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Il cuore della scrittura - Madres de Plaza de Mayo



Introduce Luis Borri   
lunedì 03 novembre 2008
Plaza de Mayo a Buenos Aires è il luogo dove si sono ritrovate per la prima volta le madri dei desaparecidos durante la dittatura militare in Argentina. Per ricordare e rivendicare la scomparsa dei loro figli, queste donne coraggiose continuano da anni ogni giovedì pomeriggio a incontrarsi nella piazza e a percorrerla in senso circolare. Tutte portano un fazzoletto bianco annodato in testa che originariamente era stato il primo pannolino utilizzato dai loro figli neonati. E’ diventato il loro simbolo.
Da semplici donne, madri "pazze" di dolore per la scomparsa dei figli, poco per volta hanno trasformato il loro dramma in un’azione collettiva per capire e cambiare il mondo, diffondendo una cultura dei diritti civili, aprendo scuole nella periferia di Buenos Aires, una Libera Università e una casa editrice, nonché un centro agroalimentare
Questa sera dedichiamo la nostra lettura alla loro esperienza di Laboratorio di Scrittura, nato per dare voce e forza poetica al bisogno espressivo dettato da una così devastante esperienza politica. In esso ha avuto origine il testo poetico collettivo che leggeremo.
Il 17 ottobre 2007 le Madres de Plaza de Mayo sono state insignite della laurea honoris causa dalla facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna.
Luis Borri collabora con l'Associazione delle Madres da 30 anni; prima all'estero, quale esule e membro del gruppo di sostegno alle Madres in Svezia e poi in Italia. Dal 2003 lavora presso la sede dell'Università Popolare creata dalle Madres a Buenos Aires nel 2001. Ha collaborato alla traduzione dell'edizione in lingua italiana del testo “Il cuore nella scrittura”.


Il cuore nella scrittura
Poesie e racconti del Laboratorio di Scrittura
delle Madres di Plaza de Mayo
Ediciones Asociaciòn Madres de Plaza de Mayo, 2003
Edizione italiana a cura di Daniela Padoan

La tendadi Hebe
Posata sul suolo pulito piegata in tante parti verde come tutte le altre
sto qui ad aspettare che i manovali vengano a mettermi in piedi
hanno già piantato il palo maestro
adesso stanno passando attraverso le mie asole le corde che faranno da
tiranti forti per sostenermi
sono contenta perché questa notte quando saranno le nove si apriranno
le mie porte che sono le mie viscere entreranno centinaia di
bambini allegri e ansiosi di vedere lo spettacolo
le tigri, i leoni e gli orsi sono già pronti
i pagliacci nei loro camerini si dipingono enormi bocche e sopra la
guancia una lacrima
i trapezisti pieni di paura dissimulata si apprestano a saltare,
calzamaglie aderenti corpetti brillanti scarpette leggere.
Il sole ha riscaldato il mio corpo e adesso con la notte sento l’umidità
che sgocciola acqua fino a bagnare l’erba,
quell’erba tanto calpestata;
dietro di me il padrone del circo, vecchio stanco ma sognatore,
chiacchiera con i manovali e si preoccupa di me, dice sarà ben
montata, i tiranti saranno a posto, le uscite e le entrate ben
sorvegliate.
Quello che il signor Anselmo non sa è che quando sono mossa dal vento
allento qualche tirante e da lì accovacciati quasi
strisciando passano i bambini che non possono pagare il
biglietto. Quanta allegria in quelle facce che riescono a sognare
sotto il mio abbraccio, sotto il mio tetto.
Quando si siedono nelle ultime file
aspettano fermi mi guardano e dicono: ehi, guarda che palo alto,
quante corde, da lì arriveranno gli acrobati
In quel momento l’orchestra parte con forza e dalla mia cima saltano i
trapezisti, le corde si tendono a volte mi fa male dover fare tanta
forza ma so che da questo dipendono le loro vite;
la gente applaude ad ogni salto, ad ogni piroetta che spiccano in aria
con l’ultimo salto mortale mi riposo un po’ e mi godo l’allegria dei
pagliacci delle risate dei bambini, le migliaia di lampadine che
pendono da me si spengono lentamente e piano piano portano la
gabbia con le tigri e i leoni: poveretti, così forti e prigionieri, il
domatore saluta e la gente applaude, quello che non sa è che
applaudono le fiere che ruggendo attraversano cerchi di fuoco.
Lo spettacolo sta arrivando alla fine sono ancora più verde di rugiada
e più illuminata dalla luna
quando si spengono le luci che sono i miei occhi il silenzio mi invade
il palo maestro senza che nessuno lo sappia si abbassa un po’ e
così mi permetto di allentare la tensione
ascolto solo il battito del mio cuore che è il tamburo che il pagliaccio
suona come se fosse un tam-tam di dolore.

Le porte
di Hebe
Mi vengono in mente tante porte,
quelle della mia infanzia, mai chiuse a chiave
quelle della mia scuola, aperte, pulite,
quelle della sala parto, solide, leggere, a battente
e all’improvviso quelle dei commissariati, delle caserme e della chiesa
che ci venivano sbattute in faccia con violenza, sapendo che lì dietro
di certo c’erano i nostri figli
Quante porte quanta vita
quanta morte dietro di esse.
Per questo la cosa più bella è la Piazza
perché non ha porte.
Per questo lì è tutto molto più chiaro.

Sono qui!di Aline
Di fronte a casa mia ci sono
quattro alberi. Ogni mattina
li penso – mi sveglia
il cinguettio degli uccelli che
cominciano
il giorno tra i loro rami.
Potati
e curati gettano ombra
sulle siepi di ligustro. Mi
ricordano
altri tempi, quando c’erano
bambini nella mia casa che ci si arrampicavano
felici a giocare. Ascolto ancora
le loro urla: mio figlio sporgeva
la testa tra le fronde
e mi chiamava, come fanno i passeri
all’alba. Sono qui!
Con passeri, senza bambini
mi sveglio emozionata
all’ombra delle loro voci.

Madre compañeradi Mimì
Mi appoggio a te, Madre compañera.
la vita è un torrente di accadimenti imprevisti.
Mi spaventa il domani
dopo quel ieri
che mi fece sentire la morte
e uccise la vita.
L’insicurezza mi accompagna
da quel giorno in cui abbandonai la mia casa
per cercare giustizia.
Ho bisogno della tua forza e della tua comprensione
per sconfiggerla.
Mi appoggio a te
per potermi sfidare e lottare
per la verità.
Se campi devastati
tornano a fiorire
tutto può cominciare nuovamente
in questa mattina di primavera
in cui sei venuta a prendermi.
Uscire fuori a vivere senza paure
sfidando la vita
nei suoi momenti più inattesi e tristi.
Mi appoggio a te e tutto mi accompagna.
Rivivono le mie ansie
sopravvivo, sorrido
recupero le mie forze.
Succede semplicemente
come tutti i giorni.
E’ la vita che arriva
si ferma accanto a me
si mette in piedi e
“andiamo insieme”
mi dice.
“Ogni passo sarà
un passo più avanti”.

Un poemadi Juanita
L’orologio mostra
l’inizio di un nuovo giorno
albeggia
le strade sono deserte ancora,
le finestre, non tutte, hanno
una luce biancastra
qualcuno si è già svegliato.
Il giorno avanza implacabile.
Già si riempiono le strade
di gente che cammina
che non si ferma, spinta dal tempo
a continuare, non si ferma
e continua, come il vento
come la vita stessa.
La penombra si dissipa lentamente
passi affrettati attraversano la strada
altri cadenzati, chissà, da obblighi più lievi.
Comunque procedono e si allontanano
in tutte le direzioni,
come la vita, come
a volte l’amore.

Le mie mani
di Hebe
Le mie mani cullarono sogni.
Le mie mani cullarono bimbi.
Le mie mani hanno accarezzato tanto.
Le mie mani hanno seminato la terra.
Si sono svuotate, le mie mani, un giorno.
Si sono riempite di orribili silenzi.
Ma un giorno i miei sogni chiusi
mi hanno ridato la forza e i sogni.
Con le mie mani scrivo ai miei figli.
Con le mie mani abbraccio i giorni.
Con le mie mani stringo le altre
che mi offre generosa la vita.

La casa
di Juanita
Continuo a vivere
in questa stessa casa.
La casa in cui ho allevato i miei figli.
la casa in cui ancora
i muri parlano
dei loro giochi, delle loro allegrie
la casa che li ha visti crescere
e che li ha sentiti parlare delle loro inquietudini
di adolescenti.
La casa che dopo
mi ha visto soffrire
il brusco cambiamento
e lo strappo del dolore
per la scomparsa
di Alberto.
Questa stessa casa
che parla del passato
è quella che ancora
custodisce il mio presente.

La culla
di Hebe
Ogni colpo del martello
con cui lui costruiva la mia culla
risuonava nel tuo ventre
che tranquilla abitavo
Il legno scelto
a volte si fendeva
quando il chiodo con forza
penetrava nelle sue viscere
Ti muovevi a fatica
quando offrivi il mate
Sentivo i battiti
pulsarti nella pancia
Quale nome mi avresti dato
quello del santo del giorno
o quello del nonno morto
o quello scelto da te?
Quale colore ha il cielo
che si vede dal patio
Quale odore mi arriva soave
incredibile di gelsomini?
Quando dormi tranquilla
distesa sull’amaca
già stai cullando il sogno
la vita, la speranza.

La notte tragica
di Cota
Il giorno era bello, tranquillo,
senza ombre, all’improvviso
tutto si oscurò, completamente,
come se, in una stanza chiusa
si spegnesse
d’un tratto la luce.
Giravo e giravo cercando di
trovare qualcosa a cui aggrapparmi,
qualcosa che mi indicasse
dove fosse la porta. Mi sentivo terribilmente
male, era come un incubo.
In questo andare a tentoni
ho preso un colpo
che mi ha stordita.
Dopo essermi
ripresa riuscii a scorgere
un lumicino che mi diede
forza e man mano che la
luce aumentava credetti
che presto avrei raggiunto
la tanto sospirata porta;
nel frattempo la forza aumentava
e vidi le cose in un’altra
maniera. Questa luce è
diventata parte della mia
vita e illumina per sempre
il cammino che mi sono
tracciata.

Due poesie
di Mimì
1
Tutto dice la tua assenza
il violoncello in un angolo
muto
con il pastore tedesco
accovacciato in un angolo
ad aspettarti
per addormentarsi con la tua
musica.
la scrivania coperta
di appunti
pieni di numeri,
e dischi abbandonati
- di Vivaldi, il tuo preferito
e tra questi qualche tango
dei vecchi tempi,
per me.
Il teatrino delle marionette
che avevi costruito con tuo fratello
e i tuoi amici
- il quadernetto con le
sceneggiature
che scrivesti
con passione
sociale -
E i bambolotti
che attendono che tu gli
dia vita
nuovamente.
Nel patio, sotto la vite
le due sedie a dondolo
dove chiacchieravamo
nel tardo pomeriggio della
provincia
e mi insegnavi
a conoscere la tua lotta
per la verità, la libertà
Tutto dice la tua assenza
e sarà così
eternamente
nella mia memoria.
2
Sento le mie mani
fra le tue
le tue stesse mani
figlio, che accarezzarono il
mio petto
quando ti allattavo
le tue stesse mani che coprivo di baci
mentre dormivi
nel tuo lettino
e che guidavo
ridendo insieme
per aiutarti a scrivere
Mimì e Tata
Le tue stesse mani,
figlio
con cui un giorno
mettesti tra le mie
il tuo diploma
con quelle stesse mani
e quelle di tuo fratello
creasti un vincolo d’amore
d’amore eterno
- con loro scrivesti
i tuoi pensieri
e quella lettera – in cui dicevi
che eri papà
sento le tue mani, figlio
le stesse mani
che un giorno mi rubarono
gli assassini.
Io le ho cercate
disperatamente. Piansi
molto. Tutto fu inutile.
Ma ancora le sento
e non smetto di sognare
né di lottare
per averle tra le mie
negli ultimi momenti
della mia vita.

Cara Gioconda
di Hebe
Mi sono decisa a scriverti dopo aver visto il tuo quadro con quel sorriso burlone diventato pubblicità della “University”. Sono sicura che tu non hai mai pensato che un quadro così famoso sarebbe diventato una pubblicità; la cosa più penosa è che sembra che lì non insegnino niente, o peggio ancora, ti riempiano di compiti da studiare, ma per far sì che tu non arrivi a niente.
Ma vabbe’, il motivo della mia lettera è un altro. Ti ricordi di quando eravamo piccole? Io volevo molto bene a Sarmiento* e tu mi dicevi che ti sembrava un vecchio permaloso. Bene, adesso che sono vecchia e sto cercando di scrivere qualcosa sulla mia storia e su quella della mia famiglia, il professore del laboratorio è entusiasta e dice che ce la caviamo abbastanza bene. Come mi piacerebbe che tu potessi leggere i testi e che mi dicessi cosa ne pensi, ma siccome sei morta da tanto tempo è certo che non ti sarà possibile.
Ti immagino anche mentre leggi, ma sempre con quel sorriso burlone. Mai ho potuto immaginarti con un’altra faccia, con altri vestiti. Hai scritto qualcosa, qualche volta? Qualche volta hai coperto il tuo decolleté? Mangiavi, dormivi, sognavi, amavi?
Povera cara Gioconda, ti hanno messo nel quadro e sei rimasta lì per sempre, alcuni dicono come simbolo del sorriso dolce, della perfezione, ma per me, amica mia, sei il simbolo della solitudine e dell’infinito. Se tu avessi potuto partecipare al laboratorio, forse il pittore ti avrebbe dipinto più umana, con grandi occhi pieni di lacrime, che di sicuro avrebbero illuminato quel sorriso che ti ha reso inesplicabilmente famosa, il vestito sarebbe di colori vivi; e sono sicura che avresti imparato a fuggire da quell’orribile quadro per venire i giovedì in piazza con noi.
Cara Gioconda, spero che tu mi scriva presto. Il mio indirizzo è quello di sempre: via Speranza, quasi Utopia.
Con amore, Hebe Bonafini
PS
Di’ a Leonardo che l’aereo che mi ha mandato non vola.
* Padre della patria argentino

Come socializzare un pollo una ricetta di Hebe
Ingredienti: 1 pollo
sale
1 buon coltello
1 figlio, 1 nuora molto affettuosi che abbiano necessità
di far durare un pollo per 4 giorni, condividendolo con
altri
1 gruppo di giovani militanti
1 pentola, 1 padella
1 pirofila, 1 cucchiaio
1 madre ben disposta
Preparazione:
La Mamma ben disposta pulisce bene il pollo e con il buon coltello lo taglia a pezzi; da un lato si mettono i teneri petti, dall’altro le cosce; in un piatto si mettono le frattaglie e nella pentola la carcassa. Voi, ali, volate! Siccome i petti rendono molto, si fanno a filetti, si salano e si impanano. Le patate si rosolano in olio non troppo caldo, insieme alle cosce, e si servono con pomodori e cipolle ben condite. La Madre mette nella pentola la carcassa, le frattaglie, acqua, verdure, riso e zafferano, e ottiene un gustoso risotto giallo. Con le ali posso soltanto volare, e tornare indietro a quel giorno in cui Jorge mi disse: «Mami, in questa casa facciamo quattro diversi pasti a base di pollo, ma il pollo non lo vediamo mai».
Tempo dopo, già sposato, in un giorno d’estate, mi disse: «Mami, socializzami un pollo». Io gli preparai questa ricetta che ha a che vedere con la condivisione e con la creatività.
Con le ali volo molto in alto e mi ritrovo su una nuvola rosa pallido, seduta accanto a loro, morti dalle risate, che mi dicono: «Hai visto, mami, non ci sono riusciti, dopo vent’anni ancora abbiamo bisogno di ricette, ricette di vita, ricette d’amore, di condividere con altri il bisogno». Dalla nuvola vedo passare uccelli dai colori vividi che mi segnalano il cammino verso la Selva Lacandona e il Mato Grosso. Nella nuvola mi sento comoda. Da lì osservo la nostra cucina di oggi e in essa la tavola della domenica, con i piatti imbanditi e intorno Mamà, Ale, Sergio, Dodi, Daniel, e anch’io che mi sposto da una parte all’altra mentre servo in tavola; dalla nuvola guardo e mi rendo conto che la ricetta la preparò Kika* che è rimasta con loro, lì, in quel pezzettino di cielo. E che Hebe si è staccata dal seno di Kika per continuare ad allattare, dando da mangiare ad altri figli. Il cielo si riempie di sole, è così abbacinante che non si può vedere sotto, si alza molto vento, di certo è per portarmi di nuovo verso la Piazza.
* soprannome di Hebe prima di diventare Madre di Plaza de Mayo

visitate il sito:   www.madres.org

Luis Borri collabora con l'Associazione delle Madres da 30 anni; prima all'estero, quale esule e membro del gruppo di sostegno alle Madres in Svezia e poi in Italia. Dal 2003 lavora presso la sede dell'Università Popolare creata dalle Madres a Buenos Aires nel 2001. Ha collaborato alla traduzione dell'edizione in lingua italiana del testo “Il cuore nella scrittura”.