logo dell'associazione

logo dell'associazione

Storie (lette / scritte) - Omero, Benjamin, Blixen, Musil, Mallarmè, Calvino, Cerami, Maraini, Vargas Llosa…




lunedì 28 ottobre 2002 legge Magda Indiveri
Il mondo è pieno di storie.
Storie richieste (“raccontami una storia…”) e storie imposte (“cantami o diva…) -
Storie captate a mezz’orecchio (“lui chi? – quello di lei – e dopo?”) e storie caparbiamente rubate al tempo libero (“stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino”) -Storie di desiderio (“e il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio Sì”) e desideri di storie (Guido i’ vorrei che…).-Storie false che sembrano vere e storie vere che si vorrebbero false.
L’incontro indagherà il nostro bisogno primario di storie, nella convinzione che “raccontare sia un tratto qualificante di ogni discorso umano e forma espressiva universale”. Lo farà attraverso pagine di Omero, Benjamin, Blixen, Musil, Mallarmè, Calvino, Cerami, Maraini, Vargas Llosa…
fino a sposare l’invito di Benjamin “Fra tutti i mezzi di procurarsi libri, quello di scriverseli da soli è considerato il più lodevole”.


Iscrizione al laboratorio di scrittura:

La Bottega dell’elefante nell’ambito del ciclo di letture dedicate alle “STORIE” (28 ottobre, 25 novembre, 27 gennaio, 24 febbraio) organizza un laboratorio di scrittura per i mesi invernali (il giovedì dalle h 17,30 alle h 19,30) presso l’Arci Villona di via Bastia 3/2.

I testi prodotti potranno essere letti nelle serate del ciclo di “Storie” e costituire un “quaderno dell’elefante”.


Testi:

NARRARE


Walter Benjamin “Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov”. in Angelus Novus – Saggi e frammenti Einaudi 1976

Càpita sempre più di rado d’incontrare persone che sappiano raccontare qualcosa come si deve: e l’imbarazzo si diffonde sempre più spesso quando, in una compagnia, c’è chi vorrebbe sentirsi raccontare una storia. E’ come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: la capacità di scambiare esperienze.
(…)
Il narratore prende ciò che narra dall’esperienza – dalla propria o da quella che gli è stata riferita -; e lo trasforma in esperienza di quelli che ascoltano la sua storia.
(…)
E’ infatti, già la metà dell’arte di narrare, lasciare libera una storia, nell’atto di riprodurla, da ogni sorta di spiegazioni. In ciò Leskov è maestro. Lo straordinario, il meraviglioso, è riferito con estrema precisione, ma il nesso psicologico degli eventi non è imposto al lettore. Che rimane libero di interpretare la cosa come preferisce; e con ciò il narrato acquista un’ampiezza di vibrazioni che manca all’informazione.(…)
Non c’è nulla che assicuri più efficacemente le storie alla memoria di quella casta concisione che le sottrae all’analisi psicologica. -E quanto più naturale in chi le narra la rinuncia al chiaroscuro psicologico, tanto maggiore il loro diritto a un posto nella memoria di chi le ascolta; tanto più completamente si assimilano alla sua esperienza; tanto più volentieri, infine, tornerà egli stesso a raccontarle, un giorno vicino o lontano. (…) L’arte di narrare storie è sempre quella di saperle rinarrare ad altri, ed essa si perde se le storie non sono più ritenute. (…)Quanto più dimentico di sé l’ascoltatore, tanto più a fondo s’imprime in lui ciò che ascolta. (…) Questa è la rete in cui si fonda l’arte di narrare.


R. Musil L’uomo senza qualità Einaudi 1981

Quel che ci tranquillizza è la successione semplice, il ridurre a una dimensione, come direbbe un matematico, l’opprimente varietà della vita; infilare un filo, quel famoso filo del racconto di cui è fatto anche il filo della vita.



LEGGERE


Alberto Manguel Una storia della lettura Mondadori 1999

Sia nei monasteri benedettini che nelle sale dei castelli medievali, nelle locande e nelle cucine del Rinascimento o nelle fabbriche di sigari dell’ottocento, e anche oggi, quando ascoltiamo il nastro con la voce dell’attore che ci legge un libro mentre corriamo sull’autostrada, la cerimonia della lettura pubblica priva l’ascoltatore di alcune delle libertà inerenti all’atto di leggere: scegliere il ritmo, soffermarsi su un punto, ritornare a un brano particolarmente piacevole. Ma dona anche al testo una sua precisa identità, un senso di unità nel tempo e di esistenza nello spazio che raramente assume nelle mani di un lettore solitario.





Omero Odissea Mondadori 1991 traduz. G. Privitera –
libro I vv 336-352

Piangendo si rivolse poi al divino cantore:
“Femio, molte altre imprese di uomini e dei tu conosci,
che incantano gli uomini, e i cantori le celebrano;
cantane una, seduto tra loro; ed essi in silenzio
bevano il vino;smetti però questo canto
luttuoso, che sempre in petto mi logora
il cuore, dopoché tanto mi colpì il crudele dolore.
Tale persona infatti desidero, ricordandola sempre,
di un uomo, di cui è vasta la gloria per l’Ellade ed Argo.”
Le rispose allora giudiziosamente Telemaco:
“Madre mia, perché vieti che il fedele cantore
ci allieti come la mente l’ispira? colpevoli non sono
i cantori, responsabile è Zeus, che assegna a ciascuno,
agli uomini che mangiano pane, la sorte che vuole.
Costui non va biasimato se canta la mala sorte dei Danai:
gli uomini lodano di più quel canto
che suona più nuovo a chi ascolta.”

libro I vv 370-371

“ perché è bello ascoltare un cantore
così, come è questo, simile per la voce agli dei”

libro XI vv 362-374

Allora Alcinoo rispose e gli disse:
“Odisseo, non ci sembri davvero, guardandoti,
un imbroglione e un bugiardo, come ne alleva
tanti la terra nera, uomini sparsi in gran copia,
costruttori di storie false, che uno non riesce a vedere.
Ma i tuoi racconti hanno forma, in te v’è una mente egregia.
Hai esposto con arte, come un aedo, il racconto,
le tristi sventure di tutti gli Argivi e le tue.
Ma dimmi una cosa e dilla con tutta franchezza,
se vedesti qualcuno dei tuoi compagni pari agli dei
che con te andarono ad Ilio e subirono il destino laggiù.
Questa è una notte assai lunga, indicibile: non è ancora tempo
per dormire nella gran sala. Tu dimmi le imprese meravigliose.”


Roland Barthes”La musica,la voce, la lingua” in L’ovvio e l’ottuso Einaudi 1985

La voce umana è dunque il luogo privilegiato (eidetico) della differenza: un luogo che sfugge a ogni scienza, perché non esiste scienza (fisiologia, storia, estetica, psicanalisi) che esaurisca la voce.
Per quanto si classifichi; si commenti storicamente, sociologicamente, esteticamente, tecnicamente la musica, ci sarà sempre un resto, un supplemento, un lapsus, un non detto che si designa da solo: la voce. Questo oggetto sempre differente è.posto dalla psicanalisi tra gli oggetti del desiderio in quanto mancante, cioè tra gli oggetti a: non c'è nessuna voce umana al mondo che non sia oggetto di desiderio o di rifiuto: non esiste voce neutra - e se talvolta questo neutro, questo bianco della voce arriva a manifestarsi, ci terrorizza come se scoprissimo con spavento un mondo irrigidito in cui il desiderio è morto. Ogni rapporto con una voce è necessariamente amoroso, ed è perciò che la differenza della musica, come la sua necessità di valutazione, di affermazione, si manifesta nella voce.
(…)
La grana della voce è un misto erotico di timbro e di linguaggio e può essere quindi, al pari della dizione, la materia di un’arte, l’arte di condurre il proprio corpo.


SCRIVERE

Italo Calvino Il castello dei destini incrociati Einaudi 1973

Prendemmo a spargere le carte sul tavolo, scoperte, come per imparare a riconoscerle, e dare loro il giusto valore nei giochi, o il vero significato nella lettura del destino. Eppure non sembrava che alcuno di noi avesse voglia d'iniziare una partita, e tanto meno di mettersi a interrogare l'avvenire, dato che d'ogni avvenire sembravamo svuotati, sospesi in un viaggio né terminato né da terminare. Era qualcos'altro che vedevamo in quei tarocchi, qualcosa che non ci lasciava più staccare gli occhi dalle tessere dorate di quel mosaico.
Uno dei commensali tirò a sé le carte sparse, lasciando sgombra una larga parte del tavolo; ma non le radunò in mazzo né le mescolò; prese una carta e la posò davanti a sé. Tutti notammo la somiglianza tra il suo viso e quello della figura, e ci parve di capire che con quella carta egli voleva dire « io » e che s'accingeva a raccontare la sua storia.


Mario Vargas Llosa Lettere a un aspirante romanziere Einaudi 1998

Caro amico,
il lavoro eccessivo di questi ultimi giorni mi ha impedito di risponderle con la opportuna rapidità, ma la sua lettera ha continuato a rigirarmi per la mente da quando l'ho ricevuta. Non soltanto a causa del suo entusiasmo, che condivido perché anch'io credo che la letteratura sia la cosa migliore mai inventata per difendersi dalla sorte avversa; ma anche perché il tema su cui mi rivolge le sue domande - «Da dove vengono le storie che si raccontano nei romanzi?», «Come trova i suoi argomenti, un romanziere? » - continua a incuriosirmi, dopo che ho scritto un buon numero di opere di finzione, quanto agli albori del mio apprendistato letterario. Ho una risposta, che dovrà però essere molto sfumata per non risultare del tutto fallace.
La radice di tutte le storie è l'esperienza di chi le inventa, il vissuto è la fonte che le bagna. Ciò non significa, certo, che un romanzo debba sempre essere una biografia dissimulata dell'autore; piuttosto, che in ogni opera di finzione, anche in quella in cui la fantasia si esprime con maggiore libertà, è possibile cogliere un punto di partenza, un seme interiore, intimamente legato a una somma di esperienze di chi l'ha forgiata. Mi spingo fino a sostenere che non vi sono eccezioni a questa regola e che, di conseguenza, in campo letterario l'invenzione chimicamente pura non esiste. (…) Quanto agli argomenti, credo dunque che il romanziere si alimenti di se stesso, come il catoblepa, il mitico animale che appare a sant'Antonio nel romanzo di Flaubert (La tentazione di sant'Antonio) e che poi fu ricreato da Borges nel Manuale di zoologia fantastica. Il catoblepa è una creatura impossibile, che divora se stesso a cominciare dai piedi.
In senso meno materiale, certo, il romanziere va a sua volta frugando nella sua stessa esperienza, in cerca di appigli per inventare storie. E non soltanto per ricreare personaggi, episodi o paesaggi sulla base del materiale che gli forniscono certi ricordi, ma anche perché trova in quegli abitanti della sua memoria il combustibile per la volontà necessaria a coronare con successo quel procedimento, lungo e difficile, che è il forgiare un romanzo. Mi spingo ad andare anche più lontano, riguardo agli argomenti delle opere di finzione. Il romanziere non sceglie i propri argomenti; è scelto da essi. Scrive di certe faccende perché gli sono successe certe cose. Nella scelta dell'argomento, la libertà di uno scrittore è relativa, forse inesistente. E, in ogni caso, incomparabilmente minore di quanto avvenga con la forma letteraria, dove, mi sembra, la libertà - la responsabilità - dello scrittore è totale. La mia impressione che la vita - parola grossa, lo so - gli infligga gli argomenti attraverso certe esperienze che lasciano un segno nella sua coscienza o nel suo subconscio, e che poi lo spronano a liberarsi di quelle esperienze trasformandole in storie. Naturalmente, il primo nome che viene in mente a chiunque è quello di Proust. Autentico scrittore-catoblepa, non è vero? Chi altri si è alimentato meglio e con migliori risultati di se stesso, frugando come un minuzioso archeologo in tutti i meandri della sua memoria, se non il lento costruttore di Alla ricerca del tempo perduto, monumentale ricreazione artistica del suo percorso vitale, della sua famiglia, del suo paesaggio, delle sue amicizie, delle relazioni, degli appetiti confessabili e inconfessabili, dei gusti e disgusti, e, allo stesso tempo, dei misteriosi e sottili incamminamenti dello spirito umano nell'affannoso compito di tesaurizzare, discriminare, sotterrare e dissotterrare, associare e dissociare, ripulire o deformare le immagini che la memoria trattiene del tempo passato? (…)
E ciò ci conduce a un'altra constatazione, non meno importante della precedente. Che sebbene il punto di partenza per l'invenzione del romanziere sia il vissuto, non è né può essere il punto di arrivo. Questo si trova a una distanza considerevole e a volte astrale da quello, perché in quel processo intermedio - svuotato dell'argomento in un corpo di parole e in un ordine narrativo - il materiale autobiografico è oggetto di trasformazioni, viene arricchito (a volte impoverito), mescolato ad altri materiali ricordati o inventati e manipolato e dotato di struttura - se il romanzo è una vera creazione - fino a conseguire la totale autonomia che un'opera di finzione deve fingere per vivere in maniera propria. (…)
Mi sembra, amico mio, che possiamo fermarci qui.
Un abbraccio


STEPHANE MALLARME’ Lettera a Paul Verlaine, 16 novembre 1885

Con una pazienza d'alchimista, io ho sempre sognato e tentato altra cosa, pronto a sacrificarvi ogni vanità e soddisfazione, come un tempo si bruciavano i mobili e le travi del proprio tetto per alimentare il crogiuolo della Grande Opera.
Quale? E’ difficile dire: un libro, in una parola, in molti tomi, un libro che sia un libro, architetturale e premeditato, e non una raccolta d'ispirazioni casuali, siano pur meravigliose.(…)
Eccovi la confessione del mio vizio messo a nudo, amico caro, che mille volte ho respinto (...), ma che tuttavia mi possiede; e forse io riuscirò non dico a fare una simil’ opera nel suo assieme (per questo occorrerebbe essere non so chi!) ma a mostrarne un frammento d'esecuzione (…).Provare con le parti compiute che un tale libro esiste e che ho avuto coscienza di quanto non avrò potuto compiere.


Marguerite Duras Scrivere Feltrinelli 1994

Intorno a noi, tutto scrive, questo bisogna arrivare a percepire, tutto scrive, la mosca scrive, sui muri, ha scritto molto nella luce della grande stanza riflessa dallo stagno. Potrebbe coprire una pagina intera la scrittura della mosca. Allora sarebbe una scrittura. dato che potrebbe esserlo, è già una scrittura.Un giorno, forse, nei secoli futuri, qualcuno leggerebbe questa scrittura, la decifrerebbe, la tradurrebbe. E l’immensità di una poesia illeggibile si spanderebbe nel cielo.

Scrivere è tentar di sapere cosa si scriverebbe se si scrivesse. Lo sappiamo solo dopo. Prima, è la domanda più pericolosa che ci possiamo rivolgere. Ma è anche la più ricorrente.

Dibattito:

Magda Indiveri ha presentato il nuovo ciclo che si apre all’interno della bottega dell’elefante. Si intitola Storie . Ha come tema testi sulla lettura e sulla scrittura. Da essi prenderà avvio un esperimento, un laboratorio di scrittura, come naturale compimento della lettura. Il laboratorio è
un’ esperienza che Magda ha già fatto con i suoi studenti con grande successo. Alla fine di ogni mese la bottega dell’elefante avrà una serata dedicata ai protagonisti del laboratorio di scrittura, sempre nell’ambito di storie con diversi temi, quello dell’attesa, della piccola storia nella grande storia e altro ancora.
Narrare, leggere e scrivere sono strettamente connessi, sono la stessa esperienza vista da tre prospettive diverse. Sono legati e si rispecchiano l’uno nell’altro. Perciò accade che lo stile dell’autore con cui si entra in contatto con la lettura segni il modo di pensare e, di conseguenza, di scrivere. La letteratura ha questo effetto collaterale: che lo stile si imprime nella mente di chi lo accoglie.
Allora partiamo dal primo momento, il più antico forse, il narrare. Ancora prima della scrittura vi era il racconto, fondamentale evento di socializzazione. C’erano un aedo, una storia, un focolare e un gruppo di persone. Raccontare e raccontarsi è una sorta di bisogno primario, urgente quasi quanto il bisogno di nutrirsi. La storia è uno strumento di conoscenza del mondo e di se stessi. E’ un passaggio cruciale dell’infanzia, come già aveva notato Brunner.
Nei brani scelti da Magda tratti da Angelus Novus di Walter Benjamin si coglie lo scarto tra la narrazione orale, pubblica e la scrittura. Con la scrittura viene meno la magia dell’ascolto della storia. Tra il narratore e l’ascoltatore si crea un legame che rende narratore a sua volta l’ascoltatore. Questa è la rete delle storie. Una storia ha sempre qualcosa che appartiene al suo creatore e che viene trasmesso a chi l’ascolta. Sempre rimanendo dentro la stessa metafora del filo, della trama, della tela è Musil che definisce il filo del racconto la capacità di ricondurre la varietà della vita alla successione narrativa. Il filo crea un disegno. A questo proposito Magda ci narra una storia, che ha appreso da Karen Blixen, La mia Africa.
Un uomo abitava vicino a uno stagno. Una notte si svegliò per un forte rumore. Si alzò e andò a vedere cosa fosse successo. Vide che da una sorgente sgorgavano acqua e pesci in grande quantità. Doveva arginarla. Ci mise tutta la notte. Tornò a casa all’alba. Dalla sua casa con la luce vide che i suoi passi nell’andirivieni frenetico di quel lavoro avevano tracciato nella terra un disegno. Scorse una cicogna in quelle orme. Karen Blixen si chiedeva se avrebbe potuto mai scorgere nella sua vita un disegno. Hannah Arendt riprese quest’immagine.
La scrittura ha una natura dialogica, è un nostro alter ego posto davanti. Il senso della comprensione di un testo e della nostra scrittura non viene fuori che alla fine.
Leggere insieme agli altri fa sì che si recuperi la dimensione sociale dell’oralità. Costringe a seguire il ritmo, la capacità di dar corpo alle parole di qualcun altro, è uno sforzo di concentrazione. Nella parola parlata ci sono dei vuoti, delle pause, della riprese, ci sono i ma, i dunque c’è la carne che dà consistenza al parlato. C’è la voce che è luogo di attrazione e repulsione, quindi di amore. La scrittura viene depurata da tutto questo. E’un’operazione di pulizia. Dice Claudio, parafrasando Roland Barthes. L’asindoto, congiunzione asettica o non-congiunzione, sarebbe insopportabile alla voce come una castrazione.
Veniamo all’ultimo aspetto, ulteriore elemento della triade di partenza, la scrittura. Da dove attinge lo scrittore? Mario Vargas Llosa dice che lo scrittore è un catoblepa , l’animale fantastico di cui narra Borges che divora continuamente se stesso a partire dai piedi. Non c’è nulla di puramente inventato nella letteratura, lo scrittore guarda nella vita e si nutre di essa. Le storie sono storie di noi stessi. Il ricordo sarà un buon punto di partenza, ma mai un punto d’arrivo. Il ricordo non essendo una fedele riproduzione, bensì una libera rielaborazione sarà il motivo. Ma una volta che gli venga conferita una struttura, ecco prendere le forme più bizzarre, ma definitive. Sarà molto probabilmente irriconoscibile.