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Calvin Tomkins- Robert Rauschenberg. Un Ritratto


lunedì 16 febbraio 2009 legge Il Collettivo Rapido
Incomprensibile, innovativa, tradizionale, irriverente, banale, sacrilega, astratta, l'arte contemporanea si presenta agli occhi dei profani come un territorio sconfinato di cui non esiste alcuna mappa. Leggere la storia di Robert Rauschenberg, considerato come uno dei padri spirituali della Pop Art, è una delle tante maniere di scoprire questo mondo. Nel ritratto "scritto" dal giornalista Calvin Tomkins, e nell'intervista rilasciata al celebre critico italiano Achille Bonito Oliva si leggerà del breve soggiorno romano di Rauschenberg e di uno scontro traumatico con la critica italiana. Attraverso i testi che si leggeranno di avremo la possibilità di curiosare nel microcosmo dell'artista, capire le dinamiche esistenti tra questi e la sua opera, la dialettica che si instaura con uno spettatore ideale, i rapporti e le influenze con altri artisti, il ruolo della critica e l'importanza del mercato.
Lettori della serata saranno Gianluca Sanvido, Francesco Liggieri, Lia Cecchin e Mirko Morello: i giovani artisti del Collettivo Rapido.


Calvin Tomkins, Robert Rauschenberg. Un Ritratto  , johan & levi 2008.


Alla fine degli anni cinquanta, quando cominciavo appena ad avvicinarmi all’arte contemporanea, rimasi di sasso di fronte a un dipinto esposto al Museum of Modern Art. Faceva parte di una mostra intitolata "Sixteen Americano" e l’artista, il cui nome suonava vagamente familiare ma di cui non avevo mai visto le opere, era Robert Rauschenberg.


Double Feature – così si chiamava il dipinto – era coperto da diversi strati apparentemente slegati di colore steso in maniera disordinata, in parte applicato con la tecnica del dripping tipica

dell’espressionismo astratto, abbinati a una serie di insoliti elementi a collage: fotografie prese da riviste, lettere stampinate, un segmento di un ombrello appiattito, parte di una camicia da uomo con tanto di taschino, oggetti che mantenevano forti tracce della loro precedente esistenza nel mondo reale pur riuscendo a sembrare perfettamente a proprio agio nell’opera. Guardandomi intorno per essere certo che nessuno mi stesse osservando, tirai fuori un quarto di dollaro dalla mia tasca e lo infilai in quella della camicia del dipinto. Era un gesto sciocco, ma dopo averlo fatto mi sentii bene. Avevo creato un legame con qualcosa che, per ragioni che non sospettavo neppure, avrebbe acquistato nella mia vita un’importanza sempre maggiore. Secondo Marchel Duchamp l’atto creativo è bipolare poiché necessita non solo dell’artista che lo mette in opera ma anche dell’osservatore che lo interpreta e così facendo lo completa. In quello spirito, negli ultimi quarant’anni ho avuto l’ambizione di occuparmi di arte contemporanea non come critico o giudice ma come partecipante.

Ho scritto molto su Rauschenberg, a cominciare da un profilo apparso su New Yorker nel 1964.
Da allora siamo rimasti in contatto e io sono andato a tutte le sue mostre newyorkesi. Man mano che la mia attrazione iniziale per le sue opere lasciava il posto alla convinzione che fosse uno degli
artisti più innovativi e significativi della sua generazione, mi è sembrato naturale fare di lui il fulcro di questo libro, in cui si parla dei cambiamenti radicali che hanno reso l’arte visiva una forza così potente nel mondo. Il libro è stato pubblicato nel 1980, quattro anni dopo che un imponente retrospettiva, presentata in cinque importanti musei statunitensi, aveva innalzato Rauschenberg ai vertici dell’arte e del successo. Ci sarebbero sempre stati critici secondo cui Rauschenberg era troppo proteiforme, troppo sperimentale o troppo sfacciato per essere preso sul serio, ma già in quel periodo la maggior parte dei detrattori era passata dalla sua parte. La retrospettiva del 1976, come scrisse Benjamin Forgery su Art News, rese evidente che l’opera di Rauschenberg "abbraccia una gamma di esperienze umane che nessun altro artista del nostro tempo ha osato affrontare".
Dopo, naturalmente, è diventato di moda liquidare Rauschenberg come un artista finito. Questo genere di cose accade spesso, e non soltanto in America. C’è stato un periodo in cui si diceva che Picasso non aveva prodotto nulla di interessante dopo il 1935; ora si affermava che Rauschenberg aveva perso incisività a metà degli anni sessanta. Lui,ovviamente, ha continuato a lavorare producendo nei suoi vari atelier dipinti, sculture, stampe e disegni di quantità persino eccessiva.
L’utopistico progetto di collaborazione chiamato Rauschenberg Overseas Cultural Interchange (Roci) ha portato l’artista e le sue opere in dieci paesi diversi al servizio della cooperazione e della pace mondiale. La critica ufficiale ha largamente ignorato l’iniziativa e prestato scarsa attenzione ai successivi lavori di Rauschenberg.
Gli artisti più giovani che si affermavano in un mondo dell’arte di cui lui aveva sfidato e significamene alterato i presupposti basilari erano all’oscuro della sua influenza. Quel genere di miopia non poteva durare a lungo.

Un’altra colossale retrospettiva, tenutasi al Guggenheim Museum nel 1997, ha fatto apparire gracili al confronto i talenti artistici più recenti. Da allora i giovani artisti non hanno smesso di riscoprire Rauschenberg e la sua stella è tornata a splendere. Mi piace pensare che l’edizione riveduta e aggiornata di questo ritratto di Rauschenberg possa avvicinare nuovi lettori all’artista che più di ogni altro nell’ultimo mezzo secolo ha mirato a un arte cumulativa, all’incontenibile innovatore che una volta disse, nel suo generoso stile americano, di voler creare una situazione "in cui ci sia tanto spazio per l’osservatore quanto per l’artista".


Capitolo 9 - Feticci Personali


Susan Rauschenberg avviò le procedure di divorzio in autunno. Alcuni amici pensavano che non fosse davvero convinta di compiere quel passo e che forse non l’avrebbe fatto se la famiglia non avesse insistito tanto. La natura bisessuale di Rauschenberg era ormai un dato evidente per tutti, anche per lo stesso Rauschenberg, ma lui e Susan erano ancora innamorati e profondamente dipendenti l’uno dall’altra, pertanto la rottura fu estremamente dolorosa per entrambi.
Scosso e avvilito, Rauschenberg sentì il bisogno di allontanarsi da tutta la situazione e all’improvviso l’occasione si presentò. Cy Twombly, un giovane artista che era stato al Black Mountain quell’estate (lui e Rauschenberg si erano già conosciuti all’Art Students League), era in procinto di partire per l’Europa con una borsa del Virginia Museum of Fine Arts di Richmonde gli aveva più volte chiesto di accompagnarlo. L’orientamento artistico di Twombly era originale quanto quello di Rauschenberg e per certi versi più sviluppato. Il giovane stava elaborando una sorta di
calligrafia astratta che a prima vista ricordava gli scarabocchi di un bambino su una parete; un esame più attento, tuttavia, permetteva di cogliere la raffinatezza della linea del colore che come pure l’elegante sensibilità che si celava dietro l’aspetto informale delle tele. Twombly era originario di Lexington, Virginia. Suo padre, come quello di Rauschenberg, amava la vita all’aria aperta; era stato lanciatore dei Chicago White Sox nonché giocatore di golf professionista, e aveva diretto il dipartimento di atletica di un piccolo college. Rauschenberg, nutriva grande ammirazione per
l’opera di Twombly. Apprezzava molto anche la sua stravaganza risoluta e la sua bella figura slanciata e aristocratica.
Nel mese di ottobre partì insieme a lui per Roma.
Roma era economica e infinitamente seducente. Rauschenberg e Twombly vivevano in un appartamento a piazza di Spagna, in fondo alla scalinata, e giravano a piedi per il centro storico. Rauschenberg doveva essere trascinato a forza nei musei e Twombly trovava strano che un uomo così attivo fosse tanto difficile da coinvolgere. Dopo un mesetto divenne chiaro che due persone non avrebbero potuto sopravvivere a lungo con la borsa di studio del museo, che era sembrata tanto generosa prima della partenza. Rauschenberg aveva portato con se trecento dollari. Quando ne rimase una cinquantina decise di cercarsi un lavoro.
In un caffè conobbero un americano che lavorava per un impresa edile statunitense in Nord Africa e diceva di guadagnare bene. L’idea piacque a Rauschenberg, poco allettato dalla prospettiva di
passare l’inverno nel gelido appartamento romano. Con i cinquanta dollari rimasti comprò un biglietto aereo per Casablanca, e una volta lì si presentò fiducioso all’ufficio assunzioni dell’americana Atlas Construction Company, dichiarandosi disposto a svolgere qualsiasi genere di mansione. La mossa si rivelò sbagliata. La Atlas Construction era il regno della burocrazia; bisognava fare domanda per un incarico specifico ed essere in possesso di documenti e referenze. Scoraggiato, Rauschenberg andò a sedersi su una panca fuori dell’ufficio.

Mentre rifletteva sul da farsi, alzò gli occhi e vide avvicinarsi una giovane impiegata che gli disse di aver sentito che veniva da New York. Iniziarono una conversazione, nel corso del quale venne fuori che anche lei era di New York e conosceva diversi artisti dei quali lui poté darle notizie fresche. Poi la giovane affermò che forse avrebbe potuto aiutarlo ad ottenere un posto in Atlas, ma che avrebbe dovuto memorizzare un gran numero di informazioni.

Rientrò in un ufficio e poco dopo tornò con un fascicolo, preso dall’archivio, che riguardava un magazziniere. Rauschenberg passò l’ora successiva a studiarne il curriculum, dopodiché si ripresentò all’ufficio assunzioni.
Né lui né la sua benefattrice avevano considerato la possibilità che Rauschenberg potesse trovarsi di nuovo di fronte allo stesso impiegato con cui aveva parlato poco prima, come ovviamente accadde. L’uomo gli rivolse alcune domande, prese qualche appunto frettoloso e poi chiese senza la minima traccia di diffidenza: "perché tutte queste cose non me le ha dette prima? ". Gli servivano solo alcuni dati per i suoi registri. Rauschenberg fu assunto con una paga di trecentocinquanta dollari alla settimana. Per i successivi due mesi lavorò come magazziniere, che alla Atlas Construction significava sostanzialmente stilare inventari. Robert andava in giro con altri due impiegati, un francese e un arabo (le norme di assunzione ne specificavano le quote): indicava un articolo su uno scaffale, il francese leggeva a voce alta il numero dell’articolo e la quantità necessaria e l’arabo
annotava su un foglio. Fu un esperienza piuttosto illuminante per Rauschenberg, il quale aveva sempre immaginato che ogni lavoro implicasse una qualche forma di fatica. Quando ebbe messo da parte mille dollari si licenziò.
Il Nord Africa lo affascinava. Twombly lo raggiunse in aereo da Roma e insieme presero un autobus diretto ai margini del Sahara, nel punto più meridionale che si potesse raggiungere all’epoca. Arrivati nel Marocco spagnolo, rimasero per un certo periodo a Tetuan, dove conobbero lo scrittore americano espatriato Paul Bowles. Secondo Rauschenberg "non fu un incontro piacevole. Avevo sentito dire che aveva conosciuto Gertrude Stein a Parigi e mi interessava solo conoscere qualche aneddoto su di lei".
Prima di lasciare Roma Rauschenberg aveva deciso di non dipingere mentre era via. Scattò invece delle foto con la sua Rolleiflex di seconda mano. A Black Mountain aveva studiato fotografia con Hazel-Frieda Larsen, conosciuto i fotografi Harry Callhan e Aaron Siskind e seguito i seminari di Beaumont Newhall, il primo curatore del dipartimento di fotografia del Museum of Modern Art, appassionandosi talmente tanto alla materia da sentirsi quasi obbligato a scegliere tra la carriera di fotografo o quella del pittore.
A un certo punto gli era anche venuta la fissazione di fotografare tutti gli Stati Uniti metro per metro, un progetto così ambizioso che, come calcolò in seguito, avrebbe richiesto una decina d’anni solo per coprire l’area dal college ad Asheville.
Le foto scattate a Black Mountain e negli anni a seguire hanno diversi punti in comune con i dipinti e i collage che Rauschenberg eseguiva in quel periodo, immagini serene che catturano l’attenzione dell’osservatore senza richiamarla in alcun modo su di sé: l’interno di una vecchia carrozzina nera, un raggio di sole che attraversava in diagonale lo schienale di soffitto di alluminio, un muro sgretolato di Roma su cui è affisso un manifesto strappato del leader sovietico scomparso da poco recante la scritta "Stalin è morto". Sebbene Rauschenberg avesse optato per la pittura, le fotografie divennero un elemento importante della sua produzione successiva. Una delle immagini scattate a Black Mountain, quella della carrozzina nera, fu inoltre il primo dei suoi lavori a essere acquistato da un museo: Edward Steichen comprò per il MOMA nel 1952, sei anni prima che l’istituzione acquisisse qualsiasi altra opera dell’artista.
L’atto del fotografare in sé, tuttavia, non soddisfece mai del tutto l’esigenza del coinvolgimento totale con il medium nutrita da Rauschenberg.
Anche mentre girava per il Nord Africa, l’artista sentiva il bisogno impellente di impegnarsi in qualche attività manuale. Cominciò allora a realizzare piccoli collage e insoliti oggetti dall’aspetto primitivo, ottenuti legando con pezzi di corda o di spago frammenti di tessuto, ossa, capelli, attrezzi torri, piume, pezzetti di legno colorati, sassi, conchiglie e altre cianfrusaglie. Fabbricò anche rudimentali scatole in legno con oggetti al loro interno (ciò accadeva prima ancora di aver visto le opere di Joseph Cornell), utilizzando come materiale qualsiasi cosa trovasse per strada.

Due delle scatole producevano un suono: girandole con delicatezza, i sassolini all’interno urtavano vecchi chiodi lavorati a mano, creando una musica tenue che ricordava la musica di Cage. Altre furono lasciate aperte, in modo che chiunque potesse ridisporre gli oggetti nei loro compartimenti o anche aggiungerne di nuovi. Diverse contenevano specchietti incollati uno di fronte all’altro per riflettere un infinito in miniatura.Scatole contemplative e feticci personali: così il proprietario della Galleria dell’Obelisco di Roma chiamò questi oggetti bizzarri quando li espose nel corso di quella primavera. La mostra, a dire di Rauschenberg, fu considerata una burla da tutti, compreso il proprietario della galleria.
Il prezzo assegnato ai pezzi era talmente basso che diverse persone li acquistarono per gioco.
Rauschenberg si vendicò realizzandone altri quanto più possibile simili in modo che nessuno potesse averne "l’esclusiva".

Twombly si era innamorato di Roma e dei suoi abitanti. Vi sarebbe tornato quattro anni dopo per stabilirvisi definitivamente dopo aver sposato la figlia di Franchetti ( una famiglia illustre e facoltosa che era stata proprietaria di Ca’ d’Oro a Venezia e ora possedeva una villa a Roma, un castello nelle dolomiti e una casa a Venezia) ed essere diventato padre.
L’artista acquistò notorietà e successo in Europa anni prima di affermarsi negli Stati Uniti.
Rauschenberg, dal canto suo, non ebbe mai la minima intenzione di lasciare l’America. Sei mesi all’estero gli erano bastati e la mostra di Roma gli aveva permesso di guadagnare abbastanza per comprarsi il biglietto di ritorno. Prima di partire, tuttavia, doveva fermarsi a Firenze, dove l’innovativa Galleria d’Arte Contemporanea esponeva le sue scatole e i suoi feticci. La mostra, inaugurata il 14 marzo, fu recensita dal più eminente storico dell’arte fiorentino con un articolo che occupava mezza pagina di quotidiano locale. Il critico descriveva come, per raggiungere l’esposizione, fosse passato accanto alla Galleria degli Uffizi e ai suoi tesori, avesse rivisto il duomo, il campanile e i grandi monumenti della città, culla della più nobile tradizione artistica, per approdare infine a quello che definiva "il caos psicologico" in mostra alla Galleria d’Arte Contemporanea. La sua conclusione, dopo una lunga tirata piena di sarcasmo, fu che le opere di Robert Rauschenberg erano da gettare nell’Arno.
Rauschenberg si fece tradurre l’articolo. Il primo pensiero che formulò dopo averne letto la conclusione fu: "Questa si che è un idea geniale!". Di lì a qualche giorno avrebbe lasciato l’Europa ed era in difficoltà con i bagagli. Reo fece un fagotto di ciò che restava e la domenica mattina presto – il giorno prima della partenza – camminò lungo l’Arno finché non giunse in un punto abbastanza appartato dove l’acqua sembrava sufficientemente profonda. Non voleva che qualcuno potesse ripescare gli oggetti in un secondo momento, per lui era importante che "scomparissero davvero". Nessuno lo vide gettarli in acqua e non uno di essi è mai stato ritrovato. Rauschenberg ha ripetutamente ammesso di aver pensato che l’eminente critico si sarebbe sentito in imbarazzo se ne fosse venuto a conoscenza, perciò prima di partire gli scrisse un biglietto in cui diceva: " Ho seguito il suo consiglio".
All’aeroporto di New York, il funzionario della dogana gli fece aprire il baule di vimini con le scatole e gli oggetti di corda che aveva conservato. "Di che si tratta?" chiese l’uomo. Senza pensarci su, Rauschenberg rispose che erano oggetti cerimoniali fatti dagli indiani d’America, aggiungendo di essere stato in Europa per tenere un ciclo di seminari sulla cultura di quelle popolazioni. Il funzionario pensò che come docente sembrava un po’ giovane, ma lo fece passare lo stesso.


Intervista a Robert Rauschenberg

Tratta dal libro Dialoghi d'Artista di Achille Bonito Oliva, Skira 2008.

ABO: Sei venuto la prima volta a Roma con Cy Twombly. Cosa ricordi del tuo primo incontro
italiano?


R.R: Dopo essere sbarcati a Palermo, mi ritrovai - per una serie di circostanze - truffato di tutto il mio denaro. Una volta a Roma, Cy spese la mia metà della borsa di studio lasciandosi andare alla sua sincera passione per le teste di marmo. Ci divertivamo ad andare nei mercati delle pulci dove si vendevano oggetti etruschi e a girare nelle vicinanze di Roma per quelli che erano conosciuti come luoghi etruschi.

ABO: Si dice che visitasti alcuni studi d'artista. Come fu il tuo incontro con Alberto Burri?

R.R: andai nello studio di Burri in via Margutta. Lui fu cordiale e ospitale. Poche settimane dopo venni a sapere che era malato. Io, in quel momento, facevo i feticci personali e mi ero convinto che avessero poteri magici. Così tornai al mio studio e ne preparai uno per Burri, con lo scopo di farlo guarire. Due settimane dopo egli venne a casa mia con il più piccolo dipinto che avesse mai fatto, in cambio dell’opera che gli avevo donato. Questo quadro rimane uno dei miei beni più preziosi.

ABO: Poi partisti per il Marocco. Al ritorno, nello stesso anno, facesti la tua prima mostra
internazionale, fuori dagli Stati Uniti, esattamente all’Obelisco di Gaspero Del Corso. Come fu accolta?


R.R: non avevo abbastanza denaro per tornare negli Stati Uniti, e non volevo mettere di mezzo l’ambasciata. Così portai un fagotto con le cose che avevo fatto in Italia e in Nord Africa a Gaspero Del Corso, alla galleria l'Obelisco, e gli chiesi se volesse esporle. Lui rispose immediatamente di sì. Con grande sorpresa da parte sua, vendemmo giusto il necessario per permettermi di tornare in America.
In quel periodo era nata a Firenze una nuova galleria che esponeva solo arte moderna. Il loro critico più importante venne a vedere una mostra di Cy Twombly e Robert Rauschenberg. Notò che era una gran bella giornata, sottolineò la grandezza dell’arte degli Uffizi, poi si scagliò in particolare contro il mio lavoro: disse che era spazzatura psicologica e che doveva essere gettato nell’Arno. Mi
adeguai al suo suggerimento. Il giorno dopo io e Cy preparammo un bel picnic, ri-scendemmo l’Arno fino ad un posto tranquillo, lì legai delle pietre alle opere rimaste e le gettai nell’Arno. Poi tornai alla galleria e lasciai un bigliettino al critico, nel quale dicevo che avevo seguito il consiglio, ma che speravo sarebbe stato meno drastico con le sue critiche verso altri giovani artisti.

ABO: Sei come papa Wojtyla, viaggi molto. E ora finalmente di ritorno a Roma. Come mai?

R.R: Nel settembre 1989 mi si chiese una mostra per una galleria di Roma e io accettai con piacere. Mi è piaciuta l’idea di ri-esporre a Roma e di tornare a Roma dopo tanti anni. Dissi però che prima dovevo portare a termine il mio tour americano che si è concluso con la grande mostra a Washington. E intanto ho lavorato alla realizzazione di queste dieci opere per la mia personale romana.

ABO: L’arte serve a chi la fa o a chi la riceve?


R.R: L’arte migliore ha origine nello spirito dell’artista. È questo spirito che poi viaggia verso colui che lo riceve.

ABO: Tu racconti l’episodio dell’idraulico, venuto a casa tua per fare dei lavori e poi tornato la domenica con la famiglia per vedere le tue opere, che lo avevano incuriosito.
L’arte deve incuriosire o intimidire?


R.R: la curiosità rende consapevoli, e in grado di mettere in discussione la propria vita.



Robert Rauschenberg chi era?

Robert Rauschenberg, il cui vero nome è Milton Ernest Rauschenberg, nasce il 22 ottobre 1925 a Port Arthur, nel Texas. Nel '43, per volontà dei genitori, si iscrive alla facoltà di farmacia, che abbandona lo stesso anno. Richiamato alle armi, viene arruolato in Marina e assegnato a un ospedale militare a San Diego; una volta congedato, nel '47 comincia a frequentare i corsi
dell'Istituto d'Arte di Kansas City. In autunno parte per l'Europa per studiare a Parigi e si iscrive all'Académie Julian dove conosce l'artista Susan Weil, che diventerà sua moglie. Dopo un anno
ritorna negli Stati Uniti e si iscrive al Black Mountain College, nel North Carolina, attratto dal rigoroso approccio all'arte di Josef Albers, già docente al Bauhaus: Rauschenberg frequenterà questi corsi a intermittenza fino al '52. Nel frattempo si stabilisce a New York, dove si iscrive alla Art Students League. Frequentando le gallerie più all'avanguardia comincia a conoscere e ammirare
l'opera degli espressionisti astratti. In questo periodo lavora soprattutto alle serie dei White Paintings e deiBlack Paintings.
Nel 1951 l'artista presenta la sua prima personale nella galleria di Betty Parsons, che rappresenta artisti come Jackson Pollock, Mark Rothko e Barnett Newman. Lo stesso anno nasce il figlio, Christopher, e si separa dalla moglie. Nel '52 partecipa a un evento privo di titolo (noto come Theatre Piece #1) organizzato da John Cage, che oggi viene considerato il primo happening.
L'estate si imbarca per l'Italia con Cy Twombly, conosciuto alla Art Students League. Trascorre quasi un anno a Roma dove espone le Scatole Personali presso la Galleria dell'Obelisco. Torna a New York nella primavera del '53 e chiude la serie dei Black Paintings. Comincia a lavorare alle Elemental Sculptures e ai Red Paintings: dall'evoluzione di questi ultimi nasceranno i primi
Combines. Lo stesso anno Rauschenberg conosce Jasper Johns e decide di prendere in affitto lo studio accanto al suo: lo scambio di idee è intenso e consente un fecondo dialogo artistico che
durerà quasi un decennio. Nel '54 disegna le scenografie per "Jack and the Beanstalk", della compagnia di danza di Paul Taylor. Questa è soltanto la prima di una lunga serie di collaborazioni protrattasi fino ai nostri giorni con artisti di rilievo come Merce Cunningham, Viola Farber, Steve Paxton e Trisha Brown.
Nel 1958 Rauschenberg realizza i primi disegni con immagini trasferite da riviste o giornali.
Trascorre due anni illustrando con questa tecnica l'Inferno di Dante, inserendo così il poema in un contesto contemporaneo. Nel '62 comincia a servirsi di matrici serigrafiche, dopo aver viisitato lo studio di Andy Warhol e aver visto i primi quadri che egli stava realizzando con questa tecnica. Lo stesso anno stampa la sua prima litografia presso la Universal Limited Art Editions di New York. Le istituzioni cominciano a interessarsi seriamente a lui: il Jewish Museum di New York gli dedica la prima retrospettiva e, nel '64, vince il Gran premio internazionale di pittura alla XXXII Biennale di Venezia. Appena ne è informato, l'artista contatta il suo studio di New York e ordina di distruggere tutte le matrici serigrafiche, per evitare di ripetersi.
In questi anni Rauschenberg comincia a interessarsi a problemi politici e sociali: partecipa a iniziative pacifiste contro l'intervento americano in Vietnam, collabora con associazioni per i diritti umani e dona parte dei suoi guadagni per aiutare artisti in difficoltà. Nel 1966 acquista un vecchio orfanotrofio e lo trasforma in quello che ancora oggi è il suo studio di New York. Quello stesso anno, spinto dal suo interesse per l'applicazione della tecnologia all'arte, Rauschenberg fonda
insieme a due ingegneri l'organizzazione Experiments in Art and Technology. Nel '69, affascinato dallo sbarco dell'uomo sulla luna, crea la serie di litografie Stoned Moon Series, servendosi di
materiale fotografico fornitogli dalla NASA.
Nel 1970 l'artista crea il poster per le celebrazioni del primo Giorno della Terra per sensibilizzare l'opinione pubblica sulle emergenze ambientali. Lo stesso anno decide di lasciare New York stabilisce la sua residenza e lo studio principale nell'isola di Captiva, al largo della Florida. Qui la sua arte subisce una svolta importante: inizia a lavorare a Cardboards, la prima di varie serie
prevalentemente astratte, come Venetians e Jammers. Nel '71 crea il suo laboratorio tipografico, Untitled Press Inc., che mette anche a disposizione di artisti amici. Avvia collaborazioni con vari scrittori e poeti, come il francese Alain Robbe-Grillet, il russo Andrei Voznesensky o l'americano William Burroughs, illustrando le loro opere con litografie in edizioni limitate. Verso la metà degli anni
Settanta Rauschenberg comincia a sentire il richiamo di altre culture: un viaggio in India nel 1975 e la visita alla mostra "Treasures of Tutankhamen" alla National Gallery of Art di Washington nel 1977, introducono nuovi elementi nella sua arte e lasciano il segno nell'estetica di nuove serie come
Bones and UnionsJammers e Spreads. Lo stesso effetto avranno, negli anni Ottanta, i viaggi in Cina, Giappone, Thailandia, Sri Lanka, nel corso dei quali sperimenterà la fusione di tecniche artistiche antiche e moderne.
Nel 1979, la National Collection of Fine Arts di Washington dedica a Rauschenberg un'importante mostra retrospettiva che andrà a New York, San Francisco, Buffalo e Chicago. Quello stesso anno, in occasione della realizzazione della scenografia per lo spettacolo Glacial Decoy della compagnia di danza di Trisha Brown, l'artista riscopre una delle sue prime passioni, la fotografia. A partire dall'anno successivo le immagini inserite nelle sue opere cominciano a provenire esclusivamente dal suo archivio fotografico personale. Nel 1981 inizia a lavorare a The ¼ Mile or 2 Furlong Piece, un lavoro in continua crescita concepito per diventare l'opera d'arte più lunga del mondo (già nel 1997 misurava circa 300 metri). Nel 1985 egli vara il "Rauschenberg Overseas Culture Interchange", un progetto della durata di sei anni che segna il culmine del suo dialogo artistico con altri popoli e culture. Quello stesso anno, dopo una visita alle miniere e fonderie di Antofagasta, in Cile, l'artista comincia a esplorare le qualità artistiche del metallo, dando luogo a serie come
ShinersUrban BourbonsNight Shades o i tridimensionali Gluts. A quest'ultima serie appartengono alcune opere realizzate a Napoli nel 1986, in occasione della prima di Lateral Pass, di Trisha Brown, al teatro San Carlo: sapendo che la scenografia prevista non sarebbe arrivata in tempo, Rauschenberg, che si trovava lì in quei giorni, crea una serie di Gluts con materiali presi da una discarica, e poi li posiziona, sospesi nel vuoto, sopra il palcoscenico.
Nel 1990 nasce la Robert Rauschenberg Foundation, un'organizzazione non-profit che si occupa di temi cari all'artista, come la ricerca medica, l'educazione, l'ambiente, i senzatetto, la fame nel mondo e le arti. Nel '91, a conclusione del Rauschenberg Overseas Culture Interchange, espone a Washington le opere realizzate nell'ambito del progetto. Nel 1997 il Guggenheim Museum di New York presenta la retrospettiva più importante dedicata all'artista.
Dal 1997 a oggi Rauschenberg ha continuato a creare arte, portando avanti vecchie serie come Anagrams ma anche realizzandone di nuove, come Short Stories e Scenarios.
Colpito nel 2002 da un ictus che gli blocca metà del corpo, muore il 13 maggio 2008 a seguito di una polmonite.