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Canti Yoruba di Cuba - José Angel Navarro

lunedì 27 gennaio 2003 legge e accompagna alla chitarra Walter Zanetti
Walter Zanetti, docente al Conservatorio di Bolzano, scoprì alcuni anni fa la musica "antica" di Cuba. In una località in aperta campagna, Guines, conobbe José Angel Navarro, musicista assolutamente singolare, che utilizzava una raffinatissima tecnica chitarristica per imitare il timbro dei sacri tamburi batà che accompagnano i canti rituali della Santería. Lavorando con lui, e approfondendo le questioni etnografiche e le relative tecniche musicali, Zanetti è diventato un grande esperto di questa tradizione, i "Cantos Yoruba de Cuba". Si tratta di una mitologia suggestiva: in particolare intorno alla figura femminile di Ochun, la dea che nel pantheon yoruba rappresenta l'amore, la sensualità, la fertilità, l'acqua. I suoi colori sono il giallo oro e il verde, i fiumi, il miele ed il corallo i suoi elementi naturali. La poliritmia afrocubana, le sue intricate trame narrative, si spiegano attraverso una caratteristica iterazione poetica. Danno vita a un labirinto della percezione musicale, che vuole rappresentare l'idea di circolarità dell'esistenza, il sentirsi parte del fluire continuo dell'universo naturale.



De África al Caribe Dall'Africa ai Caraibi

«Pero los negros no tenían ni grandes templos, ni tampoco pirámides
“Ma i neri non avevano grandi templi, neppure piramidi,
Ni hermosos ritos crueles por los que suba el humo de la sangre
né bei riti crudeli che facessero salire fino al cielo i fumi del sangue
A borbotones de miles y miles sacrificios humanos.
gorgogliante di migliaia e migliaia di sacrifici umani.

No trajeron, los negros, en la estrechez de los barcos negreros,
Non portarono, i neri, nelle anguste navi negriere
Más que su música y sus bailes y esa voz que resuena
altro che la loro musica e le danze e quella voce che echeggia
Como en el mismo corazón del hombre»
come fa nello stesso cuore dell’uomo”

[Eliseo Diego, Los dias de tu vida, I giorni della tua vita]

Il viaggio
I primi africani arrivarono a Cuba al seguito degli spagnoli, ma l’intensa affluenza si ha a partire dal 1762, quando i colonizzatori dovettero sostituire la mano d’opera indigena, che non fu in grado di resistere al brutale trattamento degli spagnoli.
La tratta dei neri fu organizzata per fare fronte alla produzione dello zucchero, sostegno principale dell’isola e base della ricchezza dei colonizzatori. Nel periodo fra il 1790 e il 1860 furono deportati a Cuba più di duecentomila schiavi.
I gruppi etnici più numerosi provenivano dall’Africa Occidentale subsahariana.
Ce n’era uno che emergeva e si faceva sentire con più forza fra tutte le etnie africane: gli Yoruba, che furono coloro che ebbero più influenza nell’integrazione religiosa dell’isola. Gli Yoruba provenivano principalmente dall’attuale territorio della Nigeria; i loro insediamenti erano situati sulle rive ed alla foce del fiume Niger.
Questi neri, cacciati brutalmente come bestie, obbligati a lasciare la loro terra e ad affrontare una terribile traversata che molte volte faceva dell’oceano la loro tomba, costretti a lavorare fino al limite delle loro forze fisiche, portarono con sé storie e leggende sui loro dei, i canti e i ritmi dei tamburi, che furono punti di partenza per la formazione culturale di Cuba.

L’incontro
La Santería è la pratica religiosa più diffusa a Cuba. Rómulo Lachatañeré afferma: “Dal contatto fra le religioni africane e la cattolica nacque un dio nuovissimo, a cui si attribuì il nome di Santo e la cui identità deriva dall’incontro fra gli dei africani e i santi cattolici, perciò questo nuovo culto ricevette il nome di Santería”. Il processo di transculturazione avvenne tra tutte le tendenze religiose africane e il cattolicesimo, ma è più evidente nella Santería, culto di profonda influenza Yoruba.
Gli spagnoli introdussero la religione cattolica che, insieme alla monarchia, divenne uno strumento di potere e di governo nelle loro colonie, quando i re di Spagna assegnarono una funzione di primaria importanza all’evangelizzazione durante il processo della colonizzazione.
I neri cominciarono quindi a praticare molti riti cattolici come il battesimo e la messa, ma la mancanza di una coscienza del processo fece diventare l’evangelizzazione di massa degli schiavi soltanto un formalismo che li portò ad identificare gli Orichas con i santi cattolici: gli originali valori religiosi dei neri furono occultati o si trasformarono per adeguarsi alla fede europea.
L’ignoranza degli spagnoli per la cultura e la religione dei neri, così come la complessità e il distacco del dogma cattolico, contrapposti al carattere concreto e immediato delle credenze africane, portarono gli schiavi a mantenere la loro antica fede, assimilando alcuni concetti della religione cattolica, per fare così sorgere, come dice Natalia Bolìvar, “una religione cubana”.
Questa religione è stata, indubbiamente, il fondamento della formazione di una nuova nazionalità, caratterizzata da una identità razziale meticcia.

Il dialogo
Durante le feste religiose, i neri, organizzati in confraternite e in Cabildos, prendevano parte alle processioni dei bianchi cattolici. Ciascuna confraternita o Cabildo aveva un santo cattolico come patrono, anche se i loro membri si radunavano, più che per ragioni religiose, per ragioni culturali, etniche e di status sociale. Erano raduni più mondani che religiosi.
Di solito accadeva che, finita la processione cattolica, i neri festeggiassero i loro Orichas con canzoni, danze e suoni di tamburo. Ad esempio, il 24 settembre prendevano parte alla messa e alla processione della Madonna della Carità, e la sera, con il permesso delle autorità, cioè “sotto l’egida cattolica” suonavano per Obatalá. I neri battezzavano i loro figli, partecipavano alla messa, e rispettavano la Settimana Santa, durante la quale non si celebrava nessun rito della Santería.
Con il passare degli anni, gli Orichas cominciarono a chiamarsi Santi e l’allegra e libertina Ochún diventò la Madonna della Carità, mentre il focoso, virile e festaiolo Changó venne a sovrapporsi alla figura di una fanciulla medievale canonizzata in Polonia, Santa Barbara. Così l’impetuosa Yemayá si convertì nella Madonna della Regola, patrona dei pescatori e della Baia dell’Avana, che oggi ha il suo santuario situato nel paese oltre la baia che porta il suo nome.

Ochún
Ochún si sincretizza con la Madonna della Carità, patrona di Cuba e la sua festa è il 12 settembre, anche se nelle ultime decadi alcuni fedeli le rendono omaggio l’8 settembre dello stesso mese.
Ochún è la patrona dei fiumi, dei fiumiciattoli e dei torrenti. E’ allegra, civetta, coccolona, leziosa, ballerina, accattivante, orgogliosa, arrogante: è l’immagine della mulatta cubana, moglie di Orula e amante di Changó. Ha anche un amico e complice in Elegguá che è sempre disponibile a proteggerla.
E’ anche patrona dell’oro, del bronzo e del denaro: è la dea dell’amore e del piacere, la protettrice delle donne incinte. Il suo numero è il 5, perciò usa cinque bracciali d’oro che fa suonare con grazia, annunziando a tutti la sua presenza. Ama i ventagli, ride sempre con una risata melodiosa, provocante e sensuale. Rappresenta la dolcezza: le appartengono il miele e la cannella che utilizza per affascinare, conquistare e sottomettere gli uomini.
“E’ più facile che si stanchi il fuoco del legno e il mare dell’acqua che Ochún degli uomini” dice una massima Yoruba. Ama moltissimo i suoi figli, li protegge e li aiuta; ma attenti a disubbidirle, il miele può trasformarsi in fiele.
La leggenda racconta che Ochún, la bella fra le belle, passeggiava sulla montagna cantando e parlando con gli animali della foresta. Oggún, il guerriero solitario, protettore del ferro e signore della tormenta e delle guerre, la vide passare ed il suo cuore fu trafitto da tanta grazia. Impetuoso e brutale com’era, la rincorse, deciso a possederla. Ochún, innamorata di Changó, sentendosi in pericolo, si mise a correre agile come il vento. Ma Oggún, ardente e violento, la stava raggiungendo e alla disperata Ochún non rimase che gettarsi nel fiume ed affidarsi alla corrente. Yemayá, madre di tutti gli Orichas, la vide e le venne in aiuto; commossa dal suo racconto la prese sotto la sua protezione e le regalò il fiume perché potesse vivere. Per rallegrarla la coprì di gioielli, di coralli ed altre ricchezze. Per questo Ochún vive nei fiumi ed è eternamente riconoscente a Yemayá.