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Cantico delle creature - S. Francesco

lunedì 14 gennaio 2002 legge Giovanni Catti
In Roma antica accadeva che la musica accompagnasse il canto a solo di un attore, e che la danza si componesse con la musica e il canto. Tutto questo insieme era chiamato canticum.
Dai cuori, dalle lingue e dalle labbra di Ebrei, di Cristiani, risonò l'acclamazione dell'Altissimo, onnipotente e buono, l'Alleluja, e l'acclamazione continuò nella Laus prolungata, prendendo a volte la forma di un "canticum".
Arriviamo ai titoli dati alle Laudes creaturarum , al Cantico di frate Sole, a questo componimento legato al nome di Francesco d'Assisi.
E' un testo, un tessuto di parole e di silenzi: ci chiede di essere conservato, nella sua integrità, nella sua autenticità, e di esser confrontato con la Bibbia, con gli altri documenti delle origini della letteratura italiana.


Francesco d'Assisi, Cantico delle Creature

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu Te mentovare.

Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le Tue creature, 5
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si', mi' Signore, per sora Luna e le stelle: 10
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si', mi' Signore, per sor'Aqua, 15
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi' Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra, 20
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterranno in pace 25
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, 30
ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi' Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.

(ed. G. Contini, in Letteratura delle origini, Sansoni, Firenze 1970, pp. 4-5)


Dalla Bibbia:

Sal 148

1 Lodate Signore, lodate il S.
lodatelo nelle altezze
2 Lodatelo tutti angeli suoi,
lodatelo tutte schiere sue.
3 Lodatelo sole e luna,
lodatelo tutte stelle di luce.
4 Lodatelo cieli dei cieli
e acque al di sopra dei cieli.
5 Lodino il nome del signore
perché Egli comandò e furono comandati
6 e stabili essi per sempre in eterno;
diede un ordine e non scomparirà.
7 Lodate il S. dalla terra;
cetacei e tutti gli abissi;
8 fuoco e grandine, neve e nebbia,
vento di bufera, artigiano della parola sua.
9 Le montagne e tutte le colline,
albero del frutto e tutti i cedri,
10 le fiere e ogni bestiame,
rettile e uccello alato,
11 re della terra e tutti i popoli,
principi e tutti i giudici della terra;
12 giovani e anche fanciulle,
vegliardi insieme con ragazzi:
13 lodino il nome di S.,
poiché sublime è il nome suo, esso solo;
14 Ed esaltò il qeren al popolo suo,
lode per tutti i fedeli suoi;
per i Figli di Israele,
Popolo del qerob suo.



qeren: corno, simbolo di potenza.
qerob: cerchia familiare.


Dan 3

49 Ma l’angelo del signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò la loro fiamma del fuoco;
50 rese l’interno della fornace come un luogo, dove soffiasse un vento pieno di rugiada, e così il fuoco non li toccò affatto, non fece a loro alcun male, non diede a loro molestia alcuna.
51 Allora quei tre giovani, a una sola voce, si misero a lodare, glorificare, benedire Iddio nella fornace, dicendo;
52 – 56 Benedetto sei tu, Signore…
57 – 87 Benedite, opere tutte del Signore…
88 Benedite Anania, Azaria e Misaele il Signore…
89 – 90 Lodate il Signore, perché egli è buono
perché la sua grazia dura per sempre.
Benedite fedeli tutti l’Iddio degli dèi,
lodatelo e celebratelo, perché la sua grazia dura per sempre.



Ap 20,6 

Beati e santi quelli, che prendono parte alla prima resurrezione.
Su loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni.


Dalla Divina Commedia di Dante

Inf I, 112

Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò la tua guida,
e trarrotti di qui per luogo etterno,
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
che la seconda morte ciascun grida


Dibattito:

Come mi avevano detto, monsignor Giovanni Catti è un esponente atipico dell’istituzione ecclesiastica. Si presenta innanzitutto come un cantastorie, meglio come un ‘contastorie’. Il nostro invito gli arriva in un momento in cui, per caso, si sta dedicando alla lettura nell’ambito di altri progetti che hanno come protagonista il testo. Il testo -come suggerisce l’autorevole amico Piercesare Bori- costituisce una provocazione, il suo ruolo è quello di crescere con l’interpretazione, di creare parole intorno a sé, di costruire discorsi.
Da filologo, ma con grande modestia, monsignor Catti ci fa scoprire i rapporti che intercorrono tra il cantico e la Bibbia, mettendo in luce aspetti che molti di noi ignoravano.
Quindi passa subito a leggere per arrestarsi alla terza parola della prima strofa.
E’ scritto ‘altissimo’, epiteto che ricorre nei salmi, sinonimo di Geova; ‘onnipotente’, aggettivo che in spagnolo suonerebbe “todo poderoso”, e poi, come se ci fosse un ma, ‘bon’, buono.
“Tue so’” e le parole seguenti sono quattro come nelle strofe successive, questo forse per il caratteristico parallelismo della poesia ebraica che richiama l’andamento altalenante della musica. Anche la Bibbia comincia con un duplice racconto della creazione.
“Se konfano’” è espressione osco-umbra, è utile ricordare che siamo davanti a una delle prime manifestazioni letterarie della nostra lingua, ancora non esiste quel materiale su cui poi lavorerà Dante.
Prima di soffermarsi sul “cum”, è opportuno riflettere sul genere di questo componimento che è la lauda. Nella parola lode c’è una radice ebraica che è Hll da cui deriva anche la parola alleluia. Nella lauda c’è l’antico ricordo del grido del popolo d’Israele in cammino verso la terra promessa. Ma c’è anche la luce, che è splendore, come se fosse un prolungamento dell’alleluia.
Dopo aver detto che nessun uomo è degno di nominare il Signore, c’è una pausa di silenzio. E poi la lode comincia ma non dal punto di vista privilegiato di un uomo che considera il creato in senso utilitaristico, l’uomo canta la lode insieme agli altri esseri, si fa interprete a parole della loro lode. E’ un’interpretazione, non una superba contemplazione. Insomma si tratta di una lode corale.
La strofa che parla in nome del vento ci conferma un ordine delle cose esistente non a esclusivo vantaggio dell’essere umano. Non a caso ho parlato dell’autore come un portavoce. E’ quel “per” inteso come complemento d’agente che ci permette di capovolgere un significato che ci portavamo dietro dai banchi di scuola, come notano anche Renzo Tosi e Benedetta Nanni. “Dire io sono preghiera” significa un atto di grande umiltà.
Fra i modelli dell’autore vi è sicuramente il primo racconto della creazione, testo proprio in virtù del quale monsignor Catti ci rivela essere diventato un cantastorie. Un altro modello è il salmo 148 che si può dividere in due dimensioni, una verticale - dall’uno al sette - e una orizzontale - dal sette al quattordici. Un altro autore a cui forse si fa riferimento è Daniele - libro III - , dove la lode dei personaggi viene elevata dopo essere stati salvati da un incendio all’interno di una fornace.
Le ultime strofe sono quelle a carattere più autobiografico. Si dice che San Francesco fosse stato spinto a scrivere le parole sul perdono a causa di una contesa in atto tra il podestà e il vescovo di Assisi. Il termine ‘perdono’ viene dal verbo latino donare con il prefisso intensivo per , quasi a sottolineare la gratuità del gesto.
Infine viene la strofa sulla morte. Qui si può fare un parallelo tra il cantico e il capitolo XX dell’Apocalisse, dove si distingue tra la morte corporale e la seconda, di cui parla anche Dante nel I canto dell’Inferno (Inf I, 112) “li antichi spiriti dolenti,/ che la seconda morte ciascun grida…” .
Come ci raccontano i biografi di San Francesco, Tommaso da Celano e Bonaventura da Bagnoregio, il santo aveva paura della morte, ma evidentemente era momento molto importante nell’ottica di un cristiano medioevale. Un’altra informazione ci è nota attraverso le fonti biografiche, San Francesco espresse in punto di morte il desiderio di essere posto nudo, sulla nuda terra. Coerente con una vita vissuta nella povertà, c’è l’estremo rifiuto di ogni possesso, secondo le idee pericolose che avevano messo in crisi l’intera gerarchia ecclesiastica dell’epoca.
Non ci sono dubbi sul fatto che San Francesco fosse una persona straordinaria. Nel 1222 tenne un discorso a Bologna, in piazza del podestà e Tommaso da Spalato, allora studente di diritto, ci ha lasciato testimonianza della sua capacità di mettersi a livello dell’uditorio, senza predicare.
Monsignor Catti ci ha suggerito diversi elementi della tradizione ebraica presenti nel testo. Alcuni studiosi hanno ipotizzato l’origine ebraica della famiglia di San Francesco; inoltre, il padre era un ricco mercante di stoffe e la comunità ebraica di Assisi in difficoltà non esitò a rivolgersi a lui. Certo è che nel cantico delle creature non c’è traccia di Gesù, come sottolinea Vincenzo Fano. Dio diventa l’Unico e, come nel cantico dei cantici, l’amata.
Quello che è importante mettere in luce è che non c’è un creato volto a dimostrare l’esistenza di Dio a posteriori, come in San Tommaso. Il creato è piuttosto il simbolo del patto, di derivazione ebraica, tra Dio e la creatura che loda il Signore per essere quello che è. Vi è, per intenderci, un Dio che, come nella parabola del vasaio, modella le creature nel loro farsi, nel loro dispiegarsi secondo lo loro possibilità ed esse non possono fare altro che lodarlo.
Andrea Severi vede nel cantico un atteggiamento antitetico a quello di Jacopone da Todi: San Francesco loda Dio attraverso le cose, disperdendosi in esse, mentre il primo ne ha già disprezzo, secondo la mentalità ascetica del contemptus mundi . Sono due modi di cercare Dio antitetici. Ma forse anche quel suono che Pascoli cerca di identificare con l’onomatopea nella tensione della ricerca formale, è un qualcosa di divino. Anche il non credente ricerca Dio attraverso i sensi, nella dimensione poetica si avventa sulle cose come per possederle.
Paolo Bollini ci fornisce qualche nota ulteriore: scrivere una lauda costituisce già di per sé un gesto rivoluzionario e questo testo possiede un controllo formale straordinario. Come nella sacra rappresentazione c’è la gerarchia dei sensi di impianto agostiniano che si ritrova anche nelle enciclopedie medioevali. Ci sono ardite sinestesie. C’è quella spinta verticale che fa convergere ciò che si dice con ciò che si è, come in Dante. Tutto ciò è letteratura.
Eros Drusiani ci vuole far partecipi di una sua interpretazione: è possibile che la strofa dedicata alle stelle, che si differenziano da tutti gli altri elementi per non essere cose utili alla vita siano un’allegoria dell’arte? – pensiero di un adolescente capellone con sogni da rockstar…-
Sandro Degli Esposti osserva invece un testo che dà l’idea di un’ ordine del mondo. L’interrogativo è: se questo ordine viene meno, cosa succede? Sono mondi diversi a scontrarsi e a non riuscire a incontrarsi…Ma forse San Francesco non pare difensore di una cosmologia.