logo dell'associazione

logo dell'associazione

Commemorazione di un passato difficile - Wagner-Pacifici R., Schwartz B



lunedì 03 maggio 2004 legge Giulia Passerini
Il Vietnam Veterans Memorial è uno dei monumenti commemorativi più discussi e controversi della storia americana: forse perché a progettarlo è stata una giovane studentessa giapponese, uno dei soggetti meno adatti a interpretare i temi dell’eroismo e della virilità sempre insiti in una guerra? O forse a causa della sua struttura sobria, umile, che addirittura sprofonda nel terreno dei Constitution Gardens di Washington, come a sancire la vergogna per la morte inutile di oltre 50mila soldati Americani nel Vietnam? La sociologa americana Robin Wagner-Pacifici rispondendo a questo e ad altri interrogativi, ci spiega perché l’assunto di Durkheim secondo cui “riti commemorativi e simboli preservano e celebrano le credenze tradizionali”, non sempre rispecchi la realtà.

Il problema della commemorazione è un aspetto importante della sociologia della cultura, poichè si riferisce al modo in cui la società concepisce il suo passato. Gli attuali approcci a questo problema si rifanno a Durkheim e sottolineano il modo in cui gli oggetti commemorativi celebrano le antiche glorie della società. Questo articolo sul Vietnam Veterans Memorial riguarda il modo in cui la società assimila eventi passati tutt’altro che gloriosi e la cui memoria causa disapprovazione piuttosto che consenso. La Guerra del Vietnam si differenzia dalle altre guerre, perché fu politicamente controversa, moralmente contestabile e si concluse in una sconfitta; essa è simile alle altre guerre poiché richieste ai partecipanti le tradizionali virtù di coraggio, sacrificio e onore. Il compito di rappresentare questi contrastanti aspetti della guerra in un solo monumento ebbe come cornice la tensione tra i contrastanti generi commemorativi. Analizzando il campo discorsivo che ha letteralmente costruito il Vietnam Vetrans Memorial, questa analisi documenta come opposti schieramenti sociali hanno articolato l’ambivalenza che accompagnava le memorie della guerra del Vietnam. Tale ambivalenza fu espressa non solo nel progetto del Vietnam Veterans Memorial, ma anche nei progetti dei monumenti alla Guerra del Vietnam, più tardi eretti negli Stati Uniti. Questo intento di commemorare una guerra controversa, così come i tentativi nelle altre nazioni di ricomporre i rispettivi passati scomodi, chiama in causa l’assunto di Durkheim secondo cui l’unità morale sarebbe il fine ultimo della commemorazione. Il Vietnam Veteran Memorial, così come altri emblemi, è considerato non come mero simbolo della solidarietà sociale, ma piuttosto come una struttura che rende esplicite e visibili le immagini conflittuali che una nazione ha di se stessa e del suo passato.[…]

[…]

6.2 I dilemmi della commemorazione
La memoria della guerra del Vietnam e della sua epoca rientrano nella cultura della commemorazione. Gli attuali approcci analitici nell’ambito degli studi della cultura definiscono gli oggetti commemorativi e gli oggetti culturali in generale come “significati condivisi cristallizzati in una forma”(Grisworld 1987, p. 13) Tuttavia, il nostro focus concerne la possibilità di elaborare un approccio in grado di analizzare quei tipi di commemorazione per il quale il significato non è condiviso. Una delle più autorevoli prospettive sulle funzioni sociali della commemorazione risale a Durkheim. Riti commemorativi e simbolici, ci dice Durkheim(1965, p.420), preservano e celebrano le credenze tradizionali; essi “servono per conservare la vitalità di queste credenze, per impedire che esse siano cancellate dalla memoria e, in breve, per rafforzare gli elementi più essenziali della coscienza collettiva. Attraverso la commemorazione, un gruppo sociale periodicamente rinnova il sentimento che ha di se stesso e della sua unità”.[…] Altri studi, così come quelli di Durkheim, enfatizzano il modo in cui i monumenti commemorativi integrano la gloria del passato di una società con i suoi interessi e le sue aspirazioni del presente. Essi affermano che gli eventi o gli individui scelti per la commemorazione sono necessariamente eroici o, per lo meno, non contaminati. In tal senso, la commemorazione è guidata da un principio quasi di piacevolezza che offre un’immagine unitaria e positiva del passato. Ma supponiamo che la società sia divisa proprio sugli eventi scelti per la commemorazione. Supponiamo che gli eventi costituiscano un momento doloroso per la società, così come una sconfitta militare o un periodo di oppressione nazionale. Quale tipo di “credenze tradizionali” o “elementi essenziali” e quali tipo di monumenti, se ce n’é qualcuno, può fissare questi momenti e unire la società attorno ad essi? Come è possibile una commemorazione senza consenso o senza orgoglio? Il Vietnam Veterans Memorial ci offre un buon esempio per analizzare queste questioni. La successione degli eventi che portò alla creazione del Memorial e la fruizione del pubblico furono un processo di produzione culturale. In quel processo furono affermate valutazioni morali contrastanti sulla guerra del Vietnam e su chi vi prese parte. Il processo consistette in sette fasi, ognuno identificata dall’attività di differenti soggetti e differenti istituzioni: 1) la decisione del Pentagono di ricordare la guerra con un’isignificante targa nel cimitero di Arlington; 2) l’attività del Congresso culminata in una Settimana per i Veterani del Vietnam e in una serie di programmi di assistenza per i veterani stessi; 3) l’originaria idea e promozione, da parte di un ex soldato del Vietnam, di un monumento tangibile; 4)l’intesa controversia sull’insolito progetto del monumento, scelto dalla Commissione di Belle Arti degli Stati Uniti; 5) la modificazione di questo progetto iniziale attraverso l’introduzione di simboli tradizionali: 6) la straordinaria ed inaspettata reazione del pubblico al Memorial: 7) la controversia che continuò sull’ulteriore modifica del monumento. La nostra analisi passerà attraverso tutte queste fasi così da delineare lo sviluppo del Vietnam Veterans Memorial.[…]

[…]

6.5 La gratitudine di una nazione: in cerca di un genere
Il primo riconoscimento ufficiale al veterano del Vietnam non fu accordato fino al 1978, tre anni dopo che l’ultimo americano lasciò Saigon. Lo stesso riconoscimento fu esitante e incerto. Una cripta alla guerra del Vietnam era già stata preparata nella Tomba del Milite Ignoto. Ma(…) invece di onorare i morti nella battaglia del Vietnam per mezzo di un unione simbolica con (…) gli uomini caduti nelle prime guerre, l’esercito stabilì che una targa e alcune medaglie fossero poste a parte dietro la tomba, insieme con la seguente iscrizione: “Affinché tutti sappiamo che gli Stati Uniti d’America rendono omaggio ai membri delle Forze Armate che risposero alla chiamata del loro paese”. Questa strana dichiarazione non faceva riferimento alcuno alla guerra del Vietnam e richiese un atto della sub Commissione Affari Veterani che la rendesse più specifica.[…]
La prima soluzione al problema del genere commemorativo della guerra fu, così, esitante ed incerta. I combattenti furono onorati, ma non con un maestoso monumento. Essi furono onorati con una targa, collocata in modo inadeguato, la cui iscrizione era stessa indiretta e silenziosa. Le guerre non dichiarate non sono di solito combattute smodatamente, per quanto violente possano essere. La prima commemorazione ufficiale della guerra del Vietnam rispecchiava questa sorta di controllo, alludendo alla causa senza realmente sottolinearla. L’ambivalenza ufficiale verso la guerra del Vietnam si mostrò poi nelle attività del Congresso. Fu infatti nel Congresso alla fine del 1978, che ebbe inizio il lavoro culminato nel Vetrans Memorial. Il progetto discusso inizialmente, comunque, non era di commemorare i soldati deceduti in guerra, ma di istituire una speciale “Settimana per i Veterani del Vietnam” per coloro che erano soppravissuti. Così ebbe una seconda soluzione al problema di trovare un genere per commemorare la guerra del Vietnam. Tempo, piuttosto che granito, la dedica di una settimana piuttosto che la dedica di un tangibile monumento, doveva essere sufficiente ad onorare il soldato che aveva combattuto in Vietnam.[…]

6.6 Impresari e sponsor
La stereotipizzazione negativa del veterano del Vietnam avrebbe potuto minare definitivamente la possibilità di ogni riconoscimento positivo, se non fosse intervenuto un mutamento di prospettiva orientato meno verso i vivi, e più verso i morti.(…) Un ex caporalmaggiore dell’esercito, originario di una famiglia operaia, Jan Scruggs aveva, per conto suo, elaborato un proprio progetto. Come si è detto, una delle premesse della Settimana dei Veterani del Vietnam era che i soldati dovevano essere separati dalla causa.Questa separazione era precisamente ciò che Scruggs mirava a celebrare pubblicamente. All’inizio la sua idea ebbe poca risonanza, ma finì per mettere in ombra la Settimana dei Veterani del Vietnam nel suo significato commemorativo. Voleva erigere un monumento ai soldati che combattevano in Vietnam, su cui scrivere i nomi di tutti i morti in guerra, Il progetto costituiva una variante rispetto al problema del genere commemorativo (..). Era differente, perchècombinava la tradizionale idea di un monumento di pietra per i morti in guerra con l’idea piuttosto radicale di escludervi qualsiasi rilevante simbolo di onore e gloria nazionale. Al posto di questi simboli si doveva inserire la lista dei nomi – 58.000. Il 28 maggio 1979 Scruggs annunciò la costituzione di un fondo per il Monumento dei Veterani del Vietnam per raccogliere i finanziamenti necessari alla costruzione del monumento. La raccolta dei fondi per erigere il Veterans Memorial non fu automaticamente successiva all’avvio del progetto. Fu necessario superare non soltanto l’opposizione da parte delle voci critiche (…) contro la guerra, ma anche un senso di incertezza nella pubblica opinione in genere per la forma che il monumento avrebbe assunto e per ciò che avrebbe rappresentato. Questi sospetti e queste incertezze furono mitigati, quando il frame della concezione originaria del Memorial – “Onora i soldati, non la causa” – fu esplicitato proprio attraverso la scelta degli sponsor. Furno scelti uomini e donne che differivano visibilmente e ampiamente per convinzioni politiche, ma che condividevano il desiderio di onorare i veterani del Vietnam. […]
Questi soggetti rappresentavano molti settori della società: i neri, gli ispanici, le donne, figure religiose ed accademiche, celebrità dello spettacolo e dello sport, i militari. Con il sostegno di questa (…) coalizione di sponsor furono rapidamente raccolti i fondi per finanziare il progetto e la costruzione. Il 4 luglio 1980, pochi giorni dopo la proclamazione della Settimana dei Veterani del Vietnam, il Presidente Carter firmò una delibera aggiuntiva che riservava un’ara di due acri dei Constitutio Gradens tra il Washington Memorial e il Lincoln Memorial, per erigere il monumento ai veterani del Vietnam.[…]

6.6.1 Il caso di Jan Scruggs
La maggior parte delle descrizioni dell’impresa di Jan Scruggs per erigere il Memorial iniziava con una frase del tipo: “ dieci anni dopo il suo grave ferimento da parte d’una granata nemica…”. Il fatto che Scruggs fosse definito con un veterano ferito è molto importante. Le ferite in generale giocano un ruolo di rilievo nel discorso pubblico sui veterani del Vietnam(…). Il fatto che le ferite di Scruggs invariabilmente menzionate significa che gli è riconosciuta l’autorità di parlare a nome dei veterani. Le ferite in questo caso sono segni che legittimano. Il corpo stesso del veterano è la prova di un’intima esperienza con la guerra, di coraggio e vigore. Le ferite di Scruggs fanno di lui il veterano tipo, una sorta di sua rappresentazione collettiva. Questa definizione di Scruggs come, innanzitutto, un veterano ferito ha l’effetto di evocare la tradizionale nozione di eroe di guerra. Grazie a quest’evocazione, la tradizionale nozione di monumento bellico diviene più plausibile.[…] Scruggs incarna il Memorial. Egli lo incarna oggi, come faceva allora, in maniera polisemica. Ammettendo che la guerra del Vietnam non sarebbe mai stata considerata giustificabile, egli riusciva a parlare con i suoi oppositori. L’immagine di Scruggs era uno strumento non per prevenire o porre fine al dibattito sul Veterans memorial, ma per rispecchiarlo. In questo modo Scruggs si procurò il patrocinio di uomini e donne di differenti ed anche opposti punti di vista(…).[…]

[…]

6.7 Visioni e revisioni: da un genere puro ad uno misto
[…] Dunque c’è un “problema di genere”: come creare un monumento che celebri le virtù del singolo veterano senza riferimento alla sua causa. Poiché questo criterio fu considerato congiuntamente alla concezione del veterano del Vietnam espressa dal Congresso, una concezione che combinava l’ansia per i suoi difetti morali (crimini, droga e alcool) con la gratitudine per i suoi sacrifici, sorsero pressioni nel Governo per indicare i contorni essenziali in base ai quali invitare gli artisti a sottoporre i loro progetti. Guidate dall’ambivalenza sia sulla causa sia sui partecipanti, queste indicazioni orientarono da subito il Memorial nella direzione del silenzio e della discrezione.[…] Per quanto significativo possa essere, il Memorial non può essere grandioso, verticale o eroico. Come ogni “soluzione paesaggistica”, deve abbracciare la terra. Deve essere modesto, orizzontale e non eroico. Il monumento scelto dalla Commissione di Belle Arti fra più di 1400 progetti sottoposti fu, infatti, il più semplice e quello meno imponente: due muri neri, disadorni, ognuno di circa 250 piedi di lunghezza, composti da 70 pannelli di granito che crescono in altezza da pochi pollici fino a dieci piedi alla fine di ogni muro, dove essi si uniscono in un angolo di 125 gradi. Sebbene questo angolo allinei i due muri con i monumenti a Lincoln e Washington, i muri stessi sono posti sotto il livello della terra, invisibili da molte posizioni su o vicino al viale. La guerra del Vietnam è così definita come un evento nazioale, ma in un contesto spaziale che separa quell’evento da quelli commemorati dai vicini monumenti. I muri aumentano questo senso di distacco per mezzo della loro forma interna, che guida colui che guarda in un ambito spazio-temporale separato. Muovendosi dal margine di un muro al punto in cui esso incontra l’altro. L’osservatore esperisce un movimento discendente nello spazio e un movimento circolare nel tempo, perché i 57.939 nomi dei soldati appaiono nell’ordine cronologico delle date della loro morte, in modo che la prima e l’ultima vittima di guerra sono unite nel punto di congiunzione dei muri.
La preferenza della commissione per questo progetto fu unanime.(…) Coloro che condividevano gli scopi dell’artista autrice del progetto erano inclini a credere che li avesse raggiunti. Maya Ying Ling dichiarò che con il suo progetto non aveva intezione di comunicare un particolare messaggio politico, ma di evocare “sentimenti, pensieri ed emozioni” di varia ed intima natura: “ciò che la gente vede o non vede coincide con la loro stessa proiezione”. Jan Scruggs concordva: “il Memorial dice esattamente ciò che noi volevamo dicesse sul Vietnam – assolutamente nulla.”. Infatti, nel progetto originale la parola Vietnam non appariva neppure (la frase che indica che i nomi sul muro appartenevano a soldati morti e che identificava la guerra nella quale avevano combattuto fu aggiunta più tardi).[…]
Molti veterani però vedevano qualcosa di nobile se non di utile nella guerra del Vietnam e per loro la Commissione di Belle Arti era andata troppo oltre.[…]
Molti critici credevano che solo un “reale” monumento potesse correttamente rappresentare la guerra del Vietnam, ma poiché ciò era politicamente impossibile essi cercarono un’aggiunta al presente progetto, per compensare la “umiliazione nazionale” che esso perpetuava. Alla fine fu raggiunto un compromesso. Una bandiera americana e, accanto ad essa, una statua realistica di tre soldati. Identificabili come un bianco, un nero ed un ispanico, ritratti mentre ritornano da un pattugliamentoo con lo sguardo rivolto verso i nomi sul muro, avrebbero portato il progetto originario più vicino al genere tradizionale – lo avrebbero reso più simile ad un reale monumento. […]

6.8 Bandiere ed effigi come simboli di una guerra persa
La combinazione di bandiera, statua e muro con iscritti i nomi rifletteva un profondo disaccordo su come la guerra del Vietnam avrebbe dovuto essere ricordata.[…] Maya Ying Ling era una giovane studentessa dell’università di Yale, quando il suo progetto fu scelto quale vincitore della gara per il Memorial. Lin era una abile portavoce del suo progetto e fu particolarmente capace di riflettere sui modi in cui esso dava corpo alle sue intenzioni (che necessariamente coincidevano con quelle della Commissione di Belle Arti); quando le fu chiesto in una intervista per Art in America se pensava che il Memorial avesse una sensibilità femminile, rispose: “ In un mondo di monumenti fallici che vanno verso l’alto, esso certamente ce l’ha. Io non sono partita alla conquista della terra o per sopraffarla mel modo tipico dell’uomo occidentale. Io non penso di aver fatto un’opera passiva, ma neppure un monumento all’idea della guerra.”(Hess 1983, p.121). Lin distingue il suo progetto dai monumenti “maschili” facendo riferimento alla posizione orizzontale di questo e al suo rifiuto di dominare il paesaggio, Tuttavia ella non associa un tale progetto con la passività o la debolezza. Articola piuttosto una nozione alternativa di forza(…).[…]
Una volta che fu presa la nuova decisione di erigere la statuta e fu scelto lo scultore Frederick Hart, l’intenzione maschile a proposito della rappresentazione dei veterani, fu apertamente riconosciuta. Lo scultore stesso certamente la vide in questo modo. Facendo un esplicito paragone fra se stesso e Maya Lin, Hart rivendicò per sé una speciale capacità di comprendere i veterani: li aveva studiati per tre anni. Nel realizzare questa connessione egli mise una delle tradizioni maschili della nostra società al servizio del suo mestiere: “sono diventato grande amico di molti veterani, ho bevuto con loro nei bar.”. Mentre questa esperienza si trasforma direttamente in un privilegio artistico “l’opera della Lin è un tranquillo esercizio di arte contemporanea fatto in un vuoto senza alcuna conoscenza del soggetto”(Hess 1983, p.124). Ma come poteva una giovane donna universitaria o qualsiasi donna conoscere questo soggetto? Nella valutazione della statua contenuta nel Times ci viene detto che i tre soldati “suggeriscono una amicizia senza confronti che si forgia solo in combattimento”. Nella nostra società, come afferma Wheeler, solo gli uomini possono comprendere questa “amicizia” senza confronti. Anche se prendiamo per buona questa rivendicazione, in realtà l’ansiosa risposta dei critici del Memorial dipende, come si diceva, da un altro aspetto:la sconfitta. Poiché poche cose minacciano i tradizionali concetti di virilità più che la sconfitta in guerra, il fardello simbolico deve essere veramente enorme per ogni monumento che cerchi di elevare i protagonisti sconfitti. Nelle parole di un ufficiale dell’esercito: “perché costruiamo un monumento per i perdenti?”(National Geographic maggio 1985, p. 558). Se sia i perdenti sia la sconfitta fossero stati ignorati e l’enfasi fosse stata posta sui trascendenti valori della causa, allora forse non sarebbe stata minacciata la virilità di nessuo. Ma poiché la sconfitta militare non poteva essere ignorata, la bandiera e la statua possono essere letti come palliativi per i dubbi sulla forza dei combattimenti americani. Forse questo è il motivo per cui la statua era così importante per i critici di Maya Lin: essa allontanava il sospetto dai singoli uomini che combatterono e persero in Vietnam e spostava l’attenzione su generici eroici soldati(…). Un’idea indovinata, ma non era convincente. Chi l’aveva avuta non aveva convinto neppure se stesso.
Osserviamo da vicino la statua dei tre soldati. E’ di un colore verde oro. I soldati, apparentemente disorientati e vestiti con uniformi finemente lavorate ma spiegazzate, guardarono fisso verso il muro. Le armi pendono invano dalle braccia abbassate di due soldati e restano sulla schiena del terzo. Ecco allora il realismo che i critici dell’astrattismo del muro desideravano. Ecco la vita – come opposta all’espressione di morte del muro – ma è una vita esausta e confusa. Questi sono uomini di guerra, ma non nel momento dell’azione. Poiché i soldati sono posti su un modesto piedistallo, i visitatori non possono neppure simbolicamente alzare gli occhi verso di loro; si trovano invece i soldati quasi a livello degli occhi. Il portamento di questa statua non è eroico. Consideriamo il complesso del monumento come un insieme, noi troviamo un più ampio campione di asserzioni (…). Il muro incarna una definizione controversa: quegli individui dovrebbero essere ricordati e la loro causa ignorata; le qualificazioni vengono con la bandiera e la statua. Queste, a loro volta, sono state assalite dalle loro stesse tensioni. La statua, concepita come una affermazione reattiva di orgoglio, eroismo e mascolinità, attraverso la particolare forma che ha assunto è divenuta una rappresentazione moderata di tutte queste cose. La bandiera sembra essere in maniera incondizionata assertiva, perché essa è l’unica parte del complesso del monumento che porta il nostro sguardo vesro l’alto, ma si nota, nella peculiare dedica inscritta sulla sua base, quasi una marcia indietro: “Questa bandiera afferma i principi di libertà per i quali [i veterani del Vietnam] hanno combattuto e afferma il loro orgoglio in difficili circostanze”. L’eufemismo è abbastanza trasparente. Con “difficili circostanze” si deve intendere non il potere del nostro nemico ma la debolezza della nostra causa. In questa luce, le similarità fra le tre parti del Memorial diventano più salienti delle loro differenze, nonostante il realismo delle figure della statua e la preminenza verticale della bandiera. Ovunque guardiamo, troviamo riflessa dappertutta l’ambivalenza sul significato di questa guerra e sui suoi protagonisti.[…]

[…]

6.9 Il significato politico dei nomi
[…] La lista parziale delle vittime di guerra è un congegno usuale commemorativo, tipicamente basato sulle targhe nelle scuole, nelle chiese, nei municipi e nelle piazze cittadine, targhe finalizzate ad evidenziare il sacrificio locale fatto in nome delle cause nazionali. Una lista di questo tipo si trova anche in vasti complessi commemorativi, come il muro del disperso nei cimiteri nazionali a Honolulu e Manila. L’idea di Lin è diversa. Ella presenta una lista nazionale, un completo inventario di vittime di guerra, ma non lo trasforma in una parte di un monumento riconoscibile. Presenta nient’altro che una lista senza nessun’altra targa per identificare i suoi contenuti. Definisce così il genere di monumento bellico, come mai era stato definito prima. Fare la lista di tutti i soldati caduti, senza alcun riferimento simbolico alla causa o al paese per il quale essi morirono, immediatamente mette in luce l’individuo. Ma, una volta che si è determinato che l’individuo eclisserà la causa e il paese, il compito di costruire quell’individuo diventa la preoccupazione principale. Precisamente cosa e quanto si deve dire? Poiché la risposta di Maya Lin alla domanda è di usare un criterio nominativo e farne il suo motivo dominante, non c’è criterio identificativo per grado, né nessun altro segno individualizzante, come l’appartenenza ad un specifico corpo militare(esercito, marina ecc.), o un luogo o la residenza civile. Con l’unicità individuale così dissolta in una sequenza omogeneizzante di date morte, come si può affermare che i nomi sul muro personificano qualcosa che la società americana apprezza?[…] Tuttavia qui si può evidenziare anche un significato diverso. Un articolo del Newsweek(ristampato dal Reader’s Digest) illustra questo significato in un suo reportage sulla vigilia a lume di candela nella National Cathedral. L’articolo comincia con un tentativo di trovare delle colorite distinzioni in un altrimenti indifferenziato e noioso inventario di nomi. Tuttavia, la specificazione fa uso solamente di un mezzo – la diversità etnica:

Nomi: Jose K. Brown, Sai G. Gew, Glenn F. Cashdollar, Kenyu Shimabukuru, Famous L. Lane, Witold J. Leszczynski, Thomas L.LittleSun, Salvatore J. Piscitello, Max Lieberman, Savas Escamilla Trevino, Billy Joe Lawrence. Per 56 ore lessero i nomi nelle mura gotiche della National Cathedral. Ritmici nomi spagnoli. Nomi polacchi che attorcigliano la lingua, tedeschi gutturali, africani esotici, semplici nomi anglosassoni. Nomi cinesi, polinesiani, indiani e russi. Sono nomi che arrivano in profondità nel cuore dell’America, ognuno testimone di una decisione di famiglia, talvolta nel passato, di strapparsi da una casa e da una cultura per mettere alla prova la promessa del nostro paese di nuove opportunità e una vita migliore. [Newsweek, 22 Novembre 1982, p. 82]

Questo passaggio rappresenta l’America come un melting pot ma è un melting pot i cui contenuti mostrano alcune delle caratteristiche stereotipate comunemente ascritte a differenti nazionalità. Gli europei del sud hanno ritmo, gli africani sono esotici. Tali stereotipi, inoltre, minano la celebrazione della diversità per mezzo della riaffermazione implicita dell’importanza della classe. I nomi campionati dall’autore di Newsweek rappresentano i più svantaggiati gruppi del paese a livello economico e politico. Anche i nomi anglosassoni sono designati “semplici” e ci rimandono con la mente molto più ad Appalachia che a Main Street. Così l’articolo, che sembra celebrare il pluralismo etnico dell’America, rimanda ad un livello più profondo a riferimenti caricaturali relativi agli uomini della classe lavoratrice che combatterono la guerra. I nostri rapporti di classe di ricchezza e povertà, potere e impotenza, sono perciò riaffermati – non solo sul Newsweek e sul Reader’s Digest, ma anche sul muro del Memeorial stesso. Si noti anche, come l’autrice del muro, Maya Ying Lin, è chiamata dai media. Se, come vuole lo stereotipo, tutti gli asiatici sembrano simili, tanto più i loro nomi suonano simili. Così cinque prestigiose pubblicazioni hanno scritto male il nome della Lin in quattro differenti modi: Maya Yin Lin (Time, 9 novembre 1981); Maya Ling Lin (Washington Post, 12 novembre 1984); Maya Yang Lin(National Review, 11 dicembre 1981, e New Republic, dicembre 1982); Maya Ling Yin (U.S. News and World Report, 22 novembre 1982). La negligenza nella resa pubblica del nome della Lin mina ancor di più il rispetto per la diversità che il monumento, si suppone, affermi.

6.10 Usi di genere: il processo di venerazione
Il significato del Vietnam Veterans Memorial è definito dai modi in cui la gente si comporta dinnanzi ad esso. Alcuni monumenti sono raramente oggetto di conversazione o visite e mai usati per cerimonie. Altri monumenti, come la Tomba del Milite Ignoto, sono usati spesso come luoghi di cerimonie formali e visitati anno dopo anno da un numero ampio di persone. Tra il Vietnam Veteran Memorial e i suoi visitatori si stabilisce una differente relazione. Non solo il Memorial è oggetto di frequenti cerimonie e frequenti visite (più di 2,5 milioni di visitatori e 110 – 1500 riunioni all’anno), rappresenta anche un oggetto con cui i visitatori entrano in relazione attiva e affettiva. Questo tipo di relazioni contrasta con tutte le intenzioni originarie su cosa il Memorial sarebbe stato e su ciò che avrebbe rappresentato. Concepito come qualcosa da guardare passivamente e contemplare, il Vietnam Memorial è diventato oggetto di emozioni. Ciò non avviene per il complesso del Memorial, ma soltanto per il muro e i suoi nomi. I nomi sul muro sono toccati, le loro lettere tracciate dal movimento delle dita. I nomi sono accarezzati. I nomi sono riprodotti sulla carta con una matita e poi portati a casa. E qualcosa è portato da casa - un oggetto materiale che ha un significato per il defunto o una frase scritta da un visitatore o da un parente del caduto. Le dediche di colore che piangono i loro morti sono uno spettacolo che per molti è ancora più commovente del muro del Memeorial stesso. C’è più che morbosa curioisità nelle reazioni degli spettatori, tuttavia, poiché la manifestazione di lutto non sono questioni private. Queste manifestazioni rendono palpabile una perdita collettiva, nota a tutti. Non solo, quindi, gli amici e la famiglia portano il loro dolore personale al muro del Memorial, ma la società esercita una pressione morale su quelli non direttamente interessati da una perdita, per aggiungere anche la loro presenza in quella situazione e associare i loro sentimenti ad essa. Questa pressione morale produce la larga adunanza della quale deriva gran parte del drammatico impatto del Memorial. Per contasto, quando l’area del Memorial è deserta, il suo muro appare meno magnetico, meno commovente, meno memorabile. Durkheim si riferiva proprio a tale contrasto, quando affermava che l’esperienza di essere in un santuario consacrato “ è solo il sentimento ispirato dal gruppo nei suoi membri, proiettato al di fuori delle coscienza (…), e oggettivato. (…) Quindi il carattere sacro assunto da un oggetto non è implicato nelle proprietà intrinseche di quest’ultimo: è aggiunto ad esse”(1965, p. 261). Proprio così, Il Veterans Memorial è designato come reliquario consacrato, in quanto è oggetto di solenni assemblee in cui emergono i sentimenti morali e si rinforzano l’uno con l’altro(…).[…]


6.11 Usi di genere: la rappresentazione dell’ambivalenza
Tutti gli articoli non deperibili lasciati al Vietnam Veterans memorial sono raccolti ogni giorno e conservati nel Museum and Archeological Regional Storage Facility. File e file di protezione ermetiche preservano questi “doni” per il futuro, estendendo così il Memorial nello spazio e nel tempo. Questa parte del complesso del Veterans Memorial è la più popolare, perché i suoi contenuti, in accordo con la politica del Dipartimento degli Interni, sono determinati della gente che visita il Memorial e non da direttori di museo.[…] I più variopinti oggetti lasciati dai visitatori sono i fiori, attaccati al muro o posti per terra davanti al nome del proprio caro.[…]L’oggetto più frequentemente lasciato presso il muro è una bandierina americana attaccata ad uno stecco e piantata nella terra davanti al nome che il visitatore desiderava evidenziare. Attraverso questa offerta, i visitatori esprimevano una dichiarazione politica che non si supponeva fosse fatta. Essi asserivano il loro patriottismo, la loro fedeltà ad una nazione.[…]Queste affermazioni sono amplificate da altri oggetti. La più ampia categoria, quasi un terzo di tutto ciò che è stato depositato dai visitatori, consiste in articoli militari, soprattutto pezzi e distintivi che identificano l’apparteneneza ad un’unità militare, premi e diplomi. Il sito del monumento è stato così decorato dai simboli dei ruoli attraverso cui i veterani, quando erano in vita, tenevano fede al loro impegno verso lo stato.[…] progettato per portare l’attenzione verso l’individuo e lontano dalla nazione e dalla sua causa, il muro del Memorial risulta essere uno dei luoghi in cui il sentimento patriottico è maggiormente messo in scena. La fruizione del muro spinge il monumento proprio verso quel genere bellico tradizionale, da cui sia gli oppositori sia i sostenitori hanno inteso allontanarlo.[…] Molte lettere e poesie, non meno degli altri oggetti portati presso il muro, rivelano che molti sono incapaci di giudicare la guerra in maniera politicamente neutrale. Nonostante le rivendicazioni degli sponsor ufficiali, il Vietnam Veterans Memorial genera tensioni analoghe a quelle che dividevano la nazione durante la guerra stessa.[…].

[…]