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I Diari dell’Archivio Diaristico Nazionale



lunedì 17 maggio 2004 leggono Stefano Franceschetti e Chiara Frezzotti
Nel centro Italia, tra le mura dell’Archivio Diaristico Nazionale, batte il cuore della scrittura autobiografica. Dal 1984, Pieve Santo Stefano è la Città del diario. 4489 testi raccolti nel breve volgere di 19 anni. L’Emilia Romagna, con 505 testi, rappresenta più dell’11%.
Ogni anno da una giuria popolare viene attribuito il “Premio Pieve” alla scrittura autobiografica più interessante fra le centinaia recapitate alla Fondazione.
La prima a vincere, vent’anni fa, fu la bolognese Antonella Federici., con il suo diario epistolare, “Lettere ai miei”; l’ultima, Margherita Ianelli con “gli Zappaterra”, è stata prescelta da Nanni Moretti e dai registi della Sacher Film.
Per presentare all’Elefante questo prezioso giacimento, saranno letti brani da testi autobiografici di epoche diverse, con la convinzione che un racconto di vita si fa exemplum di innumerevoli sorti individuali. E che è anche conservando la memoria degli altri, che ci si costruisce la propria.

l’ITALIA e BOLOGNA si AUTORACCONTANO
VITA di un ARCHIVIO che VIVE di VITE

di Andrea Franceschetti (Fondazione Archivio Diaristico Nazionale)
letture di Chiara Frezzotti


Vincenzo Rabito
FONTANAZZA
autobiografia 1899-1970
(Premio dei Diari 2000)
Einaudi 2004

Doppo 2 cio[r]ne siammo revate a Ferenze, nella bellissima citta artistica d[']Italia. E, quanto scentiemmo e presemo le strade di Ferenze, tutte li barcona di dove passammo c[']era esposta una bantiera trecolore d[']ogni barcone di dove passava il reggemento. Poi, c[']erino tutte li museche che c[']erino a Ferenze che ci anno venuto a prenterene alla stanzione e tutte li crosse auturita di Ferenze. Cosi, di dove passammo ci abatievino li mane, mentre paremmo tante stracione e ci anno portato alla caserma San Ciorcie perche il deposito del 69 reggemento fanteria aveva che il suo deposito era li di quanto aveva che si aveva formato l[']Italia.
Io a Ferenze l[']aveva sempre vista della stanzione ma non dentra la cit[t]a, quinte, solo che l[']aveva inteso dire che era bellissima e quinte io, vedento Ferenze, era meglio del congedo e meglio di stare a Chiaramonte. (…)
[In caserma ci avevano dato] li linzuola e il materazzo e una bellissema rite di ferro e una lampadina nella cammerata che con la luceletrica che si poteva lecere il ciornale. (…) E poi annesuna parte ni aveva [mai visto la] luce cosi, perche a Chiaramonte luce ancora non ci n[']era, solo l[']aveva visto a Catania quanto vienava di lavorare e mi n[']antava a Catania a corcareme. E io e tutte, sempre avemmo stato per 30 mese al buio e ni a parso che ci anno portato imparadiso.
E cosi, con quello letto ci avevino fatto fare il bagno, che erimo tutte incrasciate piene di terra e di sudure. E io alla prima notata disse: - Non voglio penzare piu annesuno, perche mi trovo nelle feliceta. (…)
Per 3 ciorne ci anno portato il cafe in branta senza direce "alzative!". Alla sera, per 3 ciorne, quanto volemmo riantrare, riantrammo, apello per noi, per 3 ciorne, non ci n[']era. Quinte, alla sera tutte liciammo il ciornale e ci quardammo in faccia e diciammo che erimo dalla stalla alle stelle, e tutte diciammo la stessa cosa: questo paradiso, di dove ni a venuto? E tutte diciammo: questa ene la vera bella vita…
E cosi, in uno mese di questa bella vita, antiammo a caminata tutte li sere ceranto Ferenze Ferenze, che tutte li casine di Ferenze ni li stapemmo imparanto, che io ni aveva cirato tante: a Catania, a Paler[m]o, a Siraqusa, e tante altre, ma, de fronte alli casine di Ferenze, tutte facevino schifo. C[']era tanta pulezia, li parete, voldire dentra li casine, erino tutte di toletta, che quanto ni vedeva una ragazza pare che ne guardava 6 con quelle spec[ch]ie che c[']erino. (…)
(…)

Luisa T.
CARO QUADERNO
diario 1970-1985
(Premio “decennale dei Diari” 1994)
(mediometraggio prodotto dalla SACHER FILM
di Nanni Moretti e Angelo Barbagallo
per la regia di Isabella Sandri)

Borgo Flora, 5 novembre 1981
Caro quaderno, ti accorgerai subito che sono un pò tocca, già solo per il fatto che alla mia età con un marito e 2 figli da badare, una grande casa a due piani da pulire, galline, conigli e maiale quando manca mio marito e mio figlio, devo badare, orto e campagna con mio marito devo fare spesso tante cose (quindi pensa tu se vado a mettermi a perdere tempo con te che non serve proprio a niente e per giunta con la poca scuola che hò, ti puoi immagginare che pasticcio sarà) Però devi sapere che ho troppa voglia di parlare con qualcuno delle mie idee dei miei pensieri ecc. … Sò che se tu potessi parlare mi diresti (quardati intorno e c'è tanta gente, trà la quale potresti trovare la persona giusta per stringere amicizia con la, a maiuscola e poi tuo dovere sarebbe di trovare la maniera di costruirla con tuo marito.) Io ti rispondo che ci ho provato e come, ma purtroppo in questo ho fallito da sempre e chissà il perché? Forse lungo tutte queste pagine potrai capire qualcosa di me speriamo. Devi sapere che nel mio primo anno di matrimonio la delusione è stata cocente sul fatto che un marito può anche non essere capace di essere amico della moglie, quindi quanto spesso sono stata sola in casa mi sentivo scoppiare dalla solitudine e prendevo penna e quaderno per scrivere la mia tristezza, ma dopo alcuni anni l'ho rivisto e l'ho bruciato perché era incomprensibile pensa che erano 10 anni che non scrivevo più se vedessi la mia pagella della quinta elementare ti spaventeresti. Ora però stando vicino ai miei figli per aiutarli a scuola, e leggendo spesso perché mi piace la storia e l'informazione, geografia e scienze anche un pò i romanzi e la politica, sò di essere all'alteza della mia misera cultura e poi ho deciso di accettarmi come sono compresa l'ignoranza quindi hò messo nella facciata la mia foto con tutti i miei dati per sconfiggere ogni tentazione di bruciarti, perché mi guarderò e capirò che tu quaderno sei la vera Luisa nel bene e nel male e rinnegarti sarebbe un suicidio. Mi auguro di vivere abbastanza per non scriverti solo la mia vita da oggi e in poi ma di poterti raccontare anche il mio passato e tu quaderno cerca di sopportarmi. Luisa

11 luglio 1983
Con Robert ho molto chiacchierato nei giorni dopo che ha lasciato la scuola sia per aiutarlo ad accettare il padre e per fargli capire quante sofferenze avrei io potuto evitare non fossi stata tanto ignorante, perché tanti errori nella vita si fanno per mancanza di cultura e questo un pò vale anche per suo padre. Per cercare di diminuire il suo odio e disprezzo verso il padre: "che io trovavo un pò impressionante quel modo egoista di giudicare e condannare per qualche difetto e poi dette da lui che non si cura mai di guardarsi allo specchio per guardarsi i propri difetti e fare quello che può per non ripetere i difetti che trova negli altri:" gli ho fatto notare che continuando con quel passo lui sarà un uomo peggio di suo padre senza nemmeno la scusa della sfortunata infanzia e che non gli può certo dire che sia mai stato fanullone che desiderava tanto diventare qualcuno nel ciclismo (le frasi tra le virgolette non significano solo il mio pensiero, ma a Robert glie'le ho dette, queste sono le realtà dell'ignoranza non saper scrivere) oppure avere una cultura, ma con tanto rimpianto ha dovuto rinunciare, e in questo puoi dire che lui è quello che è non per sua pigrizia oppure perché è felice così, e tù questo lo sai benissimo, lui ha potuto prendere dalla vita quello che gli ha offerto, mentre tu sei accecato a criticare solo gli altri e non trovi tempo di vedere le belle cose che la vita ti offre e non le utilizzi e quinti quì sei inferiore tu, e non hai diritto di condannare qualcosa quanto tu invece di lavorare per evitare ciò che non ti piace ti metti a sedere a criticare. Gli ho raccontato come mi sono ritrovata sposata col padre e i miei tentativi di separazione e la mia insoddisfazione che è un miracolo se non sono rinchiusa in qualche ospedale psichiatra, perché tutto ha un solo significato. Cresciuta in ambiente chiuso senza scuola, non conoscevo nulla degli altri e della vita nel mondo, sapevo solo che le sole due cose esistenti per l'avvenire, sposarsi o farsi suore non mi soddisfacevano, la mia personalità e sensibilità mi dicevano tante altre cose, ma non ho mai avuto neppure il coraggio di dirlo mai a nessuno, tanto sentivo sia da anziani che da ragazze parlare solo di queste due scelte che tanto smaniavano soprattutto di trovarsi un fidanzato, che io avevo qualche dubbio su di me se ero normale e poi la mancanza di gioco e di amicizie da piccola, mi ha impedito di paragonarmi nel bene e nel male con gli altri e conoscevo solo i miei difetti, le virtù le vedevo solo negli altri, si può immagginare che confusione avessi a 15 anni, l'insicurezza su di me era tanta e tanta anche la paura di non riuscire a fare qualcosa da grande restare a muffire inutilmente mentre tante passioni mi bollivano dentro a volte la sofferenza di non riuscire a vedere qualche strada, era tanta da pregare di non svegliarmi qualche mattino, sposarmi non ero sicura, perché gli sposati che conoscevo non mi piacevano vedevo la loro falsità ipocrita tra loro e mi ripugnava se pensavo al loro completo amore giurato in chiesa davanti a Dio e poi l'amore verso i bambini era tanto che non potevo non soffrire per tutti quelli che ne avevano bisogno e pensavo che sposandomi rischiavo di mettere altri a soffrire invece di cercare il modo di aiutare quelli che già esistono, farmi suora ero indecisa perché non accettavo il fatto che si doveva giurare di non sposarsi mai avendo scelto l'ubbidienza e la dedizione ai superiori e al prossimo, nei due casi avrei dovuto giurare ubbidienza o al marito oppure ai superiori che avevano l'autorità di mandarmi dove credevano per tutta la vita, io pensavo perché non bastava giurare sul vangelo di seguire l'esempio di Gesù e avere la propria autorità di scegliere di correre dove più c'è bisogno d'amore, per esempio nell'arco della mia vita anche la mia famiglia potevano aver bisogno di me, oppure potevo prima di morire in vecchiaia anche incontrare un uomo tanto solo e buono con i miei ideali rivolti al prossimo e allora che peccato ci sarebbe stato? Avrei dovuto scegliere di restare in famiglia a studiare e lavorare per non sentirmi di peso ai miei e prendere qualche diploma di studio per occuparmi di cose sociali, ma questo ora posso dirlo, allora sentivo solo gli sguardi preoccupati dei miei genitori per quella strana ragazza e di figli ne avevano 5 da sistemare e mi sentivo tanto male nel vederli preoccupati alla fine ho smesso di pensare e come un barattolo sulle onde del mare ho lasciato fare al destino e tutto questo perché i miei erano ignoranti con paure inutili e così mi lasciavano anche a me crescere nell'ignoranza che mi piaceva studiare non glielo mai dissi ai miei perché per varie cose a scuola ero stata somare e c'era tanto lavoro il coraggio mi mancò di fargli spendere i soldi e non essere promossa.

martedì 24 ottobre 1984
Venerdì scorso è stato l'ultimo giorno che sono stata dalla pisgol[og]a del consultorio, ho chiuso con queste visite senza risolvere il problema di Robert e il padre per il loro rifiuto a queste visite, per quello che riguarda mè grazie a Dio il momento terribile è passato e spero che Dio mi dia sempre la forza per mantenermi dentro la mia personalità e identità. Venerdì doveva essere un appuntamento di famiglia, speravo che si realizzava perché questa estate Dante con me una volta ci è venuto e proprio lui ha accettato la data con la dottoressa abbastanza vicina, però il giorno dopo era agitato e mi rimproverava per avercelo convito a venire con me, poi il giorno destinato venne la trebbia per il raccolto dell'orzo e così finì lì, ma poi lui ha avuto sempre più difficoltà con il figlio e ci soffre fino a sentire, disturbi fisici, così gli ho riparlato della dottoressa facendogli capire il momento critico che attraversa anche Robert che soprattutto su di lui ha il rifiuto fino all'odio, alla mia decisione non vedeva una risoluzione però non si oppose, la stessa cosa è stato per Robert. Giovedì quanto a Robert gli ho ricordato dell'appuntamento, ha alzato la voce e detto parole volgari anche verso la dottoressa cambiando di colore e detto che non ci fosse venuto neppure con la catena e se ne è andato a dormire. Quest'atteggiamento mi ha sorpreso e fatto venire l'idea che ha qualcosa nel carattere uquale al padre, spesso questa estate si è sfogato con me di come la vita le sembra brutta e inutile e come si sente fiacco e senza voglia di fare niente, e che spera che il padre muore così respira, io rispondevo di capirlo un pò perché era capitato anche a me e perché a 15 anni un pò capita a tutti; ma sé per vivere la tua vita credi che ai bisogno dell'assenza di tuo padre sei fuori strada, perché anche se brontola troppo nel senso negativo rinfacciando i piccoli errori come se fossero cose tanto terribili non avendo riuscito a far bene un lavoro o una dimenticanza, oppure ti rinfaccia le spese, in realtà a scuola te ci manda e sai che se volessi frequentare qualche sport non te lo impedisce e anche per uscire in realtà esci abbastanza per i 15 anni nonostante i brontolii e rifiuti a parole, quinti stai meglio di tanti altri che oltre ai genitori non apprezzabili per tante cose, hanno impossibilità vere per realizzare le loro ambizioni o per mancanza vera di soldi o per principio dei genitori e coi fatti impediscono ciò che vogliono ai figli, quinti perché tu credi che senza di tuo padre saresti felice?. Mi ha risposto perché non sarebbe obbligato a sopportare la sua presenza che gli fà schifo così qualche volta anch'io e non si dovrebbe vergognare fuori con gli altri. Gli ho fatto notare che fa parte della vita per tutti una parte di ostacoli e nessuno può dire con sicurezza che se non ci fossero sarebbe più bello, e gli ho detto che per me lui si trova ora difronte a un sacco da incollare più pesante delle sue possibilità, una persona umile e non egoista a scaricarlo agli altri riconosce che non ce la fà e trova la maniera un pò per volta di riuscirci anche chiedendo aiuto a un dottore quanto si tratta di sovrappeso pisgologo e questo vale anche per tuo padre che il sacco della vita gli è sempre stato pesante ma l'umiltà di misurare la sua possibilità e quindi trovare la maniera di diminuirlo gli è mancata, e allora quanto la stanchezza lo soffoca l'egoismo lo porta a scaricare sugli altri. Gli ho fatto la proposta chiara a Robert di prendere quell'appuntamento alla dottoressa che l'anno scorso mi ha un pò aiutato a superare la crisi, quel giorno che si sfogò con mè e mi ascoltò senza nervosismo cercai di dirgli che andare dalla dottoressa in famiglia poteva aiutare un pò tutti a capirci facendo capire in quali occasioni si scarica il proprio sacco agli altri, lui alla mia proposta non rispose con fiducia e disse che per il padre solo era utile, io insistetti che un dottore questi problemi li risolve in famiglia e lui rimase senza decisione e mi lasciò decidere a me. Guel giorno si è comportato come un ragazzo grosso ma coscente che le sue idee e sentimenti potevano non essere giusti e si appoggiava, come è normalissimo a 15 anni si è bambini, invece la vigilia era presuntuoso ed egoista dicendo di non aver bisogno di nessuno e che sapeva lui come la pensava, in mezzo a tante parole più o meno inutili e nevrotiche gli sono scappate alcune molto significative queste: "Se io sono così, la colpa è vostra di tutti e due da sempre, certi comportamenti! Ricordo anche da piccolo!:" Queste parole dette quasi a se stesso con espressione grave mi hanno detto che c'è veramente la necessità di smuovere qualche ristagno in mente mi sono tornati alcune cose difficili da spiegarmi, perché anche se qualche volta ho cercato di entrare in confidenze con lui anche da piccolo quanto sapevo che era turbato per qual'cosa, mi rispondeva "non lo so" e credo che era sincero, perché da bambini deve essere difficile distinquere e spiegare i sentimenti brutti sù i genitori, sù altri argomenti i belli e brutti mi raccontava tutto e mi chiedeva consiglio, ne racconto uno di atteggiamento particolare che io capisco in un bambino di 5-6 anni come èra Robert, il suo turbamento, ma lui è stato esagerato capii che aveva una sensibilità molto accentuata sotto la sua timidezza, e forse come diceva la sua maestra un'intelligenza che lo portava ad approfondire ciò che circondava più degli altri mostrandosi più maturo della sua età, dire questo su lui adesso è pazzesco perché tutto si è capovolto è ègoista, insensibile su tutti e tutto, menifrechista tutto più del normale. Mia madre, circa 8-9 anni fà venne a farci visita dalla Toscana e si era vicino al compleanno di Robert così gli portò per regalo una bella camicetta (I rapporti con Dante erano movimentati c'erano gli interessi di mezzo che qualche anno prima turbarono l'atmosfera familiare quanto ancora i miei genitori abitavano quì e Robert coi nonni aveva il suo rapporto affettivo.) Quanto arrivò eravamo tutti a casa, dopo di mè salutò Robert che già vedevo incupirsi invece di sorridere, gli diede il regalo accarezzandolo e chiese se era contento di vederla, Robert non prese il pacco ma scoppiò a piangere scappando in camera sua per almeno mezz'ora, neppure il saluto ricambiò, restò chiuso in se stesso col viso serio per giorni, mamma se ne andò già la sera, cercò di farsi dire da Robert perché piangeva ma restò senza la sua risposta. Mi colpiscono le lacrime anche perché orgoglioso come éra non piangeva quasi mai soprattutto in presenza di altri, venerdì decisi di andarci ugualmente dalla dottoressa anche sola (Dante si è rifiutato con lo stesso atteggiamento del figlio) con la speranza di poterle raccontare quest'episodio, capire un pò questo capovolgimento della sua personalità, soprattutto accontentarmi, visto impossibile le normali visite dirette, di acquistare un pò più sicurezza e meno angoscia in mé pensavo che sapendo chi è Robert oggi e chi era da bambino, attraverso di qualche episodio sia da piccolo che adesso, sarebbe stato meglio di niente per un mio rapporto con lui più sereno. La dottoressa mi disse che non serviva a niente che gli parlassi di lui e non poteva farci niente se a scelto così Robert significa di non ritenerlo necessario, io risposi di capire, che lui non poteva giudicare sul mio pensiero per gli altri, ma gli promisi di raccontare episodi a forma di dialoghi e con distacco da parte mia, non c'è stato niente da fare, ha detto di non potermi ascoltare se non solo ciò che riquardasse la mia persona, mi disse che sono insicura, io risposi con voce calcata perché le trovavo inutili quelle parole: "certo se avessi la sicurezza non mi troverei quì:" Poi parlando di qualcosa di me, le mie risposte erano con qual'cosa della mia famiglia insieme alla mie personali, lei insiste di non nominarli e potevo chiedere di nuovo l'appuntamento per la mia insicurezza ho detto che non mi serviva e così l'ho salutata. Non capisco come sia possibile parlare di mé senza nominare la famiglia se i miei problemi sono loro, per esempio come quanto non sò che dire e ne che fare. Mi fermo quì troppo lavoro mi aspetta.


Antonella Federici
LETTERE AI MIEI diario-epistolario 1982-1984
(Premio dei Diari 1985)

Bologna 5.12.1982 (domenica d'inverno, fredda e assolata)
Caro papà, eccomi di nuovo. Sai che soffro di grafomania e soprattutto di comunicabilità, malattie che nessuno può curare ma in qualche modo stabilizzarle si, scrivendo molto. Ieri sono uscita con un ragazzo di diciannove anni, quasi un amico. Abbiamo fatto una interminabile passeggiata al centro, abbiamo chiacchierato, e ci siamo anche tenuti per mano. È stata una cosa molto tenera. La giovinezza sfacciata di Toni mi fa un po' rabbia ma in fondo, credo di avere sempre qualcosa da imparare e quindi serve anche questa sottile invidia di cui io sorrido dentro di me. (Essere giovani non è facile, non lo è mai stato). La sua incoscienza è così trasparente e naturale, che riesce a incantarmi può stupirmi e comunque mi trova ogni volta impreparata.
Ha una tale voglia di vivere che mi sconcerta. La sua allegria è comunicativa e mi ha fatto sentire “ una sbarba di trent'anni”. Gliel'ho detto ma non credo che abbia capito, non poteva capire, vive in un alro mondo. Capirà quando avrà i miei anni. A volte lo sentivo imbarazzato, credo che una leggera soggezione lo inibisce un po', ma ho fatto di tutto per metterlo a suo agio; non è stato facile, capisci? Lui non conosce certi angoli della sofferenza e dell'amore. Crescerà, basta aspettare, non c'è bisogno di forzare niente. Crescerà da solo, e capirà. Papà, lo sai che non sono più capace di innamorarmi? È come se tutto quello che avevo da dare io l'abbia già speso e non mi resti che una sensazione di appagamento, di pienezza. A volte è una sensazione un po' amara, di vuoto, non senti più il desiderio di abbandoni passionali, di sfinimenti liquidi d'amore. Certo si soffre meno. È come vivere sempre un sorriso senza avere più la forza di una grande risata. È la serenità, padre mio, che sostituisce con gli anni la felicità, così sperata e poco conosciuta. Non è niente di male anche se il tormento riesce ancora a farsi sentire. E non è neppure eterna insoddisfazione. So che capisci cosa voglio dire, certi momenti del giorno sono penosi: per esempio alzarsi al mattino e non trovare altro che la propria immagine allo specchio. Ma sono momenti che si risolvono da sé. Anche tu provavi lo stesso struggimento, quando eri solo ma la speranza ti ha sempre sostenuto, non è vero? Che bello eri, padre mio! Bello dentro, nel cuore, negli occhi, nella testa. L'eredità che mi hai lasciato è la tua umanità. Non potrei non amarti. “Sarai con me perché ti porto dentro”.
Antonella

Bologna 20.12.82
Caro Stefano,
ho tanta voglia e bisogno di vederti, che mi sono ridotta a scrivere di te e a te, per non perdere del tutto i contatti col resto di me che ti odia e non ti vuole. Vivo come se fossi la tua vedova con tutti i ricordi che mi hai lasciato, il tuo disordine, il tuo odore. È una persecuzione: oltre alla nostalgia, si aggiunge adesso il senso di abbandono. Che però non mi fa piangere, mai. I canali delle lacrime si sono seccati, quasi che la tua indifferenza avesse bruciato il loro liquido e il sale; non ho più parole per dirti in quale prostrazione mi hai lasciato e quanto astio riesce a vomitare il mio cuore. Sto qui e aspetto, chiedo di te all'Anna, pur di sentirmi dire che ci sei ancora, e che quindi posso continuare a strisciare, sperando che ti ricordi che esisto anch'io. Ma io non ti cercherò, dovessi morire per la voglia. Non meriti la mia attenzione, non meriti questo stupido, grande, dolcissimo amore.
Antonella



Bologna 17.1.83
Cara mamma,
è la seconda volta che vengo a trovarti e tu sei stranamente dolce e disponibile. Allora, mi viene da chiedermi: cos'è successo? Che cosa ti rende così “buona” da farti sembrare perfino giovane d'aspetto? O che cosa ho mai fatto io, di così gratificante per te, che possa averti indotto a tornare una madre così normale? Questa inattesa novità mi rende un po' perplessa.
In una vecchia cartolina della nonna, un giorno trovai scritta questa frase: “la carta parla quando la gente tace”. Sono costretta a scriverti per poterti comunicare le mie sensazioni.. Tra di noi non c'è ancora dialogo. Quando va bene, i nostri lunghi silenzi sono fatti di sorrisi e di rapide tenerezze; ma quando oggi mi hai detto: - Allora, cosa c'è di nuovo? - sono rimasta così sorpresa che non ho saputo che dirti e ho buttato lì un imbarazzante: - Tutto vecchio, mamma - Desideravo parlarti di me, dei miei problemi attuali, ma non c'è stato il tempo e nemmeno il modo; la tua domanda mi ha colta così di sorpresa che il fiato è stato più corto ed è ripiombato il silenzio
Peccato, un'altra occasione per aprirci buttata via; e sono occasioni così rare che bisognerebbe saperle sfruttare. Ma non ero proprio preparata. Io ti voglio bene, me ne rendo conto in questi giorni in cui sei così gentile. Sono i giorni come questo che non mi fanno pentire d'averti cercata, dopo anni di silenzio. Spero che capiti un'altra occasione, io di speranze ne ho da vendere. Resta il fatto che mi fa piacere vederti così, perché torni quasi bella come una volta, quanto ero bambina e avevo di te un'immagine incantata. Rimani così per un po', se non ti costa molto.
Un bacione da tua figlia Antonella

Bologna 18.1.83
Caro Stefano,
voglio rigraziarti per la passeggiata di oggi e per aver sopportato il mio silenzio, anche se ti deve avere annoiato non poco. Non riesco proprio a parlare, a trovare argomenti per intrattenere o per discutere; non c'è niente che abbia senso dire, o che io abbia voglia, solo un po', di comunicarti. Mi dispiace che io sia così, anche perché questi silenzi finiscono per logorarmi i nervi, lasciandomi confusa e amareggiata, quando te ne vai. Te ne vai sempre, Stefano. Non posso proprio più attaccarmi a te, volerti anche solo un po' di bene; è troppo difficile, fa troppo male. Tu non hai tempo per me, non hai energia da dedicarmi, tranne qualche volta, quando tu decidi di fare l'amore e allora ti fai un regalo e ti regali me, per qualche ora.
Però la passeggiata di oggi è stata bella, c'era un sole magnifico e… e sei riuscito persino a farmi ridere. Sai Stefano, dicevo sul serio quando parlavo dei nostri litigi che non esistono più.
È vero, non litighiamo più ma non facciamo più niente insieme. Ho fatto un voto di volontà: non mettere più niente per “noi”, neanche un banale litigio. E tu hai detto che queste cose non le dico seriamente. Ma l'aria che avevo nel dirti era seria e molto. In fondo, non te ne importa niente: ti sei tolto il dente e adesso stai bene. Così almeno ti racconti; non ti fai più domande, non ti poni problemi. Bravo continua così e mi perderai del tutto; un giorno riuscirò perfino a fare a meno del tuo sesso e allora per te, nella mia vita, sarà finità davvero e per sempre. Adesso ho ancora una brutta malattia che si chiama malinconia, e non riesco a dare un taglio netto alla nostra storia. Ma sta guarendo, piano piano, sto guarendo e presto sarò libera davvero. Sopportami ancora per poco, Stefano e vedrai che la grana te la risolvo io. Continua così: sei sulla buona strada per restare solo, senza un sentimento che ti scalda il cuore, sempre che tu abbia un cuore dentro tutto quel lardo.
Ciao, Stefano. Antonella

Bologna 31.1.83
Caro, carissimo Mario,
giorni di sole, primaverili, si alternano a giorni cupi di fitta nebbia invernale, e danno al mio umore certi sbalzi repentini che lasciano stupiti tutti, me in primo luogo.
Io resisto, mi oppongo, rimuovo, ma dentro la sento, tutta interiore e cancerogena, quella stanchezza che mi toglie la capacità di ridere. Vorrei non essere così metereopatica ma quando penso che tu, tutti questi sbalzi, li vivi per una sola ora al giorno (quella maledetta “ora d'aria”), allora mi do' della stronza. Ben venga, allora, il sole o la nebbia, ma l'illusione di libertà (che ti tolgono con la carcerazione) almeno a me è rimasta.
Finché dura.
Ciao, spero che il tuo ritorno fra noi sia presto, prestissimo. Baci. Antonella

28.12.83
Caro, carissimo papà,
non era il Perù la meta di Mario. È partito stanotte per il Brasile, come un ladro, come chi scappa da qualcosa che odia e alla quale non tornerà. Mi ha telefonato dall'areoporto e ci ha messo solo tre minuti per dirmi: - Sono io, parto per il Brasile, ti scrivo appena posso. Abbi cura di te perché tornerò ricco e guarito e voglio trovare la mia sposa ad attendermi -. Ho riso e ho pianto a anche lui soffocava le lacrime con l'ironia. Avrei voluto vederlo ancora una volta ma tutto è stato preparato così in fretta che è rimasto solo il tempo che per una telefonata. Ti scriverò, ha detto. Spero davvero che lo faccia, voglio sapere che cosa fa, come vive, se vive.
È mio marito, papà, e lo resterà per sempre. Ma il Brasile è lontano, così grande e lontano da sembrare una favola. Sarà bello ricevere sue notizie, rileggere le sue lettere. Sarà bello ritrovarlo.
Papà, io credo che non sarà un'attesa lunga. Bacioni. Antonella

1984
Siamo alla fine, amico mio. Ultime parole. Ultime sensazioni. Sarà un brutto distacco ma solo momentaneo. Per quanti giorni e notti mi hai ascoltato?. Quanti pianti hai assorbito, quante speranze porti scritte qui dentro? Non si contano, come non si contano le lettere dolorose, affettuose; gli stralci di pensiero di questi giorni particolari, mai uguali. Quanti personaggi hai guardato vivere e prendere forma, da me a te, attraverso le parole. E ora ci lasciamo, ma lo spirito resta, si trasporta solo in un altro quaderno. Sarà come sempre ogni giorno qualcosa da riportare: piccoli flash di vita quotidiana, quella che ha un sapore che a volte dimentico ma che poi torna. Io non posso stare senza scrivere, come se fosse respiro; ne ho bisogno per vivere. E le parole esprimono, a volte, il meglio di noi.

Daniele Granatelli
IL SAPORE DEL PANE
Memoria 1945-1998
(Premio dei Diari 2003) Terre di mezzo 2004

Nell'immediato dopoguerra Daniele ha solo quattro anni quando deve lasciare la sua casa con altri bambini in particolari situazioni di povertà. I partigiani hanno cercato per loro case di contadini dove possano trovare cibo e affetti. Da Lodi, Daniele si sposta in Emilia. I pochi mesi previsti diventano per lui anni, durante i quali è costante la nostalgia per la madre e per il duro pane nero, simbolo della sua infanzia…

Il treno sussultò e tutti i bambini corsero ai finestrini per salutare ancora una volta la loro mamma. Io ebbi poca fortuna, il finestrino lo toccavo a malapena e nessuno in quel momento mi avrebbe dato retta se avessi chiesto loro di alzarmi per poter salutare anch'io la mia. Così mi sedetti sulla panca in un angolo della carrozza. Il treno si mosse lentamente e subito dopo ad uno ad uno anche gli altri presero possesso dei sedili. Spifferi d'aria arrivavano da tutti i lati, le carrozze non erano comunicanti tra di loro e non potevo raggiungere i miei cugini. Non piangevo più, ma ero molto triste e confuso.
Era il 30 ottobre 1945. Il sole autunnale di quel mattino era già visibile e il treno marciava verso luoghi a me sconosciuti. Pensavo a mia madre, a come avrebbe fatto a raggiungermi. Lei sicuramente lo sapeva. Pensavo alla mia sorellina di due anni che sicuramente ora era a casa tranquilla. Ai miei cugini, alla casa. La nostra casa era una camera enorme al primo piano di un edificio vecchissimo, la camera era divisa da una tenda: da una parte un lettone grande, il lettino per la mia sorellina, un baule, uno zoppo comò con lo specchio, un piccolo armadio e un comodino, dall'altra parte della tenda un tavolo, tre sedie, un seggiolone, una credenza, un trespolo con appesi due secchi sempre pieni d'acqua, un porta catino con catini e un mastello sottostante. Lì ci abitavamo io, la mia sorellina Mary e nostra mamma Angela. Dietro la porta una grossa borsa di tela rossa tipo zaino appesa ad un chiodo, era il contenitore dove normalmente mamma metteva il pane, che doveva durare una settimana. Era pane duro già dal primo giorno, nero e forse anche con un po' di segatura dicevano, ma era buono.
Un giorno mia madre mi negò il solito pezzo di pane che quotidianamente consumavo per merenda dicendomi che era finito, e mentre lo diceva piangeva. Non capivo perché piangesse e le davo della bugiarda, perché io toccando gli angoli della borsa sentivo duro. Me la mostrò, era vuota. Non potevo capire che il duro erano le cuciture degli angoli.

Molto tempo dopo seppi che a mia madre avevano tolto la tessera del pane perché mio padre aveva disertato e non ebbe nemmeno più il sussidio. Inoltre mio padre prima di partire aveva lasciato il suo segno per la terza volta.
Era lunedì e dovevo andare a scuola, così non avevo molto tempo per stare con lei, solo di pomeriggio e la sera. Il mercoledì mattina sarebbe ripartita per Lodi. Di portarmi con lei non se ne parlava proprio, dato che dovevo andare a scuola. Ma non se ne parlava nemmeno per un futuro.