logo dell'associazione

logo dell'associazione

Don Chisciotte della Mancia - Miguel de Cervantes



lunedì 05 dicembre 2005 leggono Rafael Lozano e Barbara Rosiello
Il quarto centenario della pubblicazione del Don Chisciotte della Mancia di Cervantes riporta alla ribalta un libro fondamentale per la letteratura mondiale, un libro di ieri, di oggi e di domani, un’opera in cui realtà e sogno, verità e fantasia si intersecano continuamente, anzi è proprio da questa mescolanza che il libro nasce.
Così il personaggio di Don Chisciotte che è lettore di tutti i libri diviene il protagonista di un libro letto da tutti i lettori; ma il capolavoro spagnolo non è solo questo perché, come ha detto Carlos Fuentes, è anche romanzo che fonda il romanzo, è la finzione narrativa che fonda la verità, la finzione che mette alla prova la ragione, la finzione che inventa quello che manca nel mondo, la finzione che ci permette di appropriarci del mondo.
La lettura di alcune pagine del Don Chisciotte avrà come sfondo le immagini dell’incompiuto film di Orson Welles sul personaggio di Cervantes.
Rafael Lozano Miralles, autorevole ispanista, è preside Scuola Superiore di Lingue Moderne di Forlì (Università di Bologna); Giovanna Barbara Rosiello è insegnante nei Licei e specialista di filologia romanza.


Primera parte del ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha

EN UN LUGAR de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme, no ha mucho tiempo que vivía un hidalgo de los de lanza en astillero, adarga antigua, rocín flaco y galgo corredor. Una olla de algo más vaca que carnero, salpicón las más noches, duelos y quebrantos los sábados, lantejas los viernes, algún palomino de añadidura los domingos, consumían las tres partes de su hacienda. El resto della concluían sayo de velarte, calzas de velludo para las fiestas, con sus pantuflos de lo mesmo, y los días de entresemana se honraba con su vellorí de lo más fino. Tenía en su casa una ama que pasaba de los cuarenta, y una sobrina que no llegaba a los veinte, y un mozo de campo y plaza, que así ensillaba el rocín como tomaba la podadera. Frisaba la edad de nuestro hidalgo con los cincuenta años; era de complexión recia, seco de carnes, enjuto de rostro, gran madrugador y amigo de la caza. Quieren decir que tenía el sobrenombre de Quijada o Quesada, que en esto hay alguna diferencia en los autores que deste caso escriben; aunque, por conjeturas verosímiles, se deja entender que se llamaba Quejana. Pero esto importa poco a nuestro cuento: basta que en la narración dél no se salga un punto de la verdad.
Es, pues, de saber que este sobredicho hidalgo, los ratos que estaba ocioso, que eran los más del año, se daba a leer libros de caballerías, con tanta afición y gusto, que olvidó casi de todo punto el ejercicio de la caza y aun la administración de su hacienda. Y llegó a tanto su curiosidad y desatino en esto, que vendió muchas hanegas de tierra de sembradura para comprar libros de caballerías en que leer, y así, llevó a su casa todos cuantos pudo haber dellos; y de todos, ningunos le parecían tan bien como los que compuso el famoso Feliciano de Silva, porque la claridad de su prosa y aquellas entricadas razones suyas le parecían de perlas, y más cuando llegaba a leer aquellos requiebros y cartas de desafíos, donde en muchas partes hallaba escrito: La razón de la sinrazón que a mi razón se hace, de tal manera mi razón enflaquece, que con razón me quejo de la vuestra fermosura. [...]


Dal capitolo I della prima parte del Don Chiscotte della Mancia: (trad. Perino 1888)
Viveva, non ha molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli che tengono lance nella rastrelliera, targhe antiche, magro ronzino e cane da caccia. Egli consumava tre quarte parti della sua rendita per mangiare piuttosto bue che castrato, carne con salsa il più delle sere, il sabato minuzzoli di pecore mal capitate, lenti il venerdì, coll'aggiunta di qualche piccioncino nelle domeniche. Consumava il resto per ornarsi nei giorni di festa con un saio di scelto panno di lana, calzoni di velluto e pantofole pur di velluto; e nel rimanente della settimana faceva il grazioso portando un vestito di rascia della più fina. Una serva d'oltre quarant'anni, ed una nipote che venti non ne compiva convivevano con esso lui, ed eziandio un servitore da città e da campagna, che sapeva così bene sellare il cavallo come potare le viti. Toccava l'età di cinquant'anni; forte di complessione, adusto, asciutto di viso; alzavasi di buon mattino, ed era amico della caccia. Vogliono alcuni che portasse il soprannome di Chisciada o Chesada, nel che discordano gli autori che trattarono delle sue imprese; ma per verosimili congetture si può presupporre che fosse denominato Chisciana; il che poco torna al nostro proposito; e basta soltanto che nella relazione delle sue gesta non ci scostiamo un punto dal vero.
Importa bensì di sapere che negli intervalli di tempo nei quali era ozioso (ch'erano il più dell'anno), applicavasi alla lettura dei libri di cavalleria con predilezione sì dichiarata e sì grande compiacenza che obbliò quasi intieramente l'esercizio della caccia ed anche il governo delle domestiche cose: anzi la curiosità sua, giunta alla manìa d'erudirsi compiutamente in tale istituzione, lo indusse a spropriarsi di non pochi dei suoi poderi a fine di comperare e di leggere libri di cavalleria. Di questa maniera ne recò egli a casa sua quanti gli vennero alle mani; ma nissuno di questi gli parve tanto degno d'essere apprezzato quanto quelli composti dal famoso Feliciano de Silva, la nitidezza della sua prosa e le sue artifiziose orazioni gli sembravano altrettante perle, massimamente poi quando imbattevasi in certe svenevolezze amorose, o cartelli di sfida, in molti dei quali trovava scritto: La ragione della nissuna ragione che alla mia ragione vien fatta, rende sì debole la mia ragione che con ragione mi dolgo della vostra bellezza.[...].


Con estas razones perdía el pobre caballero el juicio, y desvelábase por entenderlas y desentrañarles el sentido, que no se lo sacara ni las entendiera el mesmo Aristóteles, si resucitara para sólo ello. No estaba muy bien con las heridas que don Belianís daba y recebía, porque se imaginaba que, por grandes maestros que le hubiesen curado, no dejaría de tener el rostro y todo el cuerpo lleno de cicatrices y señales. Pero, con todo, alababa en su autor aquel acabar su libro con la promesa de aquella inacabable aventura, y muchas veces le vino deseo de tomar la pluma y dalle fin al pie de la letra, como allí se promete; y sin duda alguna lo hiciera, y aun saliera con ello, si otros mayores y continuos pensamientos no se lo estorbaran. Tuvo muchas veces competencia con el cura de su lugar -que era hombre docto, graduado en Sigüenza-, sobre cuál había sido mejor caballero: Palmerín de Ingalaterra o Amadís de Gaula; mas maese Nicolás, barbero del mesmo pueblo, decía que ninguno llegaba al Caballero del Febo, y que si alguno se le podía comparar, era don Galaor, hermano de Amadís de Gaula, porque tenía muy acomodada condición para todo; que no era caballero melindroso, ni tan llorón como su hermano, y que en lo de la valentía no le iba en zaga.

En resolución, él se enfrascó tanto en su letura, que se le pasaban las noches leyendo de claro en claro, y los días de turbio en turbio; y así, del poco dormir y del mucho leer, se le secó el celebro, de manera que vino a perder el juicio. Llenósele la fantasía de todo aquello que leía en los libros, así de encantamentos como de pendencias, batallas, desafíos, heridas, requiebros, amores, tormentas y disparates imposibles; y asentósele de tal modo en la imaginación que era verdad toda aquella máquina de aquellas sonadas soñadas invenciones que leía, que para él no había otra historia más cierta en el mundo. [...]


Con questi e somiglianti ragionamenti il povero cavaliere usciva del senno. Più non dormiva per condursi a penetrarne il significato che lo stesso Aristotele non avrebbe mai potuto deciferare, se a tale unico oggetto fosse ritornato tra i vivi. Non gli andavano gran fatto a sangue le ferite che dava e riceveva don Belianigi, pensando che di buon diritto nella faccia e in tutta la persona avessero ad essergli rimaste impresse e vestigia e cicatrici, per quanto accuratamente foss'egli stato guarito; ma nondimeno lodava altamente l'autore perché chiudeva il suo libro con la promessa di quella interminabile avventura. Fu anche stimolato le molte volte dal desiderio di dar di piglio alla penna per compiere quella promessa; e senz'altro l'avrebbe fatto giungendo allo scopo propostosi dal suo modello; se distratto non l'avessero più gravi ed incessanti divisamenti. Ebbe a quistionar più volte col curato della sua terra (uomo di lettere e addottorato in Siguenza) qual fosse stato miglior cavaliere o Palmerino d'Inghilterra, o Amadigi di Gaula; era peraltro d'avviso mastro Nicolò, barbiere di quel paese, che niuno al mondo contender potesse il primato al cavaliere del Febo, e che se qualcuno poteva competer con lui, questi era solo don Galeorre fratello di Amadigi di Gaula, da che nulla fu mai d'inciampo alle sue ardite imprese; e non era sì permaloso e piagnone come il fratello, a cui poi non cedeva sicuramente in valore.
In sostanza quella sua lettura lo portò siffattamente all'entusiasmo da non distinguere più la notte dal dì, il dì dalla notte; di guisa che pel soverchio leggere e per il poco dormire gli s'indebolì il cervello, e addio buon giudizio. Altro non presentavasi alla sua immaginazione che incantamenti, contese, battaglie, disfide, ferite, concetti affettuosi, amori, affanni ed impossibili avvenimenti: e a tal eccesso pervenne lo stravolgimento della fantasia, che niuna storia del mondo gli pareva più vera di quelle ideate invenzioni che andava leggendo. [...]

En efeto, rematado ya su juicio, vino a dar en el más estraño pensamiento que jamás dio loco en el mundo; y fue que le pareció convenible y necesario, así para el aumento de su honra como para el servicio de su república, hacerse caballero andante, y irse por todo el mundo con sus armas y caballo a buscar las aventuras y a ejercitarse en todo aquello que él había leído que los caballeros andantes se ejercitaban, deshaciendo todo género de agravio, y poniéndose en ocasiones y peligros donde, acabándolos, cobrase eterno nombre y fama. Imaginábase el pobre ya coronado por el valor de su brazo, por lo menos, del imperio de Trapisonda; y así, con estos tan agradables pensamientos, llevado del estraño gusto que en ellos sentía, se dio priesa a poner en efeto lo que deseaba.
Y lo primero que hizo fue limpiar unas armas que habían sido de sus bisabuelos, que, tomadas de orín y llenas de moho, luengos siglos había que estaban puestas y olvidadas en un rincón. Limpiólas y aderezólas lo mejor que pudo, pero vio que tenían una gran falta, y era que no tenían celada de encaje, sino morrión simple; mas a esto suplió su industria, porque de cartones hizo un modo de media celada, que, encajada con el morrión, hacían una apariencia de celada entera. Es verdad que para probar si era fuerte y podía estar al riesgo de una cuchillada, sacó su espada y le dio dos golpes, y con el primero y en un punto deshizo lo que había hecho en una semana; y no dejó de parecerle mal la facilidad con que la había hecho pedazos, y, por asegurarse deste peligro, la tornó a hacer de nuevo, poniéndole unas barras de hierro por de dentro, de tal manera que él quedó satisfecho de su fortaleza; y, sin querer hacer nueva experiencia della, la diputó y tuvo por celada finísima de encaje.
Fue luego a ver su rocín, y, aunque tenía más cuartos que un real y más tachas que el caballo de Gonela, que tantum pellis et ossa fuit, le pareció que ni el Bucéfalo de Alejandro ni Babieca el del Cid con él se igualaban.

In fine perduto affatto il giudizio, si ridusse al più strano divisamento che siasi giammai dato al mondo. Gli parve conveniente e necessario per l'esaltamento del proprio onore e pel servigio della sua repubblica di farsi cavaliere errante, e con armi proprie e cavallo scorrere tutto il mondo cercando avventure, ed occupandosi negli esercizii tutti dei quali aveva fatto lettura. Il riparare qualunque genere di torti, e l'esporre sé stesso ad ogni maniera di pericoli per condursi a glorioso fine, doveano eternare fastosamente il suo nome; e figuravasi il pover'uomo d'essere coronato per lo meno imperadore di Trebisonda in merito del valore del suo braccio. Immerso in tali deliziosi pensieri, ed alzato all'estasi dalla straordinaria soddisfazione che vi trovava, si diede la più gran fretta onde porli ad esecuzione.
Applicossi prima di tutto a far lucenti alcune arme di cui si erano valsi i bisavoli suoi, e che di ruggine coperte giacevano dimenticate in un cantone: le ripulì e le pose in assetto il meglio che gli fu possibile, poi s'accorse ch'era in esse una essenziale mancanza, perocché invece della celata con visiera, eravi solo un morione; ma; supplì a ciò la sua industria facendo di cartone una mezza celata, che unita al morione pigliò l'apparenza di celata intera. Egli è vero che per metterne a prova la solidità trasse la spada, e vi diede due colpi col primo dei quali, in un momento solo, distrusse il lavoro che l'aveva tenuto occupato una settimana; né gli andò allora a grado la facilità con cui la ridusse in pezzi; ma ad oggetto che non si rinnovasse un tale disastro, la rifece consolidandola interiormente con cerchietti di ferro, e restò così soddisfatto della sua fortezza che senza metterla a nuovo cimento rinnovando la prova di prima, la ebbe in conto di celata con visiera di finissima tempra.
Si recò da poi a visitare il suo ronzino, e benché avesse più quarti assai d'un popone e più malanni che il cavallo del Gonella — che tantum pellis et ossa fuit — gli parve che non gli si agguagliassero né il Babieca del Cid, né il Bucefalo di Alessandro.


Cuatro días se le pasaron en imaginar qué nombre le pondría; porque, según se decía él a sí mesmo, no era razón que caballo de caballero tan famoso, y tan bueno él por sí, estuviese sin nombre conocido; y ansí, procuraba acomodársele de manera que declarase quién había sido, antes que fuese de caballero andante, y lo que era entonces; pues estaba muy puesto en razón que, mudando su señor estado, mudase él también el nombre, y [le] cobrase famoso y de estruendo, como convenía a la nueva orden y al nuevo ejercicio que ya profesaba. Y así, después de muchos nombres que formó, borró y quitó, añadió, deshizo y tornó a hacer en su memoria e imaginación, al fin le vino a llamar Rocinante: nombre, a su parecer, alto, sonoro y significativo de lo que había sido cuando fue rocín, antes de lo que ahora era, que era antes y primero de todos los rocines del mundo.
Puesto nombre, y tan a su gusto, a su caballo, quiso ponérsele a sí mismo, y en este pensamiento duró otros ocho días, y al cabo se vino a llamar don Quijote; de donde -como queda dicho- tomaron ocasión los autores desta tan verdadera historia que, sin duda, se debía de llamar Quijada, y no Quesada, como otros quisieron decir. Pero, acordándose que el valeroso Amadís no sólo se había contentado con llamarse Amadís a secas, sino que añadió el nombre de su reino y patria, por Hepila famosa, y se llamó Amadís de Gaula, así quiso, como buen caballero, añadir al suyo el nombre de la suya y llamarse don Quijote de la Mancha, con que, a su parecer, declaraba muy al vivo su linaje y patria, y la honraba con tomar el sobrenombre della.
Limpias, pues, sus armas, hecho del morrión celada, puesto nombre a su rocín y confirmándose a sí mismo, se dio a entender que no le faltaba otra cosa sino buscar una dama de quien enamorarse; porque el caballero andante sin amores era árbol sin hojas y sin fruto y cuerpo sin alma. [...]


Impiegò quattro giorni nell'immaginare con qual nome dovesse chiamarlo, e diceva egli a sé stesso che sconveniva di troppo che un cavallo di cavaliere sì celebre non portasse un nome famoso; e andava perciò ruminando per trovarne uno che spiegasse ciò che era stato prima di servire ad un cavaliere errante, e quello che andava a diventare. Era ben ragionevole che cambiando stato il padrone, mutasse nome anche la bestia, ed uno gliene fosse applicato celebre e sonoro; e quindi dopo aver molto fra sé proposto, cancellato, levato, aggiunto, disfatto e tornato a rifare sempre fantasticando, stabilì finalmente di chiamarlo Ronzinante, nome a quanto gli parve, elevato e pieno di una sonorità che indicava il passato esser suo ronzino, e ciò ch'era per diventare, vale a dire, il più cospicuo tra tutti i ronzini del mondo.
Stabilito con tanta sua soddisfazione il nome al cavallo, s'applicò fervorosamente a determinare il proprio, nel che spese altri otto giorni, a capo dei quali si chiamò don Chisciotte. Da ciò, come fu detto già prima, trassero argomento gli autori di questa verissima storia, che debba essa chiamarsi indubitamente Chisciada e non Chesada, come ad altri piacque denominarla. Si risovvenne il nostro futuro eroe che il valoroso Amadigi non erasi limitato a chiamarsi Amadigi semplicemente, ma che affibbiato vi aveva il nome del regno e della patria, per sua più grande celebrità, chiamandosi Amadigi di Gaula. Dietro sì autorevole esempio, come buon cavaliere decise d'accoppiare al proprio nome quello pur della patria, e chiamarsi don Chisciotte della Mancia, con che, a parer suo, spiegava più a vivo il lignaggio e la patria, e davale onore col prendere da lei il soprannome.
Rese di già lucide l'arme sue, fatta del morione una celata, stabilito il nome al ronzino, e confermato il proprio, si persuase che altro a lui non mancasse se non se una dama di cui dichiararsi amoroso. Il cavaliere errante senza innamoramento è come arbore spoglio di fronde e privo di frutta; è come corpo senz'anima, [...]



Y fue, a lo que se cree, que en un lugar cerca del suyo había una moza labradora de muy buen parecer, de quien él un tiempo anduvo enamorado, aunque, según se entiende, ella jamás lo supo, ni le dio cata dello. Llamábase Aldonza Lorenzo, y a ésta le pareció ser bien darle título de señora de sus pensamientos; y, buscándole nombre que no desdijese mucho del suyo, y que tirase y se encaminase al de princesa y gran señora, vino a llamarla Dulcinea del Toboso, porque era natural del Toboso; nombre, a su parecer, músico y peregrino y significativo, como todos los demás que a él y a sus cosas había puesto.

De los capítulos XXII, XXIII y XXIV de la segunda parte del Don Quijote de la Mancha
[...] En estas y otras gustosas pláticas se les pasó aquel día, y a la noche se albergaron en una pequeña aldea, adonde el primo dijo a don Quijote que desde allí a la cueva de Montesinos no había más de dos leguas, y que si llevaba determinado de entrar en ella, era menester proverse de sogas, para atarse y descolgarse en su profundidad.
Don Quijote dijo que, aunque llegase al abismo, había de ver dónde paraba; y así, compraron casi cien brazas de soga, y otro día, a las dos de la tarde, llegaron a la cueva, cuya boca es espaciosa y ancha, pero llena de cambroneras y cabrahígos, de zarzas y malezas, tan espesas y intricadas, que de todo en todo la ciegan y encubren. En viéndola, se apearon el primo, Sancho y don Quijote, al cual los dos le ataron luego fortísimamente con las sogas; [...].
Iba don Quijote dando voces que le diesen soga y más soga, y ellos se la daban poco a poco; y cuando las voces, que acanaladas por la cueva salían, dejaron de oírse, ya ellos tenían descolgadas las cien brazas de soga, y fueron de parecer de volver a subir a don Quijote, pues no le podían dar más cuerda.Con todo eso, se detuvieron como media hora, al cabo del cual espacio volvieron a recoger la soga con mucha facilidad y sin peso alguno, señal que les hizo imaginar que don Quijote se quedaba dentro; y, creyéndolo así, Sancho lloraba amargamente y tiraba con mucha priesa por desengañarse, pero, llegando, a su parecer, a poco más de las ochenta brazas, sintieron peso, de que en estremo se alegraron.


Soggiornava in un paese, per quanto credesi, vicino al suo, una giovanotta contadina di bell'aspetto, della quale egli era stato già amante senza ch'ella il sapesse, né se ne fosse avvista giammai, e chiamavasi Aldolza Lorenzo; e questa gli parve opportuno chiamar signora de' suoi pensieri. Dappoi cercando un nome che non discordasse gran fatto dal suo, e che potesse in certo modo indicarla principessa e signora, la chiamò Dulcinea del Toboso perché del Toboso appunto era nativa. Questo nome gli sembrò armonioso, peregrino ed espressivo, a somiglianza di quelli che allora aveva posti a sé stesso ed alle cose sue.

Dai capitoli XXII, XIII e XXIV della seconda parte del Don Chisciotte della Mancia
[...] Fra questi ed altri giocondi ragionamenti passarono tutta la giornata, e pernottarono in un piccolo villaggio, dove il giovane disse a don Chisciotte, che di là alla Grotta di Montesino non vi erano più di due leghe, e che se si determinava ad entrarvi, era necessario provvedersi di funi per legarsi e calarsi sino alla profondità.
Rispose don Chisciotte che avea stabilito di farlo, dovesse pur anche sprofondarsi fin nell'abisso. Comperarono allora intorno a cento braccia di corda, e il giorno dopo, alle due della sera, pervennero alla Grotta. La sua imboccatura era spaziosa, ma ingombra di spine, di caprifichi, di pruni e di macchie sì spesse e intralciate che la cuoprivano affatto agli occhi dei passeggeri. Veduta appena, smontarono di cavallo Sancio, il giovane e don Chisciotte, il quale venne dai due altri tosto legato fortemente colle funi. [...]
Don Chisciotte andava gridando che gli dessero fune e fune ancora, ed eglino gliela davano a poco a poco; e quando più non si udirono le voci che uscivano volteggianti per la Grotta, già avevano essi calate le cento braccia di fune.Rimasero là perplessi per mezz'ora, dopo di che cominciarono a ritrarre sì facilmente e senz'alcun peso la fune, che immaginaronsi che don Chisciotte non vi fosse più attaccato. Sancio Pancia, pensando in effetto che così avvenuto fosse, piangeva dirottamente, e aiutava a tirare in su la fune con affannosa premura per disingannarsi; ma giunti presso alle ottanta braccia sentirono allora soltanto un peso che loro diede improvvisa consolazione.


Finalmente, a las diez vieron distintamente a don Quijote, a quien dio voces Sancho, diciéndole:
-Sea vuestra merced muy bien vuelto, señor mío, que ya pensábamos que se quedaba allá para casta.
Pero no respondía palabra don Quijote; y, sacándole del todo, vieron que traía cerrados los ojos, con muestras de estar dormido. Tendiéronle en el suelo y desliáronle, y con todo esto no despertaba; pero tanto le volvieron y revolvieron, sacudieron y menearon, que al cabo de un buen espacio volvió en sí, desperezándose, bien como si de algún grave y profundo sueño despertara; y, mirando a una y otra parte, como espantado, dijo:
-Dios os lo perdone, amigos; que me habéis quitado de la más sabrosa y agradable vida y vista que ningún humano ha visto ni pasado. En efecto, ahora acabo de conocer que todos los contentos desta vida pasan como sombra y sueño, o se marchitan como la flor del campo. ¡Oh desdichado Montesinos! ¡Oh mal ferido Durandarte! ¡Oh sin ventura Belerma! ¡Oh lloroso Guadiana, y vosotras sin dicha hijas de Ruidera, que mostráis en vuestras aguas las que lloraron vuestros hermosos ojos!
[Es]cuchaban el primo y Sancho las palabras de don Quijote, que las decía como si con dolor inmenso las sacara de las entrañas. Suplicáronle les diese a entender lo que decía, y les dijese lo que en aquel infierno había visto.
-¿Infierno le llamáis? -dijo don Quijote-; pues no le llaméis ansí, porque no lo merece, como luego veréis.
Pidió que le diesen algo de comer, que traía grandísima hambre. Tendieron la arpillera del primo sobre la verde yerba, acudieron a la despensa de sus alforjas, y, sentados todos tres en buen amor y compaña, merendaron y cenaron, todo junto. Levantada la arpillera, dijo don Quijote de la Mancha:
-No se levante nadie, y estadme, hijos, todos atentos.


Finalmente scoprirono distintamente don Chisciotte, cui Sancio die' voce, dicendogli:
— Sia vossignoria il ben tornato, o signor mio; oh noi credevamo ch'ella volesse restare là dentro per semente.»
Don Chisciotte non rispondea parola, e quando lo ebbero tratto fuori, videro che tenea gli occhi chiusi quasiché se ne stesse dormendo. Lo distesero in terra, lo slegarono, ma non dava tuttavia segno di svegliarsi: tanto però lo voltarono e rivoltarono, scossero e dimenarono, che dopo qualche spazio di tempo tornò in sé; fregandosi gli occhi stirandosi tutto, come chi da grave e profondo sonno si desta: e portando gli sguardi dall'una parte e dall'altra, qual uomo spaventato, proruppe:
— Dio ve lo perdoni, amici, che tolto mi avete dalla più deliziosa e gradevole apparizione che uomo di questo mondo abbia veduto mai. Ora sì che finisco di persuadermi che le allegrezze tutte di questa vita si dileguano come ombra e come sogno, e appassiscono come fiore nel prato. O sventurato Montesino o mal ferito Durandarte! o miseranda Belerma! o piangente Guadiana! o voi tutte sfortunate figlie di Ruidera che mostrate nelle vostre acque le copiose lagrime che piovvero dai vostri begli occhi!»
Stavano Sancio ed il giovane ascoltando attentissimi le parole di don Chisciotte, il quale le proferiva con tanta forza come se uscite fossero dalle sue viscere dopo il più tormentoso e inesplicabile affanno. Lo pregarono che spiegasse i suoi detti, e che desse conto di ciò che in quell'inferno avea veduto.
— Inferno lo chiamate? disse don Chisciotte: voi gli date tal nome perché non lo avete veduto.
Dimandò poi qualche cosa da mangiare, giacché avea grandissima fame, e gli distesero la invoglia del compagno sopra la fresca erbetta; trassero quanto occorreva dalle bisacce, e seduti tutti e tre in santa pace e compagnia merendarono e cenarono ad un tempo. Sparecchiata la invoglia, disse don Chisciotte della Mancia:
— Nessuno si alzi, ed ascoltatemi, figliuoli miei, tutti attenti.»





LAS CUATRO de la tarde serían cuando el sol, entre nubes cubierto, con luz escasa y templados rayos, dio lugar a don Quijote para que, sin calor y pesadumbre, contase a sus dos clarísimos oyentes lo que en la cueva de Montesinos había visto. Y comenzó en el modo siguiente:
-A obra de doce o catorce estados de la profundidad desta mazmorra, a la derecha mano, se hace una concavidad y espacio capaz de poder caber en ella un gran carro con sus mulas. Éntrale una pequeña luz por unos resquicios o agujeros, que lejos le responden, abiertos en la superficie de la tierra. Esta concavidad y espacio vi yo a tiempo cuando ya iba cansado y mohíno de verme, pendiente y colgado de la soga, caminar por aquella escura región abajo, sin llevar cierto ni determinado camino; y así, determiné entrarme en ella y descansar un poco. Di voces, pidiéndoos que no descolgásedes más soga hasta que yo os lo dijese, pero no debistes de oírme. Fui recogiendo la soga que enviábades, y, haciendo della una rosca o rimero, me senté sobre él, pensativo además, considerando lo que hacer debía para calar al fondo, no teniendo quién me sustentase; y, estando en este pensamiento y confusión, de repente y sin procurarlo, me salteó un sueño profundísimo; y, cuando menos lo pensaba, sin saber cómo ni cómo no, desperté dél y me hallé en la mitad del más bello, ameno y deleitoso prado que puede criar la naturaleza ni imaginar la más discreta imaginación humana. Despabilé los ojos, limpiémelos, y vi que no dormía, sino que realmente estaba despierto; con todo esto, me tenté la cabeza y los pechos, por certificarme si era yo mismo el que allí estaba, o alguna fantasma vana y contrahecha; pero el tacto, el sentimiento, los discursos concertados que entre mí hacía, me certificaron que yo era allí entonces el que soy aquí ahora. Ofrecióseme luego a la vista un real y suntuoso palacio o alcázar, cuyos muros y paredes parecían de transparente y claro cristal fabricados; del cual abriéndose dos grandes puertas, vi que por ellas salía y hacia mí se venía un venerable anciano, vestido con un capuz de bayeta morada, que por el suelo le arrastraba: ceñíale los hombros y los pechos una beca de colegial, de raso verde; cubríale la cabeza una gorra milanesa negra, y la barba, canísima, le pasaba de la cintura;


IL SOLE VERSO le quattro della sera velato da nubi, con iscarsa luce e con temperati raggi diè agio a don Chisciotte che senza caldo e molestia potesse accingersi a raccontare ai due suoi illustri uditori ciò che veduto aveva nella Grotta di Montesino; e cominciò nella seguente maniera:
«Dodici a quattordici stadi all'incirca, sotto la profondità di questa spelonca, evvi a mano diritta una cavità ed uno spazio atto a contener un gran carro colle sue mule, dove entra piccola luce da certe fessure e pertugi che da lungi vi corrispondono, e che hanno origine dalla superficie della terra. Questa cavità o spazio vid'io quando trovandomi stanco e disgustato dello stare pendente ed attaccato a quella fune camminai per quella oscura regione senza avere direzione alcuna sicura e determinata; e mi persuasi allora di fermarmi e di riposare un poco. Gridai e dissi che non si calasse più fune senz'altro mio avviso; ma credo che voi non mi abbiate udito. Attesi allora a raccorre la fune che stavate calando, facendo di essa una ciambella, e mi vi sedetti sopra pensoso e in dubbio del come appigliarmi per calare sino al fondo, non avendo chi mi sostenesse. D'improvviso e a mio malgrado fui colto da profondissimo sonno, e senza che io ne sappia né l'istante né il come, mi risvegliai trovandomi nel mezzo del più bello, ameno e dilettevole prato che mai formasse natura ovvero creasse la più fervida umana immaginazione. Apersi, ravvivai, stropicciai gli occhi, e mi accorsi che io non dormiva altrimenti; ma ch'ero svegliatissimo: con tutto ciò volli tastarmi e il petto e la testa per accertarmi ch'io era veramente io, e non qualche vana e contraffatta fantasima. Il tatto, il sentimento, il concorde discorso che facea tra me e me tutto m'assicurò ch'ero in effetto io medesimo, e quel medesimo che ora qui vedete. Allora mi si offerse alla vista sontuoso e reale palagio, o castello, le cui pareti sembravano fabbricate di trasparente e lucido cristallo: apertesi due grandi porte dello stesso, vidi che uscia, ed avviavasi alla mia volta un venerabile vecchio, vestito con cappuccio di rovescio pavonazzo che strascinava a terra, con manto da collegiale togato, e tutto di raso verde che gli cingeva gli omeri e il petto, colla testa coperta da berettino alla milanese nero, e con barba bianchissima che gli arrivava fin sotto alla cintura.


no traía arma ninguna, sino un rosario de cuentas en la mano, mayores que medianas nueces, y los dieces asimismo como huevos medianos de avestruz; el continente, el paso, la gravedad y la anchísima presencia, cada cosa de por sí y todas juntas, me suspendieron y admiraron. Llegóse a mí, y lo primero que hizo fue abrazarme estrechamente, y luego decirme:
«Luengos tiempos ha, valeroso caballero don Quijote de la Mancha, que los que estamos en estas soledades encantados esperamos verte, para que des noticia al mundo de lo que encierra y cubre la profunda cueva por donde has entrado, llamada la cueva de Montesinos: hazaña sólo guardada para ser acometida de tu invencible corazón y de tu ánimo stupendo. Ven conmigo, señor clarísimo, que te quiero mostrar las maravillas que este transparente alcázar solapa, de quien yo soy alcaide y guarda mayor perpetua, porque soy el mismo Montesinos, de quien la cueva toma nombre». Apenas me dijo que era Montesinos, cuando le pregunté si fue verdad lo que en el mundo de acá arriba se contaba: que él había sacado de la mitad del pecho, con una pequeña daga, el corazón de su grande amigo Durandarte y llevádole a la Señora Belerma, como él se lo mandó al punto de su muerte. Respondióme que en todo decían verdad, sino en la daga, porque no fue daga, ni pequeña, sino un puñal buido, más agudo que una lezna.
-Debía de ser -dijo a este punto Sancho- el tal puñal de Ramón de Hoces, el sevillano.