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Testi sull'educazione - Verri, Beccaria, Filangieri, De Sanctis

lunedì 25 marzo 2002 legge Andrea Grillini
Pietro Verri, Cesare Beccaria, Gaetano Filangieri sono fra i massimi esponenti dell'Illuminismo italiano, cioè di quello che è stato il maggiore e più coerente movimento riformatore sviluppatosi nel nostro Paese. Le loro riflessioni sull'educazione dei cittadini sono ancora di grande attualità. Verri e Beccaria, in scritti privati o semi-privati, osservano le doti naturali dei figli, dei giovani, e suggeriscono dei criteri educativi aperti e illuminati. Filangieri estende il ragionamento alla società del tempo, partendo dai singoli ragazzi, dalle singole esigenze, arrivando per la prima volta a delineare il moderno concetto di "educazione pubblica".
Dopo di loro, un altro grande, Francesco De Sanctis, a metà Ottocento, riflette criticamente sulla propria esperienza formativa e parla ai suoi studenti del valore concreto della cultura, con la competenza e l'entusiasmo del grande educatore.
Da questi testi emerge con grande vivacità la figura di un "uomo nuovo", dotato di "intelligenza, cuore, fantasia, nobiltà di carattere", che è alla base della nostra tradizione culturale democratica.

1) Pietro Verri, Manoscritto per Teresa

È uno stralcio del testo che Verri scrisse intorno al 1780, dopo la nascita della figlia Teresa. Verri, in questo testo di carattere privato, rimasto a lungo manoscritto, descrive i criteri educativi a cui si attiene nell’educazione della bambina sotto forma di consigli alla stessa figlia, immaginata già adulta e madre.

Co’ figli ascoltate i dettami del vostro cuore. Leggete gli autori che trattano della educazione fisica e morale, abbiamo degli ottimi libri che vi proveranno quanto opportuna e umana cosa sia che la madre allatti i figli, quanto dannoso e crudele sia l’uso delle fascie, e tutte le attenzioni che debbonsi adoperare per conservarli. [...] Leggete Locke, Rousseau, e formatevi un sistema che abbia per base la ragione, la sperienza, la umanità, senza badare punto alle volgari opinioni che portano alla tomba la metà de’ bambini prima di un anno, e lasciano in molti di que’ che superano il cimento degl’incomodi per tutta la vita, animali zoppi, gobbi e deformi sono rari più che gli uomini, frutto delle fascie non meno che della educazione. La illarità della mente, la libera giocondità del cuore hanno somma influenza sullo stato nostro fisico; se questo lo proviamo noi vegeti, robusti, e già solidamente organizzati, non vi è dubbio che anche più lo debba provare il bambino, il fanciullo gracile e delicato. Un bambino rattristato, impaurito, oppresso digerisce male, e forma conseguentemente assai male la vegetazione. Non vi è peggio quanto il volere correggere, insegnare, formare i fanciulli. Un misero bambino che ascolta ricordi continui sul tuono della voce, sulla vivacità de’ suoi movimenti, sulla naturale disattenzione per il cerimoniale, sulla scelta delle sue parole e sulle proprie azioni in generale deve o avvilirsi e credersi incapace di far bene, ovvero deridere e insultare l’indiscreto censore. Nella prima età tristo il bambino che compare un uomo prematuro, alla virilità sarà uno stolido perché se i movimenti dell’animo di lui sono tanto placidi da sopportare una perpetua norma, scemato il primo impeto vegetale, rimarrà torpido e imbecille per mancanza di energia. Que’ sventurati bambini che nella loro prima età sanno presentarsi composti, pronunziare un complimento, sedere decentemente e da creature ben educate in circolo, a me fanno tanta compassione quanto i cani d’un saltimbanco educati non pel bene di essi ma per quello dell’educante. Lasciate, Teresina mia, che i vostri bamboli vivano come vogliono, vadano per terra, corrano, e si rallegrino in ogni modo che non li esponga a pericolo essenziale, teneteli lontani dal cadere nel fuoco, al basso d’una scala, da una finestra, nel rimanente lasciateli liberi, non li contrariate, è men male che cadano e ricevano qualche contusione di quello che sia il conservarli con l’animo angustiato. 

2) Cesare Beccaria. [Frammento: "Sulla gioventù"]

Un appunto del grande giurista Cesare Beccaria, del 1765

Finché il bollore della gioventù, finché la sua mente non ancora ingombra ed occupata tutta quanta da una folla di inutili idee, e di pertinaci abitudini, ha spazio e facilità di ricever nuovi movimenti e nuove direzioni, esercitala, movila, e piegala a sentire, a toccare, a rimaneggiare fortemente tutta l'immensa varietà di impressioni di cui sei suscettibile, altrimenti la sopraveniente età irrigidirà la facile e pronta duttilità del tuo ingegno, renderà inflessibile l'elastica forza del tuo riscotimento, e i nuvoli delle tristezze e le dissipatrici circostanze della imitatrice e confusa vita sociale ingombreranno il libero corso delle tue idee. Allora le più forti impressioni, e i colpi impetuosi e profondi del grande e del bello appena potranno lambire la superficie dell'animo tuo ed eccitarvi una leggera sfuggevole ed alterata commozione.


3) Gaetano Filangieri. La pubblica educazione

Il brano è tratto dalla Scienza della legislazione (1780-85), un’analisi dettagliata dell’assetto istituzionale del Regno di Napoli, in cui occupa un ruolo importante la rivendicazione di un programma educativo pubblico.

Per formare un uomo io preferisco la domestica educazione; per formare un popolo, io preferisco la pubblica. L’allievo del magistrato e delle leggi non sarà mai un Emilio; ma senza l’educazione del magistrato e della legge vi sarà forse un Emilio, vi sarà una città, ma non vi saran cittadini. [...]
Che ci sarebbe mai da sperare dall’educazione, se questa fosse interamente abbandonata alle cure private? Quanti pochi sono gl’individui in una società, anche la più numerosa, che sarebbero nelle circostanze di procurare una buona educazione a’ loro figli? [...] L’ignoranza e la miseria del basso popolo; la perdita de’ parenti e l’abbandono de’ genitori negli orfani, negli esposti; l’assiduità e l’importanza delle occupazioni in quella classe di cittadini che vive col frutto della sua industria e coll’impiego de’ suoi talenti; le distrazioni della vanità e dell’ambizione ne’ nobili; l’esercizio delle cariche e de’ pubblici impieghi ne’ magistrati e ne’ potenti; i pregiudizi e gli errori quasi universalmente adottati e che sono diametralmente contrari a’ veri principi dell’educazione; l’effetto istesso dell’amore male inteso e della debolezza così frequente ne’ genitori; la cura eccessiva della fisica conservazione de’ loro figli e la timida sollecitudine di soccorrerli anche quando il bisogno non lo esige, che dà a’ fanciulli una certa pusillanimità e una certa debolezza d’animo, che distrugge il coraggio e la confidenza nelle proprie forze; la poca considerazione e i pochi vantaggi che procurano le noiose e difficili funzioni di educatore; la corruzione finalmente de’ costumi che si trova oggi introdotta in tutte le classi, in tutti gli ordini della società, non ci mostrano forse evidentemente quanto poco vi sia da sperare e quanto da temere dall’educazione privata?
Se all’evidenza di queste riflessioni, che ci mostrano l’impotenza dell’educazione privata, noi uniamo quelle che ci fan vedere i vantaggi della pubblica, noi non istenteremo a persuaderci della sua necessità, malgrado le inevitabili imperfezioni che l’accompagnano.
Cominciando dagli educatori, il loro numero dovendo essere meno esteso ed il governo potendo dare a queste cariche tutta quella considerazione che meritano; potendone formare un ordine di magistratura tra le più rispettabili dello Stato; potendo loro offrire delle grandi speranze, non istenterebbe molto a trovare uomini degni d’esercitare funzioni così rispettate. [...] L’educazione essendo quasi interamente fondata sull’imitazione, il legislatore non averebbe da far altro che ben dirigere i modelli per formare le copie. Queste non sarebbero, è vero, tutte ugualmente simili; molte rimarrebbero inferiori all’originale, alcune forse lo supererebbero, ma la maggior parte avrebbe almeno alcuni tratti di somiglianza, e questi tratti formerebbero appunto il carattere nazionale.[...]
Tra la serie delle passioni che agitano il cuore dell’uomo, ve ne sono alcune che hanno un rapporto così stretto con la virtù, che se ne possono dire le madri. Il cuore della gioventù è aperto a tutte le passioni. La prima che se impadronisce è quella che suole ordinariamente conservare per tutta la vita il suo impero sulle altre. Or la passione dominante è la sola, che può produrre i grandi effetti. L’interesse della società sarebbe che le passioni dominanti de’ suoi individui fossero soltanto quelle che sono le più efficaci a renderli utili allo Stato e veri cittadini. Non si può dubitare che dall’educazione dipende in gran parte questa scelta. Nell’educazione pubblica il legislatore potrebbe dunque trovare il mezzo più efficace per rendere più comuni quelle passioni ch’egli crede le più utili e le più conducenti.
A misura che i vincoli che uniscono i cittadini tra loro si moltiplicano, il corpo sociale acquista maggior vigore, e meno esposta è la sua libertà. [...] Avviciniamo dunque gli uomini fin dall’infanzia. L’abito di convivere in un’età, nella quale le cause della discordia son poche, deboli e momentanee, fortificherà la sociale unione, ed avvezzerà i cittadini a considerarsi tutti come membri d’un istesso corpo, figli d’una istessa madre, ed individui di una sola famiglia; la diseguaglianza delle condizioni e delle fortune perderà una gran parte de’ suoi tristi effetti, e la voce potente della natura che intima e ricorda agli uomini la loro uguaglianza, troverà le orecchie de’ cittadini disposte e preparate ad ascoltarla.

4) Francesco De Sanctis, Una scuola viva

Il passo è tratto da un articolo, pubblicato sulla Nuova Antologia nel 1873, in cui De Sanctis faceva un bilancio del suo primo anno di insegnamento all’università di Napoli.

Una scuola non mi par cosa viva, se non a questo patto, che accanto all’insegnamento ci stia la parte educativa; una ginnastica intellettuale e morale, che stimoli e metta in moto tutte le forze latenti dello spirito. Il meno che un giovane possa domandare alla scuola è lo scibile, anzi lo scibile è lui che dee trovarlo e conquistarlo, se vuole sia davvero cosa sua. La scuola gli può dare gli ultimi risultati della scienza, e se non fosse che questo, in verità una scuola è di troppo; tanto vale pigliarli in un libro quei risultati. Ciò che un giovane dee domandare alla scuola è di esser messo in grado che la scienza la cerchi e la trovi lui. Perciò la scuola è un laboratorio, dove tutti sieno compagni nel lavoro, maestro e discepolo, e che il maestro non esponga solo e dimostri, ma cerchi e osservi insieme con loro, sì che attori sieno tutti, e tutti sieno come un solo essere organico, animato dallo stesso spirito. Una scuola così fatta non vale solo a educare l’intelligenza, ma, ciò che è più, ti forma la volontà. Vi si apprende la serietà dello scopo, la tenacità de’ mezzi, la risolutezza accompagnata con la disciplina e con la pazienza; vi si apprende, innanzi tutto, a essere un uomo. [...]
Scansavo al possibile le formole, le regole troppo meccaniche e assolute; perché i giovani inclinano al dommatismo, e se possono afferrare una regola o una definizione, credono avere in mano la scienza, e studiano e giudicano a priori, secondo certi preconcetti. Questo impedisce in loro lo sviluppo dello spirito critico, vizia l’impressione e il gusto, sostituisce alla loro spontaneità una coscienza artificiale. La scuola, quando non vi si rinnovi spesso l’aria, genera quell’insetto roditore del cervello, che dicesi pedanteria. E primo ci capita il maestro, quando non abbia la forza di ventilare la sua intelligenza e si addormenti sulle sue teorie, e ripeta meccanicamente se stesso. Il che induce nel giovane la mala disposizione a volere in ogni caso singolo a guardare le generalità e non quello che esso ha di proprio e d’incomunicabile, la sua individualità e personalità, dov’è la sua vita. [...]
Per me è fuori di dubbio che, se ne’ nostri uomini anche più colti ci è una certa debolezza di tempra, se in loro generalmente la sagacia è astuzia e intrigo, l’ambizione è vanità, la collera è stizza e pettegolezzo, la volontà è velleità, e l’idea è opinione, si dee in gran parte alla poca virilità dell’educazione scolastica. Alla fiacchezza de’ corpi si provvede ora con la ginnastica; non ci è anche una ginnastica per corroborare gli animi? Dirò che non ho dovuto penar molto a formare quest’atmosfera morale. I giovani sono naturalmente docili e generosi: e la vostra autorità è irresistibile, quando voi vi fate stimare da loro per la vostra imparzialità e rettitudine, per la serietà che mettete nel vostro ufficio. [...]
Opera non meno difficile è l’educazione intellettuale. E, per conseguire questo scopo, io soglio attirare l’attenzione meno sulla falsità o verità del contenuto, che sul modo col quale il contenuto è organizzato. I giovani sono inclinati alle disputazioni astratte, massime i napoletani, di così pronto eloquio, d’ingegno così sottile, tutti avvocati nati. Ciò che io domando più spesso, è questo: “Ci è qui un disegno? E se ci è, è bene sviluppato? L’analisi è esatta? È ben distinto dagli accessori il sostanziale?. Passo poi alla proprietà e al colorito della espressione. Non è già che sieno queste per l’appunto le mie domande; vario molto, mi lascio tirare dalla natura del lavoro. Ma la mia intenzione è quella. Miro a sviluppare nei giovani le forze intellettuali, avvezzandoli alla serietà e precisione del disegno, alla correzione e proprietà dell’espressione, e svegliando in loro quel vigore e nesso logico che manca alla più parte dei nostri scrittori. Credo più utile questo esercizio che le grammatiche, le rettoriche, le arti dello scrivere e le logiche. 


Francesco De Sanctis, A cosa serve la cultura

Prolusione pronunciata a Zurigo, nel 1856, tenuta al proprio corso di Letteratura al Politecnico (Corso facoltativo per studenti di ingegneria)

Secondo l'ordinamento dell'Università politecnica federale, questi studi non sono obbligatorii. Sono obbligatorie quelle lezioni solamente di cui avete necessità per l'esercizio della vostra professione: tutto l'altro è lasciato a vostra libera elezione. Come in un altr'ordine d'idee la legge vi obbliga a non fare il male, ma non a fare il bene, così voi siete obbligati a studiare per vivere, per provvedere a' vostri bisogni materiali; ma quanto alla vostra educazione intellettuale e morale, voi non avete alcun obbligo legale. Il governo ve ne dà i mezzi; se non volete giovarvene, se non sentite come uomini l'obbligo morale di educare la vostra mente ed il vostro cuore, sia pure: vostro danno e vergogna.
In effetti, con le sole lezioni obbligatorie, qualunque tu sii che te ne possi contentare, tu non sei ancora uomo, tu sei, permettimi ch'io te lo dica, un animale bello e buono. – Un animale ragionevole, mi risponderai, che sa la matematica, la fisica, la meccanica. – Certamente, e perciò animale colpevole, che ti sei servito della ragione unicamente a scopo animale. In effetti, ditemi un po', miei giovani, quando costui avrà passata la sua giornata a lavorare per procacciarsi il vitto, empiutosi il ventre, inumidita la gola, fatta una bella digestione; in che costui differirà dal suo mulo o dal suo asino, che anch'egli ha passata eroicamente la sua giornata tra il lavoro e la mangiatoia? Un giorno confortavo allo studio delle lettere un mio giovane amico di Napoli, il quale stette un pezzo muto a sentir le mie belle ragioni; poi, come a chi fugge tutto a un tratto la pazienza. – Sai, disse, che ti credevo un po' più uomo? Che diavolo! Bisogna ben ragionare. Credi tu che una terzina di Dante mi possa toglier di dosso i miei debiti, o che tutti gl'Inni del Manzoni mi dieno un buon desinare? Filosofia, letteratura, storia! a che pro? per finire in uno spedale? Oibò! io studierò il Codice, farò un bell'esame e sarò fatto giudice. Che bisogno ha un giudice di Dante o del Petrarca? -. Come vedete, è questo un magnifico ragionamento dal punto di vista asinino. E costui non aveva ancora diciotto anni! E parlava già a questo modo! Crebbe rozzo, selvatico, plebeo; divenne giudice; ed oggi questa bestia togata divide il suo tempo tra le condanne a morte, ai ferri, all'ergastolo de' suoi stessi compagni, ed i buoni bocconi.
Non credo che sia questo l'ultimo scopo che l'uomo si debba proporre, e che Dio ci abbia data l'intelligenza per provvedere alla pancia, come ha dato gli artigli e le zanne alle belve. Voi siete in un'età, nella quale impazienti dell'avvenire, ciascuno se lo figura a sua guisa. Quali sono i vostri sogni? che cosa desiderate voi? Fare l'ingegnere? è giusto: ciò dee servire alla vostra vita materiale. Ma, e poi? Oltre la carne vi è in voi l'intelligenza, il cuore, la fantasia, che vogliono esser soddisfatte. Oltre l'ingegnere, vi è in voi il cittadino, lo scienziato, l'artista. Ciascuno si fa fin da ora una vocazione letteraria. Né vi maravigliate. Poiché la letteratura non è già un fatto artificiale; essa ha sede al di dentro di voi. La letteratura è il culto della scienza, l'entusiasmo dell'arte, l'amore di ciò che è nobile, bello; e vi educa ad operare non solo per il guadagno che ne potete ritrarre, ma per esercitare, per nobilitare la vostra intelligenza, per il trionfo di tutte le idee generose. Questo è ciò ch'io chiamo vocazione letteraria; e voi m'intendete, o giovani, voi, ne' quali l'umanità ogni volta si spoglia delle sue rughe e si ribattezza a vita più bella.
Ben so che molti oggi non hanno della letteratura la stessa opinione. Lascio stare coloro che ne fanno mercanzia e dicono: - In un secolo industriale e commerciale siamo per nostra disgrazia letterati, facciamo bottega delle lettere -; e vendono parole, come altri vende vino e formaggio. Non vo' profanare questo luogo, né spaventare le vostre giovani menti, mostrandovi nudo questo meretricio traffico dell'anima. Ben vo' parlarvi di alcuni altri. A quello stesso modo che certi sostituiscono oggi la civiltà alla libertà, soddisfattissimi che loro si promettano strade ferrate e traffichi e industrie e qualcos'altro di sottinteso; così alcuni non osano di difendere la letteratura per sé, e la nascondono sotto il nome di coltura. Se raccomandano questi studii, gli è perché dilettano ed ornano lo spirito, compiono l'abbigliamento, vi fanno ben comparire. Leggono, come vanno a teatro, per divertirsi; fanno provvisione di aneddoti, di motti, di argomenti per acquistarsi la riputazione di uomini di spirito; quello che lodano ne' libri, biasimano nella vita. E se qualche povero uomo accoglie seriamente quello che la legge e vi vuol conformare le sue azioni, gli è un matto, una testa romanzesca, un sentimentale, o che so io. No, miei cari. La letteratura non è un ornamento soprapposto alla persona, diverso da voi e che voi potete gittar via; essa è la vostra stessa persona, e il senso intimo che ciascuno ha di ciò che è nobile e bello, che vi fa rifuggire da ogni atto vile e brutto, e vi pone inannzi una perfezione ideale, a cui ogni anima ben nata studia di accostarsi. Questo senso dovete voi educare. E che? I cinque sensi che abbiamo comuni con gli animali sono necessarii, e questo sesto senso, per il quale abbiamo in noi tanta parte di Dio, sarebbe un lusso, un ornamento di cui si possa far senza? Non così è stato giudicato da' nostri antichi: ché in tutt'i tempi civili l'istruzione letteraria è stata sempre la base della pubblica educazione. Certo, se ci è professione che abbia poco legame con questi studi, è quella dell'ingegnere; e nondimeno lode sia al governo federale, il quale ha creduto che non ci sia professione tanto speciale e materiale, la quale debba andare disgiunta da un'istruzione filosofica e letteraria. Prima di essere ingegneri voi siete uomini, e fate atto di uomo attendendo a quegli studi detti da' nostri padri umane lettere, che educano il vostro cuore e nobilitano il vostro carattere.


Dibattito:

Andrea Grillini ha scelto alcuni testi sull’educazione che sembrano essere quanto mai attuali. 
Il primo brano è di Pietro Verri, dedicato alla figlia bambina. E’ un testo di carattere privato, quindi emerge insieme all’attenzione per l’individuo, una gran tenerezza. I rigidi precetti che fungono da statico modello vengono contrapposti a un’educazione che lascia sviluppare le naturali inclinazioni della persona. A una scuola che pone principi esterni è contrapposta una scuola che dà valore alle differenze. In particolare, Verri concepisce l’infanzia come una condizione autonoma e stabilisce la priorità del bene dell’educando sull’educante. 
Il secondo brano è di Gaetano Filangieri. Già nel 1780 nell’assetto istituzionale del Regno di Napoli egli vedeva l’importanza di un piano educativo come soluzione dei problemi sociali. La tesi di Filangieri è che la condizione di arretratezza sociale in cui versa il Meridione sia in gran parte imputabile alle differenze di educazione che sussistono tra le classi sociali. Nella fattispecie deplora l’uso dell’istruzione privata –il precettore delle famiglie abbienti- nella formazione dei cittadini, non in quanto inefficace, in quanto inutile allo stato. “A misura che i vincoli che uniscono i cittadini tra loro si moltiplicano, il corpo sociale acquista maggior vigore, e meno esposta è la sua libertà.”
Malgrado il dirigismo forzato, l’ambizioso progetto del Filangieri di un sistema d’istruzione pubblico e nazionale ha due obiettivi: il primo è di formare un carattere nazionale e il secondo creare possibilità di comunicazione tra strati sociali differenti. 
Tra un scuola che rispetta le individualità e una che propone modelli di sapere precostituiti, occorre trovare un nucleo di saperi indispensabili, minimi. Questi devono essere trasmessi attraverso un lavoro dinamico ed è questa l’idea che delinea De Sanctis nel terzo brano di nostra lettura. La scuola deve essere essenzialmente un laboratorio che “stimoli e metta in moto tutte le forze latenti dello spirito”. Anche Andrea Severi sottolinea il fatto che la scuola deve essere prima di tutto duttile, sapendo accogliere nuovi stimoli e modificandosi a sua volta. Quindi la scuola deve essere dinamica, deve costruirsi mentre trasmette sapere, rendendo gli studenti attori di questo processo e non meri contenitori passivi. Bisogna sfruttare l’emotività, appassionando le giovani menti, non mortificarle con un sistema valutativo talvolta troppo schematico. Lorenzo Bonaiuti sente l’esigenza di una formazione permanente, di cui la scuola deve essere l’inizio, dando agli studenti gli strumenti per la valutazione critica e gli elementi per l’educazione delle capacità individuali. 
Il brano di De Sanctis tratto dalla prolusione che fece nel 1856 al politecnico di Zurigo suscita un ampio dibattito. A destare differenti idee è la vecchia questione dell’opposizione tra sapere umanistico e sapere tecnico, relativa a una vecchia concezione gerarchica dei saperi. A ben vedere si tratta di una questione oziosa. Chi fa ricerca non ignora che il sapere non funziona a scomparti. Chi sta al potere vuole che il sapere sia parcellizzato, in modo che sia controllabile, flessibile alle esigenze del mercato. Ma se ancora stanno così le cose allora si chiede Sandro Degli Esposti: in che misura si può riconciliare la tecnica nella formazione di un individuo? Le vecchie barriere funzionano ancora, purtroppo, tra gli insegnanti. Testimone di questa triste ristrettezza di idee è Marta Franceschi. Chi insegna matematica non può accennare alla storia del pensiero che subito viene fatto tacere sia dagli alunni che dagli insegnanti. Manca la passione e la ripetitività è quanto mai controproducente nel rapporto tra maestro e allievo. Di questo si lamenta Camilla Manconi, del fatto che gli insegnanti che sappiano suscitare interesse e curiosità siano eccezioni e non la regola.
Il nuovo sistema educativo è volto a rendere la cultura strumentale. Essere funzionale alle esigenze del mercato è considerato l’aspetto più importante della formazione degli individui. E allora la abilità prese singolarmente diventano dei semplici crediti, spendibili, volti a far aumentare il valore dello studente come forza-lavoro. Ma in questo modo si vanno a minare alla base i principi su cui è fondata l’istruzione pubblica, la sua autonomia come istituzione, la sua funzione di creare liberi e consapevoli cittadini. Non è per l’aumento che i professori scendono in piazza, è per i principi. La minaccia attuale investe il futuro delle generazioni future. Come dice Andrea Grillini , l’insegnante non può essere un semplice trasmettitore e verificatore di conoscenze. Il maestro deve dare all’allievo la chiave per comprendere la realtà nella sua complessità, una visione unificante dei saperi. Da questo dipende il futuro della democrazia.