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I libri sono loro a decidere, mica io - Achmatova,Pasternak,Puskin





lunedì 07 ottobre 2002 legge Giovanna Zucconi
Felicissima di leggere per voi e con voi. Non ho però la minima idea, non ancora, di che cosa leggerò. Motivi pratico-ginnici: molti miei libri hanno appena traslocato e sono ancora negli scatoloni, molti altri che abitano con me da tempo sono parcheggiati in pile e file, e per trovare quello che cerco ci vorrà molta fortuna e molto esercizio muscolare; benedetta lettura, che è anche fitness. Motivi rabdomantico-adolescenziali: e comunque, com'è noto i libri sono essere animati e coscienti, e nel caos qualcuno di loro si farà vivo. E' sempre così, sono loro a lanciarti segnali, il libro giusto salta sempre in mano e all'occhio al momento giusto. Quindi io non cerco, saranno loro a trovarmi. Non saprei peraltro dove andare a cercare, ma penso che poiché si parla di lettura, delle ragioni per leggere, i bip-bip questa volta me li manderanno i libri dell'adolescenza, quelli che portavo sempre dietro nelle tasche del giaccone, quelli che risuonavano come canzoni e liberavano come viaggi. Poesia, direi. I russi e le russe, soprattutto. Achmatova, Pasternak, Puskin. Non so, vedremo. Sono loro a decidere, mica io. 

Testi:

1) Aleksandr Puškin (forse)
dall’Evgenij Onegin

Io vi ho amata: e ancora forse l'amore
Nell'anima del tutto non ho spento;
Ma che esso non sia per voi tormento;
Non voglio che alcunché vi dia tristezza.
Io vi ho amata in silenzio, senza speranza,
Di timidezza soffrendo, di gelosia;
io vi ho amata davvero, e così teneramente
Come Dio vi conceda d'essere amata da un altro.

Io vi amai, l’amore forse
non è ancora spento del tutto nell’anima mia
ma che esso non vi turbi ormai più
non voglio rattristarvi con nulla.
Io vi ho amato tacitamente senza speranza
ero affannato da timidezza, ora da gelosia.
Io vi ho amato così sinceramente, così teneramente
come Dio vi conceda di essere amata da un altro.

Ti amai - anche se forse
ancora non e spento
del tutto l'amore.
Ma se per te non è più tormento
voglio che nulla ti addolori.
Senza speranza, geloso,
ti ho amata nel silenzio e soffrivo,
teneramente ti ho amata
come - Dio voglia - un altro possa amarti.



2) Fëdor Tjutčev, Poesie
(Traduzione di Tommaso Landolfi, Torino, Einaudi, 1964)

Silentium!

Taci, nasconditi ed occulta
i propri sogni e sentimenti;
che nel profondo dell’anima tua
sorgano e volgano a tramonto
silenti, come nella notte
gli astri: contemplali tu e taci.

Può palesarsi il cuore mai?
Un altro potrà mai capirti?
Intenderà di che tu vivi?
Pensiero espresso è già menzogna.
Torba diviene la sommossa
fonte: tu ad essa bevi e taci.

Sappi in te stesso vivere soltanto.
Dentro te celi tutto un mondo
d’arcani, magici pensieri,
quali il fragore esterno introna,
quali il diurno raggio sperde:
ascolta il loro canto e taci!...



3) Osip Mandel’štam, Cinquanta poesie
(Torino, Einaudi, 1998)

Silentium

Lei non è dal suo mare ancora nata,
lei è musica ed è insieme parola;
è il legame che mai si potrà sciogliere
fra tutto ciò che vive nel creato.

Delle onde respiran calmi i seni,
ma un chiarore impazzito il giorno illumina,
e stanno i lillà scialbi della schiuma
dentro un vaso color celeste-nero.

Acquistino le mie labbra, recuperino
la mutezza lontana, primordiale,
simile a una nota di cristallo
che vibra, fin dal suo nascere, pura!

Rimani quel che sei – schiuma, o Afrodite,
tu, parola, rifluisci in musica,
vergognati del cuore, o cuore, fuso
con l’elemento primo della vita!



4) Josif Brodskij, Fermata nel deserto
(Milano, Mondadori, 1979)

Fine della Belle époque

L’arte della poesia vuole parole.
Perciò, stempiato sordo cupo ambasciatore
d’una potenza di secondo piano
che con essa intrattiene relazioni,
non volendo sforzare il cervello, son sceso
porgendomi il soprabito da solo,
a comprare all’edicola un giornale,
l’edizione serale.

Il vento nelle foglie. Incandescenza smorta
di lampadine vecchie in questi tristi luoghi
- la loro epigrafe: “gli specchi vincono” –
con la complicità delle pozzanghere,
genera effetti d’abbondanza. E i ladri
rubano arance, ma raschiando amalgama.
Ho scordato, del resto, il senso necessario
per guardare me stesso.

In questi luoghi tristi tutto sull’inverno
è calcolato: i sogni, i muri delle carceri,
i cappotti, i vestiti delle spose
d’un biancore di Capodanno, i liquidi,
le lancette dei secondi. I manti dei passeri,
la quantità di lisciva nel fango. I panni.
I modi puritani. E, in mano ai violinisti,
gli scaldini di legno.

Questo paese è immobile. Se tu ne immagini
il volume di ghisa e i piombo, stordito,
scrolli il capo, e l’antico regime
- retto su baionette e staffili cosacchi –
ti ritorna alla mente. Ma le aquile
calano sempre sul ferro, come il magnete.
Anche le seggiole impagliate qui si reggono
su bulloni e su viti.

Il prezzo della libertà sanno soltanto
i pesci in mare: ma il loro mutismo
ci costringe a inventare casse ed etichette.



5) Anna Achmatova, Requiem
(da Poema senza eroe, Torino, Einaudi 1963)

In luogo di prefazione

Nei terribili anni della ežòvšcina ho trascorso diciassette mesi a fare la coda presso le carceri di Leningrado. Una volta un tale mi “riconobbe”. Allora una donna dalle labbra bluastre che stava dietro di me, e che, certamente, non aveva mai udito il mio nome, si ridestò dal torpore proprio a noi tutti e mi domandò all’orecchio (lì tutti parlavano sussurrando):
- Ma lei può descrivere questo?
E io dissi:
- Posso.
Allora una specie di sorriso scivolò per quello che una volta era stato il suo volto.


Epilogo

I.
Ho appreso come s’infossino i volti,
Come di sotto alle palpebre s’affacci la paura,

Come dure pagine di scrittura cuneiforme
Il dolore tracci sulle guance,

Come i riccioli da cinerei e neri
D’un tratto si facciano d’argento,

Il sorriso appassisca sulle labbra rassegnate,
E in un ghigno arido tremi lo spavento.

E non per me sola prego,
Ma per tutti coloro che erano con me, laggiù,

Nel freddo spietato, nell’afa di luglio,
Sotto la rossa muraglia abbacinata.

II.
S’è di nuovo avvicinata l’ora del suffragio.
Vi vedo, vi ascolto, vi sento:

E colei che fu a stento condotta allo spioncino,
E colei che non calpesta il suolo natale,

E colei che, scrollando la bella testa,
Disse: “Qui vengo, come a casa”.

Avrei voluto chiamare tutte per nome,
Ma hanno portato via l’elenco, e non so come fare.

Per loro ho intessuto un’ampia coltre
Di povere parole, che ho inteso da loro.

Di loro mi rammento sempre e in ogni dove,
Di loro neppure in una nuova disgrazia mi scorderò,

E se mi chiuderanno la bocca tormentata
Con cui grida un popolo di cento milioni,

Che esse mi commemorino allo stesso modo
Alla vigilia del mio giorno di suffragio.







6) Sergej Esenin, Il segno del destino
(da Poesie, Parma, Guanda, 1977)

Tutto ciò che è vivo
Porta un segno speciale dall’infanzia.
Se non fossi poeta
Certamente sarei malandrino o ladro.

Magrolino, di bassa statura,
Sempre eroe fra i compagni,
Spesso, spesso col naso rotto,
Me ne ritornavo a casa.

E incontrando la mamma spaventata
Sussurravo colla bocca piena di sangue:
- Nulla! Ho inciampato a un sasso,
Domani sarà tutto guarito.-

Ma anche adesso, benché si sia freddata
La bollente trama di quei giorni,
Un’audace, inquieta forza
Si rovescia nei miei poemi.

Un mucchio d’oro di parole,
E su ogni riga, senza fine,
Si rispecchia l’antica baldanza
Del monello e dell’attaccabrighe.

Come allora sono fiero, temerario.
E cammino soltanto su terre vergini.
Se allora mi picchiavano sul muso,
Adesso è tutta l’anima che mi sanguina.

Adesso dico, non più alla mamma,
ma a un’estranea sghignazzante marmaglia:
- Fa nulla! Ho solo inciampato a un sasso.
Domani sarà tutto guarito-.



7) Boris Pasternak, Lasciamo cader le parole, 1917
(da Poesie, Torino, Einaudi, 1957)

Lasciamo cader le parole
come il giardino, l’ambra e il cedro:
distrattamente e generosamente,
appena, appena, appena.
Non è necessario spiegare
perché con tante cerimonie
di garanza e di limone
sia spruzzato.

Chi ha irrorato di lacrime gli aghi,
zampillando ai di sopra delle pertiche
sulle note, verso la scansia
fra le chiuse delle persiane?
E il tappetino dietro la porta
chi l’ha ornato con l’antimonio del sorbo,
con la stamigna dei bei corsivi
traforati e palpitanti?

Tu chiederai chi disponga
che l’agosto sia grande,
a chi nulla sembri minuto,
chi sia immerso nella rifinitura
d’una foglia di àcero
e chi dai giorni dell’Ecclesiaste
abbia continuato a digrossare
senza posa l'alabastro.

Tu chiederai chi disponga
che soffrano le labbra settembrine
delle margherite e delle dalie.
Che la minuta foglia dei citisi
dalle canute cariatidi
cada sulle umide lastre
degli ospedali d’autunno.
Tu chiederai chi disponga.

L’onnipossente Dio dei dettagli,
l’onnipossente Dio dell’amore,
degli Jagelloni e delle Edvigi.
Non so se sia stato risolto
l’enigma dell’oltretomba,
ma la vita è colma di minuzie
come il silenzio autunnale.

Dibattito:

La prima serata della Bottega dell’elefante ha preso avvio con la presenza di Giovanna Zucconi, giornalista, esperta del labirintico mondo editoriale, e infine ex direttrice della rivista Effe, fino a quest’estate presente in tutte le librerie Feltrinelli, ogni tre mesi. Quindi il nostro invito è stato rivolto a una persona particolarmente amante dei libri, a qualcuno che con i libri ha lavorato da un punto di vista privilegiato.
Giovanna non ha trovato negli scatoloni del trasloco i libri che cercava: libri che parlassero dell’esperienza della lettura, del rapporto tra letto e lettore. Sono venuti a cercarla i libri dell’origine della sua lettura, quelli dell’adolescenza e della giovinezza. Ed ecco perché ci ha portato i poeti russi, Puškin, Tjutčev, Mandel’štam, Brodskij, Achmatova, Esenin, Pasternak.
Alla maggior parte di noi sono poesie sconosciute, poiché è il filtro della traduzione che ha tenuto lontano da queste poesie. La versione in italiano è indispensabile, ma l’ingrediente più importante della poesia così va perso: il suono.
C’è chi viene toccato in profondità dalla lettura. Queste poesie hanno un senso tragico della vita. Ma soprattutto si soffermano a indagare le emozioni fino al limite estremo. Perché oggi Enzo non riesce più a leggere certi poeti? Cosa muove non senza disagio oggi questa poesia che poteva invece essere letto ieri?
C’è un’età per ogni lettura, e non a caso veniamo incontro ai libri. Così suggerisce Giovanna, che conferma di aver ripreso in mano con timore quei poeti. I poeti russi parlano dell’anima, del male dell’anima. Per questo forse sono più vicini a un giovane incerto.
Giovanna rievoca quei momenti. Non si capiva tutto, forse poco. Magari non si arrivava neanche in fondo, ma non ci spaventava davanti a nulla. Vi era qualcosa di ingenuo nel portarsi quel volume in tasca, ma nessuna cura filologica. Il problema è la lettura meccanica, che è sterile. Ricorda Giovanna che alcuni anni fa le fu affidato all’interno di un negozio di vestiti per ragazzi uno spazio per i libri, che gestì come una piccola biblioteca. Così accanto alle magliette colorate e ai jeans i giovani acquirenti avrebbero avuto una scusa per avvicinarsi ai libri in maniera inconsueta. All’invito di commentare liberamente quei testi, i ragazzi avevano reagito tutti allo stesso modo.
Ma i giovani leggono poesia? O meglio leggono ancora – chiede proprio a noi Ester?
Teresa si occupa della biblioteca di una grande scuola, lavora lì da anni - ma ancora per poco, pare, poiché le biblioteche delle scuole non saranno più finanziate dal ministero. La poesia non è richiesta dagli studenti. Forse tra diverse letture è quella che richiede maggior lentezza, e di tempo questi ragazzi non ne hanno molto. Ma probabilmente c’è anche una sorta di timore reverenziale che impedisce quella facile, spontanea, ingenua lettura che pur occorre per familiarizzare con versi non imposti dai professori.
C’è chi suggerisce anche che i ragazzi possono dare i morsi alla poesia, gli altri generi non lo permettono. Poter cominciare e non finire, aprire a caso è possibile con una poesia non con un racconto o peggio con un romanzo. Questo dovrebbe anzi essere un’attrattiva.
Per Eros è –bel gioco di parole!- questione di amore. Se si ha amore , e quindi attenzione, per i versi, lo si ha anche per chi ci circonda. Di conseguenza l’indifferenza per la poesia è un pessimo segnale di e per l’umanità. E’ possibile che ci sia in Italia più che altrove la voglia di scappare dall’interiorità?
La poesia conclude Paolo è una richiesta di desiderio…