L’Ethica è considerato generalmente uno dei testi più difficili della storia della filosofia, tanto per il linguaggio quanto per la struttura geometrica con cui si articola in proposizioni e teoremi. Ma a chi gli si avvicina con animo libero concede l’accesso a un universo di saggezza in cui conoscere è gioia. Gioia come dimensione prettamente umana, perché soltanto l’uomo, con tutta la sua messe di paure e di dolori, può conoscere l’esperienza di aumentare in perfezione. Paradossi dell’eterno nel finito, della gioia nel dolore, dell’amore intellettuale. Paolo Cristofolini, docente di storia della filosofia alla Normale di Pisa, ha dedicato a Spinoza una gran parte dei suoi studi.
Come l’uom s’eterna secondo Spinoza Etica, parte I
PROPOSIZIONE 16: Dalla necessità della natura divina devono derivare infinite cose (cioè tutte quelle che possono essere colte da un intelletto infinito) in infiniti modi. dall’APPENDICE alla parte I Con quanto ora detto ho spiegato la natura di Dio e le sue proprietà, ossia: che esiste necessariamente; che è unico; che è ed agisce per la sola necessità della sua natura; che è causa libera di tutte le cose, e come lo è; che tutte le cose sono in Dio e da lui dipendono così da non poter essere né essere concepite senza di lui; e infine che tutte le cose sono state predeterminate da Dio, ma non da libera volontà, ovvero assoluto arbitrio, bensì dall’assoluta natura di Dio, ossia dalla sua infinita potenza..... Gli uomini, una volta che si sono convinti che tutto ciò che accade accade per loro, hanno dovuto giudicare che più di tutto contasse in ciascuna cosa ciò che a loro fosse più utile, e considerare eccellenti sopra tutte le cose quelle che li toccavano nel modo migliore. A partire di qui hanno dovuto formare le nozioni in base alle quali spiegare la natura delle cose, ossia le nozioni di bene, male, ordine, confusione, caldo, freddo, bellezza e bruttezza; e dal fatto che si stimano liberi sono sorte le nozioni di lode, biasimo, peccato e merito; ma rimando queste a dopo che avrò trattato della natura umana, mentre invece spiegherò qui brevemente le prime. Dunque hanno chiamato bene tutto ciò che conduce alla salute e al culto di Dio, e male ciò che vi è contrario. E poiché quelli che non intendono la natura delle cose nulla affermano sulle cose, ma soltanto le immaginano, e scambiano l’immaginazione con l’intelletto, credono perciò fermamente, ignari delle cose e della propria natura, che nelle cose ci sia un ordine. Quando infatti le cose siano disposte in tal maniera che ci sia facile immaginarle così come ci vengono rappresentate attraverso i sensi, e di conseguenza ricordarle, diciamo che sono bene ordinate; nel caso contrario diciamo invece che sono disordinate, ossia confuse. Ed essendo a noi a noi soprattutto gradite quelle cose che si possono facilmente immaginare, perciò gli uomini preferiscono l’ordine alla confusione, quasi che l’ordine ci fosse in natura come qualcosa di indipendente dal rapporto con la nostra immaginazione; e dicono che Dio abbia creato tutte le cose con ordine, senza sapere che a questo modo attribuiscono a Dio l’immaginazione; a meno che per caso non pretendano che Dio, provvidente nei confronti dell’immaginazione umana, abbia disposto tutte le cose in modo tale che si possano quanto più facilmente immaginare; nè sembra trattenerli la considerazione delle infinite cose che si ritrovano tanto al di là della nostra immaginazione, e delle tantissime che la confondono a causa della sua debolezza. Ma basta con queste cose. Tutte quelle altre nozioni, del resto, non sono altro se non modi di immaginare, con cui l’immaginazione è variamente colpita, e tuttavia gli ignoranti le considerano come i principali attributi delle cose; questo perché, come già abbiamo detto, credono che tutte le cose siano state fatte per loro, e dunque chiamano la natura di una cosa buona o malvagia, sana o marcia e corrotta, a seconda di come ne sono colpiti. Per esempio se il movimento che i nervi ricevono dagli oggetti rappresentati attraverso gli occhi produce benessere, chiamano belli gli oggetti da cui è causato, e invece brutti quelli che suscitano un movimento contrario. Gli oggetti poi che stimolano i sensi attraverso le narici li chiamano profumati o puzzolenti, e dolci o amari, saporiti o insipidi, eccetera, quelli che lo fanno per mezzo della lingua. Quelli che passano attraverso il tatto saranno chiamati duri o molli, ruvidi o lisci, eccetera. E infine quelli che stimolano le orecchie sono detti emettere strepito, suono o armonia, tanto che gli uomini sono finiti a tal culmine di demenza da credere che Dio stesso si compiacesse dell’armonia. E non mancano filosofi convinti che i movimenti celesti compongano un’armonia. Tutto questo mostra a sufficienza come ciascuno abbia giudicato delle cose in base alla disposizione del suo cervello, o piuttosto abbia scambiato per cose le affezioni dell’immaginazione. Non è perciò strano (osserviamolo di passaggio) che tra gli uomini siano sorte tutte quelle controversie che sappiamo, e infine, da queste, lo scetticismo... Vediamo dunque che tutte le ragioni con cui di solito il volgo spiega la natura sono soltanto modi di immaginare, e che non designano la natura di cosa alcuna, ma soltanto la costituzione dell’immaginazione; e poiché hanno dei nomi, quasi si trattasse di enti che esistono al di fuori dell’immaginazione, li chiamo enti non di ragione ma di immaginazione; e dunque tutti gli argomenti che vengono invocati contro di noi a partire da simili nozioni possono essere facilmente respinti. Infatti molti sono soliti così argomentare: se tutte le cose sono derivate dalla necessità della perfettissima natura di Dio, da dove sorgono allora tante imperfezioni nella natura? E cioè il corrompimento delle cose sino alla putrefazione, la bruttezza di cose che provocano nausea, la confusione, il male, la trasgressione, eccetera. Ma, come ho ora detto, questi argomenti si confutano facilmente. Infatti la perfezione delle cose è da valutarsi unicamente in base alla loro natura e potenza, ed esse non sono più o meno perfette a seconda che arrechino piacere od offesa ai sensi degli uomini, che si accordino con la natura umana o la contrastino... Etica, parte II DEFINIZIONE 6: Per realtà e perfezione intendo la stessa cosa. PROPOSIZIONE 11, corollario : ... la mente umana è parte dell’infinito intelletto di Dio; e quindi quando diciamo che la mente umana percepisce questa o quella cosa, non diciamo se non che Dio ha questa o quella idea, non in quanto è infinito, ma in quanto si esplica attraverso la natura della mente umana, ossia in quanto costituisce l’essenza della mente umana. PROPOSIZIONE 44, corollario: Appartiene alla natura della ragione il percepire le cose sotto una certa specie di eternità. PROPOSIZIONE 45: Ogni idea di qualunque corpo o di cosa singola esistente in atto, implica necessariamente l’essenza eterna e infinita di Dio. PROPOSIZIONE 47: La mente umana ha conoscenza adeguata dell’essenza eterna e infinita di Dio. Etica, parte III PROPOSIZIONE 6: Ciascuna cosa, nel suo essere in sé, tende (conatur) a perseverare nel suo essere. PROPOSIZIONE 7: La tensione (conatus) per cui ciascuna cosa tende a perseverare nel suo essere, non è altro se non la sua essenza attuale.
DEFINIZIONI DEGLI AFFETTI I. Il desiderio è l’essenza stessa dell’uomo, in quanto la si concepisce determinata da una sua qualunque affezione a compiere un’azione. II. La gioia è passaggio dell’uomo da minore a maggiore perfezione. III. La tristezza è passaggio dell’uomo da maggiore a minore perfezione. VI. L’amore è gioia accompagnata dall’idea di una causa esterna. VII. L’odio è tristezza accompagnata dall’idea di una causa esterna.
Etica, parte IV dalla PREFAZIONE Chi ha stabilito di fare una cosa e l’ha compiuta (perfecit), dirà che è compiuta (perfectam)... la perfezione e l’imperfezione in realtà sono soltanto modi di pensare, ossia nozioni che di solito ci figuriamo allorché confrontiamo tra di loro individui della stessa specie o genere: ed è per questo che sopra ho detto (parte II, definizione VI) che per realtà e perfezione intendo la stessa cosa.... Per quanto riguarda il bene e il male, anche questi non indicano niente di positivo nelle cose considerate in se stesse, ma sono nozioni che noi formiamo allorché confrontiamo le cose tra di loro... Dunque da ora in poi intenderò per bene ciò che sappiamo con certezza essere un mezzo per avvicinarci sempre più al modello di natura umana che ci proponiamo, e invece per male ciò che con certezza sappiamo impedirci l’avvicinamento a quel modello... PROPOSIZIONE 8: La conoscenza del bene e del male non è altro che l’affetto di gioia o di tristezza in quanto ne siamo consapevoli. PROPOSIZIONE 18: Il desiderio che nasce da gioia è, a parità di condizioni, piu forte del desiderio che nasce da tristezza. PROPOSIZIONE 67: Non c’è cosa più lontana dai pensieri di un uomo libero, della morte: la sua sapienza non è meditazione della morte, ma della vita. dall’APPENDICE alla parte IV CAPITOLO V: Non c’è vita razionale senza intelligenza, e le cose sono buone solo nella misura in cui aiutano l’uomo a fruire della vita della mente, che è definita dall’intelligenza. Invece chiamiamo cattive solo quelle cose che impediscono all’uomo di perfezionare la sua ragione e di godere della vita razionale. CAPITOLO XI: Gli animi non si conquistano con le armi, ma con l’amore e la generosità. CAPITOLO XIV: Dunque, benché gli uomini per lo più regolino ogni cosa secondo i loro istinti egoistici, dalla loro comune società derivano molto più vantaggi che danni. Per conseguenza è meglio sopportare con animo equo le loro ingiustizie e impegnarsi in quelle cose che servono a conciliare la concordia e l’amicizia. CAPITOLO XXVI: Nessuna cosa singola conosciamo in natura, all’infuori degli uomini, della cui mente possiamo godere e che possiamo unire a noi in amicizia o in qualunque genere di familiarità...
Etica, parte V PROPOSIZIONE 3: Un affetto che è una passione (scil.: passività) cessa di essere passione non appena ce ne formiamo un’idea chiara e distinta. Corollario: Un affetto è tanto più in nostro potere, e la mente tanto meno è passiva, quanto più esso ci è noto. PROPOSIZIONE 23, scolio: ... sentiamo ed esperimentiamo che siamo eterni. PROPOSIZIONE 24: Quanto più intendiamo le cose singole, tanto più intendiamo Dio. PROPOSIZIONE 36, corollario: ... Dio in quanto ama se stesso ama gli uomini, e di conseguenza l’amore di Dio verso gli uomini e l’amore intellettuale della mente verso Dio sono una sola e medesima cosa.
Baruch Spinoza nacque ad Amsterdam nel 1632 da una famiglia di ebrei portoghesi. Nella tollerante Olanda del XVII secolo la comunità ebraica trovava infatti condizioni particolarmente favorevoli al proprio sviluppo: non esercitava, tuttavia, altrettanta tolleranza al proprio interno, dove vigeva una severa ortodossia e un rigido dogmatismo. Così, pur avendo studiato nella scuola ebraico-portoghese con risultati che facevano sperare in un futuro rabbino, Spinoza entrò ben presto in conflitto di idee con la comunità. I sospetti di eterodossia nei suoi confronti si aggravarono fino a giungere all'aperta scomunica del 1656. Da questo momento l'evoluzione intellettuale di Spinoza è quella del libero pensatore che agisce isolatamente, senza lasciarsi costringere dai legami delle Chiese o dalle istituzioni. Ritiratosi a l’Aia, visse assai modestamente guadagnandosi da vivere come tornitore di lenti e morì consumato dalla tubercolosi a soli 45 anni. Il suo primo scritto fu un’esposizione della filosofia cartesiana (Principia philosophiae cartesianae, 1663), interessante anche perché costituiva un primo tentativo di applicare la forma matematica alla filosofia. Alla sua morte lasciò alcuni importanti libri incompiuti, come il Tractatus de intellectus emendatione, il Tractatus politicus e il Compendium grammatices linguae hebraeae. Ma l’opera della vita è l’Ethica ordine geometrico demonstrata in cinque libri, che portò a termine nel 1675, ma che preferì far circolare soltanto in forma privata tra gli amici e i sostenitori. L’Etica è un libro di difficile lettura, e per la sua struttura di opera le cui tesi si dimostrano secondo l’ordine “geometrico”, e per l’impiego pur sempre innovativo di una terminologia ereditata dalla scolastica. La decrittazione del messaggio è sempre un impegno rischioso, per quanto appassionante. Solo rinunciando alla pretesa di dire tutto in una volta, come fanno di solito con penosi risultati quasi tutti i manuali di storia della filosofia per le scuole, sembra possibile entrare in un universo di saggezza che si pone, è vero, come totalità di relazioni fra Dio, l’uomo e il mondo, ma al cui centro sono sempre le cose singole, la conoscenza di queste e l’individualità umana. Il famoso, amor Dei intellectualis, non è per Spinoza un momento di estatica contemplazione, cui si pervenga al termine di un’ascesi, di un distacco dal mondo terreno, come potrebbe esserlo per un mistico medievale del tipo di San Bonaventura con il suo Itinerarium mentis in Deum, o anche per gli ultimi canti del Paradiso di Dante. Per Spinoza la conoscenza di Dio è prima di tutto conoscenza tutta terrena delle cose singole. Dio è la natura, tutto l’insieme delle cose. Conoscere è gioia, perché gioia equivale ad aumento di perfezione; e amore è gioia accompagnata dall’idea di una causa esterna; e quando la causa esterna si può identificare con la conoscenza della natura – di tutta quanta quella natura che ai nostri limiti intellettuali umani è accessibile – allora quella causa esterna si chiama Dio, e la perfezione maggiore che me ne deriva è gioia, dunque amore. Nulla a questo amore può sottrarsi, perché Dio fa tutt’uno con le leggi della natura. Non vi si sottraggono dunque nemmeno tutte quelle cose che, per leggi necessarie, determinano la mia finitezza e assieme con questa la finitezza delle cose e delle persone che amo, la morte stessa – tutto questo non in una prospettiva di rinuncia, di rassegnazione e di abnegazione, ma in una prospettiva di gioia. La gioia come aumento di perfezione non appartiene all’essere infinito, che aumentare o diminuire non può, ma solo all’essere finito. Paradossi dell’eterno nel finito, della gioia nel dolore, dell’amore intellettuale.
Paolo Cristofolini (Arezzo 1937) è professore di Storia della filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, direttore della rivista “Historia Philosophica” e presidente dell’Associazione italiana degli Amici di Spinoza. A Spinoza ha dedicato La scienza intuitiva di Spinoza (Morano 1987), Spinoza per tutti (Feltrinelli 1993), Spinoza edonista (ETS 2002). Sempre per ETS ha curato il testo e la traduzione del Trattato politico nel 1999 (riediz. 2004).
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