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Candido - Voltaire


lunedì 10 ottobre 2005 legge Carlo Ginzburg
Viviamo in tempi di fanatismo e di intolleranza spesso sanguinosa. La scienza viene combattuta in nome della superstizione. La ragione viene derisa e vilipesa. E' venuto il momento di riparlare dell'illuminismo.
Ma la ragione ci dà gli strumenti per discutere dei limiti della ragione? L'illuminismo non rischia di diventare anch'esso una superstizione?
Ora più che mai è il momento di riparlare dell'illuminismo.
“I libri più utili sono quelli dove i lettori fanno essi stessi metà del lavoro: penetrano i pensieri che vengono presentati loro in germe, correggono ciò che appare loro difettoso, rafforzano con le proprie riflessioni ciò che appare loro debole”. (Voltaire)

I • COME CANDIDO VENNE EDUCATO IN UN BEL CASTELLO, E IN CHE MODO NE FU DISCACCIATO

C'era in Vestfalia, nel castello del signor barone di Thunder-ten-Tronckh, un ragazzo cui la natura aveva fornito un temperamento assai mite. Gli si leggeva in fronte l'indole sua. Aveva l'intelletto abbastanza solido, e il più ingenuo cuore del mondo: credo fosse chiamato Candido appunto per questo. I servitori vecchi di casa sospettavano ch'egli fosse figlio della sorella del signor barone e di un buono e rispettabil cavaliere del vicinato, non mai voluto sposare dalla damigella perché non gli era riuscito di provare che settantadue quarti soli, essendosi perduto il rimanente del suo albero geneaIogico per oltraggio del tempo.
Il signor Barone era uno dei grandi signori della Vestfalia; il suo castello era fornito infatti di porta e di finestre, e nella maggior sala si ammirava perfino un parato; coi cani dei suoi cortili egli al bisogno poteva mettere insieme una muta; i mozzi di stalla gli facevan da bracchieri, e il curato del paese era il suo Grande Elemosiniere. Tutti gli dicevano Vostra Grazia, e crepavan dalle risa quando raccontava una delle sue barzellette.
La signora Baronessa pesava intorno alle trecentocinquanta libbre, e godeva perciò di una grande considerazione; le cresceva poi il rispetto la dignità con cui soleva fare gli onori di casa. Sua figlia Cunegonda aveva diciassett'anni, ed era di bel colorito, grassottella, fresca e appetitosa. Il figlio del Barone si mostrava per ogni rispetto degno del proprio genitore. Il precettore Pangloss era l'oracolo di casa, e il piccolo Candido ascoltava i suoi insegnamenti con la fiducia propria dell'età e del suo temperamento.
Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmologo-scempiologia. Egli dimostrava mirabilmente che non c'è effetto senza causa, e che in questo migliore dei mondi possibili, il castello di Sua Grazia il Barone era il più bello di tutti i castelli, e la di lui consorte la migliore delle possibili baronesse.
È provato, diceva, che le cose non potrebbero stare altrimenti: essendo tutto quanto creato in vista di un fine, tutto è necessariamente inteso al fine migliore. I nasi, notate, son fatti per regger gli occhiali: e noi infatti abbiamo gli occhiali. Le gambe non è chi non veda come siano istituite per essere calzate: e noi abbiamo appunto le calzature. Lo scopo delle pietre è di esser tagliate e murate in castelli: e Sua Grazia possiede precisamente un castello bellissimo. Il maggior barone della provincia ha da essere il meglio alloggiato; e i porci essendo creati perché si mangino, noi mangiam porco tutto l'anno. Ne consegue che coloro i quali hanno affermato che tutto va bene, han detto una castroneria. Bisognava dire che meglio di così non potrebbe andare.
Candido ascoltava con attenzione, e con innocenza credeva. Madamigella Cunegonda gli pareva infatti bellissima, quantunque non trovasse mai il coraggio di dirglielo. Secondo le sue conclusioni, il primo grado della felicità era quello d'esser nato Barone di Thunder-ten-Tronckh; il secondo, d'esserci la damigella Cunegonda; il terzo, di vederla tutti i giorni; il quarto, d'ascoltare Mastro Pangloss, il più gran filosofo di tutta la provincia, e perciò del mondo intero.
Cunegonda, passeggiando un giorno nei pressi del castello, capitò nel boschetto che aveva nome di parco, e vide tra le frasche il dottor Pangloss nell'atto d'impartire una lezione di fisica sperimentale alla cameriera della Baronessa, brunetta graziosa e docile molto. D'ingegno ottimamente aperto alle scienze, madamigella osservò senza fiatare le replicate sperimentazioni che si compivano dinanzi ai suoi occhi; notò chiaramente la ragion sufficiente del dottore, gli effetti e le cause; e se ne venne via tutta commossa, tutta pensierosa, tutta occupata dalla brama di addottrinarsi, parendole di poter essere lei molto bene la ragion sufficiente del giovane Candido, ed egli la sua.
Incontrò Candido mentre tornava al castello, e arrossì. Candido si fece rosso a sua volta. Ella gli diede il buon giorno con voce rotta, egli rispose senza saper quello che dicesse. Il giorno seguente, all'uscir di tavola dopo il pranzo, Candido e Cunegonda si ritrovarono dietro un paravento. A Cunegonda cadde il fazzoletto, Candido lo raccattò; ella gli prese innocentemente la mano, e innocentemente il giovane depose un bacio sulla mano della damigella, dando mostra d'una particolarissima animazione, grazia e sensibilità. Le bocche s'incontrarono, gli sguardi s'infocarono, le ginocchia tremarono, le mani si fuorviarono. Il signor Barone di Thunder-ten-Tronckh venne a passare accanto al paravento, e accortosi di quella causa e di quell'effetto, scacciò Candido dal castello a gran calci nel sedere. Cunegonda perse i sensi; appena li ebbe ritrovati fu presa a ceffoni dalla signora Baronessa. Il più bello e ameno di tutti i castelli fu in preda a una generale costernazione.

II • AVVENTURE DI CANDIDO FRA I BULGARI

Cacciato dal Paradiso Terrestre, Candido camminò per un pezzo senza saper dove lo portavano i piedi, piangendo, alzando gli occhi al cielo, e sovente rivolgendoli indietro al più bello di tutti i castelli, abitato dalla più bella delle baronessine. Senz'aver cenato, si buttò a dormire in un campo, dentro un solco; nevicava a palate. La mattina dopo si trascinò tutto intirizzito fino alla prossima città, chiamata Valdberghoff-trarbk-dikdorff; non aveva il becco d'un quattrino, e si sentiva venir meno di fame e di stanchezza. Si fermò tristemente davanti alla porta di una locanda. Fu notato da due individui vestiti di turchino. «Compagno,» fece l'un dei due, «ecco un bel pezzo di giovanotto, e della misura giusta.» Gli si accostano e lo invitano a pranzo con modi assai civili.
«Signori,» rispose modestamente e con bel garbo Candido, «io sono onoratissimo, ma non ho di che pagar la mia parte.»
«Ohibò, signor mio,» fece l'un dei turchini, «quando s'hanno il personale e le qualità di Vossignoria, non s'ha mai da metter mano alla borsa; non misura ella forse cinque piedi e sei pollici?»
«Sissignori, per l'appunto,» rispose Candido facendo la sua brava riverenza.
«Allora favorite senz'altro; non soltanto vi vogliamo nostro ospite, ma neanche possiam permettere che un pari vostro si trovi sprovvisto di denaro: siamo nati per soccorrerci gli uni cogli altri.»
«Giusto; così mi diceva sempre anche il signor Pangloss, e vedo bene che tutto va per il meglio.»
Lo pregano di prendere qualche scudo; egli accetta, e vuol far il biglietto ma glielo impediscono. Eccoli a tavola.
«Non volete voi un gran bene...?»
«Altroché, io voglio un grandissimo bene a madamigella Cunegonda.»
«No, si domandava se non volete un gran bene al re dei Bulgari.»
«Io? Ma se non so neppure com'è fatto.»
«Diamine! È il più grazioso dei sovrani; dobbiamo bere alla sua salute.»
«Ben volentieri.»
E beve. «Basta così,» dicon gli altri due, «eccovi diventato il puntello, il difensore, il campione, l'eroe dei Bulgari; la vostra fortuna è bell'e fatta, avete la gloria assicurata.» È messo subito alla catena e condotto al reggimento. Lo fanno voltare a destra e a sinistra, gli fanno levar la bacchetta, rimetter la bacchetta, mirare, far fuoco, accelerare il passo, e gli danno trenta bastonate; il secondo giorno fa gli esercizi un po' meglio, e non ne tocca che venti; il terzo gliene danno dieci sole, e i commilitoni lo guardano come una bestia rara.
Ma Candido stupefatto non raccapezzava ancor bene come fosse diventato un eroe. Una bella giornata di primavera gli venne in mente d'andarsene a spasso, camminando sempre diritto; credeva che l'adoperar le gambe a proprio talento fosse un privilegio della specie umana, non meno che delle specie animali. In capo a nemmeno due leghe, ecco quattro altri eroi che lo raggiungono, lo legano e lo portano in prigione. Gli fu chiesto in buona forma di legge quale delle due preferisse: essere fustigato trentasei volte da tutto il reggimento, o aver dodici palle nella testa in una volta sola. Ebbe un bel dire che le volontà sono libere, e che non voleva nessuna delle due; dovette scegliere per forza. Per operazione di quel dono di Dio che è detto libertà, scelse di passar trentasei volte per le verghe. Di tali passeggiate ne sopportò due, e poiché il reggimento contava duemila uomini, furono dunque quattromila vergate che gli misero a nudo muscoli e nervi dalla nuca giù fino al culo. Al momento di cominciare la terza passata, egli, non potendone più, pregò che per carità gli facessero la grazia di bruciargli le cervella. Questo favore gli fu accordato; gli bendano gli occhi, e lo fanno metter in ginocchio. In quel mentre passò per caso di lì il re dei Bulgari, e s'informò quale fosse il suo delitto. Era questi un re d'ingegno altissimo; da quel che Candido gli riferì, egli intese subito d'aver davanti un giovane metafisico affatto ignorante degli affari del mondo. Con una clemenza che sarà celebrata per tutte le gazzette e per tutti i secoli, gli fece grazia. Un valente chirurgo guarì Candido in quattro settimane con gli emollienti prescritti da Dioscoride. Aveva già cominciato a far pelle nuova e a camminare un pochino, quando il re dei Bulgari dichiarò guerra al re degli Abari.

III • COME CANDIDO FUGGÌ DAI BULGARI, E SEGUITO DELLE SUE VICENDE

La magnificenza, l'eleganza, lo sfarzo, l'ordine dei due eserciti non avevano confronti. Trombe, pifferi, clarinetti, tamburi e artiglierie facevano una musica che l'inferno non ne aveva mai sentita una uguale. Cominciarono le artiglierie con lo stendere a terra un seimila uomini per parte; la moschetteria tolse poscia dal migliore dei mondi da nove a diecimila bricconi che ne infettavano la crosta; e la baionetta fu a sua volta ragion sufficiente per la morte di qualche altro migliaio. Tutto sommato furono intorno a trentamila anime. Fin tanto che durò l'eroico macello, Candido, che tremava come un vero filosofo, si nascose meglio che poté.
Mentre i due sovrani facevano ciascuno intonare il Te Deum nel proprio accampamento, egli decise di andar a ragionar degli effetti e delle cause in qualche altra parte. Scavalcando mucchi di morti e di moribondi, pervenne dapprima a un villaggio poco lontano. Era una terra abara, che i Bulgari avevano messa a fuoco secondo il diritto delle genti. Vecchi crivellati di ferite guardavano morire le loro donne scannate, le quali porgevano tuttavia ai propri nati il seno imbrattato di sangue; più in là, fanciulle che avevano soddisfatto ai bisogni naturali di qualche eroe, esalavano l'ultimo respiro mostrando i ventri squarciati; altre, arse a metà, urlavano che per pietà le finissero. Per tutto il terreno erano sparsi brani di cervella, braccia e gambe tagliate.
Candido scappò a gambe levate fino a un'altra terra: questa era bulgara, e gli Abari l'avevano trattata allo stesso modo. Sempre passando su membra ancor tiepide, o frammezzo a rovine, si trovò finalmente fuori del teatro delle operazioni, con qualche magra provvista nel tascapane, e l'indimenticabile Cunegonda nel cuore. Quando raggiunse l'Olanda, le provviste erano consumate; ma ricordando di aver sentito dire che in quella nazione eran tutti ricchi e cristiani, non dubitò d'incontrare un trattamento uguale a quello goduto nel castello di Sua Grazia il Barone, prima d'esserne scacciato per i begli occhi di madamigella.
Domandò la carità ad alquanti personaggi dal portamento grave: tutti risposero che s'egli continuava a far quel mestiere, sarebbe stato cacciato in una casa di correzione per insegnargli a vivere. Si rivolse allora a un individuo che davanti a una numerosa adunanza aveva parlato un'ora sana sopra la carità. L'oratore, guardandolo storto, domandò: «Che cosa siete venuto a fare qui voi? Siete qui per la buona causa?»
«Non c'è effetto senza causa,» rispose Candido modestamente; «ogni cosa è per necessità legata a un'altra, e tutte sono ordinate per il meglio. Era necessario ch'io fossi cacciato dalla presenza di madamigella Cunegonda, che fossi passato per le verghe, e ridotto ora ad elemosinare il pane, in attesa di potermelo guadagnare: non sarebbe potuto andare altrimenti.»
«Amico,» fece l'oratore, «credete voi che il Papa sia l'Anticristo?»
«Non l'ho mai sentito dire, ma sia o non sia, a me manca il pane.»
«Non ne meriti,» gridò l'altro; «vattene sciagurato, vattene furfante, e non mi tornar mai più dinanzi agli occhi.»
La moglie dell'oratore, affacciatasi alla finestra e scorto un uomo il quale dubitava che il Papa fosse l'Anticristo, gli versò in capo un pieno vaso... Giusto cielo! a quali esagerazioni giunge nelle signore lo zelo per la religione!
Un uomo che non era mai stato battezzato, un anabattista da bene a nome Giacomo, era stato testimonio della inumana e vituperosa maniera usata col fratel suo, bipede, implume e fornito d'anima. Se lo portò a casa, lo ripulì, gli mise innanzi pane e birra, gli regalò due fiorini, e volle lui stesso insegnargli a lavorar nella sua manifattura di stoffe persiane fabbricate in Olanda. Candido, quasi prosternato ai suoi piedi, esclamò:
«Mastro Pangloss me l'aveva pur detto che in questo mondo ogni cosa è per il meglio; e difatti io sono assai più penetrato dalla vostra splendida generosità, che non avvilito dal cuor duro di quel signore dal gabbano nero, e della signora sua consorte.»
Il giorno dopo, mentre andava a spasso, s'imbatté in un pezzente che aveva il corpo coperto di pustole, gli occhi spenti, la punta del naso mangiata, la bocca di traverso, i denti anneriti, e la voce roca. Tossiva da squarciarsi il petto, e con ogni colpo di tosse sputava un dente.

IV • IN CHE CIRCOSTANZE CANDIDO RITROVÒ IL DOTTOR PANGLOSS, GIÀ SUO MAESTRO DI FILOSOFIA, E LE COSE CHE NE SEGUONO

Preso dalla compassione più ancora che dal ribrezzo, Candido donò all'orribile pezzente i due fiorini avuti da Giacomo, il degno anabattista. Quello spettro, dopo averlo guardato fisso, scoppiò a piangere, e gli buttò le braccia al collo. Candido spaventato diè indietro.
«Me meschino,» disse l'un disgraziato all'altro, «non riconoscete dunque l'amato Pangloss?»
«Che sento? voi, caro maestro mio? e in codesto orribile stato? ma che disgrazia v'è mai toccata? e perché avete lasciato il più bello di tutti i castelli? e che ne è della perla delle fanciulle, del capolavoro della natura, di madamigella Cunegonda?»
«Non ne posso più,» fece Pangloss.
Candido lo condusse subito nella stalla dell'anabattista, e gli dette da mangiare un tozzo di pane. Quando lo vide un poco rimesso:
«Dunque,» riprese, «e Cunegonda?»
«Morta,» rispose Pangloss.
Candido svenne. L'amico lo fece tornare in sé con un poco di pessimo aceto che per caso si trovava lì nella stalla. Quando riaprì gli occhi, disse:
«Morta Cunegonda! O migliore dei mondi, dove sei? Ma morta di che male? forse per aver visto il signor padre scacciarmi a gran calci dal più bello di tutti i castelli?»
«No,» rispose Pangloss, «le squarciarono il ventre certi soldati bulgari, dopo averla violata quanto è possibile che donna lo sia. Al signor Barone che voleva difenderla sfracellarono il capo; la signora Baronessa fu tagliata a pezzi; il mio povero alunno fu trattato tale e quale sua sorella; e del castello non è rimasta pietra su pietra, non un fienile, non una pecora, non un'anatra, e nemmeno una pianta. Però siamo stati vendicati a dovere, perché gli Abari hanno fatto altrettanto in una baronia vicina, che apparteneva a un cavaliere bulgaro.»
A sentir queste nuove Candido tornò a svenire; ma riprese nuovamente i sensi, e dopo aver detto tutto quello che la circostanza dettava, s'informò della causa e dell'effetto, oltreché della ragion sufficiente, che avevano ridotto Pangloss in uno stato così miserando.
«Ahimè,» disse questi, «è stato l'amore, consolatore dell'uman genere, conservatore dell'universo, anima di tutte le creature senzienti, il dolce amore.»
«Ahimè,» osservò Candido, «l'ho conosciuto anch'io questo amore, sovrano dei cuori, anima dell'anima nostra: non mi ha valso mai altro che un bacio e venti calci nel culo. Ma come mai una causa tanto bella ha prodotto in voi un effetto così abominevole?»
Pangloss così rispose:
«Caro il mio Candido, voi avete conosciuto Pasquina, la graziosa cameriera della nostra augusta padrona. Io godetti nelle sue braccia le dolcezze del paradiso, le quali m'han causato poi queste pene d'inferno che ora mi stanno struggendo, come vedete: ella n'era guasta, e a quest'ora forse ne è morta. Gliene aveva fatto regalo un minorita dottissimo, che era risalito alla fonte. L'aveva presa da una vecchia contessa, che a sua volta l'aveva buscata da un capitano di cavalleria, che ne andava debitore a una marchesa, cui l'aveva data un paggio, che la teneva da un gesuita, il quale ancor da novizio l'aveva avuta per linea diretta da uno dei compagni di Cristoforo Colombo. Quanto a me, non la darò a nessuno, perché sto per morire.»
«O singolare genealogia!» esclamò Candido; «alla radice di tutto ciò non ci sarà per caso il diavolo?»
«Nient'affatto,» rispose il grand'uomo; «era un ingrediente indispensabile, nel migliore dei mondi. Se Colombo non fosse andato a pescare in un'isola dell'America questo morbo che avvelena le fonti della generazione, e spesso le inaridisce, il che è in opposizione flagrante col fine massimo della natura, noi non avremmo né il cioccolatte né la cocciniglia. È da notare inoltre che nel continente in cui siamo, tale malattia, come la controversia, non l'abbiamo che noi. Ai Turchi, Indiani, Persiani, Cinesi, Siamesi e Giapponesi è tuttora sconosciuta; ma v'è una ragion sufficiente perché tra qualche secolo imparino a conoscerla anch'essi. Frattanto ha compiuto presso di noi progressi stupendi, soprattutto in quei grandi eserciti di ben educati mercenari per cui si decidono le sorti degli stati: è un fatto certo che in una qualunque battaglia campale dove trentamila uomini combattono contro un numero uguale di avversari, vi sono per lo meno ventimila sifilitici per parte.»
«Cosa mirabile in verità,» disse Candido, «ma voi dovete curarvi.»
«E come faccio? Non ho il becco d'un quattrino, amico caro, e in tutto il globo terracqueo non c'è verso di farsi cavar sangue, né di prendere un clistere se non pagando, o trovando qualcuno che paghi per voi.»
Queste ultime parole decisero Candido: egli corse a gettarsi ai piedi del caritatevole anabattista, e dipinse lo stato in cui era ridotto l'amico suo con colori talmente pietosi, che il brav'uomo accolse subito il dottor Pangloss, e lo fece curare di tasca sua. La cura non costò a Pangloss che un occhio e un orecchio. Egli aveva una bella scrittura, e conosceva perfettamente l'aritmetica: l'anabattista lo prese per contabile. Passati due mesi, Giacomo dovette recarsi a Lisbona per i suoi negozi, e si portò dietro sulla sua nave anche i due filosofi. Pangloss gli spiegò come tutto fosse ordinato nel miglior modo possibile. A Giacomo non pareva.
«Bisogna pure,» soleva dire, «che gli uomini abbiano un tantino guastata la natura, poiché non erano nati lupi e lupi son diventati. Iddio non aveva dato loro pezzi da ventiquattro e neanche baionette, ed essi si son fabbricati le baionette e i cannoni per distruggersi a vicenda; potrei anche aggiungere i bancarottieri, e la giustizia che dei bancarottieri incamera i beni per spogliarne i creditori.»
«Tutte cose indispensabili,» ribatteva il guercio dottore; «i mali dei singoli fanno il bene dell'insieme, sicché più sono i malanni individuali, e meglio sta il tutto.»
Mentr'egli così ragionava, l'aria diventò nera, i venti spirarono dai quattro canti della terra, e la nave, già in vista del porto di Lisbona, si trovò sorpresa da uno spaventoso fortunale.



V • TEMPESTA, NAUFRAGIO, TERREMOTO, E COME ANDÒ AL DOTTOR PANGLOSS, A CANDIDO, E A GIACOMO L'ANABATTISTA

Stremati, e più di là che di qua per via di quell'indescrivibile affanno che il ballar d'una nave induce nei nervi e in tutti gli umori del corpo diversamente agitati, la metà dei passeggeri non avevano neanche la forza di inquietarsi per il pericolo; gli altri gridavano e pregavano. Le vele erano in brandelli, gli alberi schiantati, rotto lo scafo. Chi era in grado, dava mano, ma nessuno udiva l'altro, e ogni comando era cessato. L'anabattista stava sulla tolda, aiutando un poco la manovra; un marinaio infuriato lo percuote con violenza tale da mandarlo a battere sul tavolato, e tanta fu la forza del colpo che menò, che egli stesso ne perdette l'equilibrio, e cadde fuor dalla nave a capofitto. Lo trattenne un pezzo d'albero rotto in cui s'impigliò nel cadere. Il buon Giacomo accorre, lo aiuta a risalire, e nello sforzo precipita in mare a sua volta, sotto gli occhi del marinaio che lo lascia affogare senza neanche degnarlo di un'occhiata. Sopraggiunge Candido, e scorge il suo benefattore che ricompare per un attimo, ed è inghiottito per sempre; fa per buttarsi, ma il filosofo Pangloss lo trattiene, e gli prova che la rada di Lisbona era stata creata apposta perché quell'anabattista vi restasse affogato. Prima che egli avesse finito la sua dimostrazione a priori, la nave s'apre nel mezzo, e ogni cosa va al fondo, tranne Pangloss, Candido e il bestiale marinaio per colpa del quale era annegato il virtuoso anabattista. Il briccone toccò felicemente la riva a forza di braccia; Pangloss e Candido la raggiunsero sopra una tavola.
Appena si furono un poco riavuti, presero la via di Lisbona. Avevan salvato qualche soldo, grazie a cui speravano di scampar la fame dopo essere sfuggiti alla tempesta.
Sono appena entrati in città, piangendo ancora la morte del loro benefattore, quando la terra trema loro sotto ai piedi, il mare s'innalza ribollendo nel porto, e schianta le navi che vi stanno ancorate; turbini di fuoco e di cenere empiono le pubbliche piazze e le vie; le case rovinano, i tetti precipitano sulle fondamenta, le fondamenta son disperse. Trentamila abitanti d'ogni sesso ed età restano schiacciati sotto le rovine.
Il marinaio fischiettava, bestemmiava e diceva:
«Qua c'è da rimediare qualcosa.»
«Quale sarà mai la ragion sufficiente d'un tale fenomeno?» chiedeva Pangloss.
«È la fine del mondo!» esclamava Candido.
Il marinaio corre subito tra le macerie, rischia la vita per cercar danari, ne trova, li intasca, s'ubriaca; digerita la sbornia, compra le grazie della prima femmina compiacente che incontra fra le rovine delle case distrutte, fra cadaveri e moribondi. Pangloss intanto lo tirava per la falda, e diceva: «Amico, non è bene ciò che fate, voi mancate alla ragione universale, non è questo il momento.»
«Sangue del diavolo,» rispondeva l'altro, «son uomo di mare, nato a Batavia, sono stato in Giappone quattro volte, e quattro volte mi son messo il crocifisso sotto i piedi; hai trovato l'uomo giusto cui predicare la tua ragione universale!»
Candido era rimasto ferito da alcune schegge di pietra, e giaceva in mezzo alla via coperto di macerie. Egli diceva a Pangloss:
«Ahimè, trovami un goccio di vino, un poco d'olio; mi sento morire.»
«Questo terremoto non è una novità,» rispose Pangloss; «la città di Lima, in America, patì le medesime scosse l'anno passato; cause uguali, uguali effetti; un filone di zolfo corre senza dubbio sotterra da Lima fino a Lisbona.»
«Sarà; ma dammi un goccio di vino, un goccio d'olio per amor di Dio.»
«Come, sarà? Io dico che è provato.»
Candido perdette i sensi, e Pangloss gli portò un pochino d'acqua da una fontana che era lì accosto.
La mattina dopo, rovistando tra le macerie trovarono qualche cibo, e poterono ristorarsi alla peggio. Lavorarono poi insieme con l'altra gente per recare aiuto agli abitanti scampati alla morte. Alcuni cittadini che essi avevano soccorso offrirono loro da pranzo il meno male che si poteva in quei frangenti. Fu un pranzo per verità malinconico; i commensali condivano il pane con le lacrime. Ma Pangloss li consolò, assicurando che le cose non sarebbero potute stare altrimenti.
«Infatti,» diss'egli, «non poteva accadere di meglio: poiché, se c'è un vulcano a Lisbona, non può essere altrove; poiché è impossibile che le cose non siano dove sono; poiché tutto è perfetto.»
Egli aveva per vicino un omettino nero, che era ministro dell'Inquisizione. Questi prese la parola a sua volta, e disse con fare cerimonioso:
«Il signore par che non creda al peccato originale: ché se tutto è perfetto, non può esserci stato né fallo, né castigo.»
«Chiedo umilmente scusa all'Eccellenza Vostra,» replicò Pangloss più cerimonioso ancora; «nel migliore dei mondi possibili il peccato d'Adamo e la maledizione dovevano aver luogo per necessità.»
«Vossignoria non crede dunque al libero arbitrio?»
«Vostra Eccellenza perdoni, ma la libertà e la necessità assoluta possono conciliarsi benissimo; era necessario infatti che fossimo liberi; poiché insomma la volontà determinata...»
Egli era a mezzo della frase, allorché il ministro dell'Inquisizione accennò col capo al proprio staffiere, che gli stava mescendo del vino di Porto, o d'Oporto che sia.

VI • ESECUZIONE DI UN BELL'AUTO-DA-FÉ COL FINE DI SCONGIURARE I TERREMOTI, E FUSTIGAZIONE DI CANDIDO

Dopo che il terremoto ebbe distrutto Lisbona per tre quarti, nessun provvedimento parve ai savi uomini del paese più efficace a impedire la rovina assoluta, d'un bell'auto-da-fé dato al popolo. L'Università di Coimbra sentenziò che la cerimonia di ardere alcune persone a fuoco lento e con gran solennità, era un rimedio infallibile contro gli scotimenti della terra. Erano stati messi in prigione con questo fine un biscaglino, reo d'aver sposato la propria comare, e due portoghesi i quali avevano tolto il lardo da un pollo che stavano mangiando. Dopo il pranzo furono legati il dottor Pangloss e il suo discepolo Candido, il primo per aver parlato, il secondo per averlo ascoltato con aria di consentire. Furon condotti tutt'e due, ma separatamente, in certe stanze freschissime, dove il sole non dava mai noia. In capo a una settimana furono entrambi vestiti d'un sambenito e furono loro messe in capo mitre di carta. La mitra e il sambenito di Candido eran dipinti a fiamme capovolte e a diavoli senza artigli e senza code; i diavoli di Pangloss invece erano forniti di code e di artigli, e le sue fiamme eran diritte. Così vestiti, marciarono in processione, e ascoltarono una predica assai commovente, seguita da un bel concerto in falso bordone. Candido fu frustato nel sedere a tempo di battuta mentre cantavano; il biscaglino e i due uomini che non avevan mangiato il lardo del pollo furono bruciati, e Pangloss impiccato per la gola, benché non sia questa l'usanza. Lo stesso giorno la terra tremò nuovamente con un rombo spaventoso.
Spaventato, smarrito, impaurito, tutto imbrattato di sangue e tremante da capo a piedi, Candido diceva tra sé medesimo: «Se questo è il migliore dei mondi possibili, figuriamoci gli altri. Pazienza le frustate; questa m'era già capitata coi Bulgari. Ma caro Pangloss mio! che voi, cima dei filosofi, siate dovuto morire impiccato dinanzi ai miei occhi senza ch'io sappia nemmen perché! Oh caro il mio anabattista, ottimo fra gli uomini, che siate dovuto affogare in porto! Oh cara la mia Cunegonda, perla delle damigelle, che abbiate proprio dovuto essere sventrata!»
Ammonito, frustato, assolto e benedetto, egli se ne veniva via a questo modo, reggendosi in piedi per miracolo, allorché gli s'accostò una vecchia che gli disse:
«Coraggio figliuolo, venite con me.»

VII • COME UNA VECCHIA SI PRESE CURA DI CANDIDO, E COME EGLI RITROVÒ L'AMOR SUO

Coraggio Candido non se ne poté fare, tuttavia seguì la vecchia dentro un tugurio. Ella gli diede un barattolo d'unguento perché se ne medicasse le piaghe, e gli mostrò un lettuccio abbastanza pulito. Accanto al letto era un vestiario fornito di tutto punto. «Mangiate, bevete e dormite,» disse la vecchia, «e che Nostra Signora d'Atocha, monsignor Sant'Antonio di Padova e monsignor San Giacomo di Compostella t'abbiano in custodia. Domani torno.»
Candido, ancora sbalordito di quello che aveva visto e sofferto, e più della carità che gli dimostrava la vecchia, volle baciarle la mano.
«Non è questa la mano che dovete baciare,» fece costei. «Tornerò domani; intanto strofinatevi con l'unguento, mangiate e dormite.»
A dispetto di tutte le sue disgrazie, Candido mangiò e dormì. La mattina dopo, la vecchia gli portò la colazione, gli esaminò la schiena, gliela unse lei stessa con un altro unguento; poi tornò col pranzo; e verso sera ricomparve con la cena. Il giorno seguente, trattamento uguale.
«Ma voi chi siete?» seguitava a domandar Candido; «chi è che v'ispira tanta misericordia? come vi posso io ricompensare?»
La buona donna non rispondeva mai nulla; ma quella sera capitò senza la cena.
«Venite con me,» disse, «e non fiatate.»
Lo prese sotto braccio e lo portò con sé attraverso l'aperta campagna per un quarto circa di miglio; si fermarono davanti a una casa solitaria, circondata da giardini e canali. La vecchia bussò a un usciolo; aprirono, e Candido si vede condotto su per una scaletta segreta a un salottino tutto dorato. La sua guida lo fa sedere su un canapè ricoperto di broccato, richiude l'uscio e se ne va. A Candido pareva di sognare: la sua vita passata gli sembrava un brutto sogno, e il presente un sogno meraviglioso.
Di lì a poco la vecchia tornò sostenendo a fatica una donna di statura maestosa, scintillante di gemme, e velata.
«Sollevate cotesto velo,» disse la vecchia a Candido.
Il giovane s'avvicina, e solleva il velo timidamente. Che momento! Che sorpresa! Gli sembrò di veder madamigella Cunegonda, e la vedeva infatti, poiché era proprio lei. Le forze lo abbandonano; incapace di proferir parola, casca ai piedi della dama, che cade sul canapè.
La vecchia li cosparge di essenze spiritose; tornano in sé; cominciano a parlarsi, sulle prime con parole rotte, domande e risposte di cui una non aspetta l'altra, sospiri, lacrime, grida. La vecchia li scongiurò di non far tanto strepito, e li lasciò soli.
«Voi!» disse Candido; «voi siete viva! Vi ritrovo in Portogallo! Ma dunque non siete stata violata? non vi hanno squarciato il ventre, come mi aveva detto il filosofo Pangloss ?»
«Sì,» rispose la bella Cunegonda, «ma questi due infortuni non sono poi sempre mortali.»
«Ma i vostri genitori non furono trucidati?»
«Purtroppo,» diss'ella piangendo.
«E vostro fratello?»
«Ucciso anche lui.»
«E come mai siete in Portogallo? e come avete saputo che io ero qui? e che strana avventura mi conduce in questa casa?»
«Vi spiegherò ogni cosa,» replicò la dama, «ma prima mi dovete raccontare tutto quello che è successo a voi, dopo il bacio innocente che mi deste, e i calci che toccaste.»
Candido obbedì con profondo rispetto; e benché fosse smarrito, benché la sua voce suonasse malferma e fievole, benché la schiena gli dolesse ancora un poco, narrò col massimo candore tutto ciò che gli era successo dal momento in cui erano stati divisi. Cunegonda alzava gli occhi al cielo; la morte del buon anabattista e di Pangloss le fece versar qualche lacrima. Poscia parlò nel seguente modo a Candido, il quale non lasciava perder sillaba, e se la mangiava con gli occhi.


Voltaire, Candido [1759], trad. it. di Maria Moneti, Milano, Garzanti 1973, pp. 3 – 18