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Il piacere di scoprire - Richard P. Feynman


lunedì 03 marzo 2003 legge Roberto Bigoni
Il direttore di “Le Scienze”, Enrico Bellone, nel presentare questo libro ai suoi lettori nel numero di Gennaio 2003, dice di R. Feynman che “è uno dei più grandi filosofi della natura che siano mai vissuti”. Ma Feynman (1918-1988), premio Nobel per la fisica nel 1965, è sempre stato piuttosto sospettoso nei confronti della filosofia (è notevole il racconto del suo scontro con Spinoza).Anche quando affronta temi ‘filosofici’, Feynman lo fa con la stessa naturalezza ironica e scanzonata con cui affronta i più ardui temi della ricerca fisica della seconda metà del Novecento. Ben noto ai fisici per un suo manuale universitario adottato da quarant’anni in università di tutto il mondo, è probabilmente poco conosciuto in Italia non solo dal grande pubblico ma anche da persone di buona cultura. La sua figura è però sicuramente degna di maggior notorietà, non solo per i meriti strettamente scientifici e didattici, ma anche per l’impegno profuso nel tentativo di abbattere le barriere che hanno spesso isolato la ricerca scientifica dal resto della società e sterilizzato le influenze che categorie mentali e metodi operativi elaborati dagli scienziati avrebbero potuto avere su di essa.






(La Bottega dell'Elefante. Roberto Bigoni legge da Richard P. Feynman, Il piacere di scoprire Bologna 3 marzo 2003)

Richard P. Feynman
QUAL'È E QUALE DOVREBBE ESSERE IL RUOLO DELLA CULTURA SCIENTIFICA NELLA SOCIETÀ MODERNA

Sostengo, ma penso che tutti voi lo sappiate per esperienza, che le persone - intendo le persone normali, la grande maggioranza, l'enorme maggioranza delle persone - sono tristemente, deplorevolmente e assolutamente ignare della scienza del mondo in cui vivono, e possono tranquillamente restare tali. Non voglio demonizzare nessuno, dico soltanto che possono vivere senza sentirsi minimamente turbate, o solo di tanto in tanto, quando per esempio leggono su un giornale qualcosa a proposito della conservazione CP, e allora chiedono che cosa vuoi dire. Una domanda interessante in merito ai rapporti tra scienza e società è proprio questa: come mai tanti possono restare talmente ignoranti e vivere ragionevolmente felici in una società come la nostra, ove una così gran parte della conoscenza è loro preclusa?
Per inciso, il signor Bernardini ha detto che noi dovremmo insegnare conoscenza, non meraviglie.
Forse diamo alle parole significati diversi, ma io penso che dovremmo invece insegnare cose mirabili e che lo scopo della conoscenza sia meravigliarsi sempre di più, e che conoscere significa proprio inquadrare in modo corretto quella meraviglia che è la natura. Egli tuttavia sarà d'accordo con me sul fatto che ho giocato un poco sulle parole, rigirandole nel discorso. In ogni modo, vorrei rispondere alla domanda su come si possa restare beatamente ignoranti su queste cose nella società moderna. La risposta è che la scienza è del tutto marginale. Fra un minuto spiegherò che cosa intendo. Non dico che sia inevitabile, ma di fatto si lascia che la scienza sia una presenza estranea nella società. […]

Oltre alle applicazioni e alle nuove cose che si scoprono, gli altri aspetti importanti - e talvolta problematici - della scienza sono le idee e i metodi di indagine: i mezzi, se volete. Mezzi talmente ovvi ed evidenti di per sé che si stenta a capire come mai non siano stati scoperti prima; idee semplici - provandole vedi subito quel che succede. Probabilmente tutto dipende dal fatto che la mente umana si è evoluta da una mente animale, e si è evoluta in un certo modo, che è quello con cui si evolvono i nuovi strumenti; e come ogni nuovo strumento è tutt'altro che immune da imperfezioni. In particolare si lascia facilmente fuorviare dalle sue stesse superstizioni, e tende a confondersi. Ma alla fine si è scoperto un sistema per mantenerla, per così dire, in riga, in modo che gli scienziati possano fare qualche passo innanzi invece di girare inutilmente a vuoto e ficcarsi in vie senza uscita. Penso che questa sia la sede ideale per discutere l'argomento, perché gli inizi di questa scoperta risalgono ai tempi di Galilei. Tutti naturalmente conosciamo queste idee e questi metodi; mi limiterò quindi a una rapida scorsa. Ancora una volta, se dovessimo rivolgerci ai non addetti ai lavori saremmo obbligati a scendere nei particolari. Questi richiami servono solo a chiarire in modo più specifico ciò di cui sto parlando.
La prima cosa è la valutazione delle prove; be', non precisamente: la condizione preliminare, infatti, è di non sapere la risposta, così da iniziare in uno stato di incertezza su quale sarà il risultato. Questo aspetto è talmente importante che vorrei dedicarvi più tempo e magari riprenderlo più in là. Il dubbio e l'incertezza sono fondamentali; infatti, se si sapesse già la risposta non vi sarebbe bisogno di andare alla ricerca di prove. Nell'incertezza la prima cosa da fare è mettersi in caccia, e il metodo scientifico corretto è di iniziare per tentativi. Un'altra strategia, che va sempre tenuta presente ed è di vitale importanza, è di organizzare le idee in modo che quanto già si conosce risulti logicamente coerente. È fondamentale provare a collegare questa cosa - che conosciamo - con l'altra - anch'essa nota - e verificare se sono coerenti. E più ci sforzeremo di unificare idee eterogenee, meglio sarà.
Dopo aver raccolto i dati, dobbiamo valutarli. E qui vi sono regole d'uso comune. Non è corretto scartare ciò che non ci piace, bisogna considerare tutto, sforzandosi di mantenere una qualche obiettività, almeno quanto basta per procedere, per non dover ricorrere infine all'autorità. Nella ricerca della verità, quest'ultima può offrire suggerimenti, ma non può essere una fonte di informazioni. Per quanto è possibile, si deve prescindere dal principio d'autorità quando le osservazioni siano in disaccordo con essa. E da ultimo, la registrazione dei risultati va fatta in modo «disinteressato», un'espressione abbastanza curiosa che mi mette sempre un po' a disagio. Sembrerebbe che dopo un simile lavoro non ci si debba minimamente curare di quel che vien fuori, ma non è esattamente così. Qui disinteresse significa che i risultati non vengono riferiti in modo da indirizzare il lettore verso una idea diversa da quanto indicato dalle prove. […]

Ora toccherò un argomento che per alcuni rimane controverso, ma non per me. Infatti io credo ancora che nel valutare le prove sperimentali, nel documentarle e così via, gli scienziati avvertano una certa responsabilità verso i colleghi che può essere definita come una forma di etica. Qual è il modo corretto di presentare i risultati, e quale quello sbagliato? Bisogna innanzitutto essere imparziali, in modo che chiunque legga possa farsi un'idea precisa di quello che si sta dicendo, ed evitare il più possibile di sovrapporre il filtro dei propri desideri.
Un simile comportamento, in quanto favorisce la comprensione reciproca e lo sviluppo disinteressato di idee generali, ha di per sé un grande valore. E in questo c'è, se volete, un'etica scientifica. Auspico, pur senza alcuna speranza, che essa diventi patrimonio di molti. Questa idea, questo tipo di moralità scientifica, dovrebbe far sì che parole come «propaganda» diventassero parole sconce. Se gli abitanti di un paese riuscissero a parlare senza pregiudizi degli altri paesi sarebbe un miracolo infinitamente più grande delle guarigioni di Lourdes! La pubblicità, per esempio, è un modo scientificamente immorale di presentare i prodotti. È una immoralità tanto diffusa che ormai vi abbiamo fatto l'abitudine e non la consideriamo più una cosa negativa. Penso che sia importante intensificare i contatti tra gli scienziati e il resto della società per sensibilizzare la gente, in qualche modo risvegliandola, sui rischi derivanti dalla mancanza di informazione, o dal non avere sempre una informazione interessante. […]

E ora passiamo a quella che a mio avviso è la questione importante e più seria, riguardante il dubbio e l'incertezza. Uno scienziato non può mai essere del tutto sicuro, e questo lo sappiamo. Sappiamo che ogni nostra conoscenza è approssimata e consiste in affermazioni con differenti livelli di certezza non ci chiediamo quindi se un'affermazione sia corretta o sbagliata, ma con quale probabilità lo sia. Non «Esiste Dio?», ma «Qual è la probabilità che questa affermazione sia vera? ». Dal punto di vista religioso è un mutamento drammatico; e pertanto tale punto di vista è non scientifico.
Nell'analisi di ogni problema dobbiamo ammettere margini di incertezza. Man mano che i dati sperimentali si accumulano la probabilità che una certa ipotesi sia vera può aumentare o diminuire; ma non si ha mai l'assoluta certezza che le cose stiano in un modo o nell'altro. Abbiamo imparato che ciò è di straordinaria importanza per poter progredire. Se non ammettessimo il dubbio non vi sarebbe progresso. Non c'è apprendimento senza domande, e queste presuppongono il dubbio.

La gente chiede certezza, ma questa non esiste. «Come faccio a vivere senza sapere?». Non è così difficile, perché in realtà si crede di sapere. La maggior parte delle nostre azioni si basa su conoscenze incomplete: non sappiamo come funziona la faccenda, quale sia lo scopo del mondo, e anche sul resto non sappiamo granché. Sì, è possibile vivere e non sapere.
Ora la libertà di dubitare, che è fondamentale per lo sviluppo della scienza, è nata da una lotta secolare contro l'autorità costituita - la Chiesa -, che aveva una soluzione per ogni problema. Simbolo e massimo campione di quella lotta è Galileo Galilei. E nonostante egli sia stato formalmente costretto all'abiura, nessuno prende sul serio la sua confessione.
Non credo che dovremmo imitare Galileo e abiurare anche noi. Ci sembra insensato - come insensato è il fatto che la Chiesa faccia continuamente richieste insensate. Siamo solidali con Galileo come lo siamo con i musicisti e gli artisti dell'Unione Sovietica che sono stati costretti all'autocritica, anche se negli ultimi tempi, fortunatamente, il loro numero sembra sia diminuito. Ma l'abiura, anche quando è predisposta in modo intelligente, è assurda. È fin troppo ovvio, per chi giudichi dall'esterno, che non vada neanche presa in considerazione, e che la ritrattazione di Galileo non fornisce nessun elemento a chi intenda dimostrare checchessia su di lui, eccetto forse che era vecchio e che la Chiesa era potentissima.
Che Galileo avesse ragione non è essenziale; lo è invece che si sia cercato di eliminarlo.
E' triste, se ci guardiamo intorno, constatare quanto poco abbiamo realizzato rispetto a quelle che sappiamo essere le potenzialità dell'essere umano. Le genti del passato, nell'incubo di quei tempi, sognavano il futuro. Ora che il futuro si è avverato vediamo che molti di quei sogni sono stati superati, ma molti sono rimasti gli stessi di allora. Nei secoli passati vi sono stati grandi entusiasmi ogni volta che questo o quel metodo prometteva di risolvere un problema. Si pensava che l'ostacolo alla piena realizzazione dell’umanità fosse l'ignoranza. L'istruzione universale era la soluzione: saremmo diventati tutti dei Voltaire e avremmo sistemato tutto. L'istruzione universale è probabilmente un'ottima cosa, ma si possono insegnare il bene e il male, la verità e la menzogna. Lo sviluppo delle comunicazioni, frutto del progresso tecnologico, può certamente migliorare le relazioni tra i popoli. Ma tutto dipende da ciò che si comunica. Si possono diffondere verità o bugie, minacce o segni d'amicizia. V'erano grandi speranze che le scienze applicate potessero liberare l'uomo dai suoi guai fisici e, in medicina per esempio, pare che la cosa abbia funzionato. Eppure, proprio in questo momento vi sono scienziati che nel segreto dei loro laboratori fanno del loro meglio per creare malattie che il loro rivale non saprà curare.

Ci illudiamo che la liberazione dalla povertà materiale possa risolvere ogni problema. Non vorrei essere frainteso. Anch'io penso che tutti dovrebbero avere il necessario. Non sto dicendo che non si dovrebbe tendere a questo traguardo; che non dovremmo diffondere l'istruzione, sviluppare i mezzi di comunicazione o migliorare le condizioni economiche. Dubito tuttavia che sia una panacea; infatti dove c'è benessere troviamo una valanga di nuovi problemi - o, probabilmente, di vecchi problemi che sembrano solo un po' diversi perché si da il caso che conosciamo abbastanza la storia.
Insomma oggi non ce la passiamo tanto bene non mi pare che abbiamo avuto molto successo. Uomini di tutte le epoche hanno cercato di svelare il segreto dell'esistenza, il significato del Tutto, nella convinzione che se si potesse dare un senso alla vita, tutto questo sforzo, tutta la meravigliosa potenzialità degli esseri umani, potrebbe essere indirizzato nella giusta direzione e potremmo marciare verso un radioso futuro. E così abbiamo sperimentato diverse idee. Ma a questi grandi interrogativi sul significato dell'universo, della vita e degli esseri umani sono state date nei millenni le risposte più diverse. I sostenitori di una teoria guardavano con orrore alle azioni dei seguaci di un'altra. Orrore per le terribili azioni compiute e perché una rigida visione del mondo indirizzava le meravigliose potenzialità umane in un vicolo cieco. È proprio l'enormità dell'orrore a farci vedere con maggiore chiarezza le nostre grandi potenzialità e forse è questo che ci fa sperare di poter migliorare se riusciremo a muoverci nella giusta direzione.
Quale è dunque il significato di tutto questo? Cosa possiamo dire intorno al mistero della vita? Dopo aver studiato tutte le opinioni di chi ci ha preceduto, dobbiamo concludere di non sapere nulla; ma con questa ammissione abbiamo probabilmente trovato il canale aperto - procedere lasciando spazio alle alternative, senza entusiasmarci per i nostri risultati, la nostra conoscenza, la verità assoluta, ma rimanendo sempre incerti -, scoperto che possiamo azzardarci. Gli inglesi, che su questo principio basano la loro politica, parlano di «arrangiarsi» e per quanto possa sembrare stupido, è il modo più scientifico di progredire. Pretendere di sapere in anticipo la soluzione non è scientifico. Per fare progressi si deve lasciare socchiusa la porta sull'ignoto. Siamo solo all'inizio dello sviluppo della razza umana, dello sviluppo della mente umana, della vita intelligente, abbiamo anni e anni davanti a noi. È nostra responsabilità, oggi, rifiutare di dare la risposta conclusiva, evitare di guidare tutti quanti in una determinata direzione affermando: «Questa è la soluzione definitiva». Perché così ci incateneremmo ai limiti che ha oggi la nostra immaginazione. Saremo in grado di fare solo quelle cose che oggi pensiamo debbano essere fatte. Mentre se lasciamo sempre spazio al dubbio, alla discussione, e procediamo in un modo analogo a quello delle scienze, non ci troveremo in questa difficoltà. Credo quindi che, anche se oggi non ci sono le condizioni, verrà il giorno in cui ci si renderà conto, spero, che il potere del governo dovrebbe essere limitato, che i governi non dovrebbero essere autorizzati a decidere della validità delle teorie scientifiche e che è ridicolo cercare di farlo. E che essi non sono lì per decidere sulle varie letture della storia, sulla teoria economica o sulla filosofia. Solo in questo modo le reali possibilità dell'umanità futura si potranno alla fine sviluppare. (pp. 109 e sgg.)

CHE COS’E’ LA SCIENZA

Per rendere più chiaro il concetto prenderò a bersaglio della mia critica un testo scolastico...
Questo libro per la scuola elementare fin dalla prima lezione insegna la scienza in modo infelice, poiché parte da una concezione sbagliata della scienza.
C’è il disegno di una cane, un giocattolo a molla, una mano carica la mola e il cane comincia a muoversi. Sotto l’ultimo disegno si legge la domanda: “Che cosa lo fa muovere?”. Segue il disegno di un cane vero e la domanda: “Che cosa lo fa muovere?”. Dopo si vede il disegno di un ciclomotore con la didascalia: “Che cosa lo fa muovere?”. E così via.
Subito pensai che gli autori si preparassero a dire di che cosa si occupa la scienza: fisica, biologia, chimica. Ma non è così. La risposta si trovava nell’edizione per l’insegnante. La cosa che avrei dovuto imparare era: “lo fa muovere l’energia”.
L’energia è un concetto abbastanza sottile. Non è facile capire l’energia abbastanza bene da usarla nel modo giusto, così da giungere a conclusioni corrette. E’ una cosa che supera la portata della scuola elementare. Sarebbe stato lo stesso se avessero detto: “lo fa muovere Dio” o “lo fa muovere lo spirito” o anche: “lo fa muovere la mobilità”. (In realtà è altrettanto corretto dire: “lo fa fermare l’energia”).[…]

Supponiamo che un ragazzo dica: “Non ci credo che sia l’energia a farlo muovere”. Che cosa gli rispondereste? Alla fine ho scoperto un sistema per verificare se ciò che si è insegnato è una vera idea o una semplice definizione. Si fa così, dite: “Senza usare i termini nuovi che hai appena ascoltato, spiegami con parole tue quello che hai capito”. oppure “Senza usare la parola ‘energia’ dimmi quello che ora sai del movimento del cane”. Non può dire nulla. Quindi non avrà imparato nulla, tranne la definizione. Nulla che sia vera scienza.

IL PIACERE DI SCOPRIRE

Grazie al successo della scienza è nata una sorta di pseudoscienza. Le scienze sociali costituiscono un esempio di scienza che non è scienza. I suoi cultori non fanno le cose in modo scientifico. Certo, seguono protocolli, raccolgono dati, si agitano molto, ma non hanno ancora trovato nessuna legge, non hanno scoperto nulla. I cultori delle pseudoscienze non sono arrivati da nessuna parte, e anche se forse un giorno lo faranno, al momento la loro scienza non è
molto ben sviluppata e lo stato dell'arte è ancora a un livello molto superficiale. In ogni campo abbiamo « esperti » che passano per scienziati. Non lo sono affatto, si siedono davanti a una macchina per scrivere e inventano qualcosa come: oh, gli alimenti biologici, ottenuti con fertilizzanti naturali sono migliori di quelli coltivati con fertilizzanti chimici. Può essere vero, ma può anche non esserlo, dato che non è stata dimostrata ne l'una ne l'altra cosa. Ma loro si siedono alla macchina per scrivere e costruiscono queste argomentazioni come se si trattasse di scienza e poi diventano esperti in alimentazione, cibi naturali e così via. Ci sono in giro ogni sorta di miti e di pseudoscienze.
Può darsi che mi sbagli, magari è gente che sa quel che dice, ma io non credo. Rispetto a loro ho un vantaggio: ho scoperto quanto sia duro il cammino verso la conoscenza, quanta cura occorra nel controllare gli esperimenti e quanto sia facile compiere errori e prendere abbagli. So cosa vuoi dire conoscere una certa cosa e poiché vedo in che modo ottengono le loro informazioni, non credo proprio che la conoscano: non hanno fatto il lavoro necessario, non hanno fatto le verifiche necessarie, non hanno raggiunto la precisione necessaria. Ho il forte sospetto che ignorino che tutta questa merce è avariata e che confondano le persone. Io la penso così. Non conosco il mondo molto bene, ma la penso così. (p. 21)

(Richard P. Feynman, Il piacere di scoprire, (The Pleasure of Finding Things Out), Milano, Adelphi Biblioteca scientifica, 2002)