Uno dei più grandi poeti del secondo novecento ha compiuto in ottobre ottantacinque anni. La sua poesia è una distanza nel profondo, un luogo-lingua, ironico, sperimentale, una concrezione geologica - è conosciuto l’interesse o meglio la preoccupazione del poeta per il disastro ecologico, per le mutazioni metereologiche. Il paesaggio di Zanzotto non è solo superficie, espressione lucida e orizzontale, rasserenante, ma movimento tellurico, scatenamento energetico. Le faglie, le scorie, le stratificazioni, la natura ctonia, il sottosuolo verminoso della lingua, sono i temi cari di una poesia che valica un cinquantennio sempre rinnovandosi e sempre scavando in una terra-carne di straordinaria attualità. Alberto Bertoni, dopo il recentissimo convegno curato dal dipartimento di Italianistica di Bologna, dà voce a una serata di lettura in cui, da Dietro il paesaggio a Meteo, buona parte della ricchissima produzione poetica di Andrea Zanzotto verrà percorsa in assaggi “cauti e rabdomantici/ come mosse di biopsie o di liturgie”.
Da Dietro il paesaggio
QUANTO A LUNGO
Quanto a lungo tra il grano e tra il vento Di quelle soffitte più alte, più estese che il cielo, quanto a lungo vi ho lasciate mie scritture, miei rischi appassiti. con l’angelo e con la chimera con l’antico strumento col diario e col dramma che giocano le notti a vicenda col sole vi ho lasciate lassù perché salvaste dalle ustioni della luce il mio tetto incerto i comignoli disorientati le terrazze ove cammina impazzita la grandine: voi, ombra unica nell’inverno, ombra tra i dèmoni del ghiaccio. Tarme e farfalle dannose topi e talpe scendendo al letargo vi appresero e vi affinarono, su voi sagittario e capricorno inclinarono le fredde lance e l’acquario temperò nei suoi silenzi nelle sue trasparenze un anno stillante di sangue, una mia perdita inesplicabile.
Già per voi con tinte sublimi di fresche antenne e tetti s’alzano intorno i giorni nuovi, già alcuno s’alza e scuote le muffe e le nevi dai mari; e se a voi salgo per cornici e corde verso il prisma che vi discerne verso l’aurora che v’ospita il mio cuore trafitto dal futuro non cura i lampi e le catene che ancora premono i confini.
Da Elegia e altri versi
ELEGIA
Pullula invano la sera di dolente verde e di tardi monti, la tua terra si vela di amori profondi, fiumi e vallate divengono memoria; sta la mia sorte con te, con la tua che già di grigie note punge i capelli stanchi, e fervono i pianeti dal colore d’arancio oltre mozze rovine pei cieli invernali, celebra il vuoto dei cortili scoperti le ardue nozze delle colonne e dei colli. Questo è il talamo tuo che precorre la selva quello è il vitreo giaciglio delle brina, e Vespero, natura umana, e una stella di pace e di volontà buona tocca i primi terrori, soggiace alla fosca vigilia che in sé già ci distrae.
Tu stai, né più cura hai dell’umile palpito ovino che ha la tua strada se da notte a notte la guardi languire, la tua nuca non cura me e l’oriente ove vibra l’illusorio vigore del frumento; le tue spalle cui preme l’oblio la tua mente che infrange altra legge già da tanto giacquero, e trema e s’abbassa l’oro natalizio della stella di Vespero tra i capelli tuoi che nota furtiva la morte.
Non puoi dirmi la ruvida pioggia che di sé ci stordiva e che improvvisi spazi e primavere ci rovesciò vive negli occhi, non puoi dirmi la grandine fresca che in fuga volò dalla nube a pettinare paesi frettolosi, né l’erba grande nei giardini né i grandi pomi dell’agosto, nulla puoi dirmi nulla so nulla vedo; ma di quel cibo ora il seme perduto lungo cieche ansie notturne ricerco nel campo dissestato e le ore anno e nera sarà più l’alba che i grumi dei monti, l’alba nera con acide palpebre ci secernerà nella valle del mondo.
E da ghiacci orgogliosi a iride levando Spoglierà il vento le nari, le viscere stente, la tosse, e tra poco lo stretto petroso focolare che ignora la fiamma rabbrividirà di lumache e id crete cerule all’orlo della solitudine, gemerà di stanchezza la campana che offesa trapela dal cielo, l’iride irrisa tremerà tremerà nell’inverno su chine e chine avide di paesi.
Ho coinvolto sole e luna nella mia sorte, ho seguito le aperte promesse dei fiori e la stagione che tutto presume, la bocca rossa, gli occhi e il profilo che stimola e schiara il mutevole margine delle radure ed il pesco boschivo, ho seguito la tua piccola casa dall’ombra riconosciuta familiare anche tra i denti raggianti impetuosi delle estati che saranno, tra i pensieri implacati tra le moltitudini e i giorni. Ma stanche ora le mani sul parapetto a luci di logge s’esalano, inverno senza requie logora presagi e moti d’alberi tristi lungi affila.
Da Vocativo
COLLOQUIO
«Ora il sereno è ritornato le campane suonano Per il vespero ed io le ascolto con grande dolcezza. Gli uccelli cantano festosi nel cielo perché? Tra poco è primavera i prati meteranno il suo manto verde, ed io come un fiore appasito guardo tutte queste meraviglie» SCRITTO SU UN MURO DI CAMPAGNA
Per il deluso autunno, per gli scolorenti boschi vado apparendo, per la calma profusa, lungi dal lavoro e dal sudato male. Teneramente sento la dalia e il crisantemo fruttificanti ovunque sulle spalle del muschio, sul palpito sommerso d’acque deboli e dolci. Improbabile esistere di ora in ora allinea me e le siepi all’ultimo tremore della diletta luna, vocali foglie emana l’intimo lume della valle. E tu in un marzo perpetuo le campane dei Vesperi, la meraviglia delle gemme e dei selvosi uccelli e del languore, nel ripido muro nella strofe scalfita ansimando m’accenni; nel muro aperto da piogge e da vermi il fortunato marzo mi spieghi tu con umili lontanissimi errori, a me nel vivo d’ottobre altrimenti annientato ad altri affanni attento.
Sola sarai, calce sfinita e segno sola sarai in che duri il letargo o s’ecciti la vita.
Io come un fiore appassito guardo tutte queste meraviglie
E marzo quasi verde quasi meriggio acceso di domenica marzo senza misteri
inebetì nel muro.
Da La Beltà
ADORAZIONI, RICHIESTE, ACUFENI Sul prato sullo sprone di ghiaccio. Ghiaccio di aprile, e che cosa è stato tutto questo chiedere? Questo voler adorare? Ma che è questa storia dell'adorare? Adorate adorate. Fischi negli orecchi. E dov'eri (pensiero: no; azione: no; amore: no; paesaggio: no)? Ora vien meno anche il potere di tremare, tu che tremi là in fondo, ah che svolta faticosa, che notte. Ma ricordati di atterrare a regola ricorda l'impatto. Come - quella volta - se mi avessero meramente, appena... Oh, animo animo. Calci, colpi di piede. Acufeni. Eccomi, ben chiedere lungo chiedere, eccomi, Dell'adorare -avevi un Dell'adorare, tu! - toutes ces historiettes de femmes, de belles, de fi- Oh, ma con altro spirito vengo. Io spiro spirito. Che fantasia in quelle boscaglie e paesi exlege, ma il loro nome mi cade via anche se non intesi ragione più valida, più sacertà. Condizionami se vuoi ma. Che lunga escalazione d'anni prima e dopo, così simili al niente come io che giocavo-indicavo simile al niente simile strettamente simile. Giocavo nel cortile industriosamente rottami e rottami in cortile, adoravo, quanti cortili-beltà. Ah mammina vera non perdermi nella notte nera-nera. «Ma sono già la notte» suona tutto. Tu ti volgi al trepestio che è là, impaurita o incretinita ascolti. Nonsense, pare? Nonsense e nottinere? Acufeni? E io, che vi facevo che vi aspettavo che vi adoravo? E poi tu strafai strabocchi. Ti imponi qui - stare alla lettera credere sulla parola - con biro. Vicisti. Intravisto attraverso il verso più impervio della situazione: «e 'vée paidi tut»
Da Il Galateo in Bosco
Dolcezza. Carezza. Piccoli schiaffi in quiete. Diteggiata fredda sul vetro. Bandiere piccoli intensi venti/vetri. Bandiere, interessi giusti e palesi. Esse accarezzano libere inquiete. Legate leggiere. Esse bandiere, come-mai? Come-qui? Battaglie lontane. Battaglie in album, nel medagliere. Paesi. Antichissimi. Giovani scavi, scavare nel cielo, bandiere. Cupole circo. Bandiere che saltano, saltano su. Frusta alzata per me, frustano il celeste ed il blu. Tensioattive canzoni/schiuma gonfiano impauriscono il vento. [[Bandiere. Botteghino paradisiaco. Vendita biglietti. Ingresso vero. Chiavistelli, chiavistelle a grande offerta. Chiave di circo-colori-cocchio circo. Bandiere. Nel giocattolato fresco paese, giocattolo circo. Piccolissimo circo. Linguine che lambono. Inguini. Bifide trifide bandiere, battaglie. Biglie. Bottiglie. Oh che come un fiotto di fiotti bandiere balza tutto il circo- Biglie bowling slot-machines trin trin stanno prese [[cocò. nella lucente [ ] folla tagliola del marzo - come sempre mortale come sempre in tortura-ridente come sempre in arsura-ridente ridente E lui va in motoretta sulla corda tesa su verso la vetta del campanile, dell'anilinato mancamento azzurro. E butta all'aria. Bandiere. Ma anche fa bare, o fa il baro. Bara nell'umido nel secco. Carillon di bandiere e bandi. S'innamora, fa circhi delle sere. Sforbicia, marzo. Tagliole. Bandi taglienti. Befehle come [[raggi e squarti Partiva il circo la mattina presto - furtivo, con un trepestio di pecorelle. Io perché (fatti miei), stavo già desto. Io sapevo dell'alba in partenza, delle pecorelle del circo sotto le stelle. Partenza il 19, S. Giuseppe, a raso a raso il bosco, la brinata, le crepe.
(Certe forre circolari colme di piante -e poi buchi senza fondo) Dovrebbero gli assaggi essere cauti e rabdomantici come mosse di biopsie o di liturgie - e per questo fecondi, come tu li accordi per tua natura anche quando pare tu li ricalci, quando tu falci all’ improvviso ogni cammino - tabù di piante invorticate e rintanate giù giù: …………………………………… e nessuno nessuno nessuno divinerà toccherà eviterà con bastante allarme bastante amore - o bosco ancora e sempre rapinatore entro il tuo stesso vantarti fantasma- nessuno rasenterà con adeguato rapimento e pallore di morte e di speranza il tuo irriccirti in divieti/avvitamenti, i tuoi grumi di latitanza, i crolli rabbiosi nei buchi delle tue tenebre che sono scrolli graziosi entro gli scrigni delle tue tenebre- finte fosse comuni di potentissime essenze, miniaturizzate foreste di incognite che nessuna iattanza o farsa umana sconvolse del tutto: nidi, allora, di resistenze, di pericolosi mitragliami rametti-raggio Ma a tanta grazia senza limitazione incrudelita che s'inserpenta sotto come per uno scatto o, soltanto, crucciata e sfregiata in chivalà rattratti si demarca, è riservato appena dare segnalazioni a stelle di passaggio a cavalieri erranti obliquamente usciti dal teleobiettivi a don Abbondi in cerca dell'erboristeria del coraggio a dèi carcami e feti scagliati nel motocross di rabbia in rabbia verso l'ebbrezza dell'ultima faglia O gangli glomii verdi di paure, paure-Pizie, incriptati piziaci sbavaggi e fonemi - con passi liturgici, con andirivieni liturgici imposti dalle vostre topografie note soltanto a Comandi Supremi, guidateci ai santi ossari dove in cassettini minuscoli han ricetto le schegge dei giovinetti fatti fuori Con passi liturgici con andirivieni liturgici distratti rabdomantici come entro al coma solitari calcoleremo a un press’a poco il disavanzo verso quelle scheggine, stuzzicadenti alla mensa della Vecchia di Spade - qua e là sotto importune disperse date di comete e lune tra infezioni e iatture o sobbalzi di moto ruggenti tra feste intestinali e zone militari
Passare alla morsura
Da Idioma
VERSO IL 25 APRILE Trissotin: Vous avez le tour libre, et le beau choix des mots. Vadius: On volt partout chez vous l'ithos et le pathos. (MOLIÈRE, Les femmes savantes) Nel tempo quando avevo i sentimenti, da cui nessuna forza poteva ripararmi nessun noa né tabu il 25 aprile andando per i cippi dei caduti, come per le stazioni di un calvario, sopraffatto tremavo, e poi dalla piccola compagnia mi defilavo come in una profonda definitiva pioggia. Il vostro perire - nel sacro della primavera - mi sembrava la radice stessa di ogni sacro. Anche se per voi, certo, non lo era. Anche se eravate scomparsi una sera presi da batticuore, ormai rimossi da impatti col vivente proprio per l'essere stati fino-al-picco del vivere. Io no. Scrivevo in quegli anni entro gli annali della mia morte, deliravo sul verde delle piante, sulla beltà, senza perdonarmi ignoravo, quasi, ogni assenza e svanimento con me, nella mia omertà. Ora mi pare di vedere, con onesta ebetudine e insipidire dei sentimenti, il tradirsi di tutto in molte friabili forme senza arrivare a un niente veramente accettabile, reo totale come si vorrebbe; e l'adombrarsi di ora in ora mi pare una fatata legge, con una sua eleganza, e il silenzio non dista dal grido - piamente connessi chi sa dove entro la tresca fuggente di questi prati e forre. Ma: lo sterminio è ovunque e sempre in atto mai c'è stato armistizio dopo l'eroica emergenza e la morte-di-paglia si fa di gran lunga più orribile che quella per piombo nel tempo [[sadico/mitico. Allora: vedere senza battere ciglio, come al frullare dello sgricciolo nulla batte ciglio tra gli spogli cespugli del clivo di Carbonera. E questa dunque la saggezza perversa della sera? E questa la congiunzione alla sapienza, la farneticata ieri come vera congiunzione al coraggio? Ora, compagni, amici, né-amici, né-compagni - dèi per me malgrado voi stessi - avvicinandomi per cumulo di età e per corrosione a quel punto in cui voi foste allora - mi riconduco, osando muto, ad allora, per voi; e sono partecipe, finalmente, delle azioni da cui mi distoglieva il deliquio amoroso e pauroso anche se in esse ero travolto. Mi pare
…………………………………………….. Mi pare, e con mano assisto la tenerezza e il profumo non ancora del tutto spento, e i tracciati dei viottoli i fogliami e i filamenti vitali; con mano assodo i pregi dell'essere vissuto, e passato a un millimetro da dove la selva e il vostro sangue si sfiniscono, incespicano, sputati fuori mano. se ancora si gira per i cippi - emersi a picco - - nel sacro della primavera - su cui segni scivolano immolati al rituale autovomitarsi di ogni storia al non-farsi-capire di ogni ammicco, allo sbrindellarsi del tessuto di comuni allusioni, mi ribello, ribelle come voi allora, e mi traluce bruciando un disincarnamento di me, del mondo, mi s'impone un giusto adorare penando un giusto richiamarsi all'obbligo di ethos e pathos anche se i più arcanamente sfigurati un giusto bestemmiare moduli e ragioni, nel furore di un pianto che l'archiatra sommo dirà causato dal remoto, dal lontano, dall'-alto-dei-cieli, dal vietato ad ogni aggancio - mera verberazione fustigazione compiuta a mio danno da falsi paesaggi interni ed esterni o semplicemente «da stanchezza, da insonnia». E, sono pronto, insonnia fuoco e parto che non si rilassa, intrigoso braciere. Ecco, capisco che la praxis la poiesis adescano solo poche cose quando vedo i vostri nomi nemmeno sforzarsi più di galleggiare sulla pietra e voi non siete più qui, ne altrove; noi v'inseguiamo lungo il falso itinerario dei cippi, sudando, o sotto i rovesci [[della pioggia delle memorie, delle folate eroiche; se nemmeno in questo-qualche-modo siete ormai stati, nemmeno, ora, noi, siamo, qui. Allora soltanto se se un'insonnia bestemmiante braciere ripeterà i vostri nomi nei luoghi dell'insonnia, della pretesa Ecco queste sono le pretese dell'insonnia anche questo pretendere di darne intepretazioni ithos pathos bestemmiarono i cespugli sommessamente cippi hipnos pretendere ……………………………………………….
Per me il buon calore e il tanto latte dei sentimenti Ebbe sempre nel fondo un elemento di nera esaltazione. Erano ferite dentro le colline Nei fianchi giovani e amorosamente annosi del folto; e io le vedevo e amavo cercavo di sopperire a quanto esse esigevano. In quel mio remoto smontare e rimontare oggettivi – da fanciullo iracondo, implacabile – voi che innocenti come guizzi di ruscello come stellari girini svaniste nel sangue, ora entrate – o eravate già entrati allora? E non so come, fate vostro quel ch’era mia turpe sacralità, lo portate sensuato e senziente nel vostro assoluto assolvimento in ciò che punta i piedi seppur senza più rendersene conto non culla non tomba non segno e neppur scoppiettare maligno d’insonnie/sogni (ithos) (pathos)
Da Meteo
Currunt Papaveri ovunque, oggi, ossessivamente essudati, sudori di sangui di un assolutamente eroinizzato slombato paesaggio, sudore spia di chissà quale irrotta malattia - mala mala bah bah tempera currunt bah bah - o stramazzata epilessia Ora non strati a strati accordati in fervidi iati o contatti o spartiti ma fole di confusamente e no, no, mai intercettabili da menti currunt Prati-sfatti-fucine di nuovissime zanzare-tigri di zecche-Lyme di matrie stuprie di patrie rebus-pus sotto cieli franati nello stupore stesso di sé-rottami inani currunt Papaveri, chi cerca che? bah bah Di che, papaveri, esantemi teoremi Stridii? Ii? Ii? Ii? bah bah Nessun consuntivo Papaveri, mie anime già miriadi e in mille, siti e situazioni sempre vigili, o così finemente accorti nel più soave appena-esistere
(anni ‘91-’93)
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