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Diario - Etty Hillesum

lunedì 18 marzo 2002 legge Giancarlo Gaeta
Etty Hillesum, ebrea olandese, slavista, è morta ad Auschwitz nel 1943 all'età di 29 anni. 

Di lei ci è rimasto un lungo Diario e delle lettere, scritti negli anni della guerra e della persecuzione razziale e pubblicati con grande ritardo (in italiano presso Adelphi). 
Nella letteratura sui campi di concentramento nazisti, questi testi occupano un posto d'eccezione per la ricchezza umana della testimonianza e la profondità della riflessione spirituale. 
Ma è soprattutto sulla sua vicenda umana e in particolare sulla genesi di una straordinaria trasformazione interiore che in questa occasione intendiamo riflettere.
Questi "Testi inediti", accompagnati da un'introduzione di Giancarlo Gaeta sono pubblicati nella rivista "Lo Straniero", attualmente in libreria.
Dal Diario e dalle Lettere di Etty Hillesum

[Sabato] 8 marzo 1941
Caro Herr S.,
le ho appena scritto una lunga storia, ma penso che gliela risparmierò. Anche adesso, rileggendola, non posso fare a meno di sorridere. È tutto così patetico e pomposo. E mentre siedo qui tranquilla alla mia fidata scrivania, con il sangue che mi scorre tanto allegramente nelle vene, grazie ai suoi meravigliosi esercizi, mi viene voglia di accarezzarmi maternamente la testa e di dirmi: “Su, su, piccola mia, andrà tutto bene, non prendere te stessa, tutte le tue emozioni e i tuoi pensieri tanto sul serio. In realtà dovresti vergognarti un po’.”
Lo sa, ieri, quando non riuscivo a fare altro che fissarla stupidamente, ho vissuto un tale conflitto di pensieri e sensazioni contrastanti da uscirne quasi a pezzi e avrei urlato con tutta la mia forza se avessi avuto ancora meno autocontrollo. Ho provato forti sentimenti erotici nei suoi confronti, che pensavo di aver superato ormai, e al tempo stesso una ripugnanza ancora più forte, e poi, d’un tratto, un senso di infinita solitudine, il sospetto che la vita sia così terribilmente dura e che uno debba affrontare tutto da solo, che sia impossibile ricevere aiuto dall’esterno, e incertezza e paura e tutto il resto. Così un po’ di caos mi stava guardando improvvisamente dal profondo della mia anima. E, dopo, mentre tornavo a casa, avrei voluto che mi investisse una macchina e ho pensato: devo essere pazza, come il resto della mia famiglia, un pensiero che mi viene sempre quando mi sento un po’ disperata. Ma adesso so di nuovo di non esserlo, so che devo solo lavorare ancora molto su me stessa per poter diventare più adulta e un essere umano al cento per cento. E lei mi aiuterà, vero?
Bene, le ho scritto due righe: mi è costata molta fatica, scrivo molto malvolentieri, mi sento molto inibita e insicura. E pensare che un giorno vorrei diventare scrittrice!
Caro Herr S., arrivederci e grazie per tutte le cose belle che ha fatto per me.
Etty Hillesum

11 marzo 1941 dieci e trenta
Non si ottiene niente per niente. Forte tensione interna. Difficoltà. Dietro Lermontov spunta continuamente il viso grigio, solcato di S., com’era ieri, seduto dietro il tavolo, rintanato in se stesso, forza concentrata, gli occhi intelligenti che guardavano da quella forza calda, da quel mondo privato, affascinante che è lui. Ehi, ehi, che belle parole, ma le butto giù così, come escono casualmente dalla penna, mi sembra la cosa migliore. E questo è il difficile quando lavoro. Voglio sempre tornare a quel viso amato, voglio parlargli, accarezzarlo, occuparmi sempre di lui nella mia fantasia, ma lo caccio via, bestemmio come un carrettiere, non puoi, non puoi assolutamente, devi lavorare e allora riesco anche a studiare con molta concentrazione una poesia di Lermontov. Lavorare concentrati è la cosa più bella che ci sia, ma santa pace, quanto bisogna lottare, e adesso a lezione. Il mio atteggiamento sarà diverso adesso. Prima, cioè fino alla settimana scorsa, per metà ascoltavo e per metà sognavo a occhi aperti, pensando, beh, più tardi studierò quello che [l’insegnante] sta dicendo, adesso intanto continuo a crogiolarmi nelle mie fantasie. Semplicemente scandaloso, debole e pietoso, finché nelle cose ci stai a metà, non ne verrà mai fuori niente di buono. E adesso farai attenzione. Devi volerlo! Questo è il principio di tutto.

Mercoledì 12 marzo 1941, nove di sera
In fondo la vita è così semplice, se solo si ha un atteggiamento un po’ igienico.
Oggi pomeriggio da S. Ci sono andata vuota e “pulita”, senza pensare a niente prima. Con l’intenzione di accettare tutto. Se fosse stato “professionale”, bene, se avesse avuto poco tempo, bene anche così, tutto sarebbe andato bene. È stato “professionale”, il che in fondo è ovvio, era stato piuttosto arrogante da parte mia supporre che non lo sarebbe stato proprio con me. Sono state dette molte cose chiarificatrici. E grazie al mio atteggiamento neutro anche tutta la fascinazione erotica era scomparsa. Brutto viso grigiastro, occhi verde chiaro. Dall’uomo il mio interesse va adesso al suo lavoro e da quello riemerge l’amore per l’uomo, ma adesso su un piano più alto. Butto giù così questi pensieri senza impegnarmi al massimo a dar loro forma. E poi gli ho detto, tracciando con l’indice una riga in mezzo al suo viso: “Lo sa, quando l’ho vista la prima volta, fu solo per 5 minuti, mi colpirono immediatamente queste due metà”; e gli ho accarezzato la fronte e gli occhi e poi gli ho toccato la bocca; (in realtà il suo viso mi è già così famigliare). “E sento così tanto il conflitto tra queste due metà del Suo viso e per me è stato come essere schiacciata dal peso di quello scontro”. Al che lui mi ha risposto: ti è successo così perché è anche il tuo conflitto. E così si è ristabilito il contatto tra di noi. E gli ho detto apertamente che effetto avesse avuto su di me la nostra ultima lotta, la vergogna, la ripugnanza, la sensualità, la delusione e tutto quanto. E lui mi ha risposto: “Più tardi faremo ancora la lotta”e allora, questo era almeno il succo del suo discorso, cercheremo di farla senza quel turbamento erotico. E verso la fine dell’ora, quando mi ha dimostrato la presa con cui inizia sempre una lotta, senza che avesse intenzione di lottare, siamo rotolati improvvisamente sul pavimento, in modo del tutto imprevisto. Ma è stato meraviglioso, questa volta, un vera e propria liberazione. Io avevo una forza d’acciaio, nonostante la violenta fitta al petto che già da alcune settimane mi preoccupa, e sono riuscita a buttarlo di nuovo per terra. Non ho provato nessuna vergogna, è stato piacevolissimo. Alla fine, mentre ci riposavamo, mi sono seduta un attimo sulle sue ginocchia, con la guancia contro la sua senza provare nessuna emozione sessuale, ma un sentimento umano molto intenso e la percezione di quanto fosse bello essere così vicini. Più tardi abbiamo passeggiato sotto il sole lungo lo Stadionkade e alla periferia della città. E all’improvviso lui era di nuovo tutta un’altra persona, per me decisamente incomprensibile. C’era un che di infantile in quel suo modo di andare a zonzo e guardarsi attorno, era molto assente, non so nemmeno se gli facesse piacere che fossi lì a saltellare vicino a lui, era di nuovo molto lontano, ma questa volta non me ne sono fatta un grande cruccio, non si può essere troppo infantili.

Giovedì 13 marzo [1941] nove di sera
Santo cielo, che povera disgraziata ero una volta rispetto ad adesso. Lascia che me ne renda conto per bene ancora una volta, perché tra poco questa diventerà la mia condizione abituale. Sono appena passata davanti a un circolo di pattinaggio, energica e felice, senza “esuberanza”, quasi sobriamente felice. È come se dentro di me orde selvagge si fossero date la caccia in una pianura sconfinata e adesso come se una mano possente avesse imposto loro un ordine e le avesse messe in riga, e ora da lì proviene una forza, un’energia tranquilla, un che di sicuro e di solido, di armonico, di organico, un senso di fiducia in me stessa, d’un tratto c’è tutto questo dentro di me. Mal di testa e stanchezza sono spariti, anche se non sono ancora quel che si dice un maciste. Una volta temevo a ogni pie’ sospinto che le forze mi piantassero in asso e, naturalmente, succedeva proprio così, adesso non ci penso più e le mie forze si rinnovano automaticamente di fronte ad ogni nuovo piccolo compito che assumo. E’ accaduto una specie di miracolo in me. E io penso con amore profondo e quieto, che non è erotico e non è innamoramento, alla persona S.

19 marzo 1941 nove di sera
Eppure, Etty, devo farti notare ancora molto seriamente una cosa. Tu pensi di essere ossessionata dalla sua bocca, dai suoi occhi, da tutto il suo corpo e di non riuscire a liberartene. Ma sta attenta a non sbagliarti. Tu ci fantastichi sopra ogni volta per goderne. Tu in qualche modo vuoi che lui ti ossessioni e ti perseguiti fisicamente, perché ti piace. E’ sempre stato così normale nella tua vita fantasticare sugli uomini, nel modo più spudorato, che è diventata un’abitudine con cui è difficile rompere così di punto in bianco. Ma di questo devi essere molto ben consapevole, amica mia, se tu davvero non vuoi una cosa da lui, non deve succedere. Sei come un bambino con un giocattolo prezioso, che tira fuori ogni volta per goderne e giocarci. Tu fai la stessa cosa con S. Ogni volta ripensi apposta a lui, il che non stupisce visto che una cosa affascinante come lui si incontra di rado nella vita. E il fatto che anche lui stia per iniziare una relazione con te, te lo fa apparire ancora più attraente: adesso ce l’hai a portata di mano e questo solletica anche un po’ la tua vanità ed entra in gioco di nuovo anche quella spregevole “avidità”, molto terrena: adesso potrò avere tutto, la sua bocca, le sue mani, i suoi occhi e, sii sincera, questo diario manterrà il segreto, senti anche che sarebbe un peccato perdersi tutto questo, in futuro me ne pentirei, non incontrerò mai più un uomo come lui. Ma non dimenticare che tu per lui sei anche un “compito”, te l’ha detto lui. Per due anni, con il suo temperamento, lui è vissuto senza una donna per restare fedele alla sua “amica che a Londra è sola e lo aspetta”. E io spezzerei quella fedeltà, mentre farei meglio a lottare con lui per quella donna. Dopo tutto anch’io ho una relazione, amo Han, con un sentimento bello, puro e di profondo affetto e non vorrei perderlo. Una persona non dovrebbe volere tutto, anche se può averlo. Quando avrò davvero vinto questa battaglia sarò una persona molto più forte e forse, per la prima volta in vita mia, avrò davvero combinato qualcosa di buono. Ieri il suo viso era ancora un caro paesaggio, sfocato sullo sfondo, ma onnipresente. Oggi non vi è più niente di sfocato, ma con grande nitidezza vedo i suoi occhi vispi, capaci, a volte, di guardarti con quella tremenda aria da furfante, e la sua bocca espressiva, mobilissima e ricca di profonda sensibilità; tra l’altro quel viso così vivo, oggi pomeriggio di nuovo estremamente spiritoso, aveva perso gran parte della sua abituale gravità, brillava di fascino: povera Etty, è davvero dura per te. Ma tu devi volerlo e io non sono ancora convinta che tu sappia davvero quello che vuoi. Naturalmente le tensioni restano sempre sullo sfondo, ma ciò non significa che non possa instaurarsi un forte rapporto umano, senza che vi sia una relazione. E nonostante abbia scritto tutte queste cose, continuo a sentire una terribile tensione alla testa e le guance in fiamme. Andrò a distendermi sul tappeto davanti al camino, farò qualche esercizio di respirazione e cercherò di riprendere coraggio. Questa tensione non è dovuta al fatto che lo desidero, ma al fatto di non essere ancora sicura al cento per cento di non volere avere una relazione con lui, perché c’è ancora qualche percentuale di me che lo vuole. Ho costruito nella mia immaginazione un solido edificio di volontà, ma sul retro ho lasciato aperta una porticina, per cui l’edificio non è così stabile e io mi sento tanto tesa e agitata. E’ meglio fare chiarezza con se stessi su questo punto.

Giovedì [20 marzo 1941] ore 9.00
Questa mattina, prestissimo, ho visto d’un tratto l’orizzonte davanti a me, in tutta la sua grandezza: hai tutta la vita davanti, cominci a vivere solo adesso, adesso che iniziano ad organizzarsi le tue forze interiori, devi tenere lo sguardo fisso su questa tua vita, questa deve essere sempre l’immagine sullo sfondo, non puoi tenere lo sguardo fisso solo sul venerdì mattina, quando lo rivedrai, non puoi pensare che esista solo quest’uomo e nient’altro. Non riesco a renderla bene, ma è stata una sensazione di grande spazio, in cui tutto trova una proporzione migliore e anche quest’uomo assume dimensioni meno colossali nella mia mente, benché l’amore resti immutato, intendo solo dire che non devi concedere all’erotismo un spazio così enorme, è troppo passeggero, a meno che non diventi uno degli elementi con cui costruire un rapporto stabile per la vita, ma a ogni nuova relazione temporanea non vale la pena investire tante energie nell’eccitazione, nella tensione, nel disincanto ecc. 

Sabato, 22 marzo [1941] dieci e mezzo del mattino
La realtà è sempre molto diversa dal quadro tanto bello che dipinge la fantasia e io comincio a mettermi l’animo in pace. E visto che questa volta la fantasia era stata piuttosto contenuta, l’impatto non è stato così grande. Io dunque avevo immaginato la scena così: entro molto decisa, lo fisso in modo molto eloquente e poi gli dico: “Signore, io non voglio assolutamente avere una relazione con lei, questa decisione è il frutto di una dura lotta interiore” - e a questo punto lo guardo con un’espressione tragica ed energica al tempo stesso - “ma la parte migliore di me ha vinto, non voglio spezzare la sua fedeltà alla sua amica. E posso adesso, per favore baciare la sua cara bocca, tranquillamente e senza passione, ma comunque con grande piacere, a riprova dei miei puri sentimenti di amicizia nei suoi confronti?” Sì, questo era il discorsetto che mi ero preparata.
Ma quello che avevo immaginato non era poi così importante, la cosa che più contava era il mio stato interiore, l’atmosfera in cui si sarebbero concretizzate le fantasie elaborate dalla mia mente. E il mio stato interiore era perfetto, quando sono andata da lui, ero intimamente temprata, forte e pura e ben conscia di quello che volevo e non volevo. Immacolata per così dire. E con quei graziosi mughetti timorosamente nella borsa.
E quando sono entrata quel dannato individuo aveva di nuovo un’aria professionale, e allora io, per cambiare, ho assunto un’aria ancora più professionale di lui, stringendogli la mano in modo, a dire il vero, molto cordiale, ma mantenendo un’espressione riservata. Per una frazione di secondo mi ha fissato con sguardo indagatore, incapace di trovare un appiglio in me. Così si è aggiunto un elemento ludico e ho sentito che la battaglia stava per cominciare e che ero in grado di affrontare sia lui che la lotta. È stata un’ora piacevolissima, trasparente, all’insegna della sobrietà e piena di forti emozioni represse. Lui ha esordito in modo molto professionale: “Il sogno che dobbiamo ancora analizzare”. Io ho dimenticato tutto quello che volevo dire e sono stata subito presa dal discorso, con grande curiosità e un interesse quasi scientifico per il mio sogno, da cui sono emerse tantissime cose: il mio atteggiamento verso l’ebraismo, la mia tendenza infantile a guadagnarmi da vivere nei modi più strani, la mia artificiosità, insomma potrebbe uscirne un librettino interessante se rielaborassi i dettagli della nostra conversazione. Ho anche capito e preso coscienza di una cosa, ma questo solo questa mattina presto a letto: per scrivere tutto quanto dovrei essere più dotata e meno pigra, ma per il momento sono contenta di avere questa cosa dentro di me.
Un momento carino l’hanno offerto i teneri mughetti che profumavano accartocciati nella mia borsa disordinata. La carta in cui erano avvolti spuntava dalla borsa e a un tratto lui ha detto: “Che cosa ha lì?” Devo averlo guardato con aria un po’ confusa, perché lui è scoppiato in una risata fragorosa e ha detto: “Perché fa quella faccia buffa?” E allora io ho tirato fuori molto timidamente quei mughetti davvero commoventi e ho detto qualcosa del tipo che non avevo osato darglieli perché mi aveva proibito di portargli sempre dei fiori, ma che non avevo potuto fare a meno di prenderli. La risata di quell’uomo è di per sé un bagno di salute, è così piena di gioia di vivere, di calore e di intensità che trasmette piacere anche a chi la sente. Quella risata ha reso l’atmosfera un po’ meno professionale, aggiungendovi un po’ di buona amicizia, ma siamo rimasti molto tesi e controllati. Mi sembrava che i suoi occhi fossero più luminosi e raggianti che mai e sentivo che lo erano anche i miei. Di contatto fisico ce n’è stato pochissimo in quell’ora e mezza. Nella foga del discorso, mi è capitato qualche volta di tenere per un po’ la mano nella sua, ma per lui questa è una sciocchezza che praticamente non ha significato personale.
Be’ così, e poi alla fine me ne sono andata salutandolo con una forte stretta di mano e uno sguardo limpido e adesso vediamo che cosa porterà la prossima volta, non voglio più immaginare in anticipo quello che succederà, comunque vada andrà bene. La cosa essenziale è che comincio a sentirmi in grado di affrontarlo da pari a pari.

Sta accadendo una cosa bella al mio viso. E’ come se cominciasse ad emergere dalla mano di fondo, i contorni sono meglio disegnati, l’espressione è più intensa e la bocca è davvero molto bella: molto espressiva e ricca di sensibilità, forte, ma non troppo, senza essere poco femminile. Ieri, con molto piacere, l’ho osservata a lungo allo specchio. Era come se, d’un tratto, fosse diventata più consapevole e aperta. Un tempo era molto più timorosa e si nascondeva nel mio viso, mentre adesso comincia a dispiegarsi.

Lunedì mattina [9 giugno 1941] nove e mezza
Una persona non dovrebbe mai fare di un’altra il centro della propria vita. 
Devo sempre tenerlo in mente. Quando si è troppo attaccati all’altro, l’altro assorbe le nostre energie e noi finiamo per dargli di meno. Dobbiamo essere un mondo in noi stessi, un mondo con un proprio centro, dal quale possiamo poi inviare raggi, energia o qualunque altra cosa agli altri
Ieri ero attaccatissima a S. E ho sentito le mie forze diminuire. Così non sono riuscita neanche a stare con lui con la solita intensità. Lo desideravo anche troppo fisicamente. E non si trattava di desiderio fisico, ma più passa il tempo più lui mi diventa così intimamente caro come persona che ho bisogno di stargli molto vicino. Desideravo più la persona dell’uomo. Ed è stata realmente la prima volta che non l’ho sentito come l’uomo molto sensuale che è e che sono uscita dalle sue braccia senza un senso di solitudine. Ma subito ho anche avvertito il pericolo di attaccarmi troppo a lui e la mia risposta è stata immediata: devo faticosamente allontanarmi da lui, devo vivere la mia vita, io sono ancora all’inizio e lui si avvia già a uno stadio finale, e ogni volta devo tagliare le fibre che crescono tra di noi ad ogni nostro incontro. Fa un male terribile e richiede tante energie, ma quando avrò condotto in fondo questa battaglia, sarò più forte che mai.

[25 novembre 1941] martedì mattina le nove e mezza
Qualcosa mi sta succedendo e non so se si tratti di un semplice stato d’animo o di un fatto importante. Mi sembra di reggermi di nuovo su me stessa. Sono un po’ più autonoma e indipendente. Ieri sera pedalavo per la fredda e buia Larisserstraat – se solo potessi ripete tutto quello che ho borbottato allora:
Mio Dio prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace. Non penserò più, nella mia ingenuità, che un simile momento debba durare in eterno, saprò anche accettare l’irrequitezza e la lotta. Il calore e la sicurezza mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi toccherà stare al freddo purché tu mi tenga per mano. Andrò dappertutto allora, e cercherò di non avere paura. E dovunque mi troverò, cercherò d’irraggiare un po’ di quell’amore, di quel vero amore per gli uomini che mi porto dentro. Ma non devo neppure vantarmi di questo “amore”. Non so se lo possiedo. Non voglio essere niente di così speciale, voglio solo cercare di essere quella che in me chiede di svilupparsi pienamente. A volte credo di desiderare l’isolamento di un chiostro. Ma dovrò realizzarmi tra gli uomini, e in questo mondo.

È proprio come se la mia posizione nei confronti di S. sia improvvisamente mutata – come se d’un tratto io mi sia staccata da lui, pur credendomi già libera. Come se io abbia capito nel profondo di me stessa che la mia vita sarà del tutto indipendente dalla sua. Ricordo quando, diverse settimane fa, si parlava del fatto che tutti gli ebrei sarebbero stati spediti in un campo di concentramento in Polonia, e che S. mi aveva detto: “Allora ci sposeremo, così potremo rimanere insieme e faremo ancora un po’ di bene”. E per quanto io avessi capito esattamente il senso di quelle parole, per qualche giorno mi ero sentita piena di calore e di attaccamento per lui. Ora questo sentimento è scomparso. Non so cosa sia, è come se io mi fossi completamente staccata da lui e ora andassi avanti per la mia strada. Si vede che le mie forze erano ancora investite in quell’uomo. Ieri sera, mentre pedalavo nel freddo, mi sono resa improvvisamente conto di quanta intensità, quanto impegno di tutta la mia persona io abbia messo nell’assorbire S., il suo lavoro e la sua vita in quest’ultimo mezzo anno. Ora è successo. S. è diventato parte integrante di me. E così proseguo, ma da sola.

A Julius Spier. Amsterdam. Senza data. Probabilmente martedì 5 agosto 1941 Martedì sera
Da sei mesi ti conosco ormai. Tu buffo, tu caro, tu terribile uomo, che la storia del mondo ha costretto a venire nel nostro piccolo Paese, dove adesso vivi in una strada silenziosa, in due piccole stanze, che sono accoglienti e belle solo quando tu ci sei. Una colossale irruzione nella vita di diverse donne olandesi sei stato. Tu ci insegni che l’amore per tutti è più bello dell’amore per una persona sola. Ed è bene che tu ce lo abbia insegnato. Le donne aspirano a un uomo solo e non all’umanità: la vera emancipazione femminile deve ancora cominciare. Forse la donna come essere umano non è ancora nata. Lo sai, tu mi hai dato molta forza, tu mi costi anche molta forza. Continuo a lottare con te internamente, come persona e come uomo, e se alla fine riuscirò ad avere un rapporto davvero chiaro con te, allora molte cose si chiariranno nel mio rapporto con tutti gli uomini e con l’umanità. Io cresco e maturo attraverso i miei scontri interiori con te, ma spesso è molto dura, lo sai? Una volta mi hai detto che sono un compito per te, ma anche tu lo sei per me. Ed è un bene che tu ci sia.

A Julius Spier. Amsterdam. Senza data. Probabilmente luglio 1942 otto del mattino
Non possiamo nemmeno cominciare a parlare delle cose ultime e serie della vita e del dolore, la nostra voce è troppo esile. Capisco quasi tutto di te e sopporto tutto insieme a te e ho ringraziato di nuovo Dio perché c’è un uomo come te nella mia vita. Devi badare alla tua salute: se vuoi aiutare Dio questo è il tuo primo, sacro dovere. Un uomo come te, uno dei pochi ancora ad essere un rifugio decoroso per un frammento di vita e di dolore e di Dio (la maggior parte delle persone si è data per vinta da tempo, e “vita”, “dolore” e “Dio” sono solo suoni vuoti per loro) ha il sacro dovere di conservare il suo corpo, la “sua casa terrena” nel modo migliore, per offrire a Dio ospitalità in essa il più a lungo possibile. La fine è ancora molto lontana.
Anch’io mi prenderò cura di me stessa. Ho così tanta forza, puoi prenderla tutta e io ne acquisirò di nuova. Ti voglio un bene così immenso, la mia anima ama la tua così immensamente. La mia anima vorrebbe giacere accanto alla tua ogni tanto, e questo desiderio non ha più niente a che vedere con il desiderio che una donna può avere di un uomo. A volte vorrei allungare il mio corpo nudo, così come Dio l’ha creato, accanto al tuo corpo nudo, come Dio ti ha creato, eppure non provo altra sensazione che il desiderio della mia anima di giacere accanto alla tua.
Se in questo tempo uno non soccombe per la tristezza, o, invece, per proteggersi, non si indurisce e diventa cinico, o si rassegna, allora diventa sempre più dolce e tenero e rilassato e comprensivo e affettuoso. So molto bene come sei fatto, tu mi hai portato sulla tua strada e io vivo insieme a te in tutto, fin nel tuo più piccolo respiro. Io sono sempre accanto a te e attorno a te e anche se un giorno ci separeranno, proseguirò con te sulla stessa strada fino alla fine. La mia serietà e il mio amore hanno mille anni e invecchiano di mille anni ogni giorno. Questo tempo che stiamo vivendo io sono in grado di sopportarlo, riesco a sopportarlo con entrambe le spalle senza soccombere sotto il peso e riesco anche a perdonare Dio per le cose che sono come sicuramente devono essere. Avere tanto amore in sé da poter perdonare Dio!!!
E devi badare alla tua salute e riposare e riposare, io non posso stare molto spesso con te in questi giorni – però con il pensiero sono sempre con te – ma promettimi che ti prenderai cura della tua salute. Ti ho appena sentito aprire le tende, presto verrai qui di sopra con me, non è vero?
Cercherò di ritornare questo pomeriggio, mi piacerebbe così tanto.



Dibattito:

Giancarlo Gaeta è uno dei massimi esperti di Etty Hillesum. Ci introduce un testo che fino a poco tempo fa è stato sottovalutato, prima di essere poi tradotto in tutte le lingue. 
Solo dopo trentotto anni il diario e altri scritti di questa giovane donna ebrea sono stati pubblicati. Etty proveniva da una famiglia di intellettuali olandesi. La sua formazione fu di stampo borghese, si laureò in giurisprudenza e cominciò studi di lingua per diventare slavista. 
Andò a vivere con un vedovo settantenne, Han, di cui divenne l’amante, e durante quegli anni bui ebbe anche altre relazioni.
Etty scelse di condividere il destino degli altri ebrei. Lavorava come dattilografa presso il Consiglio ebraico e questo avrebbe potuto darle la possibilità privilegiata di emigrare. Questo era infatti un ente costituito da ebrei che fungeva da tramite tra la comunità e il potere politico nazista. In seguito chiese di essere trasferita a Westerbork, luogo dove i deportati attendevano la loro destinazione. 
Decisivo è l’incontro con uno psicoterapeuta vicino a Jung, Julius Spier. Etty si rivolge a lui a causa della sua instabilità emotiva. Etty si innamora di Julius Spier e la sua esperienza d’amore le comporta una profonda trasformazione interiore. La cura che le viene prescritta dall’affascinante terapeuta è scrivere un diario.
Il diario è un racconto, con un inizio, un sviluppo e una fine. Comincia nel 1941, come principio della sua terapia e finisce poco prima che Etty e la sua famiglia vengano definitivamente trasferiti ad Auschwitz e là sterminati, nel 1943. 
Etty dice ‘la vera emancipazione femminile deve ancora cominciare’, e nelle sue parole si scorge la tentazione femminile di annullarsi totalmente nell’elemento maschile. Etty invece nel momento in cui si assume Spier come un ‘compito’ riesce ad instaurare un dialogo tra pari. L’innamoramento le apre nuove prospettive sulla realtà e successivamente l’attrazione puramente erotica sfuma. Nell’innamoramento di Etty si sente l’eco dell’amore platonico. L’anima infiammata d’amore in virtù dell’amato può giungere alla contemplazione della verità, se si eleva al di sopra delle passioni del corpo. In senso hegeliano la sua esperienza è una sorta di fenomenologia dello spirito, la cui fine coincide con una nuova presa di coscienza sulla realtà. 
Il mondo che circonda Etty è pervaso di miseria e dominato dall’odio. La ragazza non può che percepirlo in maniera catastrofica. L’odio c’è anche tra gli ebrei stessi e il rapporto l’ebreo e il carnefice sarebbe uguale anche se fosse capovolto, tale è il potere del desiderio di vendetta. 
Così davanti a quest’orrore emerge nell’animo di Etty, come il diario ci racconta, a poco a poco un dio; un dio senza religione, o meglio, al di là. Etty si rende conto che ormai in pieno regime nazista è diventato impossibile credere in Dio, quello tradizionale. “ Non è quasi empio credere ancora così fortemente in Dio in un’epoca come la nostra?” . Allora Dio va riscoperto nella propria interiorità, ma anche protetto. Difendere Dio significa difendere l’uomo. Il dolore non viene quindi solo gridato ma si pone come punto di partenza per costruire una nuova umanità. Non si può pensare di costruire dopo il dolore, occorre farlo subito, sospendendo la forza delle passioni distruttive. In questo farsi ricettacolo di Dio si scorge una sensibilità tutta femminile di tutela della vita. 
Etty non scrisse mai pensando che le sue parole sarebbero state pubblicate, anche se voleva diventare una scrittrice. Quindi il diario ci si offre senza pudore, senza difese nella sua intimità. Le critiche a cui si espone questo pensiero in fieri sono quelle di ingenuità, scarsa consapevolezza. Ma al contrario, è proprio da una così profonda analisi del mondo che sorge la spiritualità di Etty. Il suo accogliere Dio significa scoprire in sé il principio dell’esistente.
Un’anziana lettrice si chiede se Etty sia pervasa di misticismo o se al contrario sia terribilmente concreta, laica. I mistici sono paradossalmente concreti, risponde Giancarlo Gaeta, ma un’eventuale appropriazione di Etty da parte del cristianesimo o dell’ebraismo è uno snaturamento del suo pensiero. Etichettarla, schierarla non serve a niente ai fini della sua comprensione. 
Luisa vede in Etty una donna fortemente laica che posta davanti al dolore decide di recuperare e valorizzare quella parte interiore utile a sé e agli altri. 
L’esperienza dell’innamoramento -come esemplificano queste pagine- le fa trascendere se stessa e intessere una riconciliazione con l’odio. Ma quello che potrebbe essere scambiato per un atteggiamento di quietismo in realtà è un reazione di grande forza. Come dice in una pagina di diario Etty “Questo tempo che stiamo vivendo io sono in grado di sopportarlo, riesco a sopportarlo con entrambe la spalle senza soccombere sotto il peso e riesco anche a perdonare Dio per le cose che sono come sicuramente devono essere. Avere tanto amore in sé da poter perdonare Dio!”