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Dialogo col sepolto vivo -


lunedì 13 gennaio 2003 legge Vittorio Franceschi
Dialogo col sepolto vivo è un testo mai rappresentato.
Il protagonista scava a mani nude fra le pietre di una casa crollata, per salvare il fratello gemello rimasto sepolto sotto le macerie. Ma di quale terribile evento si sta parlando? Una guerra? Un terremoto? E cosa sono questi boati che ancora si sentono di tanto in tanto? E chi è questo fratello che sembra parlarci anche se non ne sentiamo la voce?
Il teatro è metafora e - come dice Shakespeare - tutto il mondo è teatro. Il monologo si svolge a Bologna ma in questo caso Bologna è il mondo. Scritto nel 1995, pubblicato da 
Primafila nel 1998, Dialogo col sepolto vivo è una riflessione sulla vita, sul disincanto e sulla fine dei sogni, una sorta di bilancio finale di un uomo e - forse - di una generazione che si era illusa di cambiare il mondo.



TESTO 


Al centro della scena c’è un cumulo di macerie digradanti verso l’esterno. Ai quattro lati del cumulo una leggera struttura lignea perfettamente geometrica composta da quattro pali alti tenuti in cima da altri quattro pali di eguale diametro: un parallelepipedo verticale che racchiude le macerie e si erge sopra di esse. A mano a mano che lo scavo dell’uomo procede le pietre si accumulano verso l’esterno e il centro della scena si svuota. Accanto ai quattro pali, seduti su pietre e calcinacci, quattro musicisti.

Già prima dell’inizio i musicisti suonano il tema del crollo.

All’accendersi delle luci un uomo scava febbrilmente con le mani. Indossa un abito qualsiasi con cappotto e cappello.




L’UOMO - Ernesto! Ernesto! Tieni duro, resisti! Non puoi essere troppo sotto, la casa era piccola. (Posa l’orecchio sulle pietre) Ernesto… Ernesto… (Scava ancora. Ai musicisti) Zitti!

I musicisti smettono di suonare.

- (L’uomo posa ancora l’orecchio. Ascolta) Si sente un respiro. (Ai musicisti) E’ vivo!

I musicisti riprendono a suonare.

- Devo fare piano. (Procede con molta delicatezza) Una pietra alla volta. Ecco, così. Così. Così. Così. Così. Tu non mi puoi rispondere ma io sento il tuo respiro e ti parlo. E scavo. Parlo e scavo. Parlo e scavo. Parlo e scavo. Scavo. Scavo. (Toglie altre pietre, lentamente) Bisbiglio. Temo che il suono della mia voce possa farti male. Che ti arrivi troppo tagliente. Che possa smuovere un calcinaccio, farti cadere un po’ di polvere negli occhi. Forse vedi un filo di luce da un buchetto? Speriamo. Ma tu non parlare, non stancarti. Faccio tutto io. Fidati, no? Fidati, almeno una volta! Alt!

I musicisti smettono di suonare.

- Alt, alt. (Infila un braccio fra le pietre) Qui c’è qualcosa. Una trave! E adesso? E adesso? (Guarda i musicisti) Cosa faccio?

I musicisti riprendono a suonare.

- Mio Dio, mio Dio… (Si guarda intorno, indica un punto) Là!

I musicisti smettono di suonare.

- (Si ode il fragore di un crollo, un po’ distante) Là! (Indica un altro punto: altro fragore, più vicino) Non vuol finire, non vuol finire. Lo senti anche tu? (Posa l’orecchio e ascolta) No, non fare così, non fare così, ti prego! Non lasciarti andare! Ernesto! Ernesto! (Scava forsennatamente, pietre rotolano giù dal mucchio)

I musicisti riprendono a suonare.

- Senti, io ti tiro fuori e poi ce ne andiamo in campagna, va bene? Giuro. (Si toglie cappotto e cappello, li getta a terra e riprende a scavare) Nella nostra oasi, la nostra salvezza terrena. Io spero che tu sia incolume ma se per caso ti sei rotto una gamba, niente paura, passiamo prima dal Rizzoli e poi via, in campagna! E quando dovrai togliere il gesso ti porterò io a Bologna, capirai, mezz’ora di macchina. La campagna, la nostra meravigliosa bassa, con le sue nebbie novembrine… e anche ottobrine, febbrarine e marzoline… ma lo sai che il fabbro ha aperto una salumeria? Davvero! E la cartolaia ha comprato un mulo. Ci capisci qualcosa, tu? La nostra casa invece è sempre più immersa nel verde. Quando si arriva dallo stradone con la macchina ormai si vede solo il verde. E un comignolo. Ma solo per un attimo, quando fai la curva lo vedi spuntare tra l’acero e il tiglio, un lampo poi più nulla, solo verde fino al cancello. E il noce? E il frassino? E i due liquidambar, che d’ottobre sono rosso sangue? E la quercia, che era il tuo orgoglio?

I musicisti smettono di suonare.

- (Ai musicisti) Se ci sarà un altro diluvio, diceva, Noè fabbricherà la sua nuova Arca con questa quercia. E con questi rami i remi. I rami, diceva, servono per impiccarsi o per fabbricare remi e Noè non è uno che s’impicca. E rideva! (Fra sé) Poi ti sei perso nei tuoi viaggi…

I musicisti riprendono a suonare.

- Ah, se tu potessi vederli i nostri alberi, con i cespugli e le aiuole! C’è anche un nespolo che prima non c’era, l’ho piantato io, ti piacerà, è un bel nespoletto promettente, vedrai, come un contadinello con le guance rosse. Tu però devi venirci più spesso in campagna, basta con questo viavai, donne, traffici, telefonate, appuntamenti, polo nord, polo sud… a una certa età bisogna rallentare, acquattarsi e fiutare l’odore delle proprie radici. Ah, dimenticavo: il caco ha fatto i cachi! Sette cachi! E’ la prima volta! Fra dieci anni avremo un parco secolare. (Si siede sulle macerie) E se Remo ci vende quel pezzo di terra facciamo anche il laghetto. Verranno gli aironi e gli uccelli di passo, con le lepri e gli armadilli. E la notte di San Lorenzo ci sdraieremo sul prato per guardare le stelle cadenti. Per ogni stella un desiderio e se si è veloci anche due. Come quell’anno al mare, ti ricordi? Io non sapevo cosa chiedere. Ogni desiderio mi sembrava così banale, così meschino… tu invece avevi le idee chiare: promosso!, il motorino!, la Mirna mi fa un pompino!

I musicisti smettono di suonare e guardano l’uomo.

- La Mirna! La mitica Mirna Chiacchiera! Per un triennio completo tutti i maschi della classe si sono masturbati pensando a lei.

I musicisti riprendono a suonare.

- La Mirna! Pensa a quanto sperma è andato perduto dietro ai lampi di quegli occhietti neri! La maliziosa Mirna, che dirigeva il getto contro le nostre piccole coscienze piccolo borghesi e piccolo cattoliche. La prorompente Mirna Chiacchiera che a diciott’anni nemmeno compiuti si mise con uno di cinquanta che stava a Ferrara e lavorava alla Remington e per lei lasciò la moglie e i figli e da quel giorno della Mirna Chiacchiera si persero le tracce. Dissero che aspettava un bambino e questo mi sembrò insopportabile. Perché da uno di Ferrara e non da me? E tu dicevi scemo, come lo manterresti un bambino? Eri così logico, così razionale! Come ti ho odiato, quella volta! Aspettava un bambino da uno che poteva essere suo padre! Pensa che una mattina, qualche settimana prima, avevo incontrato la Mirna Chiacchiera dal lattaio. Ci eravamo guardati negli occhi e lei mi aveva detto hai lo sguardo azzurro. Come, azzurro? Ma se ho gli occhi neri! Bisogna separare gli occhi dallo sguardo, mi disse. I tuoi occhi sono neri ma il tuo sguardo è azzurro. Chissà dove l’aveva letto? Magari era un pensiero suo, perché la Mirna era un tipo eccezionale. Sta di fatto che io da allora quando incontro una persona cerco il colore del suo sguardo perché gli occhi vengono dagli occhi disse la Mirna, mentre lo sguardo viene dall’anima. E tu sapessi che sorprese, fratellino mio! Questo m’insegnò la Mirna quella mattina. Poi uscimmo dalla latteria e ci salutammo guardandoci nello sguardo e da allora non l’ho più vista. (Un nuovo boato)

I musicisti smettono di suonare.

- Cristo Dio, io sto qui a parlare della Mirna Chiacchiera e intanto tu qui sotto mi muori, mi muori! (Riprende a scavare) Non c’è nessuno, sai, a darmi una mano! Per via di questo disastro… che cosa terribile… così, d’improvviso! Eppure c’erano stati dei segnali, degli scricchiolii… ma chi poteva immaginare? Per fortuna questa trave ci aiuta, si. Meno male. Tu stai in una nicchia qui sotto e la trave ti protegge. Non è così? (Posa l’orecchio e ascolta) Eccoti. Sento il tuo respiro roco. Come? Come? Cristo Dio, fai un piccolo sforzo, non capisco! Non riesco a distinguere le parole! (Ascolta) Nostra madre? Cosa c’entra nostra madre? E’ morta quarant’anni fa… (Ascolta ancora) Come, sepolta viva? Ma cosa dici? (Ai musicisti) E’ impazzito! (Al sepolto vivo) Cuore fermo, encefalogramma piatto! La mamma era morta, stramorta!

I musicisti suonano il tema della madre morta.

- Povera mamma, morta in quella stanza squallida d’ospedale. Le ho chiuso io gli occhi mentre il prete la benediceva. (Si siede sulle macerie) E ho pensato ha finito di soffrire povera Paolina seduta alla finestra di cucina con le mani affondate nelle guance e gli occhi che non guardavano nulla. Del resto c’era poco da guardare, il muro grigio dirimpetto e il buio di quel piccolo cortile incassato che diceva buttati. Avrei dovuto buttarti giù io quando la malattia ti prese e guaivi come una cagna. Saresti morta in un volo allegro finalmente, dicendo grazie. Ciao, mamma… fatti viva di lassù! (Al sepolto vivo) Ma forse hai ragione tu… era proprio sepolta viva in quella casa miserabile, sepolta in quella poltrona sfondata, sepolta in quell’unico abito, in quelle uniche scarpe, in quell’unica pettinatura, in quell’unico nulla, senza denti, in attesa di nulla. (Si rialza) Non si è mai fatta viva di lassù. Ma di laggiù si, una volta in sogno, ti ricordi?, te l’ho raccontato. Era un sogno color seppia e di lei sentivo la voce calda, non me la ricordavo così calda, che mi diceva stiamo qui, stiamo bene e alludeva a tutti i morti, come dire ci teniamo compagnia e nel sogno vedevo una lapide con un’immagine ovale ricavata da una vecchia foto ma non sembrava nemmeno lei, così giovane… e sentivo odore di terra e quando mi svegliai ero consolato e pensai ma tu guarda, la mamma!… e scrissi anche una poesia, questo non te l’ho mai detto, in cui parlavo dei suoni che i morti laggiù si mandano… ma poi la distrussi, avevo paura del tuo giudizio, mi dicevi sempre le tue poesie zoppicano, con o senza rima, con o senza metrica zoppicano, sei un poeta zoppo!… Brutto stronzo!

I musicisti smettono di suonare.

- Hai castrato la mia vocazione, io dentro di me pensavo: in fondo anche i poeti minori sono necessari, perché non mi lascia essere un poeta minore? Chi se ne frega di Goethe e di Baudelaire, lasciami essere un poeta minore, che male c’è? (Al sepolto vivo) Che male c’è a essere un poeta minore? Non mi rispondi? Adesso non insisto perché devo tirarti fuori da qui ma poi ne riparliamo, caro il mio castratore di fratelli! (Toglie altre pietre e le butta ai lati con rabbia) Le mie poesie non saranno un gran che ma qualche volta mi riescono anche delle buone combinazioni perché non è vero che le parole si lasciano congiungere solo dagli eletti, dai poeti inghirlandati! Le parole… certo bisogna saperle avvicinare. No… (Continua a togliere le pietre, ma con delicatezza) …non quando si lavano o si depilano, no, non quando montano sulla bilancia, nell’intimità del loro bagno solo Petrarca e Leopardi: toc toc… chi è? Sono Francesco! Sono Giacomo!… Entrate!… E Petrarca e Leopardi entrano e tra i vapori ecco le parole nude che abbassano lo sguardo e Leopardi allungando il braccio ne indica una e dice: tu! Eh!… Con i grandi le parole sono sottomesse come le mogli del sultano e si offrono con voluttà, languorose e morbide. Per noi è tutto più difficile. I poeti minori le aspettano sul portone e le seguono per strada e le avvicinano mentre si danno il rimmel di sfuggita davanti a una vetrina… e si attacca discorso a fatica e se va bene ti fanno un sorriso le parole, qualche volta una carezza e questo è tutto, a una certa ora devono rientrare perché Foscolo potrebbe aver bisogno di loro. (Ai musicisti) Così è la vita! (Smette di scavare e guarda il vuoto, seduto sulle pietre) I poeti minori!… Il loro tormento è grande come quello dei grandi poeti ma bastasse il tormento, bastassero l’esilio e il cuore puro! Sapeste com’è lontana Itaca per noi!

I musicisti suonano il tema dei poeti minori.

- Essere del proprio tempo ed essere di tutti i tempi. L’avevo scritto sul frontespizio d’un quadernetto quando avevo vent’anni, sarebbe stata la grande regola della mia vita d’artista. Ho provato e riprovato. Non ci sono mica riuscito. E pensare che il mio cuore era un pozzo di bellezze e io in quel secchio gocciolante cercavo l’assoluto… (Ai musicisti) Se mi aveste visto! Febbrile, con le dita convulse che stringevano la penna e calcavano le a le o le esse, giù, fino a bucare il foglio, fino a scavare solchi nel piano del tavolo, e più spingevo più mi sembrava di volare! Via, via, vai!… Ore e ore, pagine e pagine, caffè e sigarette… alla fine spossato mi appoggiavo allo schienale e guardavo fuori: già l’alba! La notte era volata e non me n’ero accorto! Così han da essere i poeti! Puri e disperati! Liberati dalla schiavitù del tempo! (Fra sé) Allora rileggevo la mia opera, trepidante… e già alla terza riga un dubbio… e alla fine… oh… uno scoramento… di fronte a quello sbrodolìo arruffato… a quei pensierucci striminziti… ero io, quello? Che miseria, zoppicava tutto… e sì che dal cuore alla mano il tragitto è breve… ma allora qual’è il segreto?… Come si fa, mi chiedevo… come hanno fatto Omero e Sofocle e Virgilio e Ludovico Ariosto e tutti i premi Nobel e Dante!, come ha fatto Dante?, che parlava dei vicini di casa, conoscenti, gente qualsiasi perché Pier delle Vigne se non c’era Dante col cazzo che diventava famoso!… Cronaca del suo tempo, come se io parlassi del nipote di Gamberini che si suicidò col gas o del mio carrozziere che ha il vizio del poker o di Nanetti che va a letto con la suocera e dice che sua moglie è contenta. E Dante parlando di gente così è riuscito a scrivere il Divino Poema!… Ci dev’essere un inganno, bisogna ribellarsi! Certuni devono avere un Dio appollaiato sulla loro spalla, che gli soffia nell’orecchio. Un Dio capriccioso e ingiusto, che va a simpatia come certi genitori che hanno un debole per il secondogenito che invece è uno stronzo. Io non ho mai sentito gli artigli di Dio sulla mia spalla. Udivo delle voci ma erano le voci del quartiere! Il macellaio, l’idraulico… (Chinandosi sulle pietre) Eh, Ernesto? Ti ricordi? Madri e padri che tramandavano ai figli le regole per la sopravvivenza nella comunità degli uomini comuni! Unto di gomito! Rimboccarsi le maniche! Chi fa da sé fa per tre! Chi ha tempo non aspetti tempo! Ecco… questi sono i trattati di filosofia sui quali ho studiato da giovane. Come potevo, da grande, possedere l’arte con l’A maiuscola? Quella che è del proprio tempo ed è di tutti i tempi? Eh, Ernesto? Come potevo, io che ho fatto le commerciali? Beati i laureati perché loro è il regno dell’arte. Io potevo essere soltanto un poeta minore. Fratello permettendo.

I musicisti smettono di suonare.

- Anche i poeti minori trovano un editore prima o poi. Anch’io avrei trovato un editore! Zurletti di Foligno, ad esempio. Oppure Tipografia F.lli Sacchi di Mirandola… (Al sepolto vivo) E un giorno qualcuno su una bancarella avrebbe sfogliato il mio libretto e l’avrebbe portato via con sé e da quel momento sarei entrato con i miei versetti zoppetti nella vita di uno sconosciuto, ci sono persone che non s’immagina possiedano degli scaffali e invece sapessi!, ne hanno uno in ogni stanza e sono alti e stretti e son carichi di libri dei più strani formati, per lo più vecchissimi e perciò introvabili, di editori mai sentiti e in genere costoro fanno delle note a matita sui bordi delle pagine, note che nessuno rileggerà mai più e vivono soli con un gatto bianco e grigio e usano poco il telefono e si fanno la zuppa con la verza e questi sono i lettori dei poeti minori. (Un silenzio) Eh? Come? (Con un balzo si mette all’ascolto, il capo sulle pietre) Si, si, sono sempre qui. Scavo, scavo. (Riprende a scavare) Adagio. Adagio. Adagio. Sai cosa penso? Che i nostri cromosomi devono essere pieni di calcinacci. (Ai musicisti) Anche nostro padre morì sotto le macerie! Anzi, sopra. Sopra e tutt’intorno. (Al sepolto vivo) Ti ricordi? Dissero che s’era trovata solo la carta d’identità. Fu disperso al vento secondo il rito antico. Fu disperso al vento insieme alle sue canottiere, ai suoi fazzoletti e alla sua valigia da emigrante, Gigetto nostro padre.

I musicisti suonano il tema del padre morto.

- Però che destino, il babbo! Morire a Brema, lui che sapeva dire solo kartoffel e Lilì Marlène! Non puoi scappare perché non sai come si dice scappare in tedesco, non puoi aggrapparti a un cornicione perché non sai come si dice cornicione in tedesco. E’ come se un negoziante tedesco ti abbassasse in faccia la saracinesca. Morire di bombe a Brema, morire di ferro lui che era falegname! Come? (Posa l’orecchio sulle pietre) Sepolto vivo? Ma tu hai la fissazione! Guarda che il sepolto vivo sei tu! Il babbo non fu sepolto vivo, Brema fu rasa al suolo e non ci furono sepolti vivi, non ci furono nemmeno sepolti a Brema nell’agosto del ‘44. Sono tutti dispersi ai quattro venti e ogni tanto a Monte Palomar sentono un bip bip e dicono i marziani e invece sono le vittime di Brema cullate dal vento che s’impigliano nei megahertz e fanno contatto in qualche punto lontano della stratosfera cosmica.

I musicisti smettono di suonare.

- Se fossimo dei radioamatori potremmo dire al babbo bip bip babbo, ti vogliamo bene babbo e non ti preoccupare troppo per la biancheria, oggi viviamo nel benessere e le calze vecchie si buttano! Davvero, babbo! Non si rammenda più! Mi senti, babbo? Bip bip! (Al sepolto vivo) Il babbo non ci crede! E pensare che a Brema s’era portato l’uovo di legno, ti ricordi?, quello che si usava per dare i punti alle calze! Anche l’uovo di legno ha avuto il suo piccolo big bang e da allora si allontana nel nulla verso l’infinito, poverino, senza colpa alcuna, lui che fu strappato da un tronco d’olmo giovane e si ebbe innocente tante punture di ago! (Si sdraia sulle macerie e guarda il cielo).

I musicisti suonano il tema del legno.

- Guardando la luna si vede la luce del sole. Questo è tutto quel che so del cielo. Tante volte ho pensato che invece di leggere Nostradamus per sapere il futuro dovremmo leggere nei mestieri dei padri. Io il futuro di mio figlio lo vorrei falegnamico e non lo dico per far piacere allo spirito megahertzico del babbo e poi che senso avrebbe diventare falegname, oggi che si fa tutto col truciolato? No, falegnamico vuol dire fabbricato con mano sapiente e con amore perché deve durare tutta la vita e senza rinunciare all’odore, un odore buono come quello delle botteghe dei falegnami di una volta che erano luoghi di quiete dove il metro era rispettato con tutti i suoi centimetri e la lampada illuminava il necessario e il falegname ti spiegava che gli incastri si fanno a coda di rondine e sotto il bancone dormicchiava un cagnetto rossiccio che al tuo ingresso apriva un occhio e sventolava la coda drizzando pigramente un orecchio. Falegnamico è qualcosa che appartiene alla memoria, ai sogni e alle imprese dei giusti. Hai notato che il legno era sempre presente là dove c’erano la speranza e l’allegria? Dall’Arca alla Croce, dal fuoco al telaio… anche tu ora sei stato salvato dal legno! Se al posto di questa trave ci fosse stata una putrella ti saluto, Ernesto! Come minimo avresti avuto sfondata la cassa toracica per non parlare del cranio. Il legno ci accompagna sempre e ovunque, dalle matite colorate dell’infanzia al bastone della vecchiaia. Ed è per questo che la bara non mi fa paura. (Si rannicchia sulle macerie) Salvatevi dal ferro, uomini. E venga il regno del legno. (La musica continua. Poi, un boato vicino)

I musicisti smettono di suonare.

- (L’uomo sobbalza e indica un punto) Là! E io m’illudevo che fosse finito! (Riprende a scavare) Scusami se parlo tanto ma lo faccio per te, credo che sia importante per un sepolto vivo sentire una voce umana. Anche se è quella di un fratello gemello meritevole di compatimento. A proposito, ti ricordi quella illustrazione di Novello che ci faceva tanto ridere? Ci sono due sorelle gemelle sedute, bruttine vecchie e rinsecchite, sbiadite come la tappezzeria della casa e sotto il disegno c’è scritto: una sola poteva bastare. Beh, io non ho mai pensato che uno solo di noi potesse bastare, i gemelli ci vogliono tutti e due, eccome. Tu, magari, invece, l’hai pensato senza dirmelo perché a te piaceva ragionare in modo obliquo.

I musicisti riprendono a suonare.

- (Come rispondendo a delle obiezioni e guardando dentro lo scavo) Sicuro, obliquo! E trattarmi da imbecille solo perché eri nato mezz’ora prima di me e quindi Ernesto è il fratello maggiore, con mezz’ora di esperienza in più nella vita!, e il tuo sogno è sempre stato di morire insieme a me così da poter dire con l’ultimo fiato: io son vissuto di più! (Si siede sulle macerie incrociando le braccia) E io adesso ti lascio crepare. Col cazzo che scavo! E voglio vedere alla fine chi sarà vissuto di più! (Un altro boato)

I musicisti smettono di suonare.

- Ma no, ma no, cosa dico? (Scava disperatamente) Pazzo che sono! Contraddittorio, insicuro, cambio idea ogni cinque minuti perché mi sembra che abbiano ragione tutti… e ingenuo… che per te vuol dire coglione. Hai ragione, hai ragione ma che ci posso fare? Via questo macigno! Io sono sempre stato attirato più dalle nuvole che dalle cose pratiche: soldi, commercio, affari, politica. Per non parlare dell’ideologia. Ho sempre dato retta al cuore e il cuore… Dio lo perdoni. Via quest’altro! Ma quando c’è stato da impegnarsi mi sono impegnato, quando c’è stato da rischiare ho rischiato. E ho pagato! E duramente anche! Il tempo della militanza!… A sinistra, perché chi viene dal popolo sta a sinistra e vuole l’uguaglianza. Avanti o popolo, alla riscossa! Bandiera rossa trionferà! Mi senti? Ernesto! In prima fila, però! Non come quegli intellettuali che facevano tante chiacchiere e al momento di rimboccarsi le maniche sparivano per riapparire a lavoro finito, a ferita disinfettata, magari con un documento pieno di citazioni di Mao da distribuire col volantinaggio che naturalmente dovevo fare io perché loro avevano un altro documento da preparare per l’assemblea di domani. Io stavo con la base, ero quello che nelle foto è in secondo piano a destra tagliato a metà. Quello che prende le botte e pulisce il ciclostile. (Continua lo scavo, ma più lentamente)

I musicisti suonano il tema dell’impegno politico.

- Io che amavo le nuvole mi sono fatto un culo così con l’impegno politico e quelli che si definivano politici mi criticavano perché non ero abbastanza rivoluzionario, non abbastanza marxista, leninista, maoista, guevarista, trotzkista, bordighista… non ero abbastanza di nulla! E le mie nuvole erano revisioniste, poverine anche loro, con quel manto di bambagia che mi piaceva tanto! Tutti colpevoli, io le nuvole e le farfalle che ogni tanto mi frullavano in testa: pensa al capitale, compagno, le farfalle sono controrivoluzionarie! Come mi sono sentito in colpa! Peggio di quando andavo a confessarmi da ragazzino e il prete mi massacrava di Avemarie. E come se non bastasse al momento di spegnere la luce arrivavi tu a dirmi che stavo sbagliando tutto, che buttavo via i miei anni migliori, che altri avrebbero sfruttato la mia fatica… e così il sonno era un incubo di cani ringhianti e di appuntamenti fatali… e sognavo di essere inseguito da tutti, ed ero un assassino disperato che aveva ucciso chissà chi e cercavo di scavalcare un muro e avevo alle costole gli sbirri e fra gli sbirri c’erano anche i miei compagni che urlavano più degli sbirri e il muro era troppo alto e ricadevo all’indietro e mentre mi saltavano addosso tu apparivi da un cancelletto che io non avevo visto a un lato del muro e scuotendo il capo mi dicevi stronzo, te l’avevo detto!… E partivi sgommando, con la tua spider luccicante… ecco, quello stronzo potevi risparmiartelo, fratello mio. Bastava quel rombo di motore, bastava il guizzo della tua spider che era rossa come la mia bandiera. (Si arresta ansimante)

I musicisti smettono di suonare.

- Se nemmeno due gemelli monozigoti riescono a realizzare l’uguaglianza fra loro figuriamoci l’umanità intera con i bianchi i gialli i neri i pellerossa i lanzichenecchi i Cattolici i Protestanti gli Anglicani i Valdesi i Battisti gli Anabattisti i Metodisti i Pentecostali i Coopti i Nubiani i Giacobiti i Mormoni e quelli del Regno di Dio e quelli del settimo giorno e quelli del quarto millennio e l’anticristo e l’apostata e gli apocrifi e i preti celibi e quelli sposati e Sparta e Atene e Roma! Roma! Roma! Delenda Carthago! e Babele! Babele! Babele! e i Lancaster e gli York e la guerra dei cent’anni e quella dei sei giorni e La secchia rapita e La Gerusalemme liberata e l’Aquila e il Bruco la Selva e la Pantera i Boston Celtics e i Los Angeles Lakers i carnivori e i vegetariani i pugili pacifisti e i missionari col mitra e quelli alti uno e quaranta e quelli alti uno e novanta e quelli col pene lungo e quelli col pene corto per non parlare della gloriosa umanesca umanoide ominide imbecillità! imbecillità! imbecillità! che a tutti dona e tutti soccorre! e ha sfumature infinite! e ogni omuncolo ci tiene tanto alla propria, oh dolce imbecillità mia! mia! mia!, che per difenderla è pronto a fare la guerra che come tu sai ha anch’essa mille sfumature liriche tanto che certe volte mentre spari a raffica sei convinto d’essere in pace! Bum! Pace! Bum! Pace! Buuummm!!! Che ridere, fratello mio! E io ci sono cascato! E Gigetto è morto a Brema per questo e la Paolina si è consunta di cancro e io vivacchio a cavallo di una nuvolaglia sempre più bassa e sfilacciata e gonfia di pioggia e tocco terra coi piedi come quando si monta su una bici da bambini e le farfalle le ho fritte in padella come fanno i cinesi che sostengono che la porpora è afrodisiaca. Sono in attesa di un’erezione farfallica e questo è tutto quel che rimane del mio impegno politico.

I musicisti riprendono a suonare.

- Però è stato bello. Sicuro che è stato bello. (Al sepolto vivo) Almeno io ho creduto in qualcosa! (Raccoglie da terra alcuni mattoni sparsi e li dispone in bell’ordine e con grande impegno uno sull’altro) Caro il mio bellimbusto… almeno l’ingenuità si riscatta col dolore ma del tuo scetticismo ilare che te ne fai? E’ come far l’amore a pelo d’acqua, tu ridi e spruzzi e ti diverti un mondo ma intanto sotto di te la tua innamorata annega. (Scandisce le battute seguenti sistemando per ognuna un mattone) Io - ho creduto - in un mondo - migliore. - Io - ho creduto - nella virtuosa - bellezza - dell’uomo - liberato - dalle sue catene. - A tutti il pane. - A tutti un libro. - A tutti una casa. - A tutti un lavoro. - A tutti - il tutto - che è possibile - sulla terra. - Questo - è stato - il mio - giovane - delirio - questa - è stata - la mia - giovane - speranza - questo - è stato - il mio - giovane - errore - che a Dio - è caro. (Un boato vicino: l’uomo perde l’equilibrio e fa cadere la costruzione di mattoni)

I musicisti smettono di suonare.

- Ernesto! (Si rialza barcollante) Arrivo! (Riprende a scavare) Devo toglierlo da qui, devo portarlo via. Ernesto! (Ascolta) Come hai detto? (Ascolta di nuovo, si alza di scatto) Guarda che a quest’ora saremmo già nella casa di campagna se tu non mi provocassi continuamente con le tue frecciatine polemiche! Lo sai che soffro di ulcera duodenale da stress! Io non dò mai risposte categoriche, non è nel mio stile!, ma pure e semplici risposte articolate! Eh? (Ascolta) Logorroico sarai tu, accidenti a te!… Però un po’ di ragione ce l’hai, non ho mai avuto il dono della sintesi del resto io non sono Alessandro il Macedone, io i nodi non so tagliarli, io devo scioglierli a costo di spezzarmi le unghie perché penso che quella fune domani potrebbe servire e così ho le tasche piene di gomitoli e anche il cuore è un gomitolo e il cervello un altro gomitolo e se qualcuno mi guardasse le unghie potrebbe pensare che ho scavato macerie per tutta la vita e invece ho soltanto sciolto dei piccoli nodi, centinaia di piccoli nodi stretti stretti e così ho salvato metri e metri di fune e ogni tanto mi dico che me ne faccio di tutti questi gomitoli?, un giorno o l’altro dovrò sgomberare, non so più dove metterli… il fatto è che siamo nati poveri e i poveri non buttano via niente, ancora oggi tutto mi sembra prezioso, anche i tappi delle birre e penso a quand’ero bambino e con un tappo di birra potevo giocare tutto un pomeriggio e se qualcuno me l’avesse portato via mi sarei messo a piangere. Ernesto! Mi senti? Io ho pensato spesso alle infanzie parallele… e tu? (Accosta l’orecchio alle pietre) Dev’essersi addormentato. (Ai musicisti) Le infanzie parallele, voglio dire la mia e quella degli amici meravigliosi che avrei incontrato qualche tempo dopo… parlandone da grandi scoprimmo che erano state rischiarate dalle stesse mattine e dalla stessa povertà… chissà, dicevamo… forse da piccoli ci siamo incontrati… sicuro, tutti e tre… e a questo pensiero ci veniva da ridere… con le nostre mamme ignare di futuro che ci tenevano per mano mentre sceglievano le mele dallo stesso mucchio in qualche mercatino bolognese… e ci eravamo guardati negli occhi, stretti nei nostri cappottini da dopoguerra e in gran segreto senza dir nulla alle mamme ci eravamo dati appuntamento a qualche anno più tardi.

I musicisti suonano il tema dell’infanzia.

- Bruno ha passato l’infanzia sul carretto del padre che si chiamava Ettore e vendeva scope e sedie impagliate per le vie della città e mentre il padre pedalava e gridava la sua merce lui faceva viaggi fantastici ed era Sandokan e il Corsaro Nero e lottava corpo a corpo con le tigri che sbucavano da dietro le colonne dei portici e zompavano sul carretto… le belle scope!… gridava Ettore alle donne sull’uscio… e intanto Bruno con il kriss alla cintola veleggiava sui mari della Malesia e i fratellini più piccoli accoccolati accanto a lui facevano binocolo con le mani pronti ad avvistare il galeone e forse già allora Bruno pensava a come si può dare forma al mare e nel pensiero della forma crebbe e col fuoco nel cuore lo vedemmo ritto su uno scoglio modellare l’aria con le mani e d’improvviso scendere fra i coralli e placarsi e farsi mare per gli amici. Nel frattempo Claudio con la madre e le sorelle seguiva le orme del padre che erano sempre più incerte e dei tanti soggiorni ne ricordava uno a Venezia dove si fece cacciatore e catturò piccioni per tutto l’inverno e la madre che si chiamava Mimma li metteva in pentola e così sfamava i figli e se stessa e un giorno Claudio già adulto in Perù conobbe un bambino povero e divenne suo amico e gli chiese cosa vorresti?, e il bambino rispose un cavallo e Claudio gli disse torno domani aspettami e domani il bambino lo aspettava e domani Claudio tornò con un cavallo e regalò il cavallo al bambino che galoppò a perdifiato fino al villaggio e raccontò che in fondo al sentiero per due volte aveva incontrato Gesù. E io? Come mi posso raccontare, seduto sul muricciolo dell’infanzia? (Posa l’orecchio sulle pietre e ascolta) Sei sveglio? Ernesto! (Fa segno ai musicisti di smettere)

I musicisti smettono di suonare.

- Ernesto! Tutto bene? Ti sei fatto un pisolino, eh? Cucù! Sai, parlavo delle infanzie parallele! E’ un bel tema, non ti pare? (Ascolta) Certo che ti tiro fuori! Ma lasciami anche prender fiato! Dài tempo al tempo, dài tempo al tempo e non chiudermi in gabbia, non legarmi i polsi come hai sempre fatto! Possibile che tu non abbia un briciolo di fantasia? Di sensibilità? Come puoi vivere senza memoria? Come hai detto? (Ascolta, poi si ritrae di colpo) Te la metti tu in quel posto la memoria! Stronzo! E ricordati che mi devi ancora settecentomila lire per quella bolletta del telefono! Le voglio, eh?! Fino all’ultimo centesimo!… Accidenti a te e alle tue stramaledette telefonate in Norvegia! A Oslo! Ma chi devi chiamare a Oslo? (Ai musicisti) La mia infanzia, ragazzi! Un tamburello di latta, una palla di stracci e un giorno l’annunciazione fatta