logo dell'associazione

logo dell'associazione

Gli ascendenti della poesia



lunedì 22 novembre 2004 leggono vari
La serata, intitolata appunto "Le ascendenze della poesia", si aprirà con un Mario Luzi inedito – la proiezione di due filmati inediti: “Luzi legge Petrarca”, realizzato dall’Elefante a Firenze, insieme al Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna, e “La Bologna di Morandi e la cultura”, sempre curato dall’associazione.
Tre invece gli interventi dei poeti della rivista “Frontiera”: Salvatore Jemma e Jean Robaey leggeranno testi di Roberto Roversi e Vittorio Sereni, mentre Luca Egidio leggerà alcune poesie di Stefano Dal Bianco. Speciale spunto offerto dalla serata sarà una rarità assoluta: la registrazione audio di Roberto Roversi che legge suoi versi inediti tratti da “L’Italia sepolta sotto la neve” parte III (registrazione Radiofrontiera allegata al primo numero della rivista).
Anche Montale comparirà di diritto fra gli “ascendenti” della poesia contemporanea: Davide Ferrari proporrà la lettura di “Secondo testamento”.
Si tratta in complesso di una grande offerta di temi, e soprattutto di tante possibilità di discussione. Infatti, come è uso alle serate di lettura della Bottega, i testi verranno proposti direttamente e semplicemente: senza le pretese di una conferenza interpretativa, ma nemmeno nella pura forma del “reading” spettacolare. Ci sarà invece spazio per la discussione tra gli autori e col pubblico, il quale dopo le proiezioni e le letture potrà intervenire con domande e osservazioni Una occasione perché si possa entrare nel laboratorio dei poeti, anche con l’ingenuità del non-competente, ma con la sincera attenzione di quando si parla di cose importanti, come delle radici della scrittura.


Testi proposti da Salvatore Jemma

ROBERTO ROVERSI

PRIMA DESCRIZIONE IN ATTO

Ritorneranno i tempi (duri)
piangeranno contro i muri le madri
aspettando il ritorno dei figli.
Questo tempo che ha uomini di così debole fiele.
La presunzione li fa ritenere superbi
grandi (leggere le gazzette)
ma api al miele
corrono ai peccati di sempre
non c’è nulla che li trattenga.
Parole di ammonimento
sono spazzate dal vento via.
Cederemo ancora una volta alla morte.
E’ fango la volontà di riscatto.
I ramarri escono dalle crepe.
Spezzate statue.
Lacrime nel buio.
(…)

DECIMA DESCRIZIONE IN ATTO

I.
Che età avevi quando irruppe il Medo?

II.
Il giuramento a lume di candela
nella cattedrale di Brunswick
davanti alla tomba
di Enrico l’Uccellatore (vedere a pagina ottanta)
con gli occhi azzurri e i capelli biondi, essi
e il pelo sul cuore...

III.
Una strada non c’è. C’è una strada (un fiume), c’è un fiume
– credo che ci sia, è così – un profondo
fosso, una siepe, un fiore d’albero
sotto il giardino spappolato, c’è il pianto
di una bambina nuda col tracoma c’è
il sangue di un uomo per terra decapitato
la milza di un animale sul bancone di legno;
c’è il filo bianco (un rosso filo) che stende
dal labbro di chi parla fino a una casa laggiù;
una carta su cui il dito striscia con raccapriccio;
l’orgasmo della donna fra l’erba affumicata
da un vecchio incendio, un bombardiere che non si vede.
Vilipendio di istituzioni (di gravi legittime colpe).
Non c’è più l’eco, il suono non c’è, il percuotere
dell’ultimo dissenso, le voci
placate (finalmente?), i refusi scomposti;
ribolle un altro piombo per più degne canzoni
la caratteristica del tempo è una misurata indifferenza,
tutto interessa un poco per brevissimo tempo,
ogni cosa muore, deperisce, sé consuma e sfoltisce
nel forno della memoria.

(…)

(da Le descrizioni in atto (1963-1973), I quaderni de Lo Spartivento, 1990, pp. 5 e 20)


L’ITALIA È SEPOLTA SOTTO LA NEVE. CERCHIAMO DI RENDERE UTILI NOI STESSI

Si preparava a Bologna un meeting politico in piazza Santo Stefano per il pomeriggio del giorno 4 giugno. I lettori de il manifesto sono stati informati da una notizia abbastanza dettagliata. Adesso, e nei prossimi gironi, i termini di questa azione andranno stabiliti e controllati al fine di raggiungere una conclusione con qualche utile risultato. Ma in questa sede mi preme soprattutto discutere ancora un po’ i termini generali di questo progetto, che è appoggiato da molti ma da parecchi è anche criticato.
Vediamo in due parole, per l’esattezza, di calcolare i consensi. Ritengono giusto, anzi ritengono tempestivo questo proposito se si considera la noiosità e l’ovvietà di tanti, di troppi comizi; di tante, di troppe tavole rotonde a più voci; di tanti, di troppi incontri televisivi con o senza le gazzette preopinanti. Di tante parole al vento. Badando anche alla patologica mancanza di un linguaggio politico aggiornato; e alla assegnazione senza grinta stampata sulla faccia di quasi tutti i candidati. Dicono: adesso è giusto, anzi necessario, mettere in moto qualche forma diversa di incontro, che permetta non tanto di parlare ma di discutere gli uni con gli altri e che metta a contatto diretto, senza altre interferenze, quelli che fanno politica con i cittadini con i cittadini che la subiscono; e che dia finalmente non solo la prima ma anche l’ultima parola alla gente comune, costringendo il personaggio ufficiale, se è presente, a tacere o a difendersi o a prendere non tanto appunti ma impegni precisi su domande precise. Però non solo questo, aggiungono. È altrettanto importante che fianco a fianco sulla stessa pedana rialzata, e in mezzo alla gente, ci stiano la sinistra storica (i rappresentanti della sinistra storica), e i gruppi della sinistra extraparlamentare. Così gli uni potranno – se ci riescono – e col conforto di una udienza allargata, rovesciare tutte le possibili obiezioni appoggiandole a ogni genere di argomentazione – purché restino sulle cose; gli altri dovranno aggiungere altri elementi alle linee dei programmi concreti e completi già esibiti, allargandoli magari o modificandoli con altri problemi che premono. Droga, sesso, casa, università, anziani; nessuno potrà scherzare né eludere la sostanza, se pungolati dalla necessità della gente partecipante, che ha bisogno di ascoltare verità vera avendo delle necessità urgenti spesso terribili.
Ma, come ho detto, c’è chi è contrario; e niente gli sta bene. Alcuni dicono così: io non voto proprio, sono schifato di tutto, non vedo perché adesso dovrei lasciarmi coinvolgere da questa manfrina solo spettacolare. Gente o non gente, saranno i partiti tradizionali alla fine a ricucirsi addosso la stoffa migliore e in vista proprio delle imminenti elezioni agli altri resterà il regalo di un fazzoletto che basta per soffiarsi Il naso. E poi: sarà naturale che il Pci si mangi la torta più grossa visto che c’è in mezzo. Sono marpioni furbissimi; e sentono sul collo il fiato delle elezioni: gruppi di opinione, centri culturali, raggruppamenti politici minoritari; capiterà come sempre; gli prestano un orecchio il giorno prima del voto e chiudono ogni pertugio il giorno seguente, quando i giuochi sono stati fatti. E vanno avanti a modo loro con un a arrivederci al prossimo quadriennio.
A questo punto io vorrei ribattere che il gruppo di queste obiezioni anche se ha qualche ragione di vero, è troppo parcellizzato e non concede realisticamente alcun aggancio colle necessità urgenti della gente. Mi sembra un poco più «utile» l’altra obiezione formulata così: ci pare che un incontro di questo tipo, tre giorni avanti l’8 giugno non debba restare limitato in se stesso, e non abbia speranza di crescere, di servire di ribaltare le trentennali esperienze di un potere che non vuole cedere lì campo ed è abituato a concedersi e a prestarsi solo in certe occasioni e a determinate condizioni. A noi, alla fine, che cosa resterebbe di diverso dei solito?
Tuttavia dal mio punto di vista c’è un errore da una parte di queste obiezioni e dall’altra. A mio parere una verità che sia utile sta nel mezzo e sarebbe quella che dice all’incirca così: smettiamola per un momento di scendere in campo per distribuire in giro fra noi solo e soltanto insolenze o insoddisfazioni; cerchiamo invece di rendere utili noi stessi , per il rispetto che si deve alla gente, definendo meglio le cose e aggredendo i problemi specifici da più parti per arrivare a soluzioni una volta tanto di fondo. Cerchiamo di usare finalmente in un modo attivo anche questa scadenza col proposito fermo che questo modo di incontrarsi non resti un episodio ma diventi una necessità periodica per tutti. Che ci sia, insomma, dopo una prima (elezione) anche un dopo. Sappiamo bene che L’Italia è sepolta sotto la neve: ma proprio nel radunare i problemi, nell’avvicinarli alla gente e nel discuterli con la gente si concorre al rafforzamento della democrazia. Oggi abbiamo bisogno di tutto e di tutti: questa è dunque una buona ragione e una buona occasione per cercare obiettivamente di aggiungere qualche stimolo nuovo e mordente all’aggregazione. Invece di concorrere a produrre un dissenso male organizzato: che è vuota lacerazione.

(“Il manifesto”, 30 maggio 1981)

164.
Perché cadi, vento d’estate? Vento del sole. Vento d’estate.
Il giocatore di calcio dice: alcuni portano
nel nome il proprio destino.
Prima che il mondo ci lasci (o ci abbandoni)
riuscirò a raccogliere qualche
frammento di parole
per capire le obiezioni degli amici
il rumore degli anni, queste ultime avventure.
All’inizio del ’92
ho raggiunto la grotta dei miei pensieri
prima era pianto poi lunghi respiri
perderemo la virtù d’amore
se la partita non sarà terminata
con un tiro preciso nel momento dell’attesa.
Le gradinate vuote la gente dispersa
solo la prossima gara riempirà questa patria
di bandiere. Voci. Le voci coprono l’acqua di molta allegria
sono voci lontane.


176.
11 giocatore di calcio
dice al signor D’Aubigné
“oggi non si fa la partita
le attese vanno deluse
i sogni della notte
polvere di bandiere non riempite dalla vittoria. Oggi.
Le ore dell’inverno
non vedono passare l’ombra delle rondini”.
“Perché non vai via? Morirai”
grida colui che ha la palla.
“E allora cerca la fonte del gioco
prima che arrivi la notte.
La lotta è aperta anche se non c’è il nemico
il tempo dei sogni non dura all’infinito
ma si consuma da autunno a autunno
dall’angoscia al risveglio che è l’alba del mondo
indossa l’azzurro della tuta e
corri sull’asfalto quieto corri sull’erba che non ha cuore
non ritornare prima che sia primavera e
l’inverno finito...”


l76bis.
Il silenzio ha un suono acuto
uguale è a una lama che vibra vibrante
luccica luccicante
dopo che il nemico l’ha ferito al cuore.
Non abbiamo più paura
il mondo cambia chitarre
si inquietano le parole
urla ogni tanto il vocabolario abbandonato nella solitudine
sussulta ogni tanto nel sonno anche la dea ragione.
I venti si scontrano per la sera.
Il sole osserva e tace camminando nell’infinito
cratere dei cieli.

(L’Italia sepolta sotto la neve (Parte seconda 164-253), Pendragon 1993, p. 3 e pp. 16-17)


VITTORIO SERENI

SARÀ LA NOIA

dei giorni lunghi e torridi
ma oggi la piccola
Laura è fastidiosa proprio.
Smettila – dico – se no...
con repressa ferocia
torcendole piano il braccino.

Non mi fai male non mi fai
male, mi sfida in cantilena
guardandomi da sotto in su
petulante ma già
in punta di lagrime,
non piango nemmeno vedi.

Vedo. Ma è l’angelo
nero dello sterminio
quello che adesso vedo
lucente nelle sue bardature
di morte
e a lui rivolto in estasi
il bambinetto ebreo
invitandolo al gioco
del massacro.

(Stella variabile, Tutte le poesie, Mondadori, 1986, p. 226)

Testi proposti da Jean Robaey


ROBERTO ROVERSI

«Il cattolicesimo ha svaccato ogni gesto – dice Marcho Marcho – tanto che in ogni momento il naturale diventa soprannaturale e ciò che sembra banale si trasforma in miracolo. Tutto è teatro. C’è sempre un santo che sanguina, una madonna che frigna, un grand’uomo da ringraziare se si apre una strada o si interra una chiavica. Una banda con gli ottoni per questi pomeriggi di un fauno. Se il resto casca a pezzi chi se ne frega? Mai visti tanti stronzi al timone».
La barca corre e va; la barca è sola. Le generazioni si stancano, passano, ogni vent’anni si può ricominciare da capo.
Promesse. Bellezze. Le nevi. Il passato.

(I diecimila cavalli, Editori Riuniti, 1976, p. 103)

VITTORIO SERENI

TERRAZZA

Improvvisa ci coglie la sera.
Più non sai
dove il lago finisca;
un murmure soltanto
sfiora la nostra vita
sotto una pensile terrazza.

Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera
entro quel raggio di torpediniera
che ci scruta poi gira se ne va.

(Frontiera, Tutte le poesie, 1986 p. 37)

Non sa più nulla, è alto sulle ali
il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna.
Per questo qualcuno stanotte
mi toccava la spalla mormorando
di pregar per l’Europa
mentre la Nuova Armada
si presentava alla costa di Francia.

Ho risposto nel sonno: – È il vento,
il vento che fa musiche bizzarre.
Ma se tu fossi davvero
il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna
prega tu se lo puoi, io sono morto
alla guerra e alla pace.
Questa è la musica ora:
delle tende che sbattono sui pali.
Non è musica d’angeli, è la mia
sola musica e mi basta –.

(Diario d’Algeria: Tutte le poesie, p. 82)


UN POSTO DI VACANZA

II

Tornerà il caldo.
Va a zero la bolla di colore estivo, si restringe su un minimo
punto di luce dove due s’imbucano spariscono nel sempreverde
dando di spalle al mio male
– e io al mare – e sull’attimo
di cecità di silenzio si dilata uno sparo.
Chi ha fatto chi fa fuoco nella radura chi
ha sparato nel folto tra campagna e bosco
lungo i filari?
Di qui non li vedo,
solo adesso ricordo che è il primo giorno di caccia.
Non scriverò questa storia – mi ripeto, se mai
una storia c’era da raccontare.
Sentire
cosa ne dicono le rive
(la sfilata delle rive
le rive
come proposte fraterne:
ma mi avevano previsto sono mute non inventano niente per me).
Pare non ci sia altro: il mio mutismo è il loro.
Ma il sogno delle canne, le canne in sogno ostinate
a fare musica d’organo sul fiume…
(…)

VII
(…)
– non una storia mia o di altri
non un amore nemmeno una poesia
ma un progetto
sempre in divenire sempre
«in fieri» di cui essere parte
per una volta senza umiltà né orgoglio
sapendo di non sapere.
Sul rovescio dell’estate.
Nei giorni di sole di un dicembre.

Se non fosse così tardi.

Ma tu specchio ora uniforme e immemore
pronto per nuovi fumi
di sterpaglia nei campi per nuove luci
di notte dalla piana per gente
che sgorghi nuova da Carrara o da Luni.

tu davvero dimenticami non lusingarmi più.

(Stella Variabile: Tutte le poesie, pp. 239-40, 247-48)



Testi proposti da Luca Egidio

(da: Stefano Dal Bianco, Ritorno a Planaval, Mondadori, 2001)

La distrazione

Una volta, guardando un ramo, o un passero, o una foglia stagliarsi oltre la finestra, era sempre aperta la possibilità che ramo, foglia, passero uscissero dai loro contorni, facessero corpo con noi, con l'aria tra di noi. E lì potevamo sentirli di più, tanto da lasciare che si liberassero di nuovo e finalmente, qualche volta, con un po' di voglia e di fortuna, sarebbero stati una visione. Allora eravamo contenti e ci bastava.
Adesso, quando non sappiamo cosa fare possiamo andare sulla terrazza e chiedere al vento se è vero che siamo felici.
Ma tutto questo movimento di rami, visto sempre dall'interno, fa pensare ad un cuore pulsante, il cuore della nostra casa posto fuori.


Edit by Giorgio Tsiotas Tutto questo movimento delle piante che abbiamo comperato e di quelle più grandi che erano qui da prima ? una folla di pioppi silenziosa nel vento di là dalla finestra ? senza volerlo contiene la nostra stagione, senza volere acconsente alla nostra vita.
E io posso sentire che abiti molto lontano e che forse non c'è niente qui intorno che sia tuo.
E vorrei chiederti scusa. Scusami se qualche volta, come adesso, costruisco la tua vita, e scrivendo parlo di te e ti attribuisco i miei pensieri. E una specie di rigurgito, di cui mi vergogno, un resto di un bisogno di bellezza con in più la paura di dover stare da solo. Prima di andare, vorrei che tu stessi con me ad ascoltare i pioppi. Adesso, vorrei solo distrarmi.


Prima di Arturo

Prima vorrei che la casa tutta fosse in ordine:
con le pareti imbiancate, le tende lavate,
con due o tre tappeti in più
e altre cose, così che quando
Arturo arrivasse
ne sentisse il profumo.
E poi vorrei non litigare mai,
così che sorridesse tutto il tempo
e dormisse pulito assomigliandoci
(però con gli occhi con il naso con la bocca tuoi).

Sul treno

Sedersi al finestrino con le spalle alla testa del treno, così che invece di incontrare il paesaggio che arriva la vista si perda sul paesaggio che scompare, il nuovo arrivando di sorpresa, così violento e di già nauseante come un tradimento.

13 febbraio, insolazione

Il sole che nel nuovo parco cittadino si appoggia in silenzio
sulle schiene dei cani e delle madri, e si rifrange sulle ciglia
dei bambini addormentati, sulle capigliature rare dei pensionati
in vena di pensieri miti,
e che come un ricordo d'amore
pretenderebbe di avere con gli altri anche me
nella promessa della primavera, quasi
quasi ci riesce:
sento che anch'io, basterebbe volerlo,
potrei entrare nella luce di febbraio
e di sicuro sarei già più leggero,
se non fosse la testa intontita e un poco troppo sollevata
per condividere qualcosa, in questo giorno.

Un regalo di fiori
al lettore
Sotto il monte, al margine del prato,
sotto il torrente di Planaval,
non lo dico per vezzo,
ho raccolto dei fiori:
per ogni tipo tre.

Per una persona, li ho presi, che, da tanti anni è morta eppure
ancora forse abita qui e non ci fa compagnia e dei fiori forse
non le importa, né del paese che è cambiato.

Nell'incertezza forse li ho raccolti,
a tre a tre,
con esattezza ripetendo un brivido.

Nell'incertezza di farlo per me.

Nell'incertezza di volere che tu,
che non conosci questo posto
che non ci sei mai stato
e ora leggi il mio diario,
vedendo i fiori ti commuova
e mi venga vicino e capisca
chi al margine del prato abita ancora
e con il monte respira
e mescola con l'acqua la sua voce,
e ci sovrasta.


Vento in città

Comincerò col dire che c'erano le luci ? quelle sospese al centro della via ? che si muovevano paurosamente alle spinte del vento,
che pioveva poco e da pochi minuti, ma sufficienti a sporcare con il vetro la vista,
e che io nella macchina in corsa mi sentivo sicuro e potevo guardare, sforzarmi di capire
come sia che una città bagnata,
frequentata da un vento non suo,
così rifratta e ammiccante dalle gocce sporche,
potesse darci così tante luci
provenienti da chissà che cieli
e al tempo stesso, inderogabilmente,
illuminarci, consegnarci a noi.


La poesia di oggi
Con me
Dopo che ho preparato da mangiare mi riposo e aspetto, fumo una sigaretta, cammino per la casa, sbocconcello dalla tavola qualcosa il cui sapore mi plachi, plachi la fame in me e la mia voglia di vederti.
Senza di me
L’inclinazione dello schermo del computer che è la stessa del leggio di plastica poco più avanti, la lampada sui fogli e sul quadrato nero della scrivania, la sedia gialla vuota senza di me: tutto questo è il tuo sguardo nella fase di un amore corrisposto.
Con noi
Ci siamo visti, tu coi capelli raccolti vestita di lana come una vecchietta buona, io con la pancia sui pantaloni bianchi e il mio maglione orrendo azzurro morbido. Ci siamo visti e solo un poco ci siamo vergognati.
Senza di noi
Senza di noi la casa è ovviamente silenziosa, gli specchi sono fermi e con la luce accesa per i ladri le piante mandano un'ombra che è più fissa del normale. Le zanzare sostano sui muri. Non c'è nessuno che ci aspetti.


Testi proposti da Davide Ferrari

EUGENIO MONTALE

Secondo testamento

Non so se un testamento in bilico
tra prosa e poesia vincerà il niente
di ciò che sopravvive.
L'oracolare tono della versificazione
non cadrà nell'indifferenza
e un brandello, una parte della mia
impotenza farà vendetta del prima
e dell'ignoto. Non scelsi mai la strada
più battuta, ma accettai il fato
nel suo inganno di sempre.
Ed ora che s'approssima la fine getto
la mia bottiglia che forse darà luogo
a un vero parapiglia.
Non vi è mai stato un nulla in cui sparire
già altri grazie al ricordo son risorti,
lasciate in pace i vivi per rinvivire
i morti: nell'aldilà mi voglio divertire.

Da: "Diario postumo"

Non chiederci la parola

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.


Ah, l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Da “Ossi di seppia”

Piccolo testamento

Questo che a notte balugina
nella calotta del mio pensiero,
traccia madreperlacea di lumaca
o smeriglio di vetro calpestato,
non è lume di chiesa o d'officina
che alimenti
chierico rosso, o nero.
Solo quest'iride posso
lasciarti a testimonianza
d'una fede che fu combattuta,
d'una speranza che bruciò più lenta
di un duro ceppo nel focolare.
Conservane la cipria nello specchietto
quando spenta ogni lampada
la sardana si farà infernale
e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
del Tamigi, del Hudson, della Senna
scuotendo l'ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: è l'ora.
Non è un'eredità, un portafortuna
che può reggere all'urto dei monsoni
sul fil di ragno della memoria,
ma una storia non dura che nella cenere
e persistenza è solo l'estinzione.
Giusto era il segno: chi l'ha ravvisato
non può fallire nel ritrovarti.
Ognuno riconosce i suoi: l'orgoglio
non era fuga, l'umiltà non era
vile, il tenue bagliore strofinato
laggiù non era quello di un fiammifero.

Da: "La bufera"

Lettera a Malvolio

Non s'è trattato mai d'una mia fuga, Malvolio
e neanche di un mio flair che annusi il peggio
a mille miglia. Questa è una virtù
che tu possiedi e non t'invidio anche
perché non potrei trarne vantaggio.
No,
non si trattò mai d'una fuga
ma solo di un rispettabile
prendere le distanze.
Non fu molto difficile dapprima
quando le separazioni erano nette,
l'orrore da una parte e la decenza,
oh solo una decenza infinitesima
dall'altra parte. No, non fu difficile,
bastava scantonare scolorire,
rendersi invisibili,
forse esserlo. Ma dopo.
Ma dopo che le stalle si vuotarono
l'onore e l'indecenza stretti in un solo patto
fondarono l'ossimoro permanente
e non fu più questione
di fughe e di ripari. Era l'ora
della focomelia concettuale
e il distorto era il dritto, su ogni altro
derisione e silenzio.
Fu la tua ora e non è finita.
Con quale agilità rimescolavi
materialismo storico e pauperismo evangelico,
pornografia e riscatto, nausea per l'odore
di trifola, il denaro che ti giungeva.
No, non hai torto Malvolio, la scienza del cuore
non è ancora nata, ciascuno la inventa come vuole.
Ma lascia andare le fughe ora che appena si può
cercare la speranza nel suo negativo.
Lascia che la mia fuga immobile possa dire
forza a qualcuno o a me stesso che la partita è aperta,
che la partita è chiusa per chi rifiuta
le distanze e s'affretta come tu fai, Malvolio,
perché sai che domani sarà impossibile anche
alla tua astuzia.
Da: "Diario del ‘71 e del ‘72"