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Il serraglio del Gransignore - Ottaviano Bon


lunedì 03 febbraio 2003 legge Bruno Basile
La corte del Sultano di Istanbul dei primi anni del Seicento è di estrema ricchezza e molteplicità di costumi, di abitudini, di comportamenti. Il quadro rivive con immediatezza nelle pagine del "Serraglio del Gransignore", la relazione stilata agli inizi del XVII secolo da Ottaviano Bon, ambasciatore della Repubblica di Venezia presso l'Impero Ottomano, e recentemente riedita a cura di Bruno Basile, un attento e documentato studioso degli autori italiani osservatori di altre civiltà e culture.
La lettura di Ottaviano Bon proposta da Basile è un'interessante occasione per cogliere attraverso le annotazioni vivaci e stimolanti, talora anche sorprendenti, del diplomatico europeo, la testimonianza di una realtà culturale lontana nello spazio e nel tempo; ma anche per chiedersi se e quanto quelle immagini ci permettano di individuare ancor oggi tratti significativi di una diversità culturale, oppure quanto contribuiscano a suggerirne una lettura viziata da stereotipi. La lettura e la valutazione comune di alcuni passi del testo, e il confronto diretto con Bruno Basile, consentiranno nel merito un utile chiarimento.


Il serraglio del Gran Signore

[I servitori del Sultano]
[…] entrerò a narrare il numero delli Azamoglani che servono in esso serraglio ed il loro esercizio. Questi possono essere in circa 700, di età dalli 10 sino 25 o trenta anni al più, e sono per la maggior parte cristiani rinnegati che si raccolgono ogni tre anni di Morea e di tutte le provincie di Albania, le quali decime si distribuiscono in questo modo.
Possono essere li decimati, ora più, ora meno, secondo la diligente descrizione delli Taiabassì cioè capitani delle compagnie dei giannizzeri destinati a questo servizio, e rare volte eccedono il numero di 2.000, levati alle famiglie dove si attrovano più fratelli, e di questi viene sempre eletto il più bello, il più disposto ed atto all'esercizio della guerra, che non passi l'età di dodici o tredici anni, ed a parte a parte ben custoditi, sono mandati in Costantinopoli per farne la compartita che si dirà.
Capitati tutti questi giovanetti alla porta, sono vestiti di diversi colori di panno da Salonich, con un cappello in testa di feltro giallo giusta la forma di un pane di zuccaro lungo, e condotti alla presenza del primo visir, il quale per questo effetto è accompagnato dalli altri bassà e ministri del serraglio. Fa esso la scelta di quanti gli pare più belli e più disposti per il servizio del serraglio del Gran Signore, ed in tanto numero, che basti per conservar in esso quella qualitità ch'è necessaria rispetto al mancamento delli morti e delli licenziati per il servizio della guerra; fatta questa scelta immediate sono questi tali garzoni chiamati azamoglani, condotti dentro del serraglio dal bustangibassì, ch'è il capo delli giardinieri, e distribuiti alli capi delle compagnie nelle quali vi è mancamento, e vengono ritagliati e fatti turchi, e destinati ad imparare la lingua turca, e secondo che si scuopre la loro inclinazione sono anco insegnati di leggere e scrivere, ma a tutti indifferentemente è insegnato il lottare, il correre, il saltare, il tirar l'arco, la zagaglia, ed in fine tutti gli esercizj necessarj per la guerra.

[…] Resta a trattare di quel corpo di giovani e uomini, che di onesta condizione sono tenuti in serraglio per servizio delli re e del regno, per essere educati nella legge, nelle lettere e nell'esercizio militare, per dover servire alla persona reale, ed al governo di tutto l'imperio: e questi per la maggior parte se bene sono cristiani schiavi rinnegati, nondimeno fra di essi vi sono ancor delli turchi, se ben pochissimi naturali giovanotti di bellissimo aspetto, introdottivi per broglio dal capi agà, che è il cameriere maggiore, con l'assenso del re; il che riesce di raro, e con molta difficoltà: perché l'antica instituzione fu che tali fossero sempre cristiani rinnegati delli più civili e nobili che si potessero avere, e però quando nelle guerre da mare e da terra occorre la captura di alcun giovinetto conosciuto nobile, subito viene destinato per il Gran Sultano, per essere educato ed applicato alli governi, e sono questi carissimi e stimatissimi: perché ancor i turchi affermano, che dalla nobiltà del sangue riescono animi generosissimi e virtuosissimi, massime quando sono ben ammaestrati e disciplinati, come si professa fare nel serraglio, dove vi è gran rigore in tutti gli ordini delle discipline per essere la superiorità in mano di maestri, che sono per il più tutti eunuchi bianchi, li quali sono severissimi e scabrosissimi in tutte le loro azioni: sì che per proverbio si dice, che quando uno esce di quel serraglio, con aver passato tutti gli ordini di esso, riesce il più mortificato e paziente uomo del mondo, perché le bastonate che sopportano e le vigilie che gli fanno fare per ogni minima trasgressione è cosa di maraviglia, e riescono così aspre, che moltissimi che s'attrovano vicini al fine del suo corso per dover fra pochi anni uscire uomini grandi di serraglio, per non poter adulti sopportare tante crudeltà, procurano di farsi cacciare fuori con solo titolo di spay o di mutaferica, ch'è lancia spezzata del re, con pochi aspri di paga al giorno, che patire vita così stentata e insopportabile.
Il numero di questi tali non è prefisso, ma ora più, ora meno, perché quanti soggetti, della natura che ho detto, che vengono donati al re, tutti li riceve allegramente quando però non eccedino l'età giovanile per non dir puerile, e possono questi esser così d'avviso da 300 circa.
L'ordine, col quale sono dispensati, subito capitati in serraglio, certo è mirabile e documentale, e non da attribuirsi a barbari ma a soggetti di singolar virtù e disciplina, perché così intorno alla moralità di costumi per la compressione dei sensi, come all'impressione delle virtù intenzionali e non meno al rito della loro setta ed alle discipline militari, sono ottimamente incamminati ed assiduamente ammaestrati.
Chiamano i turchi odà, che vuoi dire stanza, che più propriamente per l'effetto diremo noi scuola, delle quali ne hanno quattro subordinate l'una all'altra. Nel primo odà entrano tutti quando sono di età puerile, e se non sono già fatti turchi, si fanno ritagliare, se gli impone per prima la taciturnità, e per precetto se gli commette a non parlare mai, se non ricercati, se gli insegna la positura della persona in segno di schiavitù e di riverenza singolare verso il re, ch'è di tener il capo chino, gli occhi bassi e le mani davanti giunte ed incrociate.
Questi vengono veduti dal re e registrati per il nome turchesco e per la patria in un libro, ricevono il stipendio dalla Maestà Sua ch'è per ordinario aspri due fino 5 al giorno; la coperta del registro viene mandata fuori al defterdar grande perché a suo tempo loro mandi il predetto stipendio; poi da un eunuco bianco sopraintcndente, capo di altri maestri e ripetitori, vengono introdotti con grande assiduità, come s'usa nelle scuole ordinarie ad imparare leggere e scrivere con l'uso della lingua e delle loro azioni per il culto della loro religione: ed in questo odà, mattina e sera, con tanta diligenza e servitù vengono sollecitati, che per quello che mi è stato riferto, è cosa di stupore. In questa scuola per il meno ogn'uno vi sta sei anni od otto, massime quelli che sono duri di capo, e difficili all'apprensione ed imparano a leggere sopra libri scritti a penna, non usando i turchi la stampa per essergli proibita. Da questo odà passano al secondo, dove da altri precettori di maggiore intelligenza sono istruiti nelle lingue persiane, arabe e tartare, e li affaticano nel leggere libri a penna di diversi scrittori per ben apprendere il parlare elegante turchesco, il quale consiste in aver perfetta cognizione di tutte queste lingue, e di proferirle mescolatamente, ritrovandosi gran differenza dal parlar di uno che esce ammaestrato dal serraglio, dal parlare di un altro nutrito ed educato fuori. In questo odà principiano anco ad apprendere la lotta, il tirar d'arco, il lanciar la mazza ferrata e la zagaglia, il maneggiar l'armi di colpo fiero, il correr velocemente, ed in questi esercizj nelli loro luochi separati si esercitano le ore destinate, con molta severità di castigo, e con assiduità grande spendono anco in questo odà, altri 5 o 6 anni. Dal quale si trasferiscono fatti uomini di robusta età, ed atti ad ogni fatica nel terzo odà, dove non si scordando però, anzi esercitandosi sempre nelle cose acquistate, apprendono di più il star forti a cavallo, il giuocarvi sopra per essere lesti nelle guerre; ed oltre di ciò ogn'uno secondo la sua inclinazione e disposizione impara un'arte necessaria per servizio della persona del re: come il fare il dulipante, radare, tagliare le unghie, lavare, piegare li vestiti con garbo, governar cani da caccia, conoscer ogni sorte di falconi ed altri uccelli, servire di scalco, di maestro di stalla, di cameriero, di scudiero ed in fine di servire alla casa ed alla bocca del re di quel modo che anco s'usa alle corti di altri re ed imperatori, ed in questi ufficj si fanno per quattro ovvero cinque anni, uomini da insegnare ad altri e molto pratici e valorosi. Fino che stanno in questi tre odà vestono alla buona, avendo ancor loro le due vesti di panno all'anno, ma più fino, e le tele come gli altri, e convengono star sotto le discipline delli maestri, li quali, come severissimi per ogni mancamento e sospetto di disonestà, fanno loro dare le centinaja di bastonate sotto le suole delli piedi, e sopra le natiche, che li lasciano per morti. Mentre che stanno in questi odà, non gli è permesso praticare se non fra loro medesimi, e ben modestamente e con difficoltà alcuno di fuori gli può vedere e parlare, il che se segue, è con licenza espressa dell'agà capi alla presenza di qualche eunuco, anzi, che quando occorre che vadino nelli bagni e per le loro necessità, sono grandemente osservati dalli eunuchi per tenerli lontani quanto più è possibile dai vizj; e se vengono ritrovati o accusati di qualche mancamento, restano severamente come s'è detto castigati; e nelli loro dormitorj, che sono stanze lunghe dove ve ne possono stare quaranta e cinquanta e dormono poco discosti uno dall'altro sopra li sofà in schiavine e filzade, vi sono di notte li lumi nelli fanali pendenti dal soffitto, e degli eunuchi che dormono, compartiti fra di loro per tenerli in timore e lontani dalle fierezze giovanili. Vi sono anco di quelli, che imparano qualche arte, come quella di cucire in corame che è stimata fra' turchi, il conciar archibusi, il far archi e freccie, l'intarsiare, e cose simili, da che alle volte prendono il cognome e riputazione, essendo grandemente riguardevole quello che fugge l'ozio ed ama l'operare.

Di questi soggetti usano gli eunuchi far gran prove per vedere se sono costanti nella religione, e se titubano in alcuna parte, perché avvicinandosi a dover passare al quarto odà ultimo e detto il grande, per dover uscire a comandare in carichi grandi, non vorrebbono, che ritenendo memoria di essere stati cristiani e di voler ritornare nella loro prima religione, causassero nell'imperio qualche notabilissimo danno; però fatta ogni sorte di prova, e tentata ogni via, ritrovatili bene e fortemente inturcati, li fanno passare al detto quarto odà, e nel passare vengono da nuovo ruollati e registrati: perché non trasferendosi tutta la camerata intiera, ma quelli soli che di mano in mano hanno fornito il corso delle discipline e sono riusciti atti e ben esperimentati al servizio, e di bisogno di tenerne conto a parte, perché quelli che entrano in questo quarto odà, sono immediate destinati alla servitù del re, però ricevono accrescimento di paga, chi più chi meno fino alli 40 aspri al giorno, e le vesti lor vengono mutate di panno in seta, ed anco di broccati d'oro, portano in capo una tachia o cuffia d'oro, ben lavorata, e restando pur rasi di testa e barba, si lasciano nelle tempie crescer li capelli per averli lunghissimi fino sotto le orecchie, segno evidente di essere delli prossimi alle stanze reali, e nel vestire e nella mondizia si tengono molto garbati e netti, perché assistono al servizio reale accompagnando molti di loro la persona di Sua Maestà in tutti li luochi quando va a piacere, e praticano con tutti li grandi di serraglio liberamente ed anco con li bassà, quando entrano dentro per negozj, da' quali bassà vengono spesso presentati di vesti ed altre cose per tenerli grati, essendo essi in prossima disposizione di uscire grandi e con gran carichi.

[Il silenzio del sultano]
Nel mangiare, che fa la Maestà Sua, non parla mai con alcuno, se bene gli stanno diversi muti e buffoni all'intorno, facendo fra di loro delli giuochi, delle buffonerie e burlandosi sempre alla mutesca, il che viene benissimo inteso da lei, perché anco alla muta si fa in eccellenza benissimo intendere. Quanto farà alle volte, sarà per favorire alcuno dei agalari assistenti, ed è che gli slancerà nelle mani qualche pane della propria mensa sua, il che viene stimato per favore singolarissimo, e quel pane viene da quelli agalari compartito e presentato agli altri, come segno di favore, e per cosa delicatissima.
L'avanzo del mangiare del re viene immediate portato alla tavola delli agalari titolati già nominati, il quale essendo abbondante, con altro poco che loro viene somministrato, supplisce al loro bisogno. In questo mezzo il re sta nella stanza a trattenersi con quelli muti e buffoni, senza mai parlare vocalmente, ma solo alla mutesca, dandogli sparamani, buffettoni e calci, come più gli viene voglia, e donandoli, perché allegramente li sopportino, aspri e zecchini a suo gusto, tenendone perciò nella scarsella sempre abbondantemente; e in questo tempo mangia anco il capi agà in stanza separata delli cibi apparecchiatili nella sua cucina a parte di assai inferior condizione di condimento di quelli del re; […] vi sono anco diversi buffoni d'ogni sorte, lettori, giocatori e sonatori, molti muti vecchi e giovani, che hanno libertà di entrare ed uscire, con licenza del capi agà; ed è qui da sapere che nel serraglio, dal re e da tutti, s'intende e tratta così bene e distintamente tutte le cose alla mutesca, che per osservare la gravità molto professata da' turchi, è più quello che si esprime con cenni alla muta, che quello che si ragiona vocalmente; il medesimo si fa tra le sultane ed altre donne, perché anco fra di loro ve ne sono di vecchie e di giovani mute; e questo è antichissimo costume del serraglio di desiderare ed avere muti quanti più ne possono ritrovare, particolarmente perché non essendo lecito al re di parlare se non con pochissime parole per conservare la grandezza ed il rispetto con la riputazione, tratta perciò e gioca con questi assai più domesticamente di quello che fa e che gli è permesso di fare con altri.

[Sulla religione e su altri aspetti culturali]
Fra' turchi non è alcuna sorte di religioni, né meno monasteri, perché tutti sono indirizzati e incamminati alle armi, e pochi sono quelli che sanno scrivere e leggere, perché tranne quelli del serraglio del Gran Signore, e non tutti, e pochi altri dipendenti da soggetti grandi e che stanno nelli seminari e collegi a questo deputati, e tutto l'ordine di quelli che attendono alle leggi che sono li cadì, e alle scrivanie che sono li nodari e contisti, si può dire che il resto siano del tutto ignoranti: anzi che alle volte occorre vedersi sedere in divano qualche bassà non uscito di serraglio che non sa né leggere né scrivere, così adulti convengono imparare non solo a fare il segno imperiale, ma qualche altra parola, per poter di suo pugno poner in carta il segno della sua volontà; chi sa fra' turchi leggere e scrivere è tenuto per dottore, e viene più delli altri stimato. Vi sono però diversi che professano di vivere fuor del comune, e si chiamo dervis che vuoi dir mansueti. Questi vestono poverissimamente e malamente, con una cuffia in testa mendicando il vivere, e dormendo nelli cortili delle moschee e luochi simili, e vivono sempre innamorati disonestamente predicando questa dottrina che non si può perfettamente arrivare al vero amor di Dio, se non con la scala dell'amor umano e terreno, e che solo per questo vivono innamorati e appassionati in questo mondo per esser poi tali nel cielo d'Iddio, e con tale loro favola coperta di santità, possono anche disonestamente vivere più comodamente degli altri; oltre di questi non mancano altri, che come eremiti si separano dalle pratiche, e si riducono a vivere in luochi solitari con le loro moglie e schiavi, e solo per tal solitudine acquistano concetto di santità.
Delle donne per l'osservanza della religione, non si tiene alcun conto: perché non entrano mai nelle moschee, e se vogliono esse osservar l'orare in tempo che sentono a gridare l'ora delle orazioni, lo fanno se bramano nelle proprie case, ma solo restano grandemente osservate, essendo obbligati gli imani piovani delle contrade, esser osservanti di tutte le case, e intendere e inquirire molto bene le loro pratiche, e scoprendo il male ed il sospetto, sono tenuti avvisarlo alli mariti, perché le ripudino, ovvero alli padri e parenti perché vi proveggano; con tutto ciò sebbene le donne non possono esser praticate dagli uomini fuor che padri, mariti e fratelli, e stiano in appartamenti separati, e vadino sempre coperte, non di meno sono le turche lussuriosissime e disonestissime, per la comodità che hanno nell'assenza delli mariti alle guerre, di poter uscire alii bagni e di andare coperte, e quello che più importa, perché non possono esser a peggior termine che di esser ripudiate, ovvero poco castigate dalli cadì di pena infame, quando però il peccato sia fatto con turchi, perché se fosse con altri di altra religione, in questo caso vengono anco castigate nella vita con esser mandate ad annegare segretamente.
Questi maomettani per precetto del loro alcorano non possono disputare né fra di loro né con altri di fede diversa, intorno li fondamenti della loro fede; ma sono obbligati di persuaderla a tutti, con eccitarli e pregarli ad abbracciarla per la salute delle anime, e ritrovando mal incontro, debbono sostentarla con la spada in mano. Vi sono fra di loro alcuni seguaci la setta maomettana che si chiamano Rafadini come Luterani, o per dir meglio scismatici, fra quali sono li persiani, li agiami e li curdi, li quali sebbene sono della setta maomettana, vivono però sotto la legge lasciatali dal detto Alì, la quale è per il più conforme con quella di Maometto, ma però non in tutto e per tutto simile, anzi ha molti precetti diversi, perché li persiani chiamano scismatici li turchi, come turchi chiamano scismatici li persiani, e però spesso si vede e sente persiani essersi fatti turchi, e turchi essersi fatti persiani.
Sotto questa legge di Maometto, vivono non solo li turchi e persiani, ma li tartan, li arabi, li mamalucchi che sono li agareni, e saraceni, li mori e la maggior parte delli etiopi, sebbene anco fra la gente bassa, massime nell'Arabia viene osservato l'Ingil, cioè l'evangelo di Haider precessor di Alì e successore di Mahomet, il quale sebbene non diversificò la legge nella sua essenza, la modificò e ridusse a maggior libertà e licenza di vita sensuale e disordinata: per il che pare che essa sia stata abbracciata, e che venghi tenuta in osservanza da una mano di gente dedita a vivere alla campagna, ed a fare ogni sorte d'ingiuria al prossimo. (Ottaviano Bon, Il serraglio del Gransignore, a cura di Bruno Basile, Roma, ed. Salerno, pp. 84 e sgg.)



Dibattito :
Proseguono gli incontri dedicati alle culture altre. Bruno Basile, docente del dipartimento di italianistica dell’università di Bologna ci invita a conoscere il serraglio del gran sultano. Come e perché questo testo? Tre anni fa nell’ambito di un ciclo di lezioni pensò al tema della letteratura italiana di viaggio. Questo genere subì nel corso del Cinquecento una battuta di arresto, proprio nell’epoca in cui Giovan Battista Ramusio ne fece una raccolta. Da una parte gli spagnoli innalzarono barriere protezionistiche ad Occidente, dall’altra dopo il 1453 l’impero ottomano arrivò a lambire i possedimenti della Serenissima. La guerra nei territori di confine diventò endemica, la battaglia di Lepanto infatti non fu affatto quella definitiva.
Ma vediamo di capire che cosa c’era tra Occidente e Oriente all’epoca. Le uniche categorie sociali che avevano la possibilità di viaggiare attraverso l’impero erano i militari – bellatores, i mercanti e gli ambasciatori. Il nostro autore - Ottaviano Del Bon- era un ambasciatore veneziano.
Gli ambasciatori avevano una cultura molto approfondita. Ottaviano Del Bon frequentava i centri dove si riuniva l’intellighenzia veneziana come la casa di Giovanni Mocenigo, nobile mecenate presso cui si trattenne anche Giordano Bruno. Era inoltre amico di Galileo.
Gli ambasciatori inviati nella terra del sultano dovevano rimanere per tre anni e stendere una relazione sugli usi dei lontani nemici. Normalmente vi erano due grosse difficoltà per gli ambasciatori. La lingua era ostica e non era possibile avvicinarsi al centro del potere, il serraglio appunto, favolosa residenza del califfo. La pena non era certo lieve: i trasgressori venivano impalati! Ottaviano riuscì a introdursi nel serraglio in un periodo di assenza del sultano, dopo essersi accattivato la simpatia del giardiniere. Così ebbe modo di osservare approfonditamente un mondo completamente diverso.
A dispetto di quello che si credeva trovò i turchi la popolazione più pacifica che avesse mai visto. Oziavano tutto il giorno. La poligamia del sultano fu guardata con malizia in Occidente a partire dall’immagine esotica, ma seducente che ne diede Casanova. L’harem invece – osservò Ottaviano - era un modo per garantire l’inestinguibilità della schiatta, per prevenire le guerre di successione.
Vi erano comunque forme di erotismo più libere che in Europa. I bagni turchi rappresentavano momento di aggregazione e anche di promiscuità.
Due furono gli interessi prevalenti di Ottaviano.
Voleva capire per prima cosa come fosse strutturata l’organizzazione del potere.Vi era una complessa burocrazia e il ruolo del potere giocato sull’assenza – il contrario di quel che avveniva in Occidente. Il sultano era infatti per lo più invisibile, non proferiva mai parola e si intratteneva con dei buffoni del tutto simili a quelli delle nostre corti, sempre in silenzio. Mangiava in completa solitudine.
Voleva svelare poi il segreto di truppe micidiali e imbattibili e quindi comprendere su che cosa era basata questa potenza militare. L’impero ottomano aveva un corpo scelto di giovani guerrieri, i cosiddetti giannizzeri. Questi erano bambini prelevati come decima alle popolazioni confinanti. Era un esercito formato da stranieri. Non c’era un turco tra le file di questo feroce corpo. L’educazione di questa risorsa militare era coltivata proprio all’interno del serraglio. I giovani venivano circoncisi e fatti turchi attraverso la lingua e la conversione all’Islam. Essi erano disposti a morire per un credo che ne aveva plasmato gli animi. L’educazione infatti era molto rigida, imponeva il rispetto e il silenzio. Dunque i turchi si espandevano ai danni dei vicini con guerrieri di paesi confinanti.