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Il regno vegetale, scuola vivente


lunedì 22 novembre 2010 legge Isabella Guerrini
Nella nostra società, i veri pensatori o intuitori sistemici sono i bambini, in quanto pensano e agiscono nella globalità delle loro esperienze. È questa globalità che dobbiamo cercare di preservare. Nelle nostre scuole entrano esseri viventi (non alunni, fanciulli o discenti), e tutti gli esseri viventi sono ecologici, aperti, creativi, capaci di stupore e senso del sacro, desiderosi di apprendere. Perché vivere significa apprendere e viceversa.
Il bambino è un vero esploratore della vita, uno scienziato sistemico, e l’ambiente è la sorgente delle sue conoscenze. Ma per ‘apprendere l’ambiente’ è necessario “fare” con l’ambiente. Nostra preoccupazione dovrebbe essere quella di permettere a noi stessi la piena espressione di quella creatività ed apertura alla vita, possedute naturalmente dai bambini, ri-allenando la nostra mente all'esercizio del pensiero sistemico, per renderla nuovamente connessa con ogni particella di materia ed ogni particolare della nostra vita. Riappropriarci di questo modello naturale di pensiero ci porterà una visione “olistica” della vita, e ci renderà di nuovo uomini capaci di porsi domande, anziché essere coloro che hanno le risposte. Così ci insegnano Bruno Munari e Leonardo da Vinci, sorprendentemente abbinati da Isabella Guerrini, ecopaesaggista ed educatrice ambientale.


Bruno MunariDa cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale, Laterza, Roma-Bari, 1981, 385 pp.

Un viale di alberi diversi

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Il problema nasce dall’analisi di una situazione attuale, che è quella della sistemazione del verde in una città. Anche questo può essere un problema di design, e la situazione lo mette bene in evidenza: nelle città si tende a fare dei viali di alberi tutti uguali, a disporre le piante nelle aiuole nel modo più elementare, più banale possibile. Ciò accade per disinteresse da parte degli incaricati a progettare questi abbellimenti necessari al ricambio dell’aria nell’ambiente urbano, anche perché si cerca di fare qualcosa senza alterare la situazione basata sulle consuetudini ripetute e senza pensare a migliorarle, perché migliorarle potrebbe portare a discussioni, a perdite di tempo e quindi tutto si svolge col solito “tram tram”.
La funzione delle piante nelle città potrebbe essere considerata invece sotto un altro aspetto che è quello di dare al cittadino un servizio più gradevole anche psicologicamente, senza che venga a costare più di quello mal fatto.
Il lavoro che si fa in questo momento è quindi ciò che si potrebbe definire un pre-progetto, una messa a fuoco di un problema, una proposta per migliorare l’aspetto delle città, per favorire la cultura del regno vegetale, per rendere più gradevole il passeggiare in un viale, che non sia fatto tutto di piante uguali.
Naturalmente si parla di un ambiente urbano dove la gente sia più civile, più educata, che non strappi i rami, che non vada a lasciare residui organici personali dietro le piante, che non butti le immondizie nei cespugli. Supponiamo quindi di progettare per la civiltà del futuro, augurandoci che questo futuro sia migliore del presente.
Definizione del problema: analizzare l’attuale situazione del verde in città e condurre inchieste per sentire come il cittadino vive questa sistemazione. Da questo lavoro trarre elementi per fare proposte realizzabili.
Componenti del problema: il clima dell’ambiente. Le piante che vivono bene in questo clima. Piante a foglie perenni e no. Altezza massima degli alberi, inserimento dei cespugli. Gli alberi e l’illuminazione stradale. La caduta delle foglie e la manutenzione. La potatura. Gli spazi disponibili. Ricerca dei dati: cosa è stato fatto in altre città su questo argomento. Interviste con ingegneri agricoli. Rapporto col clima. Illuminazione stradale e gli alberi.
Analisi dei dati: elenco delle piante possibili, tempi di caduta delle foglie. Rapporti con le autorità. Elenco delle piante che hanno bisogno di molta manutenzione. Elenco delle piante che hanno tipi di foglie e quantità di foglie che possono ingorgare le fognature. Pareri di esperti.


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Creatività: perché al gente scappa dalle città troppo regolari e va a cercare un senso di calma e di riposo in campagna? (in realtà, siccome “tutti” scappano dalla città per andare in campagna a cercare la pace, ecco che si trovano tutti, nello stesso giorno e nella massima confusione, nello stesso posto che, fra l’altro, non è nemmeno attrezzato a riceverli). Perché non c’è gusto a passeggiare in un viale di alberi tutti uguali a distanze uguali, che lasciano cadere le foglie tutti assieme nella stessa stagione ingorgando le fognature. Per esempio se uno passeggia in via Ravizza a Milano ogni dieci passi ha sempre lo stesso tipo di albero: un acero, un acero, un acero, un acero… per tremila volte. E poi tutti aceri dello stesso tipo, almeno fosse un acero campagnolo, un acero negundo, un acero palmatum, NO, tutti uguali, a distanze uguali, potati uguali, tutti assieme pieni di foglie, tutti assieme senza foglie. Un’idea da archivista e non da giardiniere. Un insieme monotono in un viale di edifici tutti ben allineati e coperti. Perché allora la gente scappa dalle città? Che cosa cerca? Cerca la varietà perché in campagna trova un ciliegio vicino a un pioppo e poi un cespuglio di ortensie vicino a un prato e poi cinque tigli e poi un castagno, un fico, un altro castagno, undici robinie, una quercia. Forse è questo il modo di mettere le piante nei viali delle città: fare composizioni lineari di piante diverse in modo che passeggiando in questo viale si vedano piante diverse a distanze diverse, con fioriture diverse, con grandi foglie sempreverdi o senza foglie, un acero palmatum (quello che in Giappone chiamano Momigi) e che in autunno diventa rosso, vicino a un acer negunda che ha le foglie giallo-verdi. Un citisus che fiorisce per pochi giorni vicino a una roccia naturale di granito rosa portata dalla Sardegna…
In un viale di questo tipo la gente potrebbe passeggiare con più piacere, si ritroverebbe meglio: vienimi a trovare, abito alla terza magnolia, dalla mia finestra sento il profumo dei suoi fiori. Oppure: davanti a casa mia c’è una quercia piena di uccelli. E poi il viale sarebbe molto più vario dato che non tutte le piante perdono le foglie nello stesso tempo, anzi la magnolia sarà sempre verde, vicino a un acero rosso, a una salice piangente senza foglie, a un cespuglio di canne, a una pietra di beola sulla quale ci si può sedere nella bella stagione.
Vediamo quindi se è possibile progettare un viale di alberi diversi a distanze diverse come una composizione lineare, tenendo conto che non impediscano una buona illuminazione notturna, e non richiedano più manutenzione di un viale di alberi uguali.
Materiali e tecniche disponibili: chiedere agli esperti quali piante meglio si adattano alla città in esame. Quali tipi di terre occorrono per queste piante. Se occorre una particolare manutenzione. Se le rocce sono reperibili, dove e come. Se si possono sistemare anche piccole piante, muschi e licheni. Se ci sono difficoltà tecniche per una tale sistemazione. La sperimentazione in questo caso la si farà in un viale cittadino, e diventerà anche il modello al vero del possibile viale.

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La verifica va fatta sulla giusta sistemazione delle piante rispetto al vento, alla terra, alla luce e, soprattutto, al comportamento dei cittadini.
I disegni costruttivi saranno fatti in relazione al tipo di edifici che si trovano in quel viale e al tipo di illuminazione stradale. Bisognerà tener conto dei passaggi dei veicoli e degli incroci stradali.
Soluzione possibile del problema: stesso costo se non inferiore per impianto e manutenzione. Facilità di cambiare una pianta se muore con un’altra pianta anche diversa. Diminuisce l’ingombro delle foglie morte. La potatura viene limitata a meno piante. La sistemazione può essere fatta in armonia con gli edifici, sia come stile che come ingombri e in considerazione della vicinanza di piante esistenti. La passeggiata lungo il viale è più piacevole e anche più istruttiva. Composizione di piante diverse posso caratterizzare viali diversi. Non viene esclusa la possibilità di sistemare in questa città anche un viale di alberi uguali a distanze uguali a ricordo di un tempo che fu.


Leonardo Da Vinci, Scritti letterari, A cura di Augusto Marinoni, Rizzoli, Milano, 1974Vedendo il lauro e mirto tagliare il pero, con alta voce gridarono: «O pero, ove vai tu? Ov’è la superbia che avevi quando avevi i tua maturi frutti? Ora non ci farai ombra colle tue folte chiome.» Allora il pero rispose: «Io ne vo coll’agricola che mi taglia, e mi porterà alla bottega d’ottimo sculture, il quale mi farà con su’ arte pigliare la forma di Giove iddio, e sarò dedicato nel tempio, e dagli omini adorato invece di Giove, e tu ti metti in punto a rimanere ispesso storpiata e pelata de’ tua rami, i quali mi fieno da li omini per onorarmi posti d’intorno.»
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Fritjof Capra, La botanica di Leonardo. Un discorso sulla scienza delle qualità , Aboca Edizioni, 2009Leonardo da Vinci, il grande maestro della pittura e genio del Rinascimento, è stato l’argomento di centinaia di libri sia dotti che popolari. Tuttavia, ci sono sorprendentemente pochi libri sulla scienza di Leonardo, anche se ha lasciato taccuini voluminosi pieni di descrizioni dettagliate dei suoi esperimenti, meravigliosi disegni, e lunghe analisi delle sue scoperte.
Nel mio libro precedente, La scienza universale, ho presentato un riassunto del metodo e delle conquiste scientifiche di Leonardo da Vinci e le ho valutate dalla prospettiva del pensiero scientifico del nostro secolo. In questo libro, presento uno studio più approfondito in una disciplina particolare. Uso la botanica di Leonardo per illustrare le caratteristiche di base del suo pensiero scientifico e della sua originale sintesi di arte e scienza. L’immagine che emerge è quella di un Leonardo da Vinci come pensatore sistemico ed ecologista — uno scienziato ed un artista con un profondo rispetto per tutte le forme di vita, la cui eredità è estremamente rilevante per il nostro tempo.


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Una scienza di forme viventiQuando il giovane Leonardo ricevette la sua formazione come pittore, scultore ed ingegnere nella bottega di Andrea del Verrocchio a Firenze, la visione del mondo dei suoi contemporanei era ancora avvolta nel pensiero medioevale. La scienza nel senso moderno, come metodo empirico sistematico per ottenere conoscenza sul mondo naturale, non esisteva. La conoscenza dei fenomeni naturali era stata trasmessa da Aristotele e da altri ilosofi dell’antichità ed era stata fusa con la dottrina cristiana dai teologi scolastici che la presentavano come la dottrina ufficiale. Esperimenti scientifici vennero condannati come sovversivi, e si considerava qualsiasi attacco alla scienza aristotelica come un attacco alla chiesa stessa. Leonardo da Vinci ruppe con questa tradizione. Ecco le sue parole nel toscano ormai antico, che però possiamo comprendere benissimo e che per noi hanno un certo fascino.
“Prima farò alcuna esperienza, avanti ch’io più oltre proceda, perché mia intenzione è allegare prima la sperenzia e po’ colla ragione dimostrare perché tale esperienza è costretta in tal modo ad operare; e questa è la vera regola come li speculatori delli effetti naturali hanno a procedere”. (Ms. E, folio 55r)
Cento anni prima di Galileo e Bacone, Leonardo da solo sviluppò un nuovo approccio empirico, coinvolgendo l’osservazione sistematica della natura, il ragionamento e la matematica — cioè le principali caratteristiche di quello che oggi si conosce come il metodo scientifico. Si rese completamente conto che stava conquistando un nuovo terreno. Con modestia si chiamava “omo sanza lettere”, ma con una certa ironia e anche con orgoglio per il suo nuovo metodo, vedendo se stesso come “interprete tra la natura e gli omini”.
L’approccio di Leonardo alla conoscenza scientifica era visivo; era l’approccio del pittore. “La pittura” dichiarò, “con filosofica e sottile speculazione considera tutte le qualità delle forme.. E veramente questa è scientia et legitima figlia de natura, perché la pittura è partorita da essa natura”. (Trattato, capp. 6 e 12).
Dunque, la pittura per Leonardo è arte e anche scienza — una scienza di forme naturali, di qualità, assai diversa dalla scienza meccanicistica che emergerà duecento anni più tardi—. Le forme di Leonardo sono forme viventi, continuamente modellate e trasformate da processi innati. Per tutta la sua vita studiava, disegnava, e dipingeva le rocce ed i sedimenti della terra, modellati dall’acqua; la crescita delle piante, modellate dal loro metabolismo; e l’anatomia del corpo animale in movimento.
La natura intera era viva per Leonardo, e gli schemi e processi nel microcosmo del corpo umano, per lui, erano simili a quelli nel macrocosmo della terra. Al livello più profondo, cercava sempre di comprendere la natura della vita. Questo è sfuggito a molti commentatori, perché fino a poco tempo fa, la natura della vita era definita dai biologi solo in termini di cellule e di molecole, a cui Leonardo, che viveva due secoli prima dell’invenzione del microscopio, non aveva accesso. Ma oggi, una nuova comprensione sistemica della vita sta emergendo nella scienza una comprensione in termini di processi metabolici e dei loro schemi di organizzazione; e questi sono precisamente i fenomeni che Leonardo ha indagato in tutta la sua vita. Era sempre colpito dalla grande diversità e varietà delle forme viventi.
“È tanto dilettevole la natura e copiosa nel variare, ” scrisse in un passaggio su come dipingere gli alberi (Trattato, cap. 501), “che infra li alberi della medesima natura non si troverebbe una pianta ch’appresso somigliassi all’altra, e non che le piante, ma li rami, o foglie, o frutti di quelle, non si troverà uno che precisamente somigli a un altro.
Un aspetto importante che dobbiamo notare è che la scienza di Leonardo è estremamente dinamica. Essa rappresenta le forme della natura –in montagne, fiumi, piante, e nel corpo umano, in costante movimento e trasformazione.
La forma, per lui, non è mai statica. Egli comprende che le forme viventi sono continuamente modellate e trasformate dai processi sottostanti. Egli studia i molli modi in cui rocce e montagne sono modellate dai turbolenti moti dell’acqua, e come le forme organiche delle piante, degli animali e del corpo umano sono modellate dal loro metabolismo. Il mondo rappresentato da Leonardo, sia nella sua arte che nella sua scienza, è un mondo che evolve e fluisce, in cui tutte le configurazioni e forme non sono che stadi in un continuo processo di trasformazione. Questa comprensione dinamica delle forme organiche rivela affascinanti paralleli con la nuova comprensione sistemica della vita che è emersa negli ultimi 25 anni.
Nel gergo scientifico d’oggi possiamo chiamare Leonardo da Vinci un pensatore sistemico. Comprendere un fenomeno per lui voleva dire collegarlo ad altri fenomeni attraverso un’affinità di schemi. Questa eccezionale capacità di mettere in relazione osservazioni e idee da discipline diverse sta al cuore dell’approccio di Leonardo all’apprendimento e alla ricerca.

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Gli studi botanici di LeonardoIl lavoro di Leonardo in botanica cominciò relativamente tardi nella sua vita.
Durante gli anni precedenti, i suoi disegni di piante e alberi furono fatti principalmente come studi per i dipinti. Appunti su piante e paesaggi, che spesso avevano a che fare con colore e luce, ma che anche mostrano grande accuratezza botanica, compaiono nei manoscritti più frequentemente dopo il 1500, quando egli aveva 50 anni. La sua abilità nei disegni botanici raggiunse il culmine intorno al 1508-10, e fu solo dopo il 1510, quando Leonardo aveva già 60 anni, che i suoi testi botanici diventarono indagini puramente scientifiche, distinte dai dipinti.
All’inizio del sedicesimo secolo, quando Leonardo iniziò i suoi studi botanici avanzati, la botanica era ancora in una fase puramente descrittiva ed era considerata solamente accessorio alle arti medicamentose. Anche presso le grandi università di Pisa e Padova, che comprendevano alcuni dei maggiori professori botanici del tempo, non veniva insegnata nessuna scienza botanica autentica in cui fossero studiate le piante di per se stesse.
Come in molti altri campi, Leonardo portò il suo lavoro scientifico in botanica ben oltre quello dei suoi contemporanei. Non solo rappresentò le piante in modo accurato, ma cercò di comprendere le forze e i processi sottostanti queste forme. In questi studi, spesso basati su osservazioni incredibili per il loro tempo, egli fu un pioniere nel portare sulla scena la botanica come scienza autentica.
I pittori del Rinascimento usavano molto spesso delle piante per decorare gli spazi geometrici e astratti che erano tipici dei dipinti del tempo, specialmente nella scuola fiorentina. Queste piante erano solitamente disposte secondo motivi decorativi formali. Alcune erano rese in modo accurato, mentre altre erano puramente immaginarie. Oltre alla decorazione, molte piante nel Rinascimento avevano un’altra importante funzione, specialmente nei dipinti religiosi. Erano spesso associate a storie religiose ampiamente note al pubblico, e quindi avevano la funzione di far passare un significato attraverso immagini simboliche. Leonardo sfruttò questi numerosi significati in molli dei suoi dipinti, mentre rappresentava le piante che davano forma concreta ai simboli appropriati con grande accuratezza botanica ed ecologica, e con una magistrale resa di luci ed ombre, come potete vedere nelle 20 tavole nel mio libro.
La sofisticata comprensione botanica ed ecologica di Leonardo è mostrata appieno nel suo primo capolavoro La Vergine delle rocce. Il dipinto è stato chiamato un "‘tour de force geologico” per l’ incredibilmente accurata rappresentazione delle complesse formazioni geologiche. Potrebbe essere chiamato anche un “tour de force botanico”. Le piante lussureggianti che riempiono la rocciosa grotta naturale non sono distribuite nel dipinto secondo uno schema decorativo, ma viene mostrato che crescono solo in luoghi dove l’arenaria erosa si è decomposta sufficientemente per permettere alle loro radici di attecchire. Sono rappresentate solo le specie adatte all’ambiente umido della grotta, ognuna in uno specifico habitat e in una fase dello sviluppo appropriata dal punto di vista stagionale.

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La teoria botanica di LeonardoAl centro della teoria botanica di Leonardo troviamo i due importanti temi che appaiono anche negli altri rami della sua scienza — le forme organiche e gli schemi della natura, e i processi di metabolismo e crescita che vi sottostanno—.
Nei secoli successivi le investigazioni di questi due temi diventarono due discipline principali della botanica moderna, la morfologia e la fisiologia delle piante.
Nei suoi studi morfologici Leonardo osservò e registrò vari schemi di crescita e ramificazione di fiori e piante. In particolare, notò le diverse disposizioni di rami e foglie intorno al gambo — un campo di studi conosciuto nella botanica moderna come fillotassi. Identificò correttamente le tre tipologie di ramificazione di base: alternata (cioè, rami che cambiano da lato a lato), opposta (due rami crescono in direzione opposta dallo stesso nodo), e a spirale (rami consecutivi che notano su angoli uguali intorno al gambo).
Avendo identificato le tipologie base degli schemi di ramificazione, Leonardo procedette a studiare i processi sottostanti alla loro formazione. Voleva sapere che cosa facesse crescere queste gemme in luoghi specifici, generando specifiche sequenze di ramificazioni. Egli rispose a questa domanda con un’ipotesi notevole. Suggerì che gli schemi di ramificazione avessero a che fare con “l’umore”, ossia la linfa vitale, che nutre i tessuti della pianta. Con questa affermazione1 che collega la morfologia degli schemi di ramificazione e la fisiologia del flusso nutritivo, Leonardo era secoli avanti al suo tempo.
Nei suoi studi sulla crescita delle piante, si pose domande fondamentali su molti processi di base che oggi sono studiati dai fisiologi delle piante: come le piante acquisiscono l’energia e i nutritivi necessari alla loro crescita? Come crescono in risposta agli stimoli ambientali? Come regolano la loro crescita? Nella botanica moderna, queste domande trovano risposte nei linguaggi della biochimica e della biologia cellulare e molecolare, che includono concetti come fotosintesi, tropismo, percorsi metabolici, e ormoni delle piante.
Leonardo, naturalmente, non avevo accesso a questi livelli di spiegazione scientifica. Ma le sue meticolose osservazioni e la grande intuizione sulla natura delle forme organiche lo portarono a molte idee che sono incredibilmente vicine alla conoscenza botanica moderna. Egli distinse correttamente due tipi di tessuti vascolari conosciuti oggi come floema e xilema, e fece delle acute osservazioni sui movimenti della linfa quando un albero è leso. Leonardo fu anche il primo a riconoscere che l’età di un albero corrisponde al numero di anelli nella sezione trasversale del suo tronco, e — ancora più sorprendente — che l’ampiezza degli anelli è collegata all’umidità o secchezza di quegli anni..
Gli antichi credevano che le piante crescessero ingerendo letteralmente la terra per nutrirsi ed aumentare la massa. Leonardo, così come faceva in tanti altri campi, esaminò gli insegnamenti tradizionali in modo critico; e per farlo effettuò un semplice esperimento. Dissotterrò le radici di una piccola pianta di zucca e la portò a maturazione fornendole solo acqua.
“Io provai”, registrò nel suo taccuino, “a lasciare solamente una minima radice a una zucca, e quella tenevo nutrita coll’acqua; e tale zucca condusse a perfezione tutti li frutti ch’ella poté poi generare, li quali furono circa 60 zucche di quelle lunghe”. Da questo esperimento, Leonardo trasse la notevole conclusione che “il sole dà spirito e vita alle piante, e la terra coll’umido le nutrisce.” (Ms. G, folio 32v)
Per apprezzare l’originalità di questa affermazione e il modo in cui Leonardo ci arrivò, bisogna sapere che all’inizio del sedicesimo secolo non si era mai sentito parlare di esperimenti botanici. Non fu che alla metà del diciassettesimo secolo che un esperimento simile a quello di Leonardo venne portato avanti dal medico belga van Helmont. Helmont piantò un piccolo salice in un vaso di terracotta a cui aggiunse solo acqua. Dopo cinque anni, registrò che il peso dell’albero era cresciuto in modo sostanziale, ma che la terra aveva perso solo pochi grammi. Egli concluse da questo che tutto il corpo aggiuntivo della pianta era stato prodotto solamente dall’acqua.
Oggi sappiamo che la conclusione di Helmont era scorretta, perché la maggior parte della massa prodotta nella crescita della pianta viene dall’aria attraverso il processo di fotosintesi. Sia Leonardo che Helmont hanno vissuto molto prima dell’avvento della chimica e quindi erano incapaci di riconoscere i complessi processi implicati nella fotosintesi. Comunque, Leonardo si avvicinò di più alla nostra comprensione moderna nel suggerire che ambedue, il sole e l’umidità del terreno, erano responsabili della massa del corpo della pianta.

Profonda consapevolezza ecologica Le osservazioni altamente sofisticate di Leonardo delle complesse forme botaniche, e la sua abilità nel comprenderle in termini dei processi sottostanti di metabolismo e sviluppo, lo pone molto al di sopra dei naturalisti del suo tempo. Nelle parole del fisiologo e studioso leonardista Filippo Bottazzi: “In arte egli fu supremo tra i grandi; nelle scienze meccaniche, egli fu il primo e il principale restauratore. Ma la storia della moderna biologia comincia con lui.” Infatti Leonardo da Vinci può essere considerato non solo come il primo botanico moderno, ma anche come il primo ecologista. La sua intera sintesi di arte e scienza era intrisa di consapevolezza ecologica. Egli non ha perseguito la scienza e l’ingegneria come Francesco Bacone sosterrà un secolo più tardi, aveva invece un profondo rispetto per la vita intera, una compassione speciale per gli animali, e un grande timore reverenziale per la complessità e l’abbondanza della natura. Un brillante inventore e designer stesso, pensò sempre che l’ingegnosità della natura fosse superiore alla progettazione umana e intuì la saggezza che sta nel rispettare la natura ed imparare da essa. Questo atteggiamento di vedere la natura come modello e guida è stato riscoperto oggi, 500 anni più tardi, nella pratica del design ecologico.
Questo è basato su un assunto filosofico che non vede gli esseri umani separati dal resto del mondo vivente, ma profondamente inseriti nell’intera comunità della vita nella biosfera. Oggi, questo assunto filosofico è promosso dalla scuola di pensiero conosciuta come “ecologia profonda, che considera il mondo vivente fondamentalmente interconnesso e interdipendente, e riconosce il valore intrinseco di tutti gli esseri viventi”.
La cosa straordinaria è che negli appunti di Leonardo troviamo un’espressione esplicita di questa concezione: “Le virtù dell’erbe, pietre, et piante non sono in essere perché li omini non l’abbino conosciute... Ma diremo esse erbe restarsi in sé nobili senza lo aiuto delle lingue o lettere umane”.(Trattato, cap. 34) Questa profonda consapevolezza ecologica, secondo me, è la ragione principale per la cui la scienza delle qualità di Leonardo è immensamente rilevante per il nostro tempo.
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