«Io penso che si possa cogliere una misura di vita drammatica nella tetra routine dell’esistenza. Perfino il più banale e il più indifferente dei viventi può recitare una parte in un grande dramma. La vita dobbiamo accettarla così come la vediamo dinanzi ai nostri occhi, gli uomini e le donne così come li incontriamo nel mondo della realtà, non come li veniamo a conoscere nel mondo delle fate».
Su queste convinzioni poggia l’Ulisse di James Joyce, cronaca di una giornata qualsiasi (16 giugno 1904) di un dublinese errante per le strade di Dublino: la vita più comune e banale possiede una struttura poetica invisibile che la rende simile all’epopea. Tutti i nostri atti hanno un senso, tutto ha un senso. La realtà familiare e banale di ogni giorno è per l’artista un poema allegorico.
Ecco perché in Ulisse la scrittura insegue costantemente la realtà, aspirando a identificarsi con essa. Perché solo allora, accettando cioè la totalità dell’esperienza umana, l’arte può ricreare vita dalla vita.
I EPISODIO, “Telemaco”, La torre (pag. 7-8)
Stephen si alzò e si accostò al parapetto. Appoggiatosi abbassò lo sguardo sull’acqua e sul postale che usciva dall’imboccatura del porto di Kingstown.
- La madre nostra possente! Disse Buck Mulligan.
Girò bruscamente i grigi occhi indagatori dal mare al viso di Stephen.
- La zia pensa che tu abbia ucciso tua madre, disse. Per questo non vuole che io abbia a che fare con te.
- Qualcuno l’ha uccisa, disse Stephen con mestizia.
- Ti potevi inginocchiare, Kinch, porca miseria, quando tua madre te l’ha chiesto in punto di morte, disse Buck Mulligan. Sono iperboreo quanto te. Ma pensare a tua madre che con l’ultimo respiro ti supplicava di inginocchiarti a pregare per lei. E tu hai rifiutato. C’è qualcosa di sinistro in te…
S’interruppe e si rifece una leggera insaponata sull’altra guancia.
Un sorriso tollerante gli increspò le labbra.
- Ma un meraviglioso mimo! Mormorò a se stesso. Kinch, il più meraviglioso dei mimi!
Si radeva pulito e meticoloso, in silenzio, seriamente.
Stephen, con un gomito sul granito scabro, appoggiò la fronte a una mano e guardò l’orlo sfilacciato della sua manica nera lustra. Una sofferenza, che non era ancora la sofferenza amorosa, gli rodeva il cuore. Silenziosamente, in un sogno era venuta a lui dopo la morte, il corpo consunto nello sciolto sudario scuro spandeva un sentore di cera e di legno di rosa, l’alito che, muto, rampognante, si era chinato su di lui, un lieve odore di ceneri bagnate. Oltre il polsino sfrangiato egli vedeva il mare che la ben pasciuta voce al suo fianco salutava come grande dolce madre. L’anello della baia e dell’orizzonte conteneva una fosca massa verde di liquido. Presso il suo letto di morte posava un bacile di bianca porcellana contenente la verde bile vischiosa che con eccessi di vomito altogemente ella aveva divelto al fegato in putrefazione.
III EPISODIO, “Proteo”, La spiaggia (pag. 43-45)
- Mamma morente torna a casa papà.
La zia pensa che tu abbia ucciso tua madre. Per questo non vuole.
Brindiamo alla zia di Mulligan
E ti dirò perché:
Fu lei che tenne sempre in piè
La morale degli Hannigan
I suoi piedi marciavano in un subito ritmo altero sui solchi della sabbia, lungo i macigni della gittata di mezzogiorno. Li fissò alteramente, caterva di crani di mammut pietrificati. Luce d’oro sul mare, sulla sabbia, sui macigni. Il sole è là, gli alberi snelli, le case color limone.
Parigi al risveglio scomposta, cruda luce nelle sue strade color limone. Mollica umida di panini, l’assenzio verderana, il suo incenso mattutino, blandiscon l’aria. Belluomo esce dal letto della moglie dell’amante di sua moglie, la massaia col fazzoletto in capo s’affaccenda, con un piattino di acido acetico in mano. Da Rodot, Yvonne e Madeleine restaurano la loro bellezza sbattuta, facendo a pezzi coi denti d’oro gli chaussons di pasta dolce, le bocche ingiallite dal pus di flan breton. Facce di parigini passano, compiaciuta piacevolenza, arricciolati conquistadores. Sonnolenza meridiana. Kevin Egan arrotola sigarette di polvere da sparo tra le dita sporche di inchiostro di stampa, sorbendosi la fata verde come Patrice la bianca. Intorno a noi gente s’ingozza forconando per la strozza fagioli pepati.
[…]
S’era avvicinato all’orlo del mare e sabbia umida gli schiaffeggiava le scarpe. La brezza nuova lo salutò, arpeggiando su nervi selvaggi, vento d’aria selvaggia di semi di splendore. Ehi, non sto mica camminando fino alla nave-faro di Kish, per caso? Si fermò all’improvviso, mentre i piedi cominciavano ad affondare lentamente nel terreno tremulo. Tornare indietro.
Voltandosi, scrutò la costa a sud, mentre i piedi ricominciavano ad affondare lentamente in nuove buche. La fredda stanza a cupola della torre attende. Attraverso i barbacani i raggi di luce si muovono sempre, lentamente sempre come i miei piedi affondano, strisciando verso il crepuscolo sulla meridiana del pavimento. Azzurro crepuscolo, cader della notte, notte azzurra profonda. Nell’oscurità della cupola attendono, le sedie spinte all’indietro, la mia valigia un obelisco, attorno a un desco di piatti abbandonati. Chi per sparecchiarlo? La chiave l’ha lui. Non ci andrò a dormire quando calerà questa notte. Porta chiusa d’una torre silenziosa che chiude in un avello i loro corpi ciechi, il sahib della pantera e il suo cane da punta. Chiamo: nessuna risposta. Estrasse i piedi dal risucchio e tornò indietro lungo la gettata di macigni. Prendere tutto, tenere tutto. La mia anima cammina con me, forma delle forme. Così nel cuore delle veglie della luna misuro il sentiero sulle rocce, in nero argenteo, ascoltando il flutto tentatore di Elsinore.
Il flutto mi sta seguendo. Di qui posso osservarlo scorrere. Torna allora per la strada di Poolberg verso la spiaggia laggiù. Si inerpicò sui carici e le filandre anguillose e si sedette su un panchetto di roccia, appoggiando il bastone in un anfratto.
VIII EPISODIO “I lestrigoni”, Il pranzo (pag. 154-158)
Il fruscio e il tonfo che il busto fece cadendo sul letto. Sempre con un po’ del suo calore. Le faceva sempre piacere cavarsene fuori. Seduta lì fin quasi alle due a tirarsi via le forcine. Milly a nanna nel suo lettino. Felice. Felice. Fu la notte che…
- Oh, Mr Bloom, come va?
- Oh, e lei, Mrs Breen?
- E’ inutile lamentarsi. E Molly come se la passa? E’ un secolo che non la vedo.
- Benone, disse allegramente Mr Bloom. Milly ha un posto giù a Mullingar, sa.
- Ma no! Non è una bellezza per lei?
- Sì, da un fotografo. Va avanti come un direttissimo. E come stanno i marmocchi?
- Dan lavoro al fornaio, disse Mrs Breen.
Quanti ne ha? Nessun altro in vista.
- Lei è in nero, vedo. Non ha mica…
- No, disse Mr Bloom. Vengo ora da un funerale.
Me lo domanderanno tutto il giorno, mi par di sentirlo. Chi è morto, quando e di che cosa? Seguiterà a tornar fuori come una moneta falsa.
- Oh poveri noi, disse Mrs Breen. Spero che non sia qualche parente stretto.
In fondo perché non commuoverla un po’.
- Dignam, disse Mr Bloom. Un mio vecchio amico. E’ morto improvvisamente, poveretto. Mal di cuore, credo. Il funerale era stamattina
Domani ti sotterrano
Mentre vieni dal campo di segala.
Trallerallera tamtam
Trallerallera…
- E’ triste perdere i vecchi amici, dissero malinconicamente gli occhi donneschi di Mrs Breen.
Ora basta con l’argomento. Passiamo pian piano: ad altro: il marito.
[…]
Stesso abito di lanina azzurra che aveva due anni fa, col pelo stinto. Visto giorni migliori. Ciuffi ispidi sulle orecchie. E quel cappellino scalcinato: tre vecchi grappoli d’uva per farlo sembrare meno peggio. Decorosa miseria. Si vestiva con gusto una volta. Rughe attorno alla bocca. Solo un anno o due più vecchia di Molly.
Guarda che occhiata le ha lanciato quella donna passando. Crudele. Sesso non gentile.
La guardò ancora, nascondendo dietro lo sguardo un senso di fastidio. Piccanti testina di vitello coda di bue brodo di pollo. Ho fame anch’io. Scaglie di pasta dolce sul gherone del vestito: sbaffo di farina zuccherosa sulla gota. Torta al rabarbaro abbondantemente riempita, interno ricco di frutta. Josie Powell, era. Da Luke Doyle tempo fa. Dolphin’s Barn, le sciarade. S. u.: su.
Cambiare argomento.
- Vede mai Mrs Beaufoy? Chiese Mr Bloom.
[….]
Davanti al gran portone del parlamento irlandese uno stormo di piccioni si alzò in volo. Il loro passatempo dopo i pasti. Addosso a chi la faremo? Io scelgo quel tale in nero. Eccoci. Alla tua salute. Dev’essere eccitante farla per aria. Apjohn, io e Owen Goldberg sugli alberi vicino a Goose Green a giocare alle scimmie. Mi chiamavan ghiozzo.
Una squadra di agenti di polizia sboccava da College street, marciando in fila indiana. Passo d’oca. Visi congestionati dal pasto, elmetti sudaticci, le mani sulle mazze. Dopo il pasto con la pancia piena di minestrone sotto la cintura. Il destin del poliziotto spesso è felice assai. Si divisero in gruppi e si sparpagliarono, salutando, ognuno al suo posto stabilito. Liberi al pascolo. E’ il miglior momento per attaccarne uno subito dopo il dolce. Un diretto assestato al pranzo. Una seconda squadra, marciando irregolarmente, girò attorno ai cancelli di Trinity College verso il commissariato. Prua al truogolo. Pronti a ricevere la cavalleria. Pronti a ricevere la minestra.
Traversò sotto il dito birbone di Tommy Moore. Han fatto bene a metterlo sopra un orinatoio, incontro di correnti. Ci dovrebbero essere posti per le donne. Si precipitano nei caffè. Per rassettarmi il cappello. Non una valle in questo vasto mondo. Grande romanza di Julia Morkan. La voce le ha retto fino in fondo. Allieva di Michael Balfe, vero?
Seguì con lo sguardo l’ultima ampia giubba.
XII EPISODIO “La taverna”, Il ciclope (pag. 314-324)
- Bei tipi quelli là, dice il cittadino, vengono qui in Irlanda a riempirci di cimici.
Così Bloom fa finta di non sentire e attacca a parlare con Joe, dicendogli di non preoccuparsi per quella cosuccia fino al primo, ma se avesse voluto dire una parolina a Mr Crawford. E Joe a giurare per tutti i santi e per questo e per quello che avrebbe fatto il diavolo per lui.
- Perché vede, dice Bloom, per un annuncio ci vogliono parecchi rinnovi assicurati. Il segreto è tutto lì.
- Si fidi di me, dice Joe.
- Truffano i contadini, dice il cittadino, e i poveri dell’Irlanda. Non vogliamo più stranieri in casa nostra.
- Oh, son sicuro che andrà benissimo, Hynes, dice Bloom. E’ solo quella storia di Keynes, capisce.
- Consideri già tutto sistemato, dice Joe.
- Molto gentile, dice Bloom.
- Stranieri, dice il cittadino. E’ colpa nostra. Li abbiamo lasciati entrare. Siamo noi che ce li abbiamo portati. L’adultera e il suo drudo hanno portato qua i grassatori sassoni.
- Verdetto interlocutorio, dice J. J.
E Bloom a far finta di esser tutto assorto in nulla, in una ragnatela nell’angolo dietro alla botte, e il cittadino a fargli il muso duro e il cagnaccio ai piedi che guardava su per sapere chi mordere e quando.
- Una moglie disonorata, dice il cittadino ecco la causa di tutti i nostri mali
[…]
Bloom seguitava a parlare e parlare con John Wyse ed era tutto eccitato, con quel muso color canchescappa e gli occhi color prugna che giravano da tutte le parti.
- Persecuzione, dice lui, tutta la storia universale ne è piena. Si perpetua l’odio nazionale tra le nazioni.
- Ma lei sa cosa significa una nazione? Dice John Wyse.
- Sì, dice Bloom.
- Cos’è? Dice John Wyse.
- Una nazione? Dice Bloom. Una nazione è la stessa gente che vive nello stesso posto.
- Perdio, allora, dice Ned, ridendo, se la cosa sta così sono una nazione anch’io perché è da cinque anni che vivo nello stesso posto. Così per forza tutti gli risero dietro, a Bloom, e lui dice cercando di uscirne in qualche modo:
- O anche che vive in posti diversi.
- Questo è il caso mio, dice Joe.
- Qual è la sua nazione, se è lecito? Dice il cittadino.
- L’Irlanda, dice Bloom. Sono nato qui. L’Irlanda.
Il cittadino non disse nulla, si schiarì appena in gola, e, perdiana, fece volare una patacca di scaracchio fin nell’angolo.
- E ora sotto a chi tocca, Joe, dice tirando fuori il fazzoletto per asciugarsi il sudore.
- Eccoci, cittadino, dice Joe. Prendetelo nella mano destra e ripetete dopo di me le seguenti parole.
L’antico pannicello facciale irlandese, tesoro inestimabile di ricamo finissimo, attribuito a Salomone di Droma e a Manus Tomaltach og MacDonogh, autori del libro di Ballymote, fu allora esibito con cautela e suscitò prolungata ammirazione. Non cade qui il rilevare la leggendaria bellezza dei quattro angoli, il colmo dell’arte, laddove si può ben distinguere ciascuno dei quattro evangelisti, lo scettro di quercia fossile, un puma del Nord America (un ben più nobile re degli animali rispetto all’analogo britanno, sia detto di passaggio), un vitello di Kerry e un’aurea aquila di Carrantuohill. Le scene raffigurate sul campo emuntorio, che rappresentavano le nostre antiche colline e fortilizi e cromlech e grianaun, e sedi di dottrina e pietre della maledizione sono di bellezza mirabile e le tinte sono delicate quanto lo erano al tempo in cui i miniaturisti di Sligo lasciavan briglia sciolta alla loro fantasia artistica or è molti anni all’epoca dei Barmecidi. Glendalough, i deliziosi laghi di Killarney, le ruine di Clonmacnois, l’abbazia di Cong,…
[…]
- Ci spinga un po’ qua i bicchieri, faccio io. Di chi sono?
- Quello è mio, dice Joe, come disse il diavolo al poliziotto morto.
- Anch’io poi appartengo a una razza che è odiata e perseguitata, dice Bloom. Anche adesso. Proprio in questo momento. Proprio in questo istante.
Perdiana, per poco non si bruciava le dita con la cicca di quel sigarone.
- Derubati, dice. Spogliati. Insultati. Perseguitati. Ci vien tolto quel che ci appartiene di diritto. In questo stesso momento, dice, alzando il pugno, ci vendono all’asta nel Marocco come schiavi o bestie.
- Sta parlando della nuova Gerusalemme? Dice il cittadino
- Sto parlando dell’ingiustizia, dice Bloom.
- Giusto, dice John Wyse. Ma allora opponetevi con la forza, da uomini.
Eccovi un’illustrazione da almanacco. Bersaglio per una pallottola dum-dum. Quella faccia di sugna dietro alla culatta d’un cannone. Perdiana, ce lo vedo di più dietro a una ramazza, davvero, gli ci vorrebbe solo un grembiale da bambinaia. E poi crolla tutt’a un tratto, torcendosi tutto all’incontrario, moscio come un cencio bagnato.
- Ma non val la pena, dice. La forza, l’odio, la storia, tutto. Non è vita questa per degli uomini e delle donne, odio e insulti. E tutti sanno che è precisamente il contrario di quel che è veramente la vita.
- Cosa? Dice Alf
- L’amore, dice Bloom. Voglio dire il contrario dell’odio. Ora devo andare, dice a John Wyse. Un momentino al tribunale per vedere se c’è Martin. Se viene ditegli che torno tra un minuto. Solo un momento.
E chi ti tiene? E via come un fulmine lubrificato.
- Un nuovo apostolo per i gentili, dice il cittadino. Amore universale.
- Be’, dice John Wyse, non è così che ci dicono? Ama il prossimo tuo.
- Quello? Dice il cittadino. Affama il prossimo tuo è il suo motto. Amore, per gli dei! E’ un bell’esempio di Romeo e Giulietta.
L’amore ama amare l’amore. L’infermiera ama il nuovo farmacista. Il vigile 14 A ama Mary Kelly. Gerty MacDowell ama il ragazzino con la bicicletta. M. B. ama un signore biondo. Li Chi Han amàle tanto sua Cha Pu Chow. Giambo, l’elefante ama Alice, l’elefantessa. Il vecchio Mr Verschoyle col corno acustico ama la vecchia Mrs Verschoyle con l’occhio torto. L’uomo dal mackintosh marrone ama una signora morta. Sua Maestà il Re ama Sua Maestà la Regina. La signora Norman W. Tupper ama il tenente Taylor. Tu ami una certa persona. E questa persona ama un’altra persona, perché ciascuno ama qualcuno ma Dio ama tutti.
- Be’, Joe, faccio io, alla salute tua e dei tuoi. E a maggiori fortune, cittadino.
- Urrà, e sotto, dice Joe.
XV EPISODIO “Circe”, Il bordello (pag. 542-544)
LA MADRE
(Viene più vicino, alitando lieve su di lui il suo alito di cenere umida.) Tutti ci devono passare, Stephen. Più donne che uomini al mondo. Anche tu. Tempo verrà.
STEPHEN
(Soffocato dal timore, dal rimorso e dall’orrore.) Si dice che t’abbia ammazzato io, mamma. Egli ha offeso la tua memoria. E’ stata il cancro, non sono stato io. Il fato.
LA MADRE
(Un verde rivolo di bile le scorre giù da un angolo della bocca.) Mi cantasti quella canzone. L’amaro mistero dell’amore.
STEPHEN
(Ansiosamente.) Dimmi la parola, mamma, se ora la sai. La parola nota a tutti gli uomini.
LA MADRE
Chi ti ha salvato quella sera che montavi in treno a Dalkey con Paddy Lee? Chi ha avuto pietà di te quand’eri triste in terra straniera? La preghiera è onnipotente. La preghiera per le anime in pena nel manuale delle Orsoline e quaranta giorni d’indulgenza. Pentiti, Stephen.
STEPHEN
Necrofago! Iena!
LA MADRE
Prego per te nel mio altro mondo. Fatti preparare da Dilly quel riso cotto ogni sera dopo che hai lavorato di testa. Per anni e anni ti ho amato, figlio mio, mio primogenito, quando eri nel mio grembo.
ZOE
(Sventolandosi con il parafuoco del caminetto.) Mi sto sciogliendo.
FLORRY
(Indica Stephen.) Guarda! E’ sbiancato.
BLOOM
(Va alla finestra per aprirla un po’ di più.) Gira la testa.
LA MADRE
(Con occhi ardenti.) Pentiti! Oh, il fuoco dell’inferno!
STEPHEN
(Ansimando.) Il suo sublimato non corrosivo! Masticacadaveri! Testa cruda e ossa sanguinanti!
LA MADRE
(Con la faccia che si avvicina sempre di più emanando un alito cinereo.) Attento! (Alza lentamente il braccio destro annerito, avvizzito, verso il petto di Stephen, con le dita tese.) Attento! La mano di Dio!
(Un granchio verde dai maligni occhi rossi affonda le chele ghignanti nel cuore di Stephen.)
STEPHEN
(Strozzato dalla rabbia, i suoi lineamenti si fanno tirati, grigi e vecchi.)
Merda!
BLOOM
(Alla finestra.) Cosa?
STEPHEN
Ha, par exemple! La fantasia intellettuale! Con me tutto o niente affatto. Non serviam!
FLORRY
Dargli un po’ d’acqua fredda. Un momento. (Si precipita fuori.)
LA MADRE
(Si torce le mani piano, lamentandosi disperatamente.) O Sacro Cuore di Gesù, abbi misericordia di lui! Salvalo dall’inferno, o Sacro Cuore divino!
STEPHEN
No! No! No! Fiaccatemi lo spirito, tutti quanti siete, se vi riesce! Vi metterò tutti in riga!
LA MADRE
(Nella stretta dei rantoli della morte.) Signore, abbi misericordia di Stephen, per amor mio! Indicibile era il mio tormento mentre spiravo d’amore, dolore e angoscia sul calvario!
STEPHEN
Nothung!
(Leva in alto il bastone con ambo le mani e spacca il lampadario, La livida vampata finale sprizza e, nell’oscurità che segue, ruinare di tutto lo spazio, vetro infranto e muratura crollante.)
XVII EPISODIO “Itaca”, La casa (pag. 654-655)
Quale proposta fece Bloom, deambulo, padre di Milly, sonnambula, a Stephen, nottambulo?
Di trascorrere in riposo le ore intercorrenti tra giovedì (convenzionale) e venerdì (effettivo) su un giaciglio estemporaneo nell’appartamento immediatamente sopra la cucina e immediatamente adiacente al luogo di riposo del padrone e della padrona di casa.
Quali svariati vantaggi sarebbero derivati, o avrebbero potuto, da un prolungamento di questa estemporizzazione?
Per l’ospite: sicurezza di domicilio e ritiro per lo studio. Per il padrone di casa: ringiovanimento dell’intelligenza, soddisfazione in via surrogata. Per la padrona di casa: disintegrazione dell’ossessione, acquisizione di una corretta pronuncia italiana.
Perché queste varie contingenze provvisorie tra un ospite e la padrona di casa non avrebbero necessariamente impedito o potuto essere impedite dall’eventualità permanente di un’unione riconciliativi tra uno studente e la figlia di un ebreo?
Perché la via che portava alla figlia passava dalla madre, la via che portava alla madre dalla figlia.
A quale inconseguente polisillabica domanda dell’ospitante diede l’ospitato risposta negativa monosillabica?
Se egli avesse conosciuto la defunta signora Emily Sinico, accidentalmente perita alla stazione Sydney Parade, il 14 ottobre 1903.
Quale incipiente affermazione di corollario fu quindi soppressa dall’ospite?
Un’affermazione che spiegava la sua assenza in occasione dell’inumazione di Mrs Mary Dedalus (nata Goulding), il 26 giugno 1903, vigilia dell’anniversario del decesso di Rudolph Bloom (nato Virag)
Fu accettata la proposta di asilo?
Prontamente, inesplicabilmente, con amabilità, gratamente fu declinata.
EPISODIO XVIII, “Penelope”, Il Letto (pag. 740-41)
…due e un quarto che ora bestiale mi dà l’idea che in Cina si stanno alzando a quest’ora e si pettinano i codini per la giornata tra poco le monache suoneranno l’angelus non c’è nessuno che vada a disturbare i loro sonni se non qualche prete per le funzioni della notte la sveglia di quelli accanto al primo chicchirichì si fa uscire il cervello a forza di far fracasso guardiamo un po’ se riesco a addormentarmi 1 2 3 4 5 che razza di fiori son quelli che hanno inventato come le stelle la carta da parati di Lombard street era molto più carina quel grembiule che mi ha dato assomigliava un po’ solo che l’ho portato solo due volte meglio abbassare la lampada e provare ancora in modo da alzarsi presto voglio andare da Lamble là vicino a Findlater e farmi mandare dei fiori da mettere per casa nel caso lo portasse qui domani cioè oggi no no il venerdì porta male prima voglio fare un po’ di pulizie la polvere sembra che si ammucchi mentre dormo poi un po’ di musica e qualche sigaretta posso accompagnarlo prima devo pulire i tasti del piano col latte cosa mi devo mettere porterò una rosa bianca o quelle brioscine di Lipton mi piace l’odore di un bel negozio di lusso a 7 penny e ½ la libbra o quelle altre con le ciliegine e lo zucchero rosa 11 pence un paio di libbre di quelle e poi una bella piantina in mezzo alla tavola si trova a minor prezzo da un momento dove le ho viste non è mica molto i fiori mi piacciono vorrei che la casa traboccasse di rose Dio del cielo non c’è niente come la natura le montagne selvagge poi il mare e le onde galoppanti poi la bella campagna con i campi d’avena e di grano e ogni specie di cose e tutti quei begli animali in giro ti farebbe bene al cuore veder fiumi laghi e fiori ogni specie di forme e odori e colori che spuntano anche dai fossi primule e violette è questa la natura e quelli che dicono che non c’è un Dio non darei un soldo bucato di tutta la loro sapienza perché non provano loro a creare qualcosa vadano e si lavino un po’ prima e poi strillano per avere il prete quando stanno per morire e perché perché perché han paura dell’inferno per via della loro cattiva coscienza ah sì li conosco bene chi è stato il primo nell’universo prima che ci fosse qualcun altro che ha fatto tutto chi ah non lo sanno e nemmeno io eccoci tanto vale che cerchino di impedire che domani sorga il sole il sole splende per te disse lui quel giorno che eravamo stesi tra i rododendri sul promontorio di Howth con quel suo vestitino di tweed grigio e la paglietta il giorno che gli feci fare la dichiarazione sì prima gli passai in bocca quel pezzetto di biscotto all’anice era un anno bisestile come ora sì 16 anni fa Dio mio dopo quel bacio così lungo non avevo più fiato sì disse che ero un fior di montagna sì siamo tutti fiori allora un corpo di donna sì è stata una delle poche cose giuste che ha detto in vita sua e il sole splende per te oggi sì perciò mi piacque sì perché vidi che capiva o almeno sentiva cos’è una donna e io sapevo che me lo sarei girato come volevo e gli detti quanto più piacere potevo per portarlo a quel punto finché non mi chiese di dir di sì e io dapprincipio non volevo rispondere guardavo solo in giro il cielo e il mare pensavo a tante cose che lui non sapeva di Mulvey e Mr Stanhope e Hester e papà e il vecchio capitano Groves e i marinai che giocavano al piattello e alla cavallina come dicevan loro sul molo e la sentinella davanti alla casa del governatore con quella cosa attorno all’elmetto bianco povero diavolo mezzo arrostito e le ragazze spagnole che ridevano nei loro scialli e quei pettini alti e le aste la mattina i greci e gli ebrei e gli arabi e il diavolo chi sa altro da tutte le parti d’Europa e Duke street e il mercato del pollame un gran pigolio davanti a Larby Sharon e i poveri ciuchini che inciampavano mezzi addormentati e gli uomini avvolti nei loro mantelli addormentati all’ombra sugli scalini e le grandi ruote dei carri dei tori e il vecchio castello vecchio di mill’anni sì e quei bei Mori tutti in bianco e turbanti come re che ti chiedevano di metterti a sedere in quei loro buchi di botteghe e Ronda con le vecchie finestre delle posadas 2 fulgidi occhi celava l’inferriata perché il suo amante baciasse le sbarre e le gargotte mezzo aperte la notte e le nacchere e la notte che perdemmo il battello ad Algesiras il sereno che faceva il suo giro con la sua lampada e Oh quel pauroso torrente laggiù in fondo Oh e il mare il mare qualche volta cremisi come il fuoco e gli splendidi tramonti e i fichi nei giardini dell’Alameda sì e tutte quelle stradine curiose e le case rosa e azzurre e gialle e i roseti e i gelsomini e i gerani e i cactus e Gibilterra da ragazza dov’ero un Fior di montagna sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazze andaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco e io pensavo be’ lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì e allora mi chiese se io volevo sì dire di sì mio fior di montagna e per prima cosa gli misi le braccia intorno sì e me lo tirai addosso in modo che mi potesse sentire il petto tutto profumato sì e il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio Sì
Dibattito:
Il giovane Andrea Severi ha letto e commentato uno dei testi più difficili del Novecento, presentandosi come semplice lettore. Alla fine della serata sono rimasti tutti stupiti per la sua capacità di penetrare un testo enciclopedico com’è l’Ulisse di James Joyce. Nessuno si è potuto astenere dal fare i complimenti a lui e alla giovane attrice Chiara che ha interpretato il lungo flusso di coscienza di Molly.
James Joyce nacque a Dublino nel 1882. Frequentò le scuole dei gesuiti. Ben presto abbandonò la fede cattolica. Un episodio che segnò la sua vita fu il rifiuto di pregare al capezzale di sua madre, gesto che ritorna anche nell’Ulisse nel suo alter ego Stephen Dedalus. Rimasero un’ossessione per lui la giustizia, il senso di colpa, l’amore in tutti i suoi aspetti . Nel 1902 si trasferì a Parigi, come il suo personaggio Stephen Dedalus cominciò a scappare. Il nome del personaggio dell’Ulisse ricorda la fuga di Dedalo che deve fuggire dal labirinto e Stephen, il protomartire cristiano. Joyce in fuga visse a Trieste dove conobbe Italo Svevo, a Zurigo e infine ancora a Parigi dove era in contatto con Ezra Pound. La città di Dublino rimane una costante in tutta la sua opera, anche negli aspetti meno nobili, con i suoi quartieri degradati, i bordelli. Dublino era nel sangue dello scrittore, nonostante il volontario esilio. A Trieste cominciò a coltivare l’idea di un Grande Libro, un libro che fosse al contempo compendio della tradizione occidentale e mimesis della condizione esistenziale umana, che avesse origine nel mito, ma che ne fosse anche la riscrittura. La grande figura da cui decise di partire fu Ulisse. Lavorò per sette anni alla stesura dell’opera, dal 1907 al 1914.
Il romanzo è la cronaca di una giornata. Protagonista è Leopold Bloom, agente pubblicitario, antieroe borghese ebreo, sua moglie Molly, Penelope adultera e infine Stephen Dedalus, giovane intellettuale inquieto. Stephen è in cerca di un padre spirituale, Bloom di un figlio, non si incontrano se non per un momento in un bordello. Bloom cerca nel corso della giornata di instaurare un rapporto autenticamente umano. Molly ha un amante, un moderno Procio invisibile e per questo imbattibile. Molly è l’eterno femminino, madre, moglie, a lei è affidato l’ultimo monologo che culmina con l’accettazione della vita, dell’amore. Ogni episodio del romanzo ha un riferimento omerico, uno cromatico e uno legato a un organo del corpo umano.
L’idea di Joyce era quella di riprodurre il fluire della vita, violando gli schemi razionali umani. Era un’idea naturalistica o addirittura ipernaturalistica. Perciò nel romanzo rientrano tutti gli aspetti che della vita si omettono: dal basso corporeo che gli scatenò contro la censura al sublime dell’immaginazione umana. La scrittura viene portata ai limite delle sue possibilità, Joyce abolisce l’io narrante; il romanzo diventa così corale, ad ogni personaggio corrisponde uno stile. L’autore rimane sempre più sullo sfondo fino a sparire. Il flusso di coscienza è stato lo stile più celebrato del romanzo, ma vi è anche lo stile del giornale, del saggio, della prosa filosofica.
Enzo Fano rileva nell’impianto dell’opera una traccia di misoginia.
Anche Andrea ne conviene, in particolare trova nel personaggio della Nausicaa joyciana una sorta di Madame Bovary degradata.
Chiara non trova che sia negativo il personaggio di Molly. E’ il realismo di Joyce che porta alla luce i pensieri che una donna non confesserebbe.
Claudio, giovane studente di filosofia, pensa alle donne di Joyce come a un trionfo di femminilità creatrice.
Andrea crede che la donna di Joyce manchi di coraggio.
Per Claudio, Dedalus è immodesto, per niente umile. La donna invece è etimologicamente più simpatica, c’è più armonia in lei. Forse si tratta di meno narcisismo, suggerisce Chiara.
Molly è la penetrazione della donna nelle cose, dice Andrea.
Ancora, Laura non crede alla negatività della donna di Joyce: solo le donne si salvano nell’Ulisse, gli uomini sono per lo più dei falliti, o quanto meno cercano sempre di essere quello che non sono. Molly è quello che è, come Bloom l’uomo tra tutti diverso. Vi è un’interpretazione anche cristologica del personaggio Bloom, dice Andrea.
Tosi lamenta quanto l’impostazione crociana nella istruzione scolastica abbia contrapposto in maniera negativa letteratura e filosofia. In questo romanzo c’è tutto, come nella commedia dantesca. Basta prendere alcune parole per capire quale mondo, che tradizione potente ci sia alle spalle dell’autore. Ad esempio l’espressione forma delle forme ci evoca Aristotele, ma a ad un’osservazione ulteriore ci rivela anche la tradizione ebraica.
Per Paolo Bollini questa profondità ci fa scorgere il disegno di un’opera in cui tutto ha senso, questa è la capacità di Joyce. La letteratura si contrappone alla smania di comunicare che produce percorsi privi di senso. Voglia di comunicare, ma cosa?
Molti lettori si sono sentiti respinti dalla frammentarietà di Joyce, tra cui Chiara. Molto della scrittura di Joyce va perso nella traduzione. E poi, come dice Laura, lo scrittore ha un problema che è l’idea dell’opera, i suoi lettori sono solo in secondo piano. Joyce, prosegue, ha trasformato la scrittura, ma lo ha fatto con una solida tradizione alle spalle. Ha tentato di dare una lingua al mondo, non voleva essere accattivante. Per Claudio, l’Ulisse è un testo che desidera il lettore; l’andamento spezzato, frammentato è un’esigenza della scrittura. La prosa avvolgente di Proust non è per questo superiore. Anche Dante, osserva Paolo Bollini, sapeva di essere incomprensibile alla maggior parte dei suoi lettori. Ma gli era indispensabile essere difficile. Platone dice più volte che le cose belle sono difficili. |