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Testi sul mutamento demografico - Massimo Livi Bacci, Censimento 2001

lunedì 22 aprile 2002 legge Pierluigi Bovini
Le vicende demografiche italiane sono studiatissime. Alcune sono sono ormai ampiamente conosciute: il declino numerico dei giovani (bassa natalità), l'invecchiamento della popolazione, l'allungamento della vita media (77 per gli uomini, 83 per le donne), la riduzione media familiare (2,6 componenti), i maggiori flussi migratori.
La sostanziale stabilità della popolazione complessiva (56,4 milioni nel Censimento 2001) maschera mutamenti profondi: le grandi città continuano a cedere significative quote di residenti ai comuni limitrofi, e gli italiani vanno a vivere in centri urbani di medie dimensioni, meno congestionati e più vivibili.
Nella nostra realtà regionale e provinciale queste tendenze s'erano già manifestate per tempo, e ora hanno valori più accentuati: tassi di natalità più bassi, invecchiamento più marcato, famiglie più ridotte, immigrazione sostentuta (in situazione di quasi piena occupazione).
Si tratta di fenomeni di enorme portata, che produrranno effetti molto consistenti e assolutamente nuovi negli stili di vita, nei comportamenti di spesa delle famiglie, nel sistema pensionistico e nei servizi scolastici, sociali e sanitari. Su questi punti c'è un acceso dibattito economico e politico.
I testi scelti ci aiuteranno a discutere le trasformazioni che queste tendenze demograf
iche avranno presto, nel concreto, nell'esperienza di ogni famiglia e di ogni persona.

Massimo Livi Bacci, Italia, la culla della scarsa natalità

Le vicende demografiche del paese fanno notizia. E' bastato che l'Istat, qualche giorno fa, annunciasse il bilancio demografico provvisorio del 2001 ed il pareggio fra nascite e morti – dopo otto anni di eccesso di morti sulle nascite – perché i media si mettessero in agitazione. Siamo di fronte a un punto di svolta? L'aumento di 1500 nascite tra il 2000 e il 2001 (pari al 3 per mille in più) sono il segnale di inversione della natalità? Le fosche previsioni dei demografi erano nient'altro che allarmi ingiustificati? Possiamo cancellare la "emergenza" demografica dall'inesauribile elenco delle "emergenze" nazionali?
Un Paese che invecchia. La reazione iniziale dell'addetto ai lavori è stanca e scettica: agitazione fuori luogo, la demografia italiana è uno stagno tranquillo, destinato lentamente a prosciugarsi. La popolazione continua a invecchiare; la diminuzione dei decessi è la conseguenza dell'aumento della vita media che oramai sfiora, per le donne, gli 83 anni; il numero medio di figli per donna è pari a 1,25, ben lontano dalla coppia di figli necessari per tenere in equilibrio una generazione con la successiva. Se non vi fosse immigrazione, la popolazione comincerebbe presto a declinare: le ultime previsioni dell'Onu, che pur scontano una modesta ripresa della natalità, indicano una diminuzione della popolazione totale (tra il 2000 e il 2025) do oltre 5 milioni, somma algebrica di un declino di oltre 9 milioni della popolazione sotto i 60 anni e di un aumento di 4 per quella ultrasessantenne.
Gli ultimi dati, dunque, si iscrivono nelle tendenze ben stabilizzate negli ultimi dieci o venti anni e preludono a dinamiche di fondo ben note: declino dei giovani, aumento dei vecchi, surplus strutturale dei decessi sulle nascite interrotto nel 2001 solo per una favorevole "congiuntura" (climatica, epidemiologica) che ha compromesso i decessi. Niente di nuovo all'orizzonte. Eppure non è così, perché le stesse dinamiche ora tratteggiate generano forze nuove e se ne smuovono di latenti e ci fanno sospettare l'emergere di profondi cambiamenti nei comportamenti demografici. Un elenco delle novità emergenti è forse più utile dell'ennesima ricapitolazione delle vicende del passato.
Natalità in lentissima ripresa. Iniziamo dal tema più problematico, quello della natalità. Sottolineiamo ancora quanto sia bassa la "produzione" di nascite: le 544.000 del 2001 sono quasi 200.000 in meno di quelle della Gran Bretagna e della Francia, paesi che hanno la stessa popolazione dell'Italia. Lo squilibrio è davvero impressionante. Tuttavia si delinea, almeno nelle regioni a più bassa natalità, una certa "ripresa" delle nascite oltre i 30-35 anni nelle generazioni più recenti rispetto a quelle precedenti. Ciò può indicare due cose:
1) che si sta arrestando, e forse invertendo, quel processo di "ritardo" delle scelte riproduttive che ha sospinto l'età media delle madri alla nascita del primo figlio a ridosso dei 30 anni e che è una delle cause della compressione del numero delle nascite nell'ultimo ventennio, e
2) che con un ritorno a un ciclo di vita meno "tardivo" quelle aspettative di riproduzione – che le indagini concretizzano in due figli per coppia – abbiano maggiori possibilità di realizzarsi. 
Questo non significa che il punto di svolta sia stato raggiunto, ma che le premesse si vanno delineando. Va però ricordato che il punto di svolta si porrebbe a un punto così basso da richiedere poi – per riportare la situazione in equilibrio – un lungo e vigoroso processo di ripresa. Sul verificarsi della quale, però, nessun elemento ci autorizza a puntare. Vanno poi crescendo rapidamente le nascite da cittadini stranieri che oggi rappresentano circa il 5 per cento del totale, ma che in alcuni centri urbani raggiungono, e superano, il 20 per cento. L'apporto degli stranieri al bilancio demografico comincia a farsi sentire.
La speranza di vita. Continua a crescere, in linea con le tendenze prevalenti nel mondo occidentale: nel 2001 la speranza di vita sfiora i 77 anni per gli uomini e l'83 per le donne, 3 anni in più rispetto al 1991. Si conferma la sorprendente tendenza discendente dei rischi di morte alle età anziane: poiché oramai la mortalità prima dei 60 anni è bassissima, è ai progressi in tarda età che sono affidati ulteriori guadagni di speranza di vita. L'aspetto positivo di questa evoluzione è che, ad ogni singola età anziana, è diminuita l'incidenza delle disabilità e, perciò, sono migliorate efficienza, salute e autonomia delle persone. Ma vanno fatte due riflessioni. La prima è che i poderosi guadagni sono dovuti, in buona parte, al sostegno di un sistema sanitario relativamente efficiente, a copertura universale di cui beneficia ampiamente la popolazione anziana. Un sistema che va mantenuto, aggiornato, nutrito finanziariamente sia pur combattendo sprechi e cercando l'efficienza, ma senza abbassare il livello di garanzia e protezione, e ciò può raggiungersi solo mantenendo un forte sistema pubblico. Ciò che si è guadagnato può anche perdersi: l'esperienza dell'Unione Sovietica, dove il dissolversi del sistema di garanzie, anche sanitarie, ha fatto crollare la speranza di vita degli uomini di quasi 15 anni, è lì ad ammonirci che il progresso va conservato e protetto. I passi indietro sono possibili.
I flussi migratori. Infine i processi di immigrazione, inevitabilmente, continuano. Lo stock di immigrati si è accresciuto di circa 100.000 unità all'anno nell'ultimo decennio. I vuoti che si stanno creando nella popolazione attiva giovane – 5,5 milioni di persone in meno (tra i 20 e i 40 anni) nei prossimi 20 anni – sono tali da richiedere un forte apporto esterno. Ma la società italiana ha paura, ed è paradossalmente miope. Non vuole l'immigrato ma ne ha disperatamente bisogno: nei campi, nelle fabbriche, nelle case private, nei locali pubblici, negli ospedali. Non vuole l'immigrato, ma rifiuta il costo della sua assenza. La politica preferisce rimuovere un problema che ha risvolti tanto difficili, e nasconde la realtà che ben conosce: l'immigrazione è un fenomeno di lungo periodo, destinato, nell'arco del prossimo ventennio, a rafforzarsi. Dell'immigrazione si parla come di un'emergenza, da tamponare e controllare, da subire al minor costo possibile, massimizzandone i benefici. E' una strategia che paga solo nel breve periodo, ma che, alla lunga, va contro l'interesse collettivo. (da Il Sole. Ventiquattr'ore, 26 marzo 2002, p. 10)

Numero medio dei figli per donna
Regione 1999 2000 (stime) 2001 (stime)

Piemonte 1,10 1,15 1,16
Valle d'Aosta 1,17 1,26 1,22
Lombardia 1,15 1,20 1,22
Trentino-Alto A. 1,44 1,45 1,46
(Bolzano) 1,50 1,47 1,52
(Trento) 1,38 1,42 1,45
Veneto 1,16 1,21 1,21
Friuli-Venezia G. 1,04 1,09 1,11
Liguria 0,96 1,00 1,04
Emilia-Romagna 1,09 1,16 1,17
Toscana 1,05 1,10 1,14
Umbria 1,11 1,14 1,14
Marche 1,15 1,18 1,17
Lazio 1,21 1,17 1,17
Abruzzo 1,13 1,15 1,14
Molise 1,17 1,14 1,09
Campania 1,49 1,47 1,49
Puglia 1,32 1,34 1,34
Basilicata 1,22 1,24 1,22
Calabria 1,25 1,25 1,28
Sicilia 1,44 1,41 1,42
Sardegna 1,03 1,06 1,05
ITALIA 1,22 1,24 1,25

Speranza di vita alla nascita
1999 maschi 75,5
1999 femmine 81,8
2000 maschi 76,3
2000 femmine 82,4
2001 maschi 76,7
2001 femmine 82,9


Dibattito:

Gian Luigi Bovini è responsabile del censimento del 2001 a Bologna. Si occupa di demoscopia. La lettura che ci propone è un articolo di giornale sui dati demografici di Massimo Livi Bacci, collaboratore di Repubblica e de Il Sole. Ventiquattr’ore.
L’obbiettivo del nostro ospite è quello di farci capire che i dati statistici non solo non sono lontani da noi, ma addirittura coinvolgono anche la nostra vita quotidiana. Per un’analisi sociologica rinvia alla lettura di Barbagli. 
I temi sono tipicamente occidentali; infatti, si parla di problemi di bassa natalità e di elevata aspettativa di vita solo nei paesi dell’Europa, degli Stati Uniti e del Giappone, che costituiscono il 20 % della popolazione mondiale. Il discorso cambia per gli altri cinque miliardi di esseri umani.
Solo il 12% delle persone giovani risiede nei paesi sviluppati, ma più del 40% degli anziani al di sopra dei 64 anni e addirittura più del 50% delle persone con più di 80 anni. In Italia la speranza media di vita è di 78 anni per gli uomini e 83 anni per le donne. 
Il motivo dell’interesse che i demografi rivolgono a Bologna è che negli ultimi cinquant’anni è stata un laboratorio, ha anticipato tendenze che si sono poi diffuse in tutto il paese, ha dovuto far fronte ad alcuni problemi prima di altre città. Ad esempio, parlando di dati comunali, negli anni ’60 nascevano 6600 bambini all’anno, nel giro di quindici anni ne nascevano solo un terzo all’anno. 
L’Italia è il paese più vecchio del mondo. Bologna, Genova e Trieste sono le città più vecchie d’Italia, malgrado Bologna sia sempre stata all’avanguardia nei servizi per la prima infanzia. Sono tre i fattori che concorrono alla formazione di questo quadro: il crollo della natalità, l’invecchiamento della popolazione legato all’aumento progressivo della speranza media di vita. Questo testimonia il complessivo funzionamento del sistema sanitario nazionale e le ottime condizioni di vita di cui si gode nel nostro mondo. Inoltre, a dispetto di quello che i fautori della privatizzazione della sanità sostengono, i costi delle cure in Italia costano solo un 6% del PIL, meno della metà di quello americano che costa ben un 14% del PIL. 
Restringendo l’attenzione a Bologna si possono mettere in evidenza alcuni cambiamenti. Negli ultimi trent’anni Bologna ha perso 120000 residenti che sono andati a stabilirsi nella provincia e d’altro canto ha attirato immigrati provenienti sia dal Meridione che dal resto del mondo. C’è stato quindi un grosso ricambio delle residenze che ha dato una miscellanea diversa al 70%! Solo un terzo di chi è nato a Bologna vive attualmente a Bologna. 
Un altro importante mutamento riguarda la frantumazione delle famiglie. Negli ultimi quindici anni il numero dei componenti per nucleo è passato da 2,84 a 2,06. Tantissimi anziani vivono soli, in prevalenza donne vedove. Molte persone optano per una vita autonoma da single e altre posticipano a data indeterminata le scelte riproduttive. Nello studio e nel mercato del lavoro le donne superano gli uomini. Ma nonostante si possa attribuire all’emancipazione della donna e alla sua realizzazione la diminuzione delle nascite, l’esperienza francese e di altri paesi nordeuropei dove le donne godono della stesse possibilità lo smentisce, vi è comunque una natalità maggiore. 
Per ciò che concerne le attività produttive, a Bologna c’è stata una deindustrializzazione, un trasferimento del terziario pesante in provincia, una sensibile crisi del commercio al minuto dovuta alla nuova presenza degli ipermercati, un leggero ridimensionamento del terziario pubblico e un’esplosione del terziario immateriale. Tra l’altro, a differenza degli anni ’80, il terziario non è più andato a erodere il patrimonio abitativo del centro. 
E’ un momento di ricambio generazionale nel mercato del lavoro che anche qualitativamente sta cambiando. Ma, dicono i dati, manca la mano d’opera, non ci sono abbastanza elementi tra i giovani. Il nostro paese, anche più di altri, necessita di immigrati e se questo vuoto non verrà colmato, le nostre città sono destinate a sparire. Nonostante tutto ciò, in Italia non c’è la preparazione per accogliere le persone che vengono da lontano. Cresce il razzismo, tornano nefasti i miti delle origini e la pretesa difesa di identità minacciate, su cui prolifera il populismo. 
Franco Capizzi dice di essere favorevolmente colpito dai dati sull’efficienza del sistema sanitario nazionale. In Italia manca quasi del tutto la prevenzione. Ma questo dimostra quanto sia importante che la sanità rimanga un sistema pubblico. Un esempio impressionante è quello dell’ex Unione Sovietica, come nota Silvano Filloni. Dal 1989 in seguito alla dissoluzione del sistema delle garanzie sanitarie, la soglia delle speranza di vita è crollata di quindici anni! Filloni crede che in Italia non ci sia l’unità, la coesione culturale che possa integrare l’immigrazione. Questo si vede anche nel centro di Bologna che rimane un’aggregazione di gruppi diversi non integrati nel tessuto urbano. 
Sandro Degli Esposti lamenta l’inadeguatezza delle strutture atte ad accogliere gli anziani. E, da single, sostiene che invece di puntare sul rilancio del modello tradizionale familiare occorre intessere rapporti di solidarietà tra coetanei. 
A Bologna, conferma Bovini, c’è un tessuto di isole e la popolazione si può ripartire in quattro categorie: gli studenti, i pendolari, i residenti e coloro che usufruiscono della fiera e di altri servizi. Quale percorso per la costruzione di un’identità collettiva? 
Attualmente a Bologna è esplosa una polemica tra la maggioranza di centrodestra e l’opposizione a proposito delle coppie di fatto e le coppie sposate per l’assegnazione degli alloggi. Il centrodestra sostiene che il matrimonio sia una responsabilità da premiare. Ma perché non ci si sposa o lo si fa tardi? Si chiede Andrea Severi. Si sta diffondendo un luogo comune sui trentenni eterni adolescenti, il cinema lo testimonia. Ma a ben guardare, degli assunti in Emilia Romagna tra i venti e i trent’anni un 40% ha un contratto atipico. Probabilmente le nuove generazioni non hanno più le stesse garanzie di trenta anni fa. Il modello della flessibilità dice anche Bovini non solo avrà costi umani molto alti ma, alla lunga, bloccherà anche la macroeconomia. 
Nadia Pinardi lamenta un vuoto politico a sostegno dell’emancipazione femminile. Questo più d’altro ha portato a un crollo della natalità. Le aspettative di allora sono rimaste deluse. Antonio Navarra invece pensa che nella scelta di mettere al mondo un figlio giochino un insieme troppo complesso di fattori. Le politiche non funzionano più di tanto. Ma c’è un altro modo di supplire alla bassa natalità, la riproduzione sociale per via migratoria. 
Marinella Lenzi che è un’ostetrica, ci racconta che più del 30% dei neonati è di famiglie extracomunitarie e il 30-40% dei nati da famiglie italiane nasce da coppie di fatto. Purtroppo spesso le garanzie in gravidanza non ci sono per tutte le donne. Bologna, tuttavia, è stata la prima città ad avere una tutela per le donne straniere e a offrire negli ospedali un servizio di interpretariato e di mediazione culturale.