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Che cosa è una cultura? - Claude Lévi-Strauss


lunedì 27 ottobre 2003 legge Alessandro Degli Esposti
Che cosa è una cultura? Per dire cosa è una cultura occorre senz’altro pensare a cosa sono “le” culture – oggi è più che mai evidente. Ma come nasce e si trasforma, in epoca contemporanea, il concetto stesso di cultura?
La dinamica tra culture diverse comporta differenti aspetti di conflittualità, assimilazione, accettazione reciproca. Questa, secondo la lettura che ne farà Alessandro Degli Esposti, è una parte costitutiva dell'indagine di Claude Lévi-Strauss, il noto antropologo francese recentemente scomparso, la cui ricerca ha caratterizzato in maniera determinante la disciplina antropologica del XX secolo.
Un raffronto tra i rilievi nel merito di tali argomenti contenuti in due saggi redatti dall'autore a vent'anni di distanza (1952-1971), può suggerire interessanti riflessioni sui rapporti che oggi intercorrono fra culture diverse e sui possibili (e inquietanti) scenari che possono interessare il futuro dei rapporti interculturali su scala mondiale.




Claude Levi-Strauss, Razza e storia (1952)

Claude Levi-Strauss, Razza e cultura (1971)

Bronislaw Malinowski, Che cos'è la cultura (1944)

Melville J. Herskovits, Cultura e individuo (1970)


Claude Levi-Strauss, Razza e storia (1952)

La ricchezza delle culture

L'Europa agli inizi del Rinascimento era il luogo d'incontro e di fusione delle influenze più diverse: le tradizioni greca, romana, germanica e anglosassone; le influenze araba e cinese. L'America precolombiana non godeva, quantitativamente parlando, di minori contatti culturali, poiché le culture americane mantenevano fra loro rapporti, e le due Americhe formano insieme un vasto emisfero. Ma, mentre le culture che si fecondano reciprocamente sul suolo europeo sono il prodotto di una differenziazione antica di molte decine di millenni, quelle dell'America, il cui popolamento è più recente, hanno avuto minor tempo per divergere; offrono quindi un quadro relativamente più omogeneo. Così, sebbene non si possa dire che il livello culturale del Messico o del Perù fosse, al momento della scoperta, inferiore a quello dell'Europa (abbiamo anzi visto che per certi aspetti gli era superiore), le diverse componenti della cultura erano forse laggiù meno bene articolate. Accanto a stupefacenti successi, le civiltà precolombiane sono piene di lacune, hanno, per così dire, dei "buchi". Offrono inoltre lo spettacolo, meno contraddittorio di quanto non sembri, della coesistenza di forme precoci con forme abortive. La loro organizzazione poco elastica e debolmente diversificata spiega verosimilmente il loro crollo dinanzi a un pugno di conquistatori. E la causa più profonda può esserne ricercata nel fatto che la "coalizione" culturale americana era stabilita fra partner meno differenti fra loro di quanto non lo fossero quelli del Vecchio Mondo. [...]
Noi abbiamo cercato di mostrare che il vero contributo delle culture non consiste nell'elenco delle loro invenzioni particolari, ma nello scarto differenziale che esse presentano fra di loro. Il senso di gratitudine e di umiltà che ogni membro di una data cultura può e deve provare verso tutte le altre è fondabile su una sola convinzione: che le altre culture sono diverse dalla sua, nella maniera più svariata; e ciò, anche se la natura ultima di tali differenze gli sfugge o se, nonostante tutti i suoi sforzi, riesce a penetrarla solo molto imperfettamente.

Civiltà mondiale e culture parziali

Ma se esistono culture concrete, situabili nel tempo e nello spazio, e di cui si può dire che abbiano "contribuito" e continuino a farlo, che cosa è mai questa "civiltà mondiale" supposta beneficiaria di tutti quei contributi? Non è una civiltà distinta da tutte le altre, che goda di un medesimo coefficiente di realtà. Quando parliamo di civiltà mondiale, non designiamo un'epoca o un gruppo di uomini: utilizziamo un concetto astratto, a cui attribuiamo un valore o morale o logico: morale, se si tratta di un fine che proponiamo alle società esistenti; logico se intendiamo raggruppare sotto uno stesso vocabolo gli elementi comuni che l'analisi permette di individuare fra le diverse culture. In entrambi i casi, non bisogna nascondersi che la nozione di civiltà mondiale è molto povera e schematica e che il suo contenuto intellettuale e affettivo non presenta certo grande densità. Voler valutare contributi culturali carichi di una storia millenaria, e di tutto il peso dei pensieri, delle sofferenze, dei desideri e della fatica degli uomini che li hanno portati all'esistenza. Riferendoli esclusivamente al campione di una civiltà mondiale che è ancora una forma vuota, sarebbe impoverirli singolarmente, svuotarli della loro sostanza e conservarne solo un corpo scarnificato [...]
La civiltà mondiale non può essere altro che la coalizione, su scala mondiale, di culture ognuna delle quali preservi la propria originalità. [...]
Comunque sia, è difficile rappresentarsi altrimenti che come contraddittorio un processo che può essere riassunto nel modo seguente: per progredire, occorre che gli uomini collaborino; e, nel corso di tale collaborazione, essi vedono gradualmente identificarsi gli apporti di cui la diversità iniziale era per l'appunto quel che rendeva la loro collaborazione feconda e necessaria.
Ma anche se questa contraddizione è insolubile, il sacro dovere dell'umanità consiste nel tenere i due termini egualmente presenti, di non perdere mai di vista l'uno a esclusivo vantaggio dell'altro; di guardarsi, certo, da un particolarismo cieco che tendesse riservare il privilegio dell'umanità a una razza, a una cultura o a una società, ma anche di non dimenticare mai che una frazione dell'umanità non dispone di formule applicabili all'insieme, e che un'umanità confusa in un genere di vita unico è inconcepibile, perché sarebbe un'umanità ossificata. [...]
L'umanità è costantemente alle prese con due processi contradditori di cui l'uno tende ad instaurare l'unificazione, mentre l'altro mira a mantenere o a stabilire la diversificazione. La posizione di ogni epoca o di ogni cultura nel sistema, l'orientamento secondo cui essa vi si trova coinvolta, sono tali che uno solo de due processi pare avere un senso, mentre l'altro sembra essere la negazione del primo. Senonché, dire, come si potrebbe essere inclini a fare, che l'umanità si disfi nel momento stesso in cui si fa, deriverebbe ancora da una visione incompleta. Poiché, su due piani e su due livelli opposti, si tratta pur sempre di due differenti maniere di farsi.

C. Levi-Strauss, Razza e storia (1952) in Razza e storia e altri studi di antropologia, a cura di P. Caruso, Torino, Einaudi, 1967.


Claude Levi-Strauss, Razza e cultura (1971)

C'è infine un'ultima ragione che induce l'etnologo ad esitare, non certo a combattere i pregiudizi razziali – poiché la sua scienza ha già poderosamente contribuito a questa lotta, e continua e continuerà a farlo-, ma a credere, come troppo spesso lo si spinge a fare, che la diffusione del sapere e lo sviluppo delle comunicazioni tra gli uomini riusciranno un giorno a farli vivere in buona armonia, nell'accettazione e nel rispetto della loro diversità. Nel corso di questa esposizione, ho fatto notare più volte che la fusione progressiva di popolazioni fino allora separate dalla distanza geografica, ed inoltre da barriere linguistiche e culturali, segnava la fine di un mondo che era stato quello degli uomini per centinaia di millenni, quando essi vivevano in piccoli gruppi costantemente separati fra di loro, che evolvevano in direzioni diverse sia sul piano biologico, sia su quello culturale. Gli sconvolgimenti scatenati dalla civiltà industriale in espansione, la maggior rapidità dei mezzi di trasporto e di comunicazione, hanno abbattuto queste barriere. Insieme a queste sono sparite le possibilità che esse offrivano, che si elaborassero e si collaudassero nuove combinazioni di geni e di esperienze culturali. Ora, non ci si può nascondere che a dispetto della sua urgente necessità pratica e degli alti fini culturali a cui mira, la lotta contro tutte le forme di discriminazione coopera a questo stesso movimento che trascina l'umanità verso una civiltà mondiale, distruttrice dei vecchi particolarismi a cui spetta l'onore di aver creato quei valori estetici e spirituali che danno alla vita il suo senso, e che noi raccogliamo preziosamente in musei e biblioteche perché ci sentiamo sempre meno capaci di produrli.
È indubbio che noi ci culliamo nel sogno che uguaglianza e fraternità possano un giorno regnare tra gli uomini, senza che la loro diversità sia compromessa. Ma se l'umanità non si rassegna a diventare la consumatrice sterile dei soli valori che ha saputo creare in passato, capace ormai solo di partorire opere bastarde, invenzioni grossolane e puerili, dovrà reimparare che ogni creazione vera implica una certa sordità al richiamo di altri valori, che può giungere fino al loro rifiuto o addirittura alla loro negazione. Infatti, non si può simultaneamente sciogliersi nel godimento dell'altro, identificarsi con lui, e restare diversi. La comunicazione integrale con l'altro, se pienamente riuscita, condanna a breve o lunga scadenza l'originalità della sua creazione o della mia. Le grandi epoche creatrici furono quelle in cui la comunicazione era diventata sufficiente perché corrispondenti lontani fra loro si stimolassero, senza tuttavia essere tanto frequente e rapida da far sì che gli ostacoli, indispensabili fra gli individui come fra i gruppi, si riducessero fino al punto che gli scambi troppo facili livellassero e confondessero la loro diversità.

C. Levi-Strauss, Razza e cultura, in Lo sguardo da lontano, trad. di P. Levi, Torino, Einaudi, 1984



Bronislaw Malinowski, Che cos'è la cultura (1944)

All'inizio sarà bene dare uno sguardo sintetico alla cultura, nelle sue varie manifestazioni. Essa evidentemente è il tutto integrale consistente degli strumenti e dei beni di consumo, delle carte costituzionali per i vari raggruppamenti sociali, delle idee e delle arti, delle credenze e dei costumi. Sia che noi consideriamo una cultura molto semplice o primitiva o una cultura estremamente complessa o sviluppata, noi ci troviamo di fronte ad un vasto apparato in parte materiale, in parte umano e in parte spirituale con cui l'uomo può venire a capo dei concreti, specifici problemi che gli stanno di fronte. Questi problemi sorgono dal fatto che l'uomo ha un corpo soggetto a vari bisogni organici e vive in un ambiente che è il suo miglior amico giacché fornisce i materiali grezzi del lavoro umano, e anche il suo nemico più pericoloso poiché alberga molte forze ostili. [...]
In primo luogo, è chiaro che il soddisfacimento dei bisogni organici o fondamentali dell'uomo e della razza è una serie minima di condizioni imposte a ciascuna cultura. Si devono risolvere i problemi avanzati dai bisogni nutritivi, riproduttivi e igienici dell'uomo. Essi sono risolti con la costruzione di un ambiente nuovo, secondario o artificiale. Questo ambiente, che non è né meno che la cultura stessa, deve essere continuamente riprodotto, mantenuto e diretto. Ne consegue ciò che potrebbe essere descritto nel senso più generale del termine come un nuovo livello di vita, che dipende dal livello culturale della comunità, dall'ambiente e dall'efficienza del gruppo. Un livello culturale di vita, inoltre, significa che nuovi bisogni si manifestano e nuovi imperativi o determinanti sono imposti al comportamento umano. Chiaramente, la tradizione culturale deve essere trasmessa da ciascuna alla successiva. Metodi e meccanismi di carattere educativo debbono esistere in ogni cultura. L'ordine e la legge debbono essere mantenuti, giacché la cooperazione è l'essenza di ogni realizzazione culturale. In ogni comunità devono esistenre misure per sanzionare il costume, l'etica e la legge. Il sostrato materiale della cultura deve essere rinnovato, e mantenuto in grado di funzionare. Perciò alcune forme di organizzazione economica sono indispensabili, anche nelle culture più primitive. Così l'uomo deve, innanzi tutto, soddisfare tutti i bisogni dell'organismo. Deve creare dispositivi e compiere attività per nutrirsi, scaldarsi, alloggiare, vestirsi o proteggersi dal freddo, dal vento e dalle intemperie. Egli deve proteggere se stesso e organizzare tale protezione contro nemici e pericoli esterni, fisici, animali o umani. Tutti questi problemi primari degli esseri umani sono risolti mediante prodotti, mediante l'organizzazione in gruppi cooperativi, e anche mediante lo sviluppo della conoscenza, il senso dei valori e l'etica.
Noi cercheremo di mostrare che si può sviluppare una teoria in cui i bisogni fondamentali e il loro soddisfacimento culturale possono essere connessi con la derivazione di nuovi bisogni culturali; che questi nuovi bisogni impongono all'uomo e alla società un tipo secondario di determinismo. Noi potremo distinguere gli imperativi strumentali – che sorgono da attività come quella economica, quella normativa, quella educativa e quella politica – e gli imperativi integrativi. Fra questi elencheremo la conoscenza, la religione e la magia. Le attività artistiche e ricreative potremo riferirle direttamente a certe caratteristiche fisiologiche dell'organismo umano e potremo anche mostrare la loro influenza e dipendenza da modi di azione concordata, da credenze magiche, industriali e religiose.

Teoria scientifica della cultura e altri saggi, Milano, Feltrinelli, 1962



Melville J. Herskovits, Cultura e individuo (1970)

Definita come la parte dell'ambiente fatta dall'uomo, la cultura è essenzialmente un costrutto che descrive il corpo complessivo delle credenze, del comportamento, della conoscenza, delle sanzioni, dei valori e degli obiettivi che contraddistinguono il modo di vita di un popolo. Ciò vuol dire che, per quanto la cultura possa essere trattata dallo studioso come suscettibile di una descrizione oggettiva, in ultima analisi essa comprende le cose che le persone hanno, quelle che fanno, ciò che esse pensano.
Quando ci chiediamo come le persone pervengono alle forme di credenze e di comportamento che contraddistinguono il loro modo di vita, la risposta può essere trovata nel processo di apprendimento, inteso in senso lato. Esso include sia quelle reazioni al condizionamento a livello inconscio, mediante cui nel bambino in via di sviluppo vengono fissati i modelli fondamentali del gruppo, sia quelle forme di istruzione recepite più consapevolmente che chiamiamo "educazione".
Questo processo di apprendimento della propria cultura è stato designato col termine "inculturazione"; è l'inculturazione che ci permette di spiegare il fatto che una cultura mantiene una forma riconoscibile di generazione in generazione. Ciò avviene perché ogni essere umano nasce in un gruppo i cui costumi e le cui credenze sono stabilite prima che egli compaia sulla scena. Mediante il processo di apprendimento egli acquisisce questi costumi e queste credenze; egli impara le sue lezioni culturali talmente bene che gran parte del suo comportamento negli anni successivi assume la forma di risposte automatiche agli stimoli culturali che gli si presentano. L'inculturazione è realizzata in larga misura attraverso il simbolismo del linguaggio, che viene a costituire un "indice della cultura" in senso più profondo di quanto di solito non ci renda conto. Questo processo è straordinariamente sottile, e influenza perfino certi aspetti del comportamento come i diversi tipi di abiti motori o le reazioni emotive a situazioni di tensione. Il processo ha una portata così vasta che risulta ormai evidente come la personalità stessa dell'individuo sia in misura considerevole il risultato della sua esperienza inculturativa.
Gli elementi comuni dell'inculturazione dei membri delle generazioni successive di un gruppo danno alla loro cultura l'apparenza di una tale continuità che si è attribuita alla cultura una specie di esistenza indipendente. Questa posizione è rafforzata dalla considerazione di un fenomeno come la corrente culturale, che ha condotto alcuni studiosi ad attribuire alla regolarità del mutamento culturale una inevitabilità che si ritiene scaturisca dagli impulsi interni di una cultura, senza alcun riferimento a – o con scarso riguardo per – gli esseri umani il cui comportamento costituisce la cultura. Questa è la posizione di coloro i quali ritengono che la cultura sia un fenomeno superorganico, cioè trattano i problemi delle forme di cultura e dei processi del mutamento culturale come se questi possedessero un'esistenza propria e una dinamica interna. Quando si cerca una spiegazione della natura della cultura, alla fine si arriva pur sempre all'individuo e al suo adattamento alle tradizioni accettate dal gruppo. Pertanto, mentre la cultura può essere considerata come un fenomeno suscettibile – mediante un processo di reificazione – di essere studiato nella sua struttura e nei suoi processi, si deve però concludere che la realtà della cultura è psicologica.

Melville J. Herskovits, Man and his Works, in AA.VV., Il concetto di cultura, trad.di D. Pianciola, Torino, Einaudi, 1970.

Tutti i testi sono antologizzati nel volume:
Degli Esposti A., Le culture diverse, Torino, Loescher (Thema) 1996