onori della vostra alleanza; ma se, per il vano onore di portare i vostri princìpii lontano, abbandonerete la cura della vostra propria felicità, il dispotismo, che non è che addormentato, rinascerà, divergenze intestine vi lacereranno, avrete esaurito le vostre finanze e i vostri soldati e tutto ciò per tornare a baciare le catene che vi imporranno i tiranni che vi avranno soggiogati durante vostra assenza. Tutto ciò che desiderate è realizzabile senza che lasciate i vostri focolari: che gli altri popoli vi vedano felici, e correranno verso la felicità per la stessa strada che voi avete tracciato anche per loro.