Percy Bysshe Shelley (1792 - 1822) compone la Difesa della poesia nel febbraio - marzo 1821, un anno prima di morire. Risponde all’attacco che nel 1820 un noto intellettuale inglese, T. L. Peacock, aveva rivolto alla poesia contemporanea proclamandone la decadenza e la regressione. Shelley, insieme a Byron, suo grande amico e marito di Mary Shelley, autrice di Frankenstein, rappresenta la poesia romantica inglese nella sua dimensione visionaria, profetica e di impegno civile ed etico, ben diversa dall’altro filone di poesia romantica più intima e sentimentale. In questa opera Shelley tratta la poesia nella sua essenza trascendentale, nei suoi effetti sociali storicamente formativi e perfino rivoluzionari. Al poeta preme sottolineare lo straordinario contributo dell’immaginazione al possibile sviluppo dell’Inghilterra e del mondo come antidoto alle pratiche più corrive soggette al senso comune dell’utilitarismo meccanicistico.
P. B. Shelley, Difesa della poesia, edizione bilingue, a cura di Angiola Mazzola, Milano, Rusconi 1999
L’abolizione della schiavitù personale è la base della più nobile speranza politica che possa essere concepita da mente umana. La libertà delle donne produsse la poesia dell’amore sessuale; l’amore divenne una religione, e gli idoli del suo culto erano sempre presenti. Fu come se le statue d’Apollo e delle Muse avessero ricevuto vita e movimento e si muovessero tra i loro adoratori; cosicché la terra si popolò degli abitanti di un mondo più divino. L’aspetto consueto della vita e il suo procedere divenne meraviglioso e celestiale, e fu creato un paradiso dalle rovine dell’Eden. E dal momento che questa creazione stessa è poesia, così i suoi creatori furono i poeti; e la lingua fu lo strumento della loro arte: “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse”.
[Petrarca e Dante] I trovatori provenzali, o inventori, precedettero Petrarca, i cui versi sono come incanti che disvelano le più riposte e ammalianti fonti del piacere che si trova nel dolore d’amore. E’ impossibile ascoltarli senza diventare parte di quella bellezza che contempliamo; sarebbe superfluo spiegare come la gentilezza e l’elevazione della mente collegate a queste sacre emozioni possano rendere gli uomini più amabili, più generosi e saggi, e possano sollevarli dagli opachi vapori di un piccolo mondo egoistico. Dante comprese anche più di Petrarca i segreti d’amore. La sua Vita Nuova è un’inesauribile sorgente di purezza di sentimento e di lingua; essa è la storia idealizzata di quel periodo e dei momenti della sua vita che furono dedicati all’amore. L’apoteosi di Beatrice in Paradiso e lo sviluppo graduale dell’amore di lui e dell’avvenenza di lei, per mezzo della quale, come per gradi, egli finge di aver raggiunto il trono della Causa Suprema, sono le creazioni più gloriose della poesia moderna. I critici più acuti hanno correttamente ribaltato il giudizio comune, e l’ordine dei grandi atti della Divina Commedia nella misura dell’ammirazione che hanno per l’Inferno, il Purgatorio, il Paradiso. Quest’ultimo è un inno eterno di amore perenne.
[La poesia moderna e Milton] L’amore, che tra gli antichi ha trovato solo in Platone un poeta degno, è stato celebrato da una schiera di scrittori eccelsi del nuovo mondo; e la musica è penetrata profondamente nella società e la sua eco sommerge ancora la dissonanza delle armi e della superstizione. Ad intervalli successivi, Ariosto, Tasso, Shakespeare, Spenser, Calderón, Rousseau e i grandi scrittori del nostro tempo, hanno celebrato il dominio dell’amore, come trasmettendo alla mente umana immagini di quella sublime vittoria sulla sensualità e sulla forza. Il vero rapporto tra i due sessi in cui è suddiviso il genere umano è divenuto più chiaro; e se l’errore che ha confuso la diversità con la diseguaglianza dei poteri dei due sessi è stato in parte riconosciuto nelle opinioni e nelle istituzioni dell’Europa moderna, dobbiamo questo grande beneficio a quel culto del quale la cavalleria era la legge e i poeti i profeti. La poesia di Dante può essere considerata come il ponte gettato sulla corrente del tempo che collega il mondo antico con quello moderno. Le nozioni delle cose invisibili che Dante e il suo rivale Milton hanno idealizzato sono semplicemente la maschera e il mantello che avvolgono e nascondono questi grandi poeti nel loro cammino attraverso l’eternità. E’ difficile stabilire quanto fossero consapevoli della distinzione che doveva esserci nella loro mente tra le loro convinzioni e quelle della gente. Quanto meno sembra che Dante voglia rimarcarla, dal momento che pone Rifeo, che Virgilio chiama iustissimus unus, in Paradiso, e asseconda il più eretico capriccio nel distribuire premi e punizioni. E il poema di Milton contiene in sé una confutazione filosofica di quel sistema di cui, per una strana ma naturale antitesi, è stato un sostegno popolare fondamentale. L’energia e la magnificenza del personaggio di Satana nel Paradiso perduto sono insuperabili. E’ un errore supporre che esso possa essere stato concepito come la personificazione popolare del male. Il male consiste nell’odio implacabile, nell’astuzia paziente e nel trovare incessantemente raffinati mezzi per infliggere la massima angoscia al nemico; e, anche se esso è veniale in uno schiavo, non è perdonabile in un tiranno; e se nello schiavo esso viene redento da ciò che rende nobile la sua sconfitta, nel vincitore è segnato da ciò che disonora la sua conquista. Il Demonio di Milton come essere morale è tanto più grande del suo Dio quanto colui che persevera nel proposito che ritiene buono nonostante l’avversità e la tortura è più grande di colui che nella fredda sicurezza dell’indiscusso trionfo attua la più orribile vendetta sul suo nemico, non con l’errata idea di indurlo a pentirsi per il suo perseverare nell’inimicizia, ma con il dichiarato proposito di esasperarlo per fargli meritare nuovi tormenti. Milton ha violato la credenza popolare (se questa si può giudicare una violazione) tanto da sostenere che non vi è superiorità morale del suo Dio sul suo Demonio. E questo coraggioso abbandono di un esplicito intento morale è la prova più decisiva della superiorità del genio di Milton. Egli mescolò gli elementi della natura umana come colori su una sola tavolozza e li combinò nella composizione del suo grande quadro, seguendo le leggi della verità epica; cioè seguendo le leggi del principio secondo il quale una serie di azioni dell’universo esterno e di esseri intelligenti ed etici è fatta per suscitare la solidarietà delle generazioni successive dell’umanità. La Divina Commedia e il Paradiso perduto hanno dato alla mitologia moderna una forma sistematica; e quando i cambiamenti e il tempo avranno aggiunto un’ulteriore superstizione a tutte quelle che sono sorte e tramontate sulla terra, saranno chiamati dotti critici a spiegare la religione dell’Europa antica, non completamente dimenticata solo perché vi sarà stata impressa l’eternità del genio. Omero fu il primo poeta epico e Dante il secondo; cioè il secondo poeta le cui opere ebbero una relazione definita e intelligibile con il sapere, il sentimento, la religione e le condizioni politiche dell’epoca in cui visse, e delle epoche successive, progredendo in corrispondenza del loro sviluppo. Infatti Lucrezio aveva sporcato le ali del suo spirito veloce nella feccia del mondo sensibile; e Virgilio, con una modestia che non si accordava col suo genio, aveva ostentato fama di imitatore, anche quando ricreava ciò che copiava; e i numerosi imitatori, anche se le loro note erano dolci, cioè Apollonio Rodio, Quinto Calabro Smirneo, Nonno, Lucano, Stazio, Claudiano, non sono riusciti a soddisfare neanche una sola condizione della verità epica. Milton fu il terzo poeta epico. Poiché se il titolo di epica nel senso più alto non viene attribuito all’Eneide, ancora meno può essere concesso all’Orlando furioso, alla Gerusalemme liberata, ai Lusiadi, alla Regina delle Fate. Dante e Milton furono profondamente influenzati dall’antica religione del mondo civile, e lo spirito di essa è presente nella loro poesia probabilmente nella stessa proporzione in cui le sue forme sono sopravvissute nel culto non riformato dell’Europa moderna. Il primo precedette e il secondo seguì la Riforma con un intervallo quasi eguale; Dante fu il primo riformatore religioso, e Lutero lo superò più in asprezza e acrimonia che nelle audaci condanne delle usurpazioni papali. Dante fu il primo a risvegliare l’Europa assopita; creò una lingua musicale e persuasiva da un caos di disarmonica barbarie. Egli fu l’aggregatore di quei grandi spiriti che presiedettero alla rinascita del sapere, il Lucifero di quello stormo stellare che nel tredicesimo secolo brillò nell’Italia repubblicana, come nel cielo, illuminando l’oscurità del mondo ottenebrato. Le sue stesse parole sono permeate di spirito; ognuna è come una scintilla, un atomo infuocato di pensiero inesauribile; e molte ancora restano coperte sotto le ceneri della loro nascita, e intrise di un fulmine che non ha ancora trovato chi lo conduce. Tutta la grande poesia è infinita, è come la prima ghianda che conteneva potenzialmente tutte le querce. Si può togliere velo dopo velo senza mai scoprire la più intima nuda bellezza del significato. Un grande poema è una fonte che effonde per sempre le acque del giudizio e del diletto; e dopo che una persona ed un’età hanno esaurito tutto il divino efflusso che le relazioni particolari mettono loro in grado di condividere, ne vengono altre, e si sviluppano sempre nuove relazioni, sorgente di diletto imprevisto e impensato. L’età che seguì immediatamente quella di Dante, Petrarca e Boccaccio, fu caratterizzata da una rinascita della pittura, della scultura, della musica, dell’architettura. Chaucer colse la sacra ispirazione, e la sovrastruttura della letteratura inglese si fonda su materiali di provenienza italiana. Ma non trasformiamo una difesa in una storia critica della poesia e della sua influenza sulla società. Ci basti aver evidenziato l’influsso dei poeti, nel senso ampio e vero della parola, sul loro tempo e su quelli successivi, e rinviare agli esempi parziali citati come illustrazione di un’opinione contraria a quella sostenuta dall’autore di Le quattro età della poesia.
[Essenza della poesia e sua difesa] Ma per un altro motivo i poeti sono stati sfidati a consegnare la corona civica ai pensatori razionalisti e meccanicisti. Viene ammesso che l’esercizio dell’immaginazione sia molto piacevole, ma viene asserito che quello della ragione sia più utile. Esaminiamo come base di questa distinzione che cosa si intende qui per utilità.
[Utilità e piacere] Il piacere o il bene, in senso generale, è quello che viene cercato da un essere sensibile, consapevole e intelligente, che non lo abbandona dopo averlo trovato. Ci sono due generi di piacere, uno duraturo, universale e permanente; l’altro passeggero e particolare. L’utilità può esprimere il mezzo per produrre sia l’uno che l’altro. Nel primo senso, è utile tutto ciò che rafforza e purifica gli affetti allarga l’immaginazione, e aggiunge spirito al senso. Ma il significato che l’autore di Le quattro età della poesia sembra aver dato alla parola utilità è quello più ristretto di bandire la sgradita intempestività dei bisogni della nostra natura animale, di dare agli uomini la sicurezza della vita, di allontanare le delusioni più grossolane della superstizione e di conciliare il grado di mutua tolleranza tra gli uomini con i motivi del vantaggio personale. Indubbiamente i promotori dell’utilità nel senso ristretto hanno un preciso ruolo nella società. Essi seguono le orme dei poeti e copiano gli abbozzi delle loro creazioni nel libro della vita comune. Fanno spazio e danno tempo. I loro sforzi sono di grande valore sino a quando confinano ciò che concerne le forze inferiori della nostra natura entro i limiti dovuti a quelle superiori. Ma, mentre gli scettici distruggono le superstizioni grossolane, evitiamo che deturpino, come hanno fatto alcuni degli scrittori francesi, le eterne verità impresse nell’immaginazione degli uomini. Quando i meccanici riducono il lavoro e gli economisti politici lo organizzano, facciano attenzione che le loro speculazioni, per mancanza di corrispondenza con i principi basilari dell’immaginazione, non tendano ad esasperare contemporaneamente gli estremi del lusso e del bisogno, come è successo nell’Inghilterra moderna. Essi hanno esemplificato il detto: “Sarà dato di più a colui che ha, e sarà tolto il poco che ha a colui che non ha”. I ricchi sono divenuti più ricchi, e i poveri più poveri; e il vascello dello stato è portato tra Scilla e Cariddi dall’anarchia e dal dispotismo. Questi sono gli effetti che scaturiscono obbligatoriamente da un esercizio incontrollato della facoltà calcolatrice. E’ difficile definire il piacere nel senso più alto, poiché la definizione comprende un numero di paradossi apparenti; infatti, per un inspiegabile difetto di armonia nella costituzione della natura umana, il dolore delle parti più basse del nostro essere è spesso collegato al piacere di quelle più alte. Il dolore, il terrore, l’angoscia, la stessa disperazione spesso sono le espressioni scelte per avvicinarsi al massimo bene. La nostra simpatia per la tragedia dipende da questo principio: la tragedia diletta concedendo un’ombra del piacere che esiste nel dolore. Questa è anche la sorgente della malinconia che è inseparabile dalla melodia più dolce. Il piacere che si trova nel dolore è più dolce del piacere dato dal piacere stesso. Da qui il detto: “E’ meglio andare nella casa del dolore che nella casa dell’allegria”. Questo sommo genere di piacere non è tuttavia necessariamente legato al dolore. Il diletto dell’amore e dell’amicizia, l’estasi dell’ammirazione della natura, la gioia della percezione e ancor più della creazione della poesia spesso sono del tutto puri. Vera utilità è la produzione e la garanzia del piacere in questo altissimo senso. I poeti o i filosofi poeti sono coloro che producono e preservano questo piacere.
[Contributi dei grandi uomini] Gli sforzi di Locke, Hume, Gibbon, Voltaire, Rousseau, e dei loro discepoli in favore dell’umanità oppressa e ingannata meritano la gratitudine del genere umano. Tuttavia è facile calcolare il grado di miglioramento morale e intellettuale che vi sarebbe stato nel mondo se essi non fossero mai vissuti, per un secolo o due si sarebbero dette altre sciocchezze; e forse altri uomini, donne e bambini sarebbero stati bruciati come eretici. Non saremmo qui a congratularci per l’abolizione dell’Inquisizione in Spagna. Ma è inimmaginabile pensare quale sarebbe stata la condizione morale del mondo se né Dante, né Petrarca, né Boccaccio, né Chaucer, né Shakespeare, né Calderón, né Bacone, né Milton fossero mai esistiti; se Raffaello e Michelangelo non fossero mai nati; se la poesia ebraica non fosse mai stata tradotta; se non ci fosse stata una rinascita dello studio della letteratura greca; se non fossero rimasti i monumenti della cultura antica; e se la poesia della religione del mondo antico si fosse esaurita insieme alla sua fede. Senza l’intervento di questi stimoli, la mente umana non avrebbe mai potuto inventare le scienze più comuni e non si sarebbe rivolto alle aberrazioni della società quel ragionamento analitico che ora si cerca di esaltare rispetto all’espressione diretta della stessa facoltà inventiva e creativa.
[Scienza e poesia] Abbiamo più saggezza morale, politica e storica di quella che siamo in grado di mettere in pratica; abbiamo più conoscenza scientifica ed economica di quella che può essere utilizzata per la corretta distribuzione del prodotto che essa moltiplica. In questi sistemi di pensiero la poesia viene nascosta dall’accumulo di fatti e di calcoli. Non mancano conoscenze di ciò che è più saggio e migliore nella morale, nel governo, nell’economia politica, o almeno, di ciò che è più saggio e migliore rispetto a ciò che gli uomini praticano o sopportano ora. Ma noi lasciamo che io non so sia al servizio di io vorrei come il povero gatto dell’adagio. Ci manca la facoltà creativa per dare immagine a ciò che sappiamo; ci manca l’impulso generoso per realizzare ciò che immaginiamo; ci manca la poesia della vita; i nostri calcoli hanno sorpassato il nostro pensiero; abbiamo mangiato più di quanto possiamo digerire. Lo studio delle scienze che hanno allargato i limiti dell’impero dell’uomo sul mondo esterno ha, per mancanza di capacità poetica, circoscritto in proporzione i limiti del mondo interno; e l’uomo, avendo reso schiavi gli elementi, rimane egli stesso schiavo. A che cosa se non all’esercizio delle arti meccaniche in maniera non proporzionata alla presenza della facoltà creativa, che è la base di tutta la conoscenza, si deve attribuire l’abuso delle invenzioni per ridurre e organizzare il lavoro sino alla esasperazione della diseguaglianza tra gli uomini? Da quale altra causa deriva il fatto che le scoperte che avrebbero dovuto alleggerirlo, hanno aggiunto un peso alla maledizione imposta ad Adamo? La poesia e il principio dell’io, la cui incarnazione visibile è il denaro, sono Dio e Mammona del mondo. La facoltà poetica ha una duplice funzione: una è quella di creare nuovi materiali di conoscenza, potere e piacere; l’altra di far sorgere nella mente il desiderio di riprodurli e organizzarli secondo un certo ritmo e ordine che possono essere chiamati il bello e il buono. L’esercizio della poesia non è mai così auspicabile come nei periodi in cui, per eccesso del principio egoistico e calcolatore, l’accumulo dei materiali della vita esterna supera la capacità di assimilarli alle leggi interne della natura umana. Il corpo allora è divenuto troppo pesante per ciò che lo anima.
[Esaltazione della poesia] La poesia è veramente qualcosa di divino. E’ al tempo stesso il centro e la circonferenza della conoscenza; comprende tutte le scienze e ad essa tutte le scienze debbono fare riferimento. Essa è al contempo la radice e il fiore di tutti gli altri sistemi di pensiero; è ciò da cui tutto scaturisce e ciò che adorna ogni cosa; se appassisce, nega il frutto e il seme, e priva il mondo arido della linfa e della germogliazione dell’albero della vita. Essa è la superficie perfetta e completa e il fiore delle cose; è come l’odore e il colore della rosa rispetto al tessuto degli elementi che la compongono, come la forma e lo splendore della bellezza non svanita rispetto ai segreti dell’anatomia e della corruzione. Cosa sarebbero la virtù, l’amore, il patriottismo, l’amicizia, quali sarebbero i paesaggi di questo splendido universo che abitiamo, quali sarebbero le nostre consolazioni da questa parte della tomba, e quali sarebbero le nostre aspirazioni al di là di essa, se la poesia non si innalzasse a portare luce e fuoco da quelle eterne regioni dove il calcolo delle ali di civetta non osa mai volare? La poesia non è coma la ragione, una capacità che si esercita secondo la determinazione della volontà; un uomo non può dire: “Io voglio comporre poesia”. Neanche il più grande poeta può dirlo; la mente nella fase creativa è come un carbone che si sta spegnendo, al quale qualche influenza invisibile, come un vento incostante, restituisce una luminosità passeggera; questo potere sorge dal di dentro come il colore di un fiore che svanisce e cambia appena si sviluppa, e le parti coscienti della nostra natura non possono predire né quando viene né quando va via. Sarebbe impossibile predire la grandezza dei risultati, se questa influenza potesse durare nella sua purezza e forza originarie; ma quando inizia la composizione, l’ispirazione è già in declino, e la poesia più gloriosa che sia mai stata comunicata al mondo è probabilmente solo una debole ombra della concezione originaria del poeta. Io chiedo ai più grandi poeti dei nostri giorni se non sia un errore asserire che i passi poetici più belli sono prodotti con fatica e studio. Il lavoro e l’indugio raccomandati dai critici possono essere giustamente interpretati come attenta osservazione dei momenti di ispirazione e attuazione di una connessione artificiale che riempia i vuoti tra un suggerimento e l’altro per mezzo di una rete di espressioni convenzionali – necessità imposta soltanto dai limiti della stessa facoltà poetica. Infatti Milton concepì il Paradiso perduto come un tutto prima di comporne le parti. Abbiamo la sua autorevole testimonianza che la Musa gli “dettò” la “canzone non premeditata”. E ciò sia di risposta a coloro che si rifanno alle 56 varianti del primo verso dell’Orlando furioso. Siffatte composizioni sono per la poesia ciò che il mosaico è per la pittura. L’istinto e l’intuizione della facoltà poetica sono ancora più evidenti nelle arti plastiche e pittoriche: le grandi statue e i grandi quadri crescono nelle mani dell’artista come il bambino nel ventre della madre; e la stessa mente che durante la composizione guida le mani non è in grado di rendersi conto dell’origine, delle gradazioni o dei mezzi del processo. La poesia registra i momenti migliori e più felici delle menti più felici e migliori. Ci rendiamo conto dell’apparire in noi di pensieri e sentimenti evanescenti, talvolta associati a luoghi o persone, talvolta riguardanti solo il nostro spirito; essi arrivano sempre imprevisti e vanno via senza richiesta, ma danno diletto ed elevano lo spirito al di là di ogni espressione; sicché anche nel desiderio e nel rimpianto che essi lasciano, non vi può essere che piacere, perché esso partecipa della natura del suo oggetto. E’ come se una natura più divina penetrasse nella nostra; ma le sue orme sono come quelle del vento sul mare, che la calma in arrivo cancella, e della quale rimangono solo tracce come sulla sabbia increspata del fondo. Queste condizioni di essere ed altre corrispondenti vengono sperimentate principalmente da chi ha la più delicata sensibilità e la più ampia immaginazione, e lo stato della mente da esse prodotto mal si concilia con ogni basso desiderio. L’entusiasmo per la virtù, l’amore, il patriottismo, l’amicizia è essenzialmente legato a tali emozioni; e finché queste durano, l’io appare com’è, un atomo rispetto all’universo. I poeti non solo sono soggetti a queste esperienze, in quanto spiriti raffinatissimi, ma sono in grado di colorare tutto ciò che compongono con i colori evanescenti di questo mondo etereo; una parola, un tratto nella rappresentazione di una scena o di una passione, toccherà la corda incantata e farà rivivere l’immagine sonnolenta, fredda e sepolta del passato in coloro che hanno sperimentato queste emozioni. Così la poesia rende immortale tutto ciò che vi è di più bello nel mondo; essa arresta le fuggevoli apparizioni che compaiono nelle lunazioni della vita e, rivestendole con il linguaggio o con la forma, le invia al genere umano, portando dolci notizie di gioia comune a coloro con i quali le loro sorelle abitano – abitano perché dalle caverne dello spirito in cui esse si trovano, l’espressione non ha sbocco verso l’universo delle cose. La poesia salva dal degrado le apparizioni della divinità nell’uomo. La poesia trasforma tutte le cose in bellezza; essa esalta la bellezza di ciò che è più bello e aggiunge bellezza a ciò che è più deforme; concilia gioia e orrore, dolore e piacere, eternità e cambiamento; sotto il suo giogo leggero amalgama tutto. Essa trasforma tutto ciò che tocca, e tutte le forme che si muovono entro lo splendore della sua presenza, grazie a una meravigliosa solidarietà, vengono incarnate nello spirito che essa respira; la sua segreta alchimia cambia in oro potabile le acque velenose che fluttuano dalla morte attraverso la vita; toglie la pellicola della familiarità dal mondo e scopre la nuda e sonnolenta bellezza che è lo spirito delle sue forme. Tutte le cose esistono perché sono percepite, almeno in relazione a colui che percepisce. “La mente è il luogo di se stessa, e in se stessa può rendere un Paradiso l’Inferno e un Inferno il Paradiso”. Ma la poesia sconfigge la maledizione che ci rende soggetti alla contingenza delle impressioni contrastanti. E sia che essa dispieghi la sua tenda adornata, sia che ritragga l’oscuro velo della vita dalla scena delle cose, essa crea comunque in noi un essere dentro il nostro essere. Ci fa abitanti di un mondo rispetto al quale il mondo quotidiano è un caos. Riproduce il familiare Universo di cui siamo parte e che percepiamo, e toglie dalla nostra vista interiore la pellicola di familiarità che non ci consente di vedere le meraviglie del nostro essere. Essa ci costringe a sentire ciò che percepiamo e a immaginare ciò che conosciamo. Ricrea l’universo dopo che esso è stato distrutto nelle nostre menti dal ricorrere di impressioni attutite dalla ripetizione. Essa giustifica l’audace e vera affermazione del Tasso: Non merita nome di creatore se non Iddio e il Poeta.
[Definizione di poeta] Il poeta dovrebbe essere il più felice, il migliore, il più saggio e il più illustre degli uomini, poiché agli altri egli procura saggezza, piacere, virtù, e gloria in massimo grado. Quanto alla sua gloria, sia il tempo a stabilire se la fama di qualsiasi altro istitutore della vita umana sia paragonabile a quella del poeta. E’ egualmente inconfutabile che egli sia il più saggio, il più felice, il migliore in quanto poeta. I più grandi poeti sono stati uomini dalla più immacolata virtù, dalla più perfetta prudenza, e se potessimo guardare dentro le loro vite, gli uomini più fortunati; e le eccezioni, poiché riguardano coloro che possedevano la facoltà creativa in grado alto ma inferiore, saranno considerate come conferma più che come smentita della regola. Accondiscendiamo per un momento a considerare l’opinione popolare, e, appropriandoci e accorpando nella nostra persona le figure incompatibili di accusatore, testimone, giudice ed esecutore, stabiliamo senza processo, testimonianza o formalità che certe motivazioni di coloro che “seggono dove noi non osiamo volare” sono biasimevoli. Supponiamo che Omero fosse un ubriacone, Virgilio un adulatore, Orazio un codardo, Tasso un matto, Bacone reo di peculato, Raffaello un libertino, Spenser poeta laureato. E’ in contrasto con la struttura della nostra argomentazione citare poeti viventi, ma la posterità ha reso ampia giustizia ai grandi nomi ora riferiti. I loro errori sono stati soppesati e riconosciuti come polvere nella bilancia; se i loro peccati erano scarlatti, ora sono bianchi come la neve: essi sono stai lavati nel sangue del mediatore e redentore, il Tempo. Osservate in che caos grottesco siano state confuse le imputazioni di crimine reale o fittizio nelle calunnie contemporanee contro la poesia o contro i poeti; considerate come poco sia come appare – o appaia com’è; guadate le vostre ragioni e non giudicate, se non volete essere giudicati. Come abbiamo detto, la poesia differisce dalla logica nel senso che non è soggetta al controllo dei poteri attivi della mente, e la sua nascita e ricorrenza non sono necessariamente collegate con la coscienza o la volontà. E’ presuntuoso stabilire che sono queste le condizioni necessarie dei rapporti di causalità, quando è stato sperimentato che gli effetti mentali non possono essere riferiti ad esse. E’ ovvio supporre che la frequente ricorrenza della facoltà poetica può suscitare nella mente un’attitudine all’ordine e all’armonia che corrisponde alla sua natura e con gli stessi effetti sulle altre menti. Ma tra un’ispirazione e l’altra, e gli intervalli possono essere frequenti senza essere duraturi, un poeta diventa un uomo e si abbandona all’improvviso riflusso delle influenze sotto le quali gli altri vivono abitualmente. Ma poiché ha maggiore delicatezza degli altri uomini e più sensibilità al dolore e al piacere, sia il proprio che quello degli altri, in un grado a loro sconosciuto, eviterà il primo e cercherà il secondo con un ardore proporzionale a questa differenza. Egli si rende inoltre detestabile fino alla calunnia quando trascura di osservare le circostanze in cui gli oggetti da tutti cercati o respinti si sono celati gli uni negli abiti degli altri. Ma non c’è nulla di necessariamente cattivo in questo errore, per cui la crudeltà, l’invidia, la vendetta, l’avarizia e le passioni realmente cattive non hanno mai fatto parte di quanto viene comunemente attribuito alla vita dei poeti.
[Considerazioni] Per essere aderente alla verità ho ritenuto opportuno mettere giù queste osservazioni secondo l’ordine in cui mi venivano suggerite alla mente dallo stesso argomento, invece di seguire quello del trattato che mi spinse a renderle pubbliche. Così. nonostante siano prive di una risposta polemica, se il punto di vista in esse contenuto è esatto, si riconoscerà che esse confutano le dottrine di Le quattro età della poesia, almeno per quanto riguarda la prima suddivisione dell’argomento. Posso fare facili congetture sulla causa del livore dell’erudito e intelligente autore di quel trattato; confesso che come lui non desidero essere stupito dalle Teseidi dei rauchi Codri di oggi. Bavio e Mevio sono indubbiamente, come sono sempre stati, persone insopportabili; ma compito del critico filosofico è distinguere piuttosto che confondere. La prima parte di queste note riguardava la poesia nei suoi elementi e principi; ed è stato dimostrato, nei limiti ristretti del possibile, che quella che è chiamata poesia in senso stretto ha una fonte comune a tutte le altre forme di ordine e bellezza, secondo le quali si organizzano i materiali della vita umana, e che è poesia in senso universale.
[Difesa della poesia contemporanea] La seconda parte avrà come oggetto l’applicazione di questi principi allo stato attuale dello sviluppo della poesia e la difesa del tentativo di idealizzare le forme moderne di comportamento e pensiero, e di costringerle a subordinarsi alla facoltà immaginativa e creativa. Infatti sembra quasi che la letteratura inglese, il cui forte sviluppo ha sempre preceduto o accompagnato un grande e libero sviluppo della volontà nazionale, sia risorta. Nonostante l’invidia gretta che vorrebbe sottovalutare il merito contemporaneo, la nostra sarà un’età memorabile per i risultati intellettuali, e viviamo tra filosofi e poeti incomparabilmente superiori a chiunque sia vissuto dal periodo dell’ultima guerra nazionale per la libertà civile e religiosa. La poesia è l’araldo più infallibile, compagno e seguace del risveglio di un grande popolo che intenda operare una trasformazione benefica nelle opinioni o nelle istituzioni. In questi periodi aumenta il potere di comunicare e ricevere intense e appassionate concezioni riguardo all’uomo e alla natura.
[Ruolo dei poeti] Le persone che detengono questo potere, per quanto riguarda molti aspetti della loro natura, spesso possono avere un rapporto all’apparenza limitato con lo spirito del bene di cui sono ministri. Ma anche quando essi lo negano e lo abiurano, sono tuttavia costretti a servire il potere che si è installato sul trono della loro anima. E’ impossibile leggere le composizioni dei più celebri scrittori contemporanei senza sobbalzare per l’energia elettrica che brucia nelle loro parole. Essi misurano la circonferenza e scandagliano le profondità della natura umana con uno spirito pregnante e penetrante, e forse sono loro che restano più sinceramente stupiti delle sue manifestazioni; poiché non è il loro spirito, ma lo spirito della loro epoca. I poeti sono gerofanti di un’ispirazione non percepita. gli specchi delle ombre gigantesche che il futuro getta sul presente, le parole che esprimono ciò che non capiscono, le trombe che chiamano a battaglia e non sentono ciò che ispirano, l’influenza che non è mossa, ma muove. I poeti sono i legislatori non riconosciuti del mondo. [Poets are the unacknowledged legislators of the world].
Composto nel 1821 Pubblicato per la prima volta nel 1840 |