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Il muro di ieri, i muri di oggi - articoli vari





lunedì 09 novembre 2009 introduce Romano Prodi
Roberta Graziani legge alcuni articoli, a vent'anni dalla caduta del muro di Berli 

Un muro ha sempre due lati. Abbiamo cercato di non dimenticarlo nello scegliere i testi che compongono questo quaderno. Diverse testimonianze raccontano il prima e il dopo, guardando a Oriente e a Occidente di quel confine che ha diviso il mondo e la Storia. Esattamente venti anni dopo, vogliamo ricordare e festeggiare quel giorno, interrogandoci sui muri mentali ancora da abbattere. Nell’era della globalizzazione il modello liberale occidentale ha saputo promuovere un processo di riforme per una convivenza e uno sviluppo equilibrato e sostenibile? È riuscito a creare le condizioni opportune affinché ogni cittadino possa ricercare la sua felicità, che non può essere imposta dall'alto?
Questa sera leggeremo e confronteremo opinioni diverse. Siamo liberi di farlo. Proprio in questo anniversario ricordiamone il valore.

 Antologia di scritti sulla caduta del Muro di Berlino  raccolta e curata da:Daria Biagi, Stefano Clò, Federico Pancaldi, Andrea Severi.

Berlino, quella notte che cambiò la Storia di Bernardo Valli,
9 Novembre 1999 – La Repubblica

A volte un dettaglio, un gesto o una parola, a provocare un avvenimento storico decisivo: ben inteso un avvenimento già maturo, ma ritardato, trattenuto dalla convenienza politica. Ad affrettare la caduta del Muro fu l'incauta battuta di un funzionario la sera del 9 novembre 1989. Poche sillabe, semplici, in apparenza innocue ("von jetzt” "da adesso"), che si rivelarono una formula magica ed ebbero un effetto dirompente. Furono pronunciate alle 18,57 di quel giorno di mite autunno prussiano: e, in quell'istante, si chiuse un'epoca, fu la fine geopolitica del secolo, in anticipo rispetto al calendario gregoriano.
Il nuovo capo di Berlino Est, Egon Krenz, voleva dimostrare la sua adesione alla glasnost, la politica della trasparenza promossa a Mosca da Gorbaciov. Era appena succeduto a Erich Honecker e ci teneva a distinguersi dall'esponente della vecchia guardia, troppo fedele al comunismo di guerra per adeguarsi a un comunismo che si voleva liberale, quindi in disarmo. Per questo Krenz aveva consentito la trasmissione in diretta delle conferenze stampa serali, le quali erano seguite da milioni di tedeschi. In tempi di crisi ritmati da sempre più imponenti manifestazioni di protesta, erano spettacoli carichi di suspense.
Günter Schabowski aveva debuttato da poco come portavoce di Krenz e non era certamente un esperto della comunicazione. Quella sera annunciò un nuovo "decreto sui viaggi". Disse che d'ora in poi i permessi per recarsi nella Berlino occidentale, attraverso i varchi del Muro, sarebbero stati rifiutati soltanto in casi eccezionali. (…) Fu un anziano cronista a porre con candore, senza rendersene conto, una domanda esplosiva. Chiese al portavoce di Krenz a partire da quando quel decreto sarebbe entrato in vigore. Schabowski esitò a rispondere, poi disse quasi sottovoce: "Da adesso, se sono ben informato". A quelle parole, "da adesso", milioni di tedeschi sobbalzarono. Se era necessaria un'autorizzazione, sia pur facile da ottenere, il decreto non poteva essere valido da quell'istante, in quell'ormai tarda sera. L'irrazionalità della risposta assomigliava a una resa incondizionata o era un sintomo del panico in cui ormai affondava il governo. 
In realtà Egon Krenz pensava di rendere operativo il decreto soltanto l'indomani, facendo rispettare i tempi burocratici, quindi frenando, disciplinando l'apertura a Ovest. Ma il suo portavoce, per imprudenza, travolse i ritmi stabiliti, e accelerò probabilmente i successivi tempi che condussero al crollo della DDR e quindi alla riunificazione. 
Appena ascoltate le parole sfuggite a Schabowski, i tedeschi orientali cominciarono a discuterne il significato, prima davanti ai televisori, in famiglia, poi al telefono con gli amici, e più tardi sulle piazze. "Cosa vuol dire quel 'da adesso'? Che possiamo attraversare il Muro subito, stasera? "Perché non proviamo?" Alle 21 gruppi di giovani si presentarono al passaggio del Muro, sulla Potsdamerplatz. L'esercito non aveva ordini precisi. Che fare? I giovani passarono indisturbati. Dietro di loro si formarono code interminabili. Alle 22,50 di quella stessa sera, l'Ard, una tv occidentale, aprì il telegiornale annunciando che gruppi di tedeschi orientali avevano potuto superare il Muro "senza complicazioni". A quella notizia Berlino Est si illuminò, la gente uscì dalle case e s'incamminò verso la parte occidentale della città.


E Gorbaciov si fidò di me, Helmut Kohl, 9 novembre 1999 - Corriere della Sera
Mi trovavo a Varsavia, una visita di Stato molto difficile. Quella sera, quando cadde il Muro, ricevetti una telefonata da un membro del mio staff. La mia prima reazione fu di incredulità , poi di grande felicità . Era essenziale che io riuscissi ad andare il prima possibile da Varsavia a Berlino. I miei ospiti polacchi non furono di molto aiuto, anzi erano contrari, ma mi imposi e la sera successiva ero a Berlino. Il cambiamento era enorme, da 24 ore il Muro era caduto, il Muro era aperto, decine di migliaia di persone da Berlino est si erano riversate all'improvviso nel centro città di Berlino ovest. C'erano un'atmosfera, un clima straordinari, liberatori. Sono andato in auto fino al municipio di Berlino ovest, dove era in corso una manifestazione organizzata dal Senato della città. Mentre stavo parlando con Willy Brandt, Hans Dietrich Genscher ed altri, sul balcone del palazzo municipale di Schonenburg, Mikhail Gorbaciov chiamò il mio ufficio a Bonn e chiese se era vero ciò che gli avevano comunicato il Kgb e la Stasi (la polizia politica della Ddr), cioè che i soldati e le installazioni sovietiche nella Repubblica democratica tedesca correvano il rischio di venir attaccati dalla popolazione. La Stasi e il Kgb volevano che Gorbaciov desse l' ordine di mobilitazione ai carri armati sovietici. Se ciò fosse avvenuto, quella giornata avrebbe preso un corso completamente diverso. 
Gli inviai subito un messaggio attraverso il mio assistente, visto che non potevo telefonargli dal municipio, gli spiegai che erano tutte menzogne, che la gente stava manifestando pacificamente. Quella stessa notte, Willy Brandt inviò un messaggio simile a Mosca ed è stata una fortuna che Mikhail Gorbaciov abbia creduto alle nostre parole, in particolare alle mie, e non abbia creduto a quelli del Kgb che volevano un atto di violenza. In questo modo tutto si è svolto pacificamente. La decisione fu presa quella notte, la storia avrebbe preso tutto un altro corso se i carri armati sovietici fossero apparsi nelle strade. Per quanto riguarda la riunificazione della Germania, quello fu il giorno del destino. Se Gorbaciov avesse dato quell'ordine, i soldati sovietici si sarebbero presentati al Checkpoint Charlie, su quella linea di demarcazione creata fin dal vertice di Yalta, quando il mondo venne diviso in due, quando furono pensate la divisione di Berlino, la divisione della Germania e la divisione dell'Europa. Per questo fu davvero un colpo di fortuna, e sono grato a Gorbaciov soprattutto per aver creduto in noi, specialmente in me, e non al Kgb. La mia relazione con Gorbaciov si sviluppò progressivamente. Parlammo spesso al telefono e ci incontrammo diverse volte, ma l'incontro più importante, forse, fu quello di Bonn nell'estate del 1989. Era una notte d' estate, molto calda, e ci sedemmo, proprio vicino al Reno, tutti soli, Gorbaciov e io, presenti soltanto gli interpreti. Parlammo molto semplicemente delle nostre vite, dopotutto lui ha più o meno la mia età . Parlammo del nostro passato. Mi disse per la prima volta che era cresciuto in un'area che i tedeschi avevano invaso durante la guerra. Che suo padre fu ferito gravemente e suo zio, il fratello della madre, fu ucciso. Io gli raccontai la mia esperienza sotto i bombardamenti notturni nella mia città natale. Che anche mio fratello era stato ucciso, alla fine della guerra, all'età di 18 anni. Cose molto private e personali, cariche di emozioni. Durante questa conversazione parlammo anche di ciò che stava per succedere, tra la Repubblica federale e l' Unione Sovietica, il tema della riunificazione non era ancora attuale in quel momento. E ci trovammo d'accordo sul fatto che avremmo dovuto firmare un nuovo trattato per migliorare le relazioni economiche e per cooperare nell'area culturale e scientifica. In quel contesto gli dissi - e questa è la parte cruciale - che potevamo concludere tutti i trattati possibili, ma il problema della divisione della Germania era ancora in mezzo a noi. Gli dissi: "Signor Segretario generale, la divisione della Germania resta un problema che non può essere semplicemente rimosso". Allora gli dissi la frase che più tardi lui stesso scrisse e pubblicò. Puntai il dito verso il fiume che scorreva davanti a noi, il Reno, e parlai: "Guardi, questo fiume corre verso il mare. Si può costruire una diga, romperà gli argini e devasterà tutta l' area circostante, ma l' acqua continuerà a scorrere verso il mare. E il popolo tedesco continuerà nella sua opinione, a credere che noi siamo un popolo solo e che vogliamo la riunificazione. Non so se vivrò abbastanza per vederlo, ma so una cosa: così come l'acqua raggiunge il mare, la riunificazione tedesca si realizzerà .


Ho molti rimpianti ma vinse l'umanità di Mikhail Gorbaciov 9 novembre 1999 La Repubblica 
L' uomo, prima di tutto - di Mikhail Gorbaciov 1993

La divisione della Germania era un prodotto della storia e la storia stessa un giorno lo avrebbe risolto. Senza negare categoricamente la possibilità dell'unificazione, il versante sovietico suggeriva che bisognava dare tempo al tempo per risolvere il problema. Nell'autunno del 1989, tuttavia, gli eventi iniziarono a svilupparsi a ritmo più rapido in conseguenza dell'esodo in massa di cittadini della Germania dell'Est verso la Germania occidentale, all'inizio attraverso l' Ungheria, in seguito attraverso la Cecoslovacchia. Alcuni lasciarono il paese con ogni mezzo possibile, a rischio della stessa vita, attraversando il muro che divideva Berlino Ovest da Berlino Est. All'interno della Germania dell'Est, c'erano scoppi di malcontento e dimostrazioni di massa. I cittadini della Germania dell'Est capirono allora che l'Unione Sovietica non avrebbe usato la forza per prevenire l'unificazione. Questo per loro fu il segnale che la loro volontà di unificare il paese poteva realizzarsi.
La pressione sulla leadership della Germania dell'Est divenne maggiore ed ebbe come risultato le dimissioni della vecchia leadership sotto Erich Honecker, l'apertura della porta di Brandeburgo e la caduta del muro di Berlino. Oggi affermo con sicurezza che se la mina inesplosa rappresentata da una Germania divisa fosse rimasta al centro dell'Europa, la pace fra le maggiori potenze europee sarebbe rimasta instabile e non avremmo potuto superare il pericolo di un confronto Est-Ovest. 
La riunificazione procedette con calma, senza complicazioni o rotture della stabilità europea. Questa fu una prova del carattere fecondo e prolifico del nuovo pensiero e del nuovo approccio sovietico alla politica estera nell'era della perestrojka. Il risultato principale e fondamentale del nuovo pensiero fu che la guerra fredda finì (…) e la minaccia di una catastrofe nucleare sparì dalla scena centrale. Iniziò un rinnovamento fondamentale del panorama geopolitico e geoeconomico. (…)
***
La situazione mondiale contemporanea, le sue tendenze di sviluppo, spingono a riflessioni serie e non univoche. È forse universalmente riconosciuto che l' umanità ora si trova ad una tappa di rottura e di transizione. (…) A voler generalizzare le mie impressioni, direi innanzitutto di essere preoccupato dallo stato dell'attuale "paesaggio mondiale". Poiché si tratta del paesaggio di una profonda crisi, che minaccia soprattutto l' Uomo. Naturalmente ha ragione chi ci ricorda: di una crisi della civilizzazione si e' parlato più di una volta nel passato. Questo testimonia il fatto che l' Uomo già da molto tempo non e' soddisfatto delle condizioni della sua esistenza e del modo stesso di realizzarle. Ma l' attuale crisi della civiltà ha evidentemente nuovi aspetti dal punto di vista qualitativo: questa volta si parla non soltanto di insoddisfazione dell'Uomo per la sua esistenza e per i modi di realizzarla, ma anche della presenza di una reale minaccia per il futuro stesso del genere umano. Il Ventesimo secolo, che giunge alla sua conclusione, è stato un secolo di grandissime realizzazioni in molti settori. Le nuove vette raggiunte dal progresso tecnico scientifico talvolta superano le più audaci previsioni degli scrittori di fantascienza di un passato ancora recente. Questo secolo ha in linea di principio creato delle possibilità nuove per il perfezionamento della vita umana. Ma tali possibilità non si realizzano. Inoltre il Ventesimo secolo, si è rivelato sanguinoso, crudele, forse il più crudele e antiumano. Purtroppo questa verità è talmente palese da non richiedere prove. L' umanità si sta avvicinando alla fine del secolo in uno stato di inquietudine e, addirittura, di sconcerto. Non a caso si moltiplicano le previsioni sulla fine del mondo. In realtà noi, verosimilmente, osserviamo una crisi del modello di sviluppo tecnologico, una crisi della moderna civiltà tecnica, che ha condotto ad un conflitto sempre più pericoloso nei rapporti tra Uomo e natura. Ad un conflitto che, se non verranno prese in tempo le necessarie misure, potrebbe minare le basi stesse della vita sulla Terra. Osserviamo inoltre una crisi del modello della vita sociale. La profondissima contraddizione tra uomo e società, tra uomo e potere, sta diventando insostenibile. La crescente tensione segna persino i rapporti reciproci tra la gente. Notiamo anche una crisi nei rapporti mondiali, che sono evidentemente entrati nella più acuta contraddizione con le esigenze globali della nostra esistenza. La cultura politica del confronto ereditata dal passato, ostacola il cammino della realizzazione dell'ormai matura esigenza di riunire le forze dell'umanità in nome dell'eliminazione delle minacce globali. Il sintomo più grave del nostro tempo è il degrado morale della personalità, che ha assunto proporzioni tragiche. Si perdono i fondamentali valori spirituali, senza cui, in sostanza, una vita normale, rispondente alle esigenze della natura umana, e' impossibile. Osserviamo infine anche una crisi ideologica, le ideologie dominanti non sono in grado ne' di chiarire quanto avviene, né di proporre una ragionevole via d' uscita dalla situazione creatasi. In breve, si parla di crisi globale, multilaterale. Procedono le ricerche di una sua soluzione. Ma dove sono le risposte percettibili, visibili e chiare alle domande che si pongono? Si può pensare che non ci siano, perché coloro che le cercano fino a questo momento, di regola, tentano di adattare metodi tradizionali a situazioni assolutamente non tradizionali. Perché operano per mezzo di stereotipi, nati in un' epoca storica assolutamente diversa. Perché il loro pensiero è, come prima, stretto nelle morse ideologiche, si agita in un circolo chiuso da idee di classe, strettamente nazionalistiche, di gruppo, oppure di altri punti di vista, in sostanza settari. Per questo l' indispensabile dominante etica della politica per il momento rimane da parte, respinta in qualcuna delle ultimissime file dell'anfiteatro politico. Nell'attuale tappa critica di sviluppo della pace il denominatore comune delle preoccupazioni dell'umanità moderna può essere espresso con una sola parola: sopravvivenza, oppure, per essere più precisi, co sopravvivenza. Perché nessuno di noi e' in grado di risolvere da solo il problema della sopravvivenza. E' impossibile assicurare un prospero futuro ad un solo paese, e neppure ad un continente: noi tutti abbiamo un unico futuro, un futuro in comune. Perché sono diventati comuni i problemi dell'ecologia, dello sviluppo demografico e delle derrate alimentari, dell'energia e delle malattie pericolose, del terrorismo e della droga. La globalizzazione dei problemi e la loro soluzione e' divenuta la reale tendenza dominante di sviluppo della società umana al bivio tra XX e XXI secolo. Tutti noi siamo chiamati a trarre da questo le conclusioni adeguate. E la prima di esse e' che si e' rivelata in tutta la sua importanza la necessità di elaborare nuovi metodi privi del dogmatismo dell'epoca dello sviluppo locale degli stati. Per realizzarli servono nuove soluzioni mondiali ed una nuova coscienza, davvero globale. La più ampia collaborazione internazionale, basata sulla solidarietà. Ecco il presupposto del successo nel superare gli attuali importanti fenomeni, il presupposto di una via d' uscita verso orizzonti nuovi, verso nuove, civili possibilità di un futuro sviluppo del genere umano. Non si può non riflettere in particolare su tale problema. Nelle precedenti tappe di sviluppo strettamente nazionalistico degli stati sono elaborati limiti giuridici e politici, "regole del gioco" valide nei confini nazionali. Il mondo globale che sta nascendo, per il momento non possiede tali "regole del gioco". Le organizzazioni internazionali esistenti, persino l' ONU, non hanno ancora dimostrato la capacità di elaborare metodi nuovi, davvero universali, per la soluzione dei più importanti problemi di sviluppo. Ma l' esigenza di tali metodi si osserva palesemente già oggi e, in prospettiva, essi diventeranno davvero indispensabili. L' economia globale, il mercato comune mondiale, senza simili metodi, senza "regole del gioco" comuni, si rivelerà impotente, anarchico. Non risolverà, ma aggraverà, acutizzerà i problemi esistenti. (…)


“La Fine della Storia?” di Fancis Fukuyama in “The national interest” Estate 1989, trad. Clò - Pancaldi
A guardare lo scorrere degli eventi nell’ultimo decennio, è difficile evitare la sensazione che sia accaduto qualcosa di veramente fondamentale nella Storia mondiale. Nell’anno appena passato una moltitudine di articoli hanno celebrato la fine della Guerra Fredda e il fatto che la “pace” sembra che si stia facendo largo in molte regioni del mondo. Per la verità, alla maggior parte di queste analisi manca una visione concettuale sufficientemente ampia per distinguere cosa dunque sia essenziale per la storia mondiale, e cosa sia invece contingente o accidentale: per questo risultano prevedibilmente superficiali. Se Mr. Gorbachev venisse rimosso dal Cremlino o un nuovo Ayatollah proclamasse una rivolta generale da una sperduta capitale del Medio Oriente, questi stessi commentatori farebbero a gara per annunciare la rinascita di una nuova era di conflitto.
E invece queste persone non percepiscono ancora, se non vagamente, che è in atto un processo più ampio, un processo che dà coerenza e ordine alle testate dei quotidiani. Il ventesimo secolo ha visto il mondo Occidentale crollare in un eccesso di violenza ideologica, quando il liberalismo si è dovuto scontrare dapprima con i residui dell’assolutismo, il bolscevismo e il fascismo, e infine con un marxismo revisionato, che minacciava di portarci verso la finale apocalisse della guerra nucleare. Ma questo secolo, iniziato sotto il segno di una piena fiducia nel il trionfo finale delle democrazie liberali occidentali, sembra oggi vicino alla chiusura del cerchio: non tanto verso una “fine dell’ideologia”, o verso la convergenza tra capitalismo e socialismo, come qualcuno ha predetto, quanto verso una vittoria su tutta la linea del liberalismo politico ed economico. 
Il trionfo dell’Occidente, dell’ideologia Occidentale, è evidente prima di tutto nell’esaurimento di alternative percorribili al liberismo occidentale. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a inequivocabili cambiamenti nel clima intellettuale dei più grandi paesi comunisti e all’inizio di significativi movimenti di riforma. Ma questo fenomeno si estende ben oltre gli alti livelli della politica e si ritrova anche nell’ineluttabile diffusione della cultura consumistica occidentale in contesti così diversi come i mercati contadini e la televisione a colori onnipresenti in tutta la Cina, i ristoranti e gli empori di abbigliamento che hanno aperto negli anni passati a Mosca, le suonerie di Beethoven nei grandi magazzini giapponesi, e la musica rock amata a Praga, a Rangoon, come a Teheran.
Quello a cui stiamo assistendo non è soltanto la fine della Guerra Fredda, o la chiusura di un particolare periodo storico post-bellico, bensì la fine della Storia in quanto tale: la fine dell’evoluzione ideologica dell’umanità e l’universalizzazione della democrazia liberale occidentale come forma finale di governo. Non voglio dire che non ci saranno più eventi per riempire le pagine dei sommari di relazioni internazionali su Foreign Affairs, dal momento che la vittoria del liberalismo è avvenuta inizialmente nel mondo delle idee e della consapevolezza ma è ancora incompleta nel mondo reale o materiale. Ma ci sono ottime ragioni per credere che nel lungo periodo sarà questo ideale a governare il mondo.


Discorso-Autodifesa pronunciato da Erich Honecker al Tribunale di Berlino - 1991
Non sono io la persona che possa fare un bilancio della storia della RDT. Il momento di farlo non è ancora venuto. Il bilancio sarà tratto in futuro e da altri. Io ho speso la mia esistenza per la RDT. Dal maggio 1971 soprattutto ho avuto una responsabilità rilevante per la sua storia. Io sono perciò parte in causa e oltre a ciò indebolito per l'età e la malattia. E tuttavia, giunto alla fine della mia vita, ho la certezza che la RDT non è stata costituita invano. Essa ha rappresentato un segno che il socialismo è possibile e che è migliore del capitalismo. Si è trattato di un esperimento che è fallito. Ma per un esperimento fallito l'umanità non ha mai abbandonato la ricerca di nuove conoscenze e nuove vie. Bisognerà ora analizzare le ragioni per cui l'esperimento è fallito. Sicuramente ciò è accaduto anche perché noi - voglio dire i responsabili in tutti i paesi socialisti europei - abbiamo commesso errori che potevano essere evitati. Sicuramente è fallito in Germania tra l'altro anche perché i cittadini della RDT, come altri tedeschi prima di loro, hanno compiuto una scelta sbagliata e perché i nostri avversari erano ancora troppo potenti. Le esperienze storiche della RDT, insieme a quelle degli altri paesi ex socialisti, saranno utili a milioni di uomini nei paesi socialisti ancora esistenti e serviranno al mondo futuro. Chi si è impegnato con il proprio lavoro e con la propria vita per la RDT non ha vissuto invano. Un numero sempre maggiore di persone dell'est si renderanno conto che le condizioni di vita della RDT li avevano deformati assai meno di quanto la gente dell'ovest non sia deformata dall'economia di mercato e che nei nidi, negli asili e nelle scuole i bambini della RDT crescevano più spensierati, più felici, più istruiti, più liberi dei bambini delle strade e delle piazze dominate dalla violenza della RFT. I malati si renderanno conto che nel sistema sanitario della RDT, nonostante le arretratezze tecniche, erano dei pazienti e non oggetti commerciali del marketing dei medici. Gli artisti comprenderanno che la censura, vera o presunta, della RDT non poteva recare all'arte i danni prodotti dalla censura del mercato. I cittadini constateranno che anche sommando la burocrazia della RDT e la caccia alle merci scarse non c'era bisogno che sacrificassero tutto il tempo libero che devono sacrificare ora alla burocrazia della RFT. Gli operai e i contadini si renderanno conto che la RFT e' lo Stato degli imprenditori (cioè dei capitalisti) e che non a caso la RDT si chiamava Stato degli operai e dei contadini. Le donne daranno maggior valore, nella nuova situazione, alla parità e al diritto di decidere sul proprio corpo di cui godevano nella RDT. Dopo aver conosciuto da vicino le leggi e il diritto della RFT molti diranno, con la signora Bohley, a cui i comunisti non piacciono: «Abbiamo chiesto giustizia. Ci hanno dato un altro Stato». Molti capiranno anche che la libertà di scegliere tra CDU/CSU, SPD e FDP è solo una libertà apparente. Si renderanno conto che nella vita di tutti i giorni, specialmente sul posto di lavoro, avevano assai più libertà nella RDT di quante ne abbiano ora. Infine la protezione e la sicurezza che la piccola RDT, così povera rispetto alla RFT, garantiva ai suoi cittadini non saranno più minimizzate come cose ovvie, perché la realtà quotidiana del capitalismo si incaricherà adesso di far capire a tutti quanto fossero preziose. Il bilancio della storia quarantennale della RDT è diverso da quello che ci viene presentato dai politici e dai mass media. Col passar del tempo questo sarà sempre più evidente.

Quante macerie causate dalla caduta del Muro di Enzo Biagi 22 giugno 2000 - Corriere della Sera
Quante macerie causate dalla caduta del Muro. Quante macerie ha provocato la caduta del muro di Berlino. E che secolo terribile e stravagante è questo che si avvia al tramonto: ha visto la fine di tre ideologie. Il fascismo è finito in un paese del Garda: Mussolini aveva traslocato da Palazzo Venezia a Villa Feltrinelli. In affitto, suppongo. Il nazismo (i tedeschi hanno il culto della tecnica e della scienza) si è affidato a qualche fialetta di cianuro: la signora Goering la passò al grasso Hermann con un bacio. Il comunismo ammainò la bandiera rossa che sventolava sulla torre più alta del Cremlino (anche, quando non arrivava il vento della steppa, con l' aiuto di ventilatori) il 25 dicembre 1991. Al suo posto salì lentamente il vessillo tricolore della Repubblica russa. Era il drappo dietro il quale marciavano miliardi di illusi o di comandati; c' è sempre qualcuno che vuole imporre agli altri il suo modello di felicità. «Si chiude un' epoca» dicevano i commentatori. Ci sono luoghi e momenti che simbolizzano una nazione e il suo spirito: il Muro del pianto a Gerusalemme, ad esempio, con i piccoli uomini neri e barbuti che pregano davanti ai secoli, o il Rockefeller Center a New York, con l' albero natalizio e i pattinatori che si esibiscono sulle note di Strauss con l' ingenua felicità dei disegni di Norman Rockwell. E poi il cambio della guardia davanti al Mausoleo di Lenin, a mezzanotte, mentre nevica e in alto, inquadrato dai riflettori, quel drappo vermiglio, con la falce, il martello e la stella d' oro. Gli striscioni della propaganda dicevano: «Il nostro è il secolo del comunismo». Ancora alcuni effetti sorprendenti della fine delle dottrine che volevano rappresentare una concezione del mondo. Il piccone demolitore starebbe per avventarsi sulla vecchia costruzione dell' Hotel Lux di Mosca. Lo rifaranno gli americani ed entrerà in una catena internazionale. Per i russi, un nome che sa di angoscia: era il recapito della rivoluzione mondiale e gli ospiti ogni tanto sparivano. Disponeva di più di trecento camere: la stanza numero 1 era assegnata a Palmiro Togliatti, nome di battaglia Ercole Ercoli. Tra i rifugiati c' è anche Tito, che si fa chiamare Walter, poi il tedesco Ulbricht, il bulgaro Dimitrov, l' ungherese Rakosi, tutti convinti che, qualunque cosa accada, «l' Unione Sovietica ha sempre ragione». Restiamo nell'edilizia. Messo in vendita l' edificio di via Botteghe Oscure, diventato quasi un simbolo, come sede del Pci. È sul mercato anche l' Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, un pezzo di storia d' Italia. Chi non ricorda i corsivi, ardenti e anche rozzi, di Davide Lajolo, in arte Ulisse, e quelli finissimi di Fortebraccio, all' anagrafe Mario Melloni, bolognese di provincia, nato a San Giorgio di Piano, il paese di Giulietta Masina? Non mi risulta che Fortebraccio, pseudonimo scelto tra i personaggi di Shakespeare, abbia mai scritto una critica acre o volgare. Per lui il comunismo era un modo per realizzare il cristianesimo. È stato il nostro massimo, forse unico scrittore satirico. Un piccolo campionario: «Giuseppe Saragat è sempre lambrusco nei modi»; Cariglia «viene dal nulla e c' è rimasto»; «Tanassi non ha mai avuto un mal di testa». L' Unità perde, ho letto, tre miliardi al mese: pare siano degli imprenditori del Nord quelli che cercheranno di comperare il giornale. Una vittoria del capitalismo? E che cosa ne faranno? Ci sono ancora i metalmeccanici ai quali si rivolgeva Mario Melloni, e i diffusori della domenica, che andavano di casa in casa? Non ne sono sicuro.

La storia non si archivia con le ruspe di Peter Schneider - 7 novembre 1999 - Corriere della Sera
Sono passati dieci anni da quando il muro e' caduto. Ma dove stava, esattamente? Quando una volta volevo rispondere a questa domanda di un mio ospite in giro per la città , mi sono confuso. Il muro e' stato così radicalmente eraso dal cuore della città che ancora adesso ho dei dubbi, se veramente sorgeva lì , dove io gliel'ho indicato. La memoria non ha tenuto traccia del percorso di questo "pezzo unico" svanito nel nulla. Perché , per quanto riguarda il suo percorso, il muro era la costruzione più anarchica della città . (…) Non era, lo sa Dio, un gioiello d' arte edilizia, ma un' assurdità architettonica e politica, un mostro fantastico che proprio per questo occupava le fantasie di genti lontane. Proprio l' estrema e repellente bruttezza di una costruzione può essere anche motivo della sua visibilità. In genere a Berlino ci si dimenticava facilmente che il muro non divideva solo una città, ma anche l' Europa e il mondo. Perché il muro era anche diventato una metafora che parlava a tutto il mondo, una delle grandi (e negative) meraviglie del pianeta. (…) Io penso che sia stata una grande sciocchezza - non solo dal punto di vista degli operatori turistici - distruggere così completamente il muro. Perché un pezzo di muro in mezzo alla città oggi agevolerebbe la comunicazione tra gli ossis e i wessis - e rappresenterebbe una solida e tangibile spiegazione del perché, dopo quarant'anni di divisione e dieci di unione, i tedeschi non si vedono di buon occhio. Sembra che davvero il "muro nella testa", di cui molto si parla, sia cresciuto con lo stesso ritmo con il quale il muro vero è diventato invisibile. Secondo un recente sondaggio, un tedesco su sei, sia ad Est sia ad Ovest, rivuole il muro. Ma, come ha precisato un intervistato, "per favore, cinque metri più alto". Per quanto mi riguarda, non mi meraviglio del muro "mentale". Mi sorprende invece che tutti, in Germania e nel mondo, si aspettassero che crollasse da solo. Ma cosa credevano? Perché avrebbero dovuto i tedeschi, a sinistra e a destra del muro, cresciuti come studenti modello in due collegi radicalmente diversi, gettarsi uno nelle braccia dell'altro dopo 28 anni? Il muro aveva tenuto in piedi l' illusione che era solo un muro a dividere i tedeschi. Ma e' davvero così strano che dopo il primo caloroso saluto si siano osservati l' un l' altro e abbiano scoperto delle differenze? O forse queste differenze non meritano un po' di curiosità? Penso per esempio alla rigida separazione tra Stato e Chiesa che la DDR ha lasciato in eredità ai tedeschi, all' indipendenza economica delle donne, al diritto senza restrizioni di decidere sulla propria gravidanza. Si parla del "muro nella testa", come se si trattasse di un'aberrazione o di una mostruosità, che deve sparire quanto prima. Ma perché, dopo tutto? Niente mi suona più nebuloso e falso degli appelli all' "unità interiore". Con cosa o con chi, i tedeschi dovrebbero unirsi "nel loro intimo"? Vive la difference, dicono i francesi. Ai tedeschi non rimane veramente nient' altro da fare che provare sulla propria pelle il progetto, molto discusso, di una convivenza multiculturale. Naturalmente, a proposito di differenze, si deve anche fare una distinzione. Non tutte le differenze sono ugualmente belle e non tutte meritano di essere conservate. Quando si ha a che fare con un cinico e brutale disprezzo della democrazia da una parte e con un ingiustificato senso di superiorità dall'altra, è preferibile lo scontro aperto a qualsiasi affrettata comprensione. C'è una frase in voga tra i tedeschi occidentali, che volevo citare all'inizio: "Non so come mi sarei comportato se fossi vissuto nelle loro stesse condizioni. Per questo non ho il diritto di giudicare". Questo divieto di giudicare, che il premio Nobel Günter Grass ha usato almeno altrettante volte quanto il suo intimo nemico Helmut Kohl, è un esempio di comprensione fasulla. Un simile argomento può andare bene solo come un pragmatico ammonimento contro la presunzione. Ma come principio etico è assurdo e afferma il "diritto umano" alla collaborazione. Certo che non posso sapere come io, Peter Schneider, mi sarei comportato nella DDR, se mi avessero intimato di sorvegliare un mio collega. Questo test non ho dovuto sostenerlo. Ma se Peter Schneider si fosse comportato come una spia, allora è giusto dirlo. Nei nuovi Länder è ancora una provocazione dire che la DDR è stata un regime ingiusto. Chi usa il termine tecnico "dittatura" viene subito accusato di voler minimizzare il terrore del nazionalsocialismo. Perché un popolo intero, che dopo il dominio nazista è caduto sotto una dittatura socialista, non vuole ammettere che è stato così? Non si può buttare via una vita intera, ha detto Christa Wolf. Ma non consiste proprio in questo l' accettazione del proprio destino? Un dato di fatto, non un giudizio, che le carte nella partita intertedesca sono state distribuite in modo diseguale. E non giova a niente che i tedeschi dell'Ovest rinneghino la loro maggiore competenza in materia di democrazia e di economia di mercato (che è stata loro concessa dalla loro fortuna geografica) per una presunta correttezza politica. Anzi, al contrario, dovrebbero diffondere questa competenza con orgoglio e modestia - con la modestia che deriva dalla consapevolezza che anche loro hanno impiegato almeno vent'anni per far propria la democrazia importata dagli Alleati occidentali. (…) Ma anche gli ex abitanti della DDR hanno motivi fondati per opporsi indispettiti ai proclami per l' unità interiore. Perché col discorso del muro nella testa vengono troppo spesso mascherate le reali e evitabili ingiustizie. Uno dei grandi errori della riunificazione è stato il principio della restituzione. Sembra che chiunque abbia posseduto una casa, un pezzo di terra, un paese, un castello, un bosco nell'ex DDR, possa ora avanzare pretese per riaverlo. Agli occhi degli ex abitanti della DDR questo significa che i tedeschi occidentali, che dopo la fine della guerra hanno già ottenuto la parte migliore, si presenteranno per la seconda volta come vincitori. Ai miei occhi ci sono solo due gruppi di persone che hanno il legittimo diritto alla restituzione: gli eredi degli ebrei tedeschi torturati e uccisi e ogni cittadino della DDR che dopo la costruzione del muro per il suo imperfetto adeguamento alla dittatura socialista è stato perseguitato ed espropriato dei propri averi. Il veleno, che è stato iniettato per legge nell'unificazione tedesca, avrà effetti duraturi. Un altro atto di espropriazione, con conseguenze forse ancora maggiori, si è rivelata l' unità monetaria e la riconversione delle imprese di Stato della DDR. Non si sa se all'unione monetaria ci fossero delle alternative e su questo litigano gli esperti. Il risultato, in ogni caso, è che oggi il 94 per cento delle capacità produttive dell'ex DDR appartiene a compagnie tedesche occidentali, o meglio straniere. Il muro tra i proprietari e i nullatenenti, che qui è stato eretto, non è' mentale. Perlomeno così reale come quello di cemento armato e non si lascerà abbattere dagli appelli all'unità interiore. Può darsi che nel giro di una generazione o due si arrivi a una nuova distribuzione delle risorse. Ma per un cinquantenne, che vive oggi, questa è una magra consolazione. E potrebbe anche procurargli qualche problema allo stomaco. La disoccupazione nei nuovi Länder, dieci anni dopo la riunificazione, è più che doppia rispetto alla Germania occidentale e in molte delle ex "città industriali" della DDR raggiunge addirittura il 40 o 50 % . Le storie di espropriazioni, di nuovi vantaggi e soprusi che ho descritto continueranno a sopravvivere per generazioni come leggende e anche quando saranno superate, le nonne e i nonni continueranno a raccontarle ai propri nipoti. L' ironia della storia vuole che alcuni errori della riunificazioni ricadano così sugli ossis come sui wessis. Sorpreso nel sonno, il vincitore tedesco - occidentale ha trasposto di punto in bianco le proprie strutture, che da tempo avevano bisogno di riforme, ai nuovi Länder. Inclusi lo spossato sistema universitario, l' assurdo eccesso di burocrati e impiegati pubblici e uno Stato sociale che già prima della caduta del muro era diventato insostenibile. A ragione si parla oggi di una "trappola della giustizia sociale", nella quale siedono insieme i tedeschi dell'Est e dell'Ovest. (…) Naturalmente è "ingiusto" che un operaio ad Est guadagni, per lo stesso lavoro, tra il 10 e il 20 per cento in meno di un collega ad Ovest. Ma tenuto conto che la produttività del suo lavoro è del 40 o 50 per cento inferiore al livello tedesco occidentale, questo stipendio "iniquo" è ancora troppo alto. O, più precisamente, è improduttivo perché spinge gli investitori verso la Polonia o la Repubblica ceca. Gli esperti economici oggi spiegano che l' idea "giusta" di una forzata parificazione degli stipendi tra l' Est e l' Ovest condanna un milione di cittadini della DDR a rimanere senza lavoro. Erich Honecker, l' ultimo capo di Stato della DDR, annunciò, fiducioso nella solidità del socialismo: il muro "che ci difende dai ladri" starà su ancora cento anni. Se non si riuscirà a sconfiggere la disuguaglianza economica tra l' Est e l' Ovest, questa profezia, in modo del tutto inatteso, rischia di rivelarsi esatta.

Germania unita. Quel no di Thatcher e Mitterrand di Sergio Romano – 11 settembre 2009 – Corriere della Sera
I cinquecento documenti rilasciati dagli archivi del Foreign Office sulla fredda accoglienza che Margaret Thatcher e François Mitterrand riservarono 20 anni fa alle prospettive di una Germania unificata sono certamente interessanti. E' divertente apprendere che la Lady di Ferro fu scossa da un brivido quando seppe che i deputati del Bundestag avevano cantato in piedi un inno che nella sua versione originale conteneva le parole «Deutschland über alles». È sorprendente scoprire che François bisbigliò a Margaret, nel corso di un colloquio, il suo timore che la nuova Germania sarebbe stata territorialmente più vasta di quella di Hitler. (…) Per comprendere lo stato d' animo dei protagonisti di quelle vicende conviene comunque fare un passo indietro e ripercorrere brevemente la storia dei mesi precedenti. Come dice il titolo di uno splendido album fotografico pubblicato dal governo ungherese nelle scorse settimane, il 1989 fu «l' anno dei miracoli». In marzo i sovietici andarono alle urne per eleggere il Congresso del popolo e poterono scegliere, per la prima volta, fra una pluralità di candidati. Qualche settimana dopo i polacchi appresero che una «tavola rotonda», composta dai rappresentanti del governo e della opposizione, si era accordata sulla data di elezioni finalmente libere. Poco più di un mese dopo, alla fine di maggio, i cinesi approfittarono della visita di Gorbaciov a Pechino per portare in piazza Tienanmen un fantoccio di papier maché che assomigliava maledettamente alla statua della Libertà. Pensavamo che le repressioni poliziesche di Pechino dopo la partenza del leader sovietico, l' arrivo dell'estate e la partenza per le vacanze avrebbero interrotto la sequenza dei miracoli. Accadde invece che i turisti della Germania dell'est in Cecoslovacchia e in Ungheria approfittassero delle vacanze per dire pubblicamente addio al loro «paradiso» socialista. Avevano riempito le piccole Trabant delle loro cose più care, avevano attraversato la frontiera e si erano installati notte e giorno di fronte agli uffici diplomatici e consolari della Repubblica federale per chiedere asilo alla loro patria democratica. Dopo un frenetico scambio di messaggi fra Berlino est, Mosca, Budapest e Praga, i turisti esuli furono autorizzati ad attraversare la frontiera con l' Austria e a raggiungere la Germania occidentale. Nell'album ungherese vi sono commoventi fotografie di intere famiglie che fanno il bucato nel Danubio, stendono i loro panni sugli alberi del lungofiume, dormono sul marciapiedi in un sacco a pelo, spingono le Trabant verso il confine e piangono di gioia quando i doganieri ungheresi alzano le sbarre di frontiera. La scena, in ottobre, si sposta a Berlino est dove la nomenclatura comunista si appresta a celebrare il quarantesimo anniversario della fondazione della Repubblica democratica. Gorbaciov ha deciso di partecipare ai festeggiamenti. È arrabbiato con Erich Honecker, leader della Rdt e colpevole di avere accolto freddamente il programma riformatore del Cremlino. Il viaggio servirà a redarguire il satellite riluttante e a dimostrare che la perestrojka può essere il programma comune di tutto il blocco sovietico. Accadrà invece il contrario. Come i cinesi a Pechino, i tedeschi della Germania orientale approfittano della visita di Gorbaciov per inscenare manifestazioni che cominciano a Lipsia e si concludono trionfalmente a Berlino. Da quelle manifestazioni e dal crollo del muro comincia, con un tragicomico crescendo, il rapido declino del regime comunista. Alla fine del 1989 il cancelliere Helmut Kohl ha già deciso di cogliere questa storica occasione: la Repubblica federale avrebbe annesso la Repubblica democratica e ricomposto l' unità della patria tedesca. Fu questo il momento in cui i maggiori leader europei cominciarono a manifestare le loro preoccupazioni. Conosciamo i sentimenti di Margaret Thatcher e sappiamo che Giulio Andreotti, prendendo a prestito una battuta del romanziere François Mauriac, disse di amare la Germania al punto di preferire che ve ne fossero due. Ma il leader più inquieto era certamente Mitterrand. Il presidente francese aveva stretto eccellenti relazioni con Kohl, ma sapeva che l' asse franco-tedesco poggiava su un rapporto asimmetrico. La Francia era economicamente più debole della Germania, ma aveva il rango del Paese vincitore, un arsenale nucleare e un seggio permanente al Consiglio di sicurezza. La Germania era un colosso economico, ma era dimezzata e aveva tuttora, 44 anni dopo la fine del conflitto, una sovranità parziale. Finché le cose fossero rimaste così ciascuno dei due Paesi avrebbe potuto contare sull'amicizia dell'alto. Ma che cosa sarebbe accaduto il giorno in cui la Germania, finalmente riunificata, sarebbe diventata nuovamente la potenza dominante della Mittel Europa? Per evitarlo Mitterrand cercò di correre ai ripari con una improvvisa visita a Berlino est nel gennaio del 1990. Era una dimostrazione di fiducia nell'esistenza dello Stato comunista dietro la quale si nascondeva il disegno di una Confederazione germanica costituita da due Stati sovrani. Il presidente francese aveva parecchi alleati nella società tedesca. Gerhard Schröder, futuro cancelliere social-democratico, Joschka Fischer, futuro ministro degli Esteri, e Günter Grass, icona della intelligencija di sinistra, erano dello stesso parere. Troppo tardi. Kohl non volle perdere il treno della storia e poté contare sulla collaborazione di George Bush sr., molto più lungimirante dei leader europei. Esisteva ancora tuttavia un nodo da sciogliere. Occorreva convincere l' Unione Sovietica di Gorbaciov che l' unificazione tedesca non avrebbe turbato gli equilibri est-ovest. Nel corso di un colloquio con il segretario di Stato americano James Baker a Mosca nel 1990, Gorbaciov disse che avrebbe ritirato le truppe sovietiche dalla DDR (300.000 uomini), ma non avrebbe tollerato l'esistenza di una Germania unificata nella Nato. In un articolo apparso nell'ultimo numero di Foreign Policy (la rivista americana diretta da Moisés Naím) l' ex senatore Bill Bradley scrive che Baker, dopo un lungo negoziato, aveva guardato Gorbaciov negli occhi e gli aveva detto: «Senta, se lei toglie le sue truppe e permette la riunificazione della Germania nella Nato, la Nato non espanderà di un pollice verso est». Le cose, come sappiamo, sono andate diversamente, ma gli americani si giustificano sostenendo che l' interpretazione corretta delle parole di Baker è: «Non stazioneremo truppe non tedesche della Nato nei territori che avevano fatto parte della Germania Orientale». Celebriamo dunque con gioia la caduta del muro e l' unificazione tedesca, ma non dimentichiamo che in quegli stessi mesi, mentre si alzava infine il sipario di ferro, Washington gettava il seme della nuova crisi che avrebbe turbato i rapporti russo-americani vent' anni dopo.

La rivista on line “L’Arengo del Viaggiatore” ha dedicato l’intero numero 64 al tema:


Registrazione della serata a cura di Radio Radicale
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