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La scomparsa dell'Italia industriale di Luciano Gallino

domenica 12 maggio 2013 legge Davide Conte 
                                           Per il ciclo 
                                     Saggio chi legge
                         alla libreria Coop Zanichelli
Il testo di partenza:  
Luciano Gallino La scomparsa dell'Italia industriale, Einaudi 1998

Luciano Gallino (1927) è stato definito da Edmondo Berselli “un contestatore puntiglioso della dogmatica economica vigente”. In particolare “è rimasto nella memoria di molti un suo saggio del 1998, Se tre milioni vi sembran pochi, che affrontava con spregiudicatezza il tema della disoccupazione, smontando numerosi feticci della retorica neoliberista. E anche La scomparsa dell’Italia industriale e L’impresa irresponsabile (entrambi Einaudi) toccano alcuni punti nodali dello sviluppo dell’economia del nostro tempo”.
Nel 2003 l’autore scriveva: “in quarant'anni l'Italia ha perso quasi per intero la propria capacità industriale, che sarebbe azzerata se dovesse cadere anche l'industria dell'automobile. Se non troverà modo d'inventare una politica industriale adeguata, sarà presto collocata nel novero dei paesi semi-periferici del sistema mondo. Anche se dovesse mantenere in loco qualche stabilimento di produzione, tutte le decisioni in merito all'occupazione, alle retribuzioni, a cosa si produce e a quali prezzi, ai prodotti che entrano nelle nostre case e conformano la nostra vita, saranno prese altrove.” Ma ci può essere una nuova rivoluzione industriale in Italia? E come si può favorire?
  


1.
“Un neo da estirpare”: l’informatica
La scomparsa dell’industria informatica, ovvero della produzione su larga scala di computer progettati e fabbricati nel nostro paese, si identifica con il disfacimento, attuato con la partecipazione dei suoi ultimi gruppi dirigenti e proprietari, d’una delle aziende italiane più avanzate e conosciute nel mondo che l’Italia abbia avuto: la Olivetti di Ivrea. La vicenda ha attraversato tre fasi, ciascuna caratterizzata da grandi successi ottenuti in breve tempo, e da un altrettanto rapido decadimento.
L’inizio della prima fase può essere datato al 1995. La vigilia di Natale Adriano Olivetti, presidente della società fondata dal padre Camillo nel 1908, tenne il tradizionale discorso di fine d’anno agli “amici lavoratori” – cosi si rivolgeva loro – degli stabilimenti di Ivrea. Prima riassunse gli ultimi successi dell’azienda, ch’era allora un leader mondiale nel campo delle macchine per ufficio – macchine da scrivere e calcolatrici elettromeccaniche – con quasi 50.0000 dipendenti, la metà in Italia, il resto distribuito in oltre 170 paesi. Quindi annunciava una novità:
Nel campo dell’elettronica, ove soltanto le più grandi fabbriche americane hanno da anni la precedenza, lavoriamo metodicamente da quattro anni dedicandoci a un ramo nuovo. Una nuova sezione di ricerca potrà sorgere nei prossimi anni per sviluppare gli aspetti scientifici dell’elettronica, poiché questa rapidamente condiziona nel bene e nel male l’ansia di progresso della civiltà di oggi. Noi non potremo essere assenti da questo settore per molti aspetti decisivo.All’epoca in Italia non esisteva forse un altro imprenditore, uomo politico o studioso di direzione aziendale che avesse una visione così sicuramente anticipatrice della rilevanza industriale dell’elettronica.
Le iniziative alle quali Adriano Olivetti si riferiva avevano da tempo preso varie forme. Nel 1952 con l’aiuto del fratello Dino, presidente della Olivetti Corporation of America fondata due anni prima, aveva istituito un “osservatorio” a New Canaan, Connecticut, al fine di seguire da vicino con un gruppo di giovani tecnici gli sviluppi negli Stati Uniti del “calcolo elettronico”. Così era definito allora il campo che, ampliandosi e differenziandosi in molteplici direzioni, avrebbe preso più tardi il nome di informatica. Nel 1954 l’azienda di Ivrea aveva siglato con l’Università di Pisa un accordo per costruire unitamente un calcolatore elettronico. L’anno dopo la Olivetti, il cui interesse per produrre calcolatori commerciali divergeva dagli interessi dell’ateneo pisano, rivolti piuttosto alle macchine specializzate nei calcoli scientifici, aprì un proprio Laboratorio di Ricerche Elettroniche a Barbaricina, nei pressi di Pisa. Quando l’ingegnere Adriano annunciava agli operai l’ingresso dell’azienda nell’elettronica, era già in vista il potenziamento del Laboratorio e il suo trasferimento in una sede più ampia a Borgolombardo, che sarebbe avvenuta nel 1958.
A metà degli anni Cinquanta la produzione di grandi calcolatori elettronici, i mainframes, ceppo originario dell’industria informatica, era ancora ai suoi esordi nel mondo. Il primo calcolatore concepito per scopi commerciali, l’Univac-I della Remington Rand, era stato presentato nel 1950. Pesava 5 tonnellate. Il 1953 aveva visto il lancio del primo calcolatore elettronico prodotto in serie, lo IBM 701. Al suo progetto, a riprova del grande impegno teorico che richiedeva allora lo sviluppo del calcolo elettronico avevano lavorato due famosi scienziati, il fisico Robert J. Oppenhaimer e il matematico John von Neumann. Solamente grandi imprese, o centri di ricerca adeguatamente finanziati, potevano permettersi i costi di investimento iniziale e poi di gestione che simili macchine comportavano. Oltre alla estrema laboriosità della programmazione, fatta con metodi manuali quali la predisposizione di schede perforate, tutte richiedevano, più volte al giorno, interventi di manutenzione o riparazione da parte di squadre di tecnici.
Nell’anno del discorso di Olivetti, il 1955, risulta che in Italia fossero stati installati due soli calcolatori, il modello 102 A della statunitense NCR, acquistato l’anno prima dal Centro di Calcoli Numerici del Politecnico di Milano, e il Ferranti Mark I, di produzione britannica, collocato a Roma presso l’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo del CNR. Lo stesso anno avevano cominciato ad apparire i primi calcolatori fondati almeno in parte sulla tecnologia dei transistor, semiconduttori miniaturizzati, in luogo delle valvole “termoioniche” importate dalla radiotecnica; nome appropriato, tanto che il principale problema fisico frapposto ai tecnici delle macchine che le utilizzavano era come effettuare il raffreddamento di migliaia di tali valvole simultaneamente in funzione.
Verso la fine del 1959 le impegnative anticipazioni di Adriano Olivetti davano i primi risultati industriali. Dal laboratorio di Borgolombardo usciva l’Elea 9003, il primo calcolatore elettronico interamente progettato e costruito in Italia. Il 9 novembre veniva presentato al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Con l’Elea la Olivetti si inseriva autorevolmente nella mezza dozzina di produttori di mainframes che si spartiva il mercato mondiale. Paragonata alla concorrenza, l’Elea era una macchina d’avanguardia. Era interamente transistorizzata, diversamente dai modelli di altri produttori. Era velocissimo: oltre 100.000 operazioni al secondo. Accettava differenti modalità di ingresso dei dati e dei programmi: schede perforate, banda di carata perforata, nastro magnetico, tastiera. Era in grado di eseguire tre programmi contemporaneamente: uno dei primissimi esempi di multiprogrammazione in macchine commerciali. Superbo era il design, curato da Ettore Sottsass, come ci si poteva aspettare da una macchina uscita dalla Olivetti dell’ingegner Adriano; però cento volte più grande, con l’insieme dei suoi snelli armadietti verticali, delle consorelle elettromeccaniche.
La prima azienda ad acquistare un Elea 9003 fu una delle maggiori del ramo tessile, la Marazotto di Valdagno. Seguirono il Monte dei Paschi di Siena, la Fiat, la Cogne. In poco più di un anno se ne sarebbero venduti oltre quaranta unità. Nel 1961 il laboratorio di Ricerche Elettroniche di Borgolombardo lanciava un modello più leggero e di minor costo delle serei Elea, il 6001, concepito per le esigenze delle piccole e medie aziende. (…)
Il successo del 903 e del 6001, conseguito in meno di un lustro, non era ancora sufficiente per portare al pareggio il bilancio di pertinenza della divisione Elettronica, che aveva intanto raggiunto i tremila dipendenti. Però sarebbe stata una base tecnologica e industriale più che adeguata per arrivare a competere in Italia e in Europa nel piccolo gruppo internazionale dei produttori di mainframes, con promettenti possibilità di occupare tra di essi una discreta quota di mercato. Sia pure alle spalle della ormai irragiungibile IBM, che nel frattempo era diventata grande tanto per le capacità proprie, quanto per le cospicue e mirate commesse dell’amministrazione federale. Commesse che in quel periodo, nei confronti della Olivetti, erano del tutto mancate da parte del Governo italiano. E’ vero che il ministero del Tesoro installò un Elea 9003 subito dopo la sua comparsa sul mercato. Non si trattava di un acquisto, bensì di un dono di Adriano Olivetti.
Negli anni immediatamente successivi alla scomparsa dell’ingegnere Olivetti avvenuta agli inizi del 1960, la Olivetti incorse in difficoltà finanziarie che la famiglia non fu in grado di superare. Il controllo dell’azienda vene quindi assunto nel 1964 da un gruppo di intervento formato da Fiat, Pirelli, Mediobanca, IMI e Centrale. In merito alle prospettive dell’azienda di Ivrea nel settore dell’elettronica la maggior parte dei rappresentanti del gruppo si dimostrò subito pessimista. Durante l’assemblea degli azionisti FIAT del 30 aprile 1964 (…) il presidente Vittorio Valletta ebbe a dichiarare:
La società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superare senza grosse difficoltà il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare.
Alle parole seguì prontamente l’azione. Con la sola opposizione del direttore finanziario della Olivetti Nerio Nesi che fungeva da segretario generale del gruppo d’intervento, il “neo” venne estirpato mediante la costituzione nell’agosto del 1964 di una società che stando al nome attribuitole, Olivetti-General Electric (OGE), pareva presentarsi come una alleanza tra uguali. Sennonchè bastava dare un occhiata alle rispettive quote di partecipazione per comprendere chi fosse il padrone: il 75% delle azioni era assegnata alla General Electric. (…) La General Electric, colosso allora come oggi delle costruzioni elettromeccaniche, in campo informatico aveva in realtà un pessimo record. Ad onta dei massicci investimenti effettuati, era arrivata a detenere appena il 2% circa del mercato dei calcolatori, contro il 65% della IBM. L’avventura italiana confermò che fabbricare computer non era il suo mestiere. Nel 1967 la sua partecipazione nella OGE salì al 100%, ma appena tre anni dopo decise di abbandonare il settore informatico, con quel poco che restava dell’esperienza Olivetti, cedendolo in toto alla Honeywell.
All’uscita della Olivetti dal settore dei grandi calcolatori contribuirono sicuramente fattori accidentali. (…) Da ultimo va sottolineato che gli investimenti necessari per far crescere la Divisione Elettronica e renderla maggiormente competitiva sarebbero stati tutt’altro che spropositati: si aggiravano su poche centinaia di miliardi di lire in più anni, somma modesta per un’economia che nei disastri della chimica e dell’elettronica di consumo, si accingeva in quegli anni stessi a dissiparne parecchie migliaia.



Per ampliare: lezioni e interviste di Luciano GallinoLuciano Gallino parla di finanza ed economia al Campo scuola del Gruppo Abele nel 2011 (26/set/2011): http://www.youtube.com/watch?v=jFICu-dThug>
“La mano visibile del mercato. Intervista a Luciano Gallino” (25 ottobre 2012): http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-mano-visibile-del-mercato-intervista-a-luciano-gallino/>
“La disoccupazione crea disoccupazione” Intervista a Luciano Gallino(16/02/2013): http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/La-disoccupazione-crea-disoccupazione.-Intervista-a-Luciano-Gallino-16889>

Per ampliare: bibliografia recenteL’impresa irresponsabile, Einaudi, Torino, 2005
Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici, Einaudi, Torino, 2007
Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Laterza, Roma-Bari, 2007
Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l'economia, Einaudi, Torino, 2009
Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino, 2011
La lotta di classe dopo la lotta di classe. Intervista a cura di Paola Borgna, Laterza, Roma-Bari, 2012

Per ampliare: altre letture sul tema dello sviluppo
Nel leggere i libri di Luciano Gallino si impara a porre attenzione che all’evoluzione del contesto sociale, al ruolo del territorio e della comunità, al tema dell’innovazione tecnologica. Al riguardo può essere utile leggere:
Sviluppo locale: Carlo Trigilia, Sviluppo locale. Un progetto per l'Italia, Bari, Laterza, 2006
Innovazione - Modernità sostenibile: 
Enzo Rullani, Idee, filiere e servizi per uscire dalla crisi, Marsilio, 2010
Società: Marco Revelli, Poveri Noi, Einaudi, 2011.