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Incesto - Anais Nin





lunedì 19 dicembre 2011 legge Cristina Zavalloni
Nel 2010 ho debuttato nel ruolo di Anaïs Nin nell’opera omonima dell’olandese Louis Andriessen. Un pomeriggio di diversi anni prima, accompagnandomi in macchina all’aeroporto di Amsterdam, Andriessen mi chiese: “vorrei trattare un soggetto scabroso e che la protagonista fossi tu ma prima dimmi: te la senti di affrontare in scena il tema dell’incesto?”. Ho risposto subito di sì: non c’è nulla che consideri tabù, rifiuto solo la volgarità ma conoscevo Andriessen già abbastanza bene per sapere che se ne sarebbe tenuto alla larga. La notizia dell’opera è stata accolta nel mondo musicale con prevenzione: perchè scegliere proprio la Nin, scrittrice franco-americana dal dubbio talento letterario, distintasi perlopiù per racconti erotici e amanti altisonanti?

Lavorando a lungo insieme al compositore e immergendomi nella lettura integrale del testo da cui è tratto il libretto, ho capito che la Nin aveva fornito coi sui diari un contributo di rara onestà intellettuale ed un ottimo pretesto per il lavoro di Andriessen: ciò che ero chiamata a mettere in scena era infatti il dramma della solitudine. Dar vita a questo personaggio femminile mi ha costretta a sospendere il giudizio sulla persona e sull’artista e mi ha portato ad immedesimazioni anche dolorose, per via dell’eterno filo sottile tra arte e finzione.

Desidero proporvi stralci dal diario di Anaïs e condividere alcune riflessioni con cui mi son dovuta confrontare lavorando a quest’opera.



Estratti da Incesto di Anaïs Nin, editore Bompiani, trad. di Francesco Saba Sardi. Titolo originale ‘Incest – The Unexpurgated Diariy of Anaïs Nin 1932-1934’
(NOTE: Henry è Henry Miller, scrittore – June è June Miller, la moglie di Henry Miller - Hugh è il marito della Nin - Padre è Joaquin Nin, musicista, padre della Nin – Maruca è la compagna di Joaquin Nin - Rank è Otto Rank, psicanalista austriaco)


 Pg 87: “ Anche se possiedo tutto – amore, devozione, un matrimonio, Henry, Hugh, Allendy – continuo a sentirmi posseduta da un gran demone di inquietudine che mi sospinge avanti e indietro. Io corro, causo sofferenze, nessuno riesce a incatenarmi, sono una forza, e ogni giorno mi sento spronata, sospinta. Copro pagine e pagine della mia febbre, di questa sovrabbondanza di estasi, e ancora non basta. Ho Henry e sono ancora affamata, ancora protesa alla ricerca, ancora in movimento – non riesco a fermarmi. (…) Solo Henry subodora il mostro, perchè  anche lui ne è posseduto. Anch’io lascerò una cicatrice sul mondo.”


Pg 26: “Lo scrittore è il duellante che mai si batte all’ora  stabilita, che raccoglie l’insulto come un’altra curiosità, che poi lo spalanca sulla propria scrivania e quindi combatte, da solo. Alcuni la chiamano debolezza. Io lo chiamo il differire. Quella che in un uomo è una debolezza, è la gloria di un artista, la sua qualità. Quello che riverso in discorsi o atti raramente viene reso nello scritto. Quello che è conservato, collezionato, è ciò che in seguito esplode, nella propizia solitudine. Questa è la ragione per cui l’artista è l’uomo più solo al mondo: perchè vive, combatte, va alla guerra, muore, rinasce solo, e sempre solo.”


Pg 47: “Che cosa mi ha fatto June perchè io adesso la odi? E’ una di quelle che chiedono così clamorosamente che il mondo intero ne è assordato e accecato. Io, al contrario, scrivo in silenzio – forse un altro modo di chiedere? Il mondo intero piangerà e mi amerà quando vedrà che i miei olimpici abbandoni di amori equivalgono al mio nascondere una grande sconfitta umana.”


Pg 58: “Il mio corpo è a pezzi – sempre un tantino sconfitto. Notte febrile, fatica, ma tutto ciò che faccio è portare con me le mie gioie a letto. Dove il calore del caminetto, la borsa dell’acqua calda, la trapunta mi ridanno vita sufficiente almeno a permettermi di raccontare la mia storia. Va tutto bene. Ma se dovessi mettermi a letto senza confidenze! Che peso sarebbe. Così tremo di freddo tutto il giorno (Henry, mio amato Henry, devo procurargli un cappotto per l’inverno), e mi sono portata ben strette a me le mie estasi, da conservare a goccia a goccia. Parola per parola nel diario.”


Pg 193: “Pensieri troppo convulsi,…rimuginii. Aspetto mio padre con profonda gioia e impazienza. Il mio doppio. Quali scorciatoie non avrei trovato insieme a lui. Eppure è una gioia anche confrontarci tra noi già creati, già anziani. Sebbene lui e io non ci cristallizzeremo mai. Sempre in movimento.

Domani, domani ha inizio un altro romanzo d’amore!”


Pg 171: “ Quando parlo, sento di mentire impercettibilmente allo scopo di mascherare me stessa. Indosso costumi. (…) Le menzogne sembrano qualcosa come un costume, piccole bugie, perlopiù deviazioni, perchè temo di non essere compresa e ho paura del dolore. E poi, quello che non dico, lo riverso nel diario. Me la prendo perchè la gente non comprende, ed è colpa mia. La verità è che degli esseri umani affronto solo frammenti. Henry, al quale è riservata la parte maggiore, Hugh, Allendy, Joachin, papa. Ho sempre trovato necessaria la mensonge vital – l’unica bugia che mi separa da ogni altra persona. Solo papà avrà tutto, come l’ha il diario?”

Pg 194: “Primo giorno della Storia di Papà. Re Padre arriva dopo aver vinto una lombaggine paralizzante. Pallido. Sofferente. Impaziente di arrivare. Appare freddo e formale (…) Nasconde i suoi sentimenti. Il suo viso è una maschera. Ci accingiamo subito a una passeggiata.(…). Si è messo a parlare delle sue faccende amorose come faccio io, mescolando piacere e creatività, interessato alla creazione di un essere umano tramite l’amore. Giocando con le anime. Io l’osservavo, studiavo il suo volto. Sapevo che mi diceva la verità, che mi parlava come io parlo al mio diario. Che mi dava se stesso. (…) Sera. In camera sua. Mi racconta della sua vita con mamma. E’ una rivelazione, so che tutto è vero perchè riconosco quei tratti di mamma che avevano reso possible una vita del genere. Sono profondamente colpita. In primo luogo perchè è strano scoprire la vita sessuale dei propri genitori – della propria madre. In secondo luogo perchè la mamma mi era sembrata una puritana…sempre: così riservata, così poco partecipe, così ritrosa circa il sesso. Ora invece scoprivo una guerriera. (…) Papà che tentava di salire in alto come artista; mamma il ragno, vorace, bestiale, non voluttuosa, istintiva, prosaica. Distruttrice di illusioni. Scarmigliata, sudicia, senza civetteria nè gusto. Capace di togliersi la parrucca al cospetto di papa, di ciondolare in vestaglia. Terribile elenco di crudeli particolari. Puzza di sudore, forte odore di sesso non lavato. Queste cose torturavano mio padre, l’aristocratico, oltretutto condannato ad avere un senso dell’odorato eccessivo – una passione per I profumi, le raffinatezze.(…) E poi vorace, sessualmente eccitata, esasperata dagli ardori di papa (e qualle notte ho scoperto il suo ardore, che avevo avvertito). (…) A impedirgli di abbandonare mia madre erano i figli. Papà ha un forte senso spagnolo del clan, un sentimento di paternità, di sacralità della famiglia. (…) Quando l’ho lasciato, l’ho baciato in maniera filiale. All’improvviso ha chinato il capo e mi ha baciata sul collo.(…) Il mattino dopo, non era in grado di alzarsi dal letto. Era in preda alla disperazione. Gli ho creato intorno un’atmosfera di gaiezza e di tenerezza.alla fine, mentre lui mi parlava, gli ho disfatto I bagagli. E ha continuato la storia della sua vita. Ci hanno portato da mangiare nella stanza. Io indossavo la mia sottoveste di satin. Le ore passavano rapide. Anch’io parlavo..(…) Per un istante è parso non ascoltare, poi però ha detto “Tu sei la sintesi di tutte le donne che ho amate”. Mi osserva continuamente.(…) Sono rimasta tutto il giorno ai piedi del suo letto. Lui mi accarezzava il piede.

Poi ha chiesto “Credi nei sogni?”. “Sì”. “Ho fatto un sogno su di te che mi ha spaventato”. “Anch’io ho sognato te”. “Non ti sento come mia figlia” “E io non ti sento come mio padre”. “Che tragedia. Che fare? Ho incontrato la donna della mia vita, l’ideale, ed è mia figlia. Sono inamorato di mia figlia!” “Tutto ciò che senti, lo sento anch’io”. A ognuna di queste frasi faceva seguito un lungo silenzio. Un silenzio pesante. Non ci muovevamo nemmeno. (…) Papà mi ha chiesto di andargli più vicino. Era disteso sul dorso e non poteva muoversi. (…) Ci siamo baciati e quel bacio ha scatenato un’onda di desiderio.(…) Quando la sua mano mi ha accarezzato – oh, la sapienza di quelle carezze – mi sono sciolta. (…) Con una strana violenza, ho sollevato la sottoveste e mi sono messa sopra di lui. “Toi, Anaïs! Je n’ai plus de Dieu!” (…)Il mio cedere è stato immenso, con il mio intero essere.”


Pg 258: “Mi sento infernalmente sola. Ciò di cui ho bisogno è qualcuno in grado di darmi quello che do ad Henry: questa costante sollecitudine. Leggo ogni pagina che lui scrive, seguo le sue letture, rispondo alle sue lettere, lo sto ad ascoltare, ricordo tutto ciò che dice, scrivo di lui, gli faccio regali, lo proteggo, sono pronta in ogni istante a rinunciare a chiunque per lui, seguo i suoi pensieri, entro nei suoi panni – appassionata, materna, intellettuale vigilanza. Lui, lui questo non può farlo. Nessuno può farlo. Nessuno sa come farlo. E’ un’arte, un dono. (…) Henry non coglie tutti i miei umori nè scrive di me. Papà non è in grado di entrare nella mia opera. Può darmi solo sollecitudine – come una donna. Me la dà a brandelli, incompleta, insufficiente, tentennante. E io mi sento sola, e devo rivolgermi al mio diario per darmi il tipo di risposta di cui ho bisogno. Devo nutrire me stessa. Ricevo amore, ma l’amore non è abbastanza. La gente non sa come amare.”


Pg 298: “Ho vinto la battaglia solo per me stessa. Parto conclusivo. Nascita di una differenza tra mio padre e me, e dunque nascita della mia individualità isolata. Papà mi ha delusa. (…) Anche Henry è totalmente insipido. Nulla da costruire. Non c’è luogo, non c’è nessun luogo in cui io possa costruire un forte, robusto rapporto umano. Hnery è un vagabondo, non un marito. Impossibile costruire con lui. E’ “infido fino al midollo “, deve esserlo. E pertanto - il diario – l’io – la solitudine – l’unicità. Al diavolo i rapporti umani. Scrivendo il mio romanzo mi rallegro all’idea che ci sia una via di scampo da tutti loro. Scampo. Fuga.


Pg 309: “Ho attirato le maledizioni degli dei. (…) Ho scoperto che porto nell’utero il seme del figlio di Henry. Sono rimasta incinta cinque o sei settimane fa. L’ho scoperto in maniera inequivocabile due giorni fa. So che è figlio di Henry, non di Hugh, e devo distruggerlo. Ho provato il più tremendo miscuglio di emozioni (…) Mi sono immaginata questo piccolo Henry, l’ho desiderato, l’ho rifiutato, l’ho confrontato con l’amore. Mi sono sentita triste, euforica, ferita, sbalordita. Ho osservato la trasformazione del mio corpo. Ho desiderato la serenità, senza la quale un bambino non può nascere. Adesso, in questo momento critico della mia vita, non posso averlo. Henry non lo vuole. Non posso dare a Hugh un figlio di Henry. Henry ed io non siamo riusciti a produrre opere d’arte, ed ecco che creaimo un figlio. (…) Sono sgomenta e tutte le diavolerie e le passioni sono messe a tacere.Non più la vergine, l’artista sterile, l’amante, la donna diabolica umana solo a metà, bensì la donna completamente sbocciata. Che deve essere uccisa. Nella mia immaginzaione, ho vissuto la maternità. Maternità, significa ancora una volta solitudine, dare, proteggere, servire, arrendersi. No. No. No.”


Pg 352: “ Domenica sera. Alle otto mi hanno portata in sala operatoria. Giacevo distesa su un tavolo. Non potevo appoggiare le gambe. Dovevo tenerle alzate. Due infermiere erano chine su di me. Davanti a me stava il medico tedesco con una faccia da donna e gli occhi che gli uscivano dale orbite per l’ira e per la paura. Per due ore avevo compiuto violenti sforzi. Il bambino dentro di me aveva sei mesi, eppure era troppo grosso per me. Ero esausta; i vasi sanguigni dentro di me si gonfiavano per la tensione. Avevo spinto con tutto il mio essere. Avevo spinto come se volessi che quel figlio uscisse dal mio corpo, per essere scaraventato in un altro mondo. “Spinga, spinga con tutte le sue forze!” Forse che spingevo davvero con tutte le mie forze? Porprio con tutte? No. Una parte di me non voleva espellere il bambino. Il medico lo sapeva e per questo era arrabbiato, segretamente arrabbiato. Sapeva. (…) C’era un ronzio nelle mie orecchie, un battito come se i timpani fossero scoppiati. Serrai le labbra così strettamente da farle sanguinare. Mi sentivo le gambe enormemente pesanti, come colonne di marmo, immense colonne di marmo che mi schiacciavano il corpo. Pregavo che qualcuno le reggesse. L’infermiera mi premette il ginocchio sul ventre e gridò: “Spinga! Spinga! Spinga!” Il sudore mi pioveva addosso. Il medico camminava su e giù rabbioso e impaziente “Durerà tutta la notte. Adesso sono le tre” La testa era venuta fuori, ma io ero svenuta. Tutto era diventato blu, poi nero. Avevo l’impressione che gli strumenti rilucessero davanti ai miei occhi serrati, che delle lame mi penetrassero nelle orecchie. Gelo e silenzio.(…) Queste gambe che ho aperto alla gioia, questo miele che usciva fluendo nella gioia – adesso le gambe sono contorte nel dolore e il miele fluisce col sangue. La stessa posizione e lo stesso umidore della passione, ma questo è morire, non amare. (…) Mi rimetto supina, perfettamente tranquilla. (…) Delicatamente tamburello, tamburello, tamburello, tamburello. Sento l’utero che si muove, si dilata. Le mie mani sono così stanche, tanto stanche; finiranno per cadermi. L’utero si muove, si dilata. “Sono pronta!”. L’infermiera mette il ginocchio sul mio ventre. C’è sangue nei miei occhi, sangue. Un tunnel. Spingo in quella galleria, mi mordo le labbra e spingo. C’è fuoco, carne che si squarcia, e non c’è aria. Fuori dal tunnel! Tutto il mio sangue si sta riversando. “Spinga! Spinga! Sta venendo!” Sento la scivolosità, l’improvvisa liberazione; il peso se ne è andato. Buio.

Odo delle voci. Apro gli occhi. Li sento dire: “Era una bambina. Meglio non mostrargliela.” Le forze stanno ritornandomi. Mi metto a sedere. “Mi mostri la bambina!” “Non gliela mostri” dice l’infermiera al medico. “Le farà male”. Le infermiere tentano di farmi restare distesa. Il cuore mi batte così forte che a stento mi odo ripetere: “Mostratemela!”. Il medico la solleva. E’ scura e piccola, sembra un essere umano in miniatura. Ma è una bambina. Ha lunghe ciglia sugli occhi chiusi; è fatta perfettamente . Era come una bambola, o come una vecchia indiana in miniatura. Lunga circa trenta centimetri. (…)La bambina era morta: strangolata, forse, o uccisa dagli interventi operatori. Ancora un giorno, e il gonfiore che aveva nella testa avrebbe infettato anche me. Sarei morta. Mentre guardavo la piccola indiana, per un istante l’ho odiata per tutto il dolore che mi aveva procurato, e perchè era una bambina e io avevo immaginato che fosse un bambino. (…) Io amo l’uomo come amante e creatore. Non mi fido dell’uomo come padre. Non credo nell’uomo come padre. Non mi fido dell’uomo in quanto padre. Resto accanto all’uomo amante e creatore. Con lui sento che esiste un’alleanza. Nell’uomo padre sento un nemico, un pericolo.(…) Sonno. Toeletta mattutina. Profumo. Cipria. Il volto perfetto. Lo constato nel lungo specchio egiziano da borsetta che Hugh mi ha regalato, accompagnandolo con una poesia. La giaccia di seta rosa che ha comperato per me quando ho chiesto di avere un abito attraente per andare in ospedale. (…) E’ venuto il medico, mi ha visitata, non poteva credere ai suoi occhi. Ero intatta, come se nulla fosse accaduto. Potevo lasciare la clinica. Era una dolce giornata estiva. Camminavo gioiosa perchè ero sfuggita alla grande bocca del mostro.


Pg 250: Domenica sera. “Sarebbe tutto da ridere se papà ed io fossimo sposati. Lui non potrebbe ingannarmi, nè io lui! Ma avremmo tutti e due un’aria tanto innocente e non so quali menzogne resterebbero ancora da inventare! Lui rincaserebbe e mi direbbe, come ha detto una volta a Maruca quando gli ha chiesto dov’era stato: ‘Ovvio, tra le braccia di una bella bionda.’ E Maruca ha riso, senza credergli, mentre io riconoscerei, nella sua, una di quelle mie allegre confessioni che nessuno prende sul serio. (…) Sia lui sia io siamo sempre desiderosi di mettere fine alle nostre carriere amorose – una fine ideale – un sogno di fedeltà! Ma è solo fumo. Chi di noi due ammetterà per primo la verità? Ci vuole tanto coraggio per ammettere verità del genere, perchè si temono ritorsioni! Non appena si diventa forti, bisogna accettarne le conseguenze. I coraggiosi, i forti, non sono mai oggetto di compassione. La gente dà loro addosso. Oggi sono più forte e quindi sarò trattata meno con i guanti.”


Pg 376: “Dopo Rank vivrò solo per gli altri, questa è la mia gioia. (…) Se abbandono la vita, sarà solo per mio volere, in quanto non contiene l’assoluto. Ma quanto amo ancora il relativo, la banalità e il calore di un fuoco, e una bella raccolta di orecchini, e Haydn ascoltato con il fonografo, e le risate di Eduardo, e le battute su Mae West, e il nuovo completo di lana near con maniche enormi e scollatura sensuale dalla gola ai seni, e il braccialetto e la collana di pietre azzurre, incastonati di stele, e la nuova biancheria, e la nuova vestaglia di velluto nero e il cassetto pieno di copie di Tropico del Cancro con la mia prefazione, e l’ultima lettera di Rank, e il telefono che squilla tutto il giorno, e la voce sensuale di Turner che chiede, e il breve aborto di Emilia, che è durato due ore e che non vorrei aver barattato con la mia stupenda avventura.

Amore.

E l’abate Alterman che afferma: “Vous êtes une ame très disputèe”.