logo dell'associazione

logo dell'associazione

Our affair with El Niño - S. George Philander


lunedì 20 marzo 2006 legge Susanna Corti
Il nome di George Philander, professore di meteorologia presso l’Università di Princeton, è da sempre legato alla “corrente calda che appare lungo le coste di Perù ed Ecuador intorno a Natale”. El Niño la chiamano da quelle parti, Gesù Bambino.
Ma El Niño rappresenta il pretesto per introdurre un argomento di portata più generale: l’alterazione della composizione dell’atmosfera e quindi il clima del nostro pianeta. Siamo divenuti, secondo Philander, “agenti geologici capaci di interferire con i processi che rendono il nostro pianeta abitabile”.
“Le decisioni che prendiamo oggi influiranno non solo sulla nostra progenie per molte generazioni a venire, ma anche sulle altre forme di vita di questo pianeta”. Come procedere dunque, a chi far prendere le decisioni? Inaspettata la sua risposta: “Questa è una materia troppo seria per essere lasciata a tecnici specialisti quali scienziati ed economisti. La responsabilità deve essere condivisa fra tutti noi perché le misure che adottiamo devono riflettere i nostri valori”.
Susanna Corti - ricercatrice presso l’Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima del CNR - ci presenta alcuni brani da questo saggio da lei stessa tradotti. 


S. George Philander, Our affair with El Niño
La nostra relazione con El Niño1
Come abbiamo trasformato un’incantevole corrente peruviana in un rischio climatico su scala globale

Prologo
Ripensare e valutare la nostra relazione poiché essa si avvicina a una congiuntura critica.

“Don’t blame me; blame El Niño! (Non è colpa mia; è colpa di El Niño!)” Questo slogan, stampato su magliette e adesivi per le auto, rappresenta un attestato del riconoscimento e della notorietà che El Niño si è guadagnato nel 1997 quando, a quanto pare, causò innumerevoli disastri di natura meteorologica un po’ dappertutto nel mondo. Nonostante la grande popolarità raggiunta, El Niño resta un mistero per molti. Da dove viene il suo nome? Qual è il suo legame con La Niña? Se davvero ci ha fatto compagnia per millenni, perché la maggior parte di noi ne ha sentito parlare solo nel 1997? Cosa aveva di speciale quell’anno? Come mai i meteorologi sono capaci di prevedere El Niño con mesi di anticipo e non sono in grado di prevedere il tempo se non qualche giorno prima? Qual è il segreto della versatilità di El Niño – della sua abilità nel provocare alluvioni in California, siccità in Indonesia, inverni miti in Canada, far sparire i pesci dalle acque del Perù, e fare apparire inusuali specie tropicali al largo di San Francisco? [...]
Oggi consideriamo El Niño un pericolo, un rischio climatico su scala globale che influenza in maniera negativa milioni di persone in tutto il mondo. Originariamente il termine El Niño si riferiva a un fenomeno molto diverso, una corrente oceanica stagionale, calda e di modeste dimensioni, che appariva verso Natale lungo le coste dell’Ecuador e del Perù, e che era accolta come una benedizione. Questo notevole cambiamento nella nostra percezione di El Niño si è verificato nonostante questo fenomeno naturale sia rimasto nel corso del tempo essenzialmente lo stesso. [...] Ci stiamo avviando rapidamente verso una congiuntura critica perché El Niño, costante fino ad ora, sta per divenire capriccioso in risposta alle nostre azioni. Stiamo provocando una sua risposta alterando rapidamente la composizione dell’atmosfera. Aumentando la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera stiamo inducendo cambiamenti climatici globali che presto comprenderanno anche un El Niño alterato.
La prospettiva di un El Niño alterato è allarmante perché abbiamo problemi sempre maggiori nell’affrontare l’El Niño che conosciamo. Le nostre difficoltà aumentano stabilmente a causa di un paradosso: tanto più noi cresciamo in ricchezza e popolazione, tanto più cresce la nostra vulnerabilità rispetto ai pericoli naturali. [...] Gli scienziati provano ad aiutarci prevedendo questi rischi, dandoci quindi il tempo per prepararci. [...] Essi hanno fatto tali progressi che, sebbene siano stati colti di sorpresa da El Niño nel 1982, nel 1997 sono stati in grado di anticipare l’arrivo del fenomeno con vari mesi di anticipo. Questa è stata un’impressionante conquista scientifica, purtroppo macchiata da un errore davvero sfortunato.
Durante l’estate del 1997 gli scienziati hanno messo in allarme i californiani, attraverso la televisione e i giornali, a proposito della grande probabilità che si verificassero piogge eccezionali durante l’ inverno 1997-98 a causa di un El Niño molto forte. Gli scienziati hanno avvisato anche la popolazione dello Zimbabwe in Africa a proposito dell’alta probabilità di una minore piovosità in quella regione, sempre a causa del Niño. Ci furono effettivamente alluvioni in California e la popolazione era preparata, ma le piogge in Zimbabwe non furono inferiori alla media stagionale, e gli abitanti non erano preparati. Le banche dello Zimbabwe, poiché ci si aspettava un raccolto magro e di conseguenza una possibile insolvibilità degli agricoltori, decisero di non rinnovare loro il credito. Le conseguenze furono disastrose: il raccolto in questo paese già povero fu inferiore alla media di un 20%. La previsione della siccità causò effettivamente la siccità.
La tragedia dello Zimbabwe solleva molte domande. Perché i governanti dello Zimbabwe hanno assegnato un peso troppo grande alle previsioni scientifiche? Non erano in grado di capire il significato di una previsione probabilistica? O non hanno forse piuttosto dato cinicamente il benvenuto alla previsione di una misteriosa minaccia proveniente dal remoto Oceano Pacifico in quanto rappresentava un modo efficace per distrarre l’attenzione del paese dai seri problemi politici locali? Per quale motivo gli scienziati nel 1997 hanno fatto le previsioni per lo Zimbabwe? La preoccupazione per il popolo dello Zimbabwe ha rappresentato evidentemente il fattore più importante, ma quanto ha pesato la pressione esercitata dai loro sponsor per dimostrare la possibile utilità dei risultati delle loro ricerche? Durante la guerra fredda gli scienziati che studiavano El Niño godevano della notevole libertà di fare ricerca principalmente per comprendere un fenomeno affascinante, ma a partire dagli anni 80 i finanziatori della ricerca scientifica hanno insistito sul fatto di concentrarsi su ricerche i cui risultati conducessero a benefici pratici. [...]
Prevedere un episodio di El Niño rappresenta una sfida scientifica molto diversa da, per esempio, cercare di mitigare l’impatto di un imminente El Niño. [...] Ogni problema scientifico possiede una soluzione ben definita trovata attraverso metodi universali e indipendenti dalla razza, genere e religione del ricercatore. Un problema sociale al contrario possiede una moltitudine di soluzioni, ognuna delle quali presenta vantaggi e svantaggi che vengono valutati in maniera diversa in differenti milieu culturali. [...]
Passerà ancora un po’ di tempo prima che le previsioni dei futuri cambiamenti climatici, incluso il riscaldamento globale, diventino affidabili come oggi lo sono le previsioni meteorologiche. Per cui siamo obbligati a prendere decisioni politiche sulla base di una informazione scientifica incerta e incompleta. Di quanta informazione scientifica abbiamo bisogno per cominciare ad attuare misure efficaci? La sezione 5 di questo libro descrive alcuni specifici problemi legati all’ambiente in cui si registrano considerevoli progressi sulla base di una informazione scientifica minima. L’esempio più eclatante è quello rappresentato dal modo in cui il governo indiano affronta il problema del raccolto legato al monsone. Negli anni in cui il monsone è deficitario (cioè non piove abbastanza) il raccolto è scarso. Eventi di questo genere hanno causato in passato enormi carestie e la morte di milioni di persone. Questo oggi non succede più, e non per conseguenza di un qualche progresso scientifico nella previsione dei monsoni, ma principalmente grazie a cambiamenti politici cruciali che hanno facilitato l’attuazione di misure socio-economiche efficaci. Nel caso del riscaldamento globale, come discuteremo nell’epilogo, dobbiamo allo stesso modo stare in guardia contro la tendenza a rimandare decisioni politiche difficili ritenendo l’informazione scientifica inadeguata. [...]


Capitolo 5
Due culture incompatibili

Dovrebbero agire in maniera scientifica i giardinieri? E i cuochi?
La botanica aiuta di certo i giardinieri, le leggi della dietetica possono
dare una mano ai cuochi, ma una confidenza eccessiva in queste scienze
condurrà costoro, e i loro clienti, alla rovina.
-Isaiah Berlin (1909-1997), “Sul giudizio politico”


[...] Al giorno d’oggi c’è una maggior consapevolezza del fatto che i risultati scientifici possono, da una parte contribuire alla soluzione di problemi sociali, dall’altra, se utilizzati impropriamente per fini politici, contribuire ad esacerbare quegli stessi problemi. Ciò accade quando si attribuisce all’informazione scientifica un peso sbagliato, troppo grande o troppo piccolo, nel momento in cui si devono prendere decisioni politiche. Per assegnare all’informazione scientifica il giusto peso è fondamentale che vi sia consapevolezza e insieme rispetto delle differenze che esistono fra il mondo della scienza e quello delle faccende umane.
La non consapevolezza di tali differenze può risolversi in un’inutile confusione. Per esempio in televisione ci può capitare di sentire uno scienziato che ci racconta che il riscaldamento globale del clima è ormai una realtà e subito dopo un economista che nega che questo rappresenti una minaccia. Allora il conduttore conclude che gli esperti sono in totale disaccordo e il riscaldamento globale un fatto controverso. Molto raramente si fa notare che lo scienziato e l’economista si occupano di aspetti completamente diversi del problema, e che uno non sta necessariamente contraddicendo l’altro. Lo scienziato ha il compito relativamente semplice di determinare, sulla base delle ben note leggi che governano i fenomeni naturali, come il nostro pianeta risponderà a variazioni nella composizione della sua atmosfera. L’economista affronta la ben più difficile sfida di riassumere in pochi numeri costi e benefici che ognuno di noi valuta in modo diverso in quanto essi riflettono i nostri valori personali. La maggior parte delle difficoltà che si presentano agli scienziati dipendono dal fatto che costoro occupano posizioni su entrambe le sponde. Professionalmente essi vivono nel mondo della scienza, ma in quanto cittadini con preoccupazioni sociali simili a quelle degli uomini d’affari, degli avvocati, dei piloti, essi vivono anche nel mondo degli affari umani. Fino a che punto i loro valori sociali influenzano i loro risultati scientifici, teoricamente obiettivi? Prima di porci questa domanda è necessario esplorare la natura delle differenze fra questi due mondi. A questo proposito risulta utile la seguente allegoria anche se rappresenta un’enorme semplificazione dei problemi ambientali che incontriamo al giorno d’oggi. [...]

Un’allegoria
Stiamo trascorrendo un piacevole pomeriggio d’estate in canoa, navigando pigramente lungo il fiume, quando qualcuno, guardando una mappa, improvvisamente annuncia che stiamo andando incontro a una cascata. Le reazioni a questa notizia sono varie: c’è chi viene preso dal panico e chiede che si lasci il fiume immediatamente; c’è chi accoglie con entusiasmo la prospettiva di un po’ di brivido ed insiste per arrivare almeno in vista della cascata; qualcuno, che stava schiacciando un pisolino, osserva le acque placide, conclude che non è possibile che vi sia una cascata lungo questo fiume e riprende a dormicchiare. Come evitare la calamità?
Per prevenire un disastro dobbiamo porci due domande: Quanto è lontana la cascata? E quand’è che si dovrebbe uscire dall’acqua? La prima domanda è di natura scientifica, la seconda politica. Mentre la prima possiede una semplice risposta che può essere ottenuta immediatamente, la seconda è molto più difficile, le risposte possibili sono molteplici, ognuna di esse sarà favorita da alcuni e osteggiata da altri. […]
Le conquiste scientifiche sono così impressionanti che, a più riprese, alcuni filosofi hanno proposto che il metodo scientifico venisse applicato anche a problemi sociali e morali. Proviamo ad adottare un tale approccio per determinare quando, supponendo di essere nella canoa che si sta avvicinando alla cascata, dovremmo uscire dall’acqua. (Come guida ci riferiremo al filosofo Isaiah Berlin che ha scritto, molto ed eloquentemente, a proposito delle conseguenze disastrose dell’adottare un approccio troppo scientifico per risolvere problemi sociali.)
Il primo passo è quello di identificare i principi o le verità che dovrebbero governare il nostro comportamento sociale e morale e quindi applicarli in maniera consistente, senza contraddizioni, al nostro problema. Il compito è assai complesso come risulta evidente dalle reazioni molto diverse delle persone nella canoa alla notizia della cascata, ma ammettiamo che vi sia un Isaac Newton dei problemi sociali, sufficientemente intelligente e saggio da indovinare queste verità sociali e morali. Alcuni, stupidi oppure confusi, non riconosceranno queste verità come tali e si opporranno a questo uomo saggio. Se dobbiamo fare progressi, costoro devono essere tenuti sotto controllo. L’uomo saggio sa come la società dovrebbe condurre i suoi affari e quindi bisogna dargli il potere per attuare il piano d’azione appropriato. Il ventesimo secolo ci fornisce numerosi esempi di tali “uomini saggi” che sono divenuti tiranni, i perpetratori di orrori innominabili.
I precetti che si adottano per risolvere problemi sociali devono risultare evidenti e accettabili a ciascuno, non solo a pochi leader. Questi principi possono essere identificati e possono prontamente essere formulati come leggi che assicurino, a tutti noi e in ogni tempo, libertà, uguaglianza, giustizia…. Ognuno è favorevole a tali leggi, ma si incontrano serie difficoltà quando, seguendo l’esempio degli scienziati per le leggi della natura, cerchiamo di applicarle in maniera completamente consistente e senza eccezioni. Il problema è che la perfetta libertà non è compatibile con la perfetta uguaglianza. “Se l’uomo è libero di fare tutto ciò che vuole, allora il forte farà a pezzi il debole, i lupi mangeranno le pecore, e questo mette fine all’eguaglianza. Se si vuole giungere a una perfetta eguaglianza, allora bisogna impedire agli uomini di distanziarsi gli uni dagli altri rispetto a ogni conquista, sia essa di ordine materiale, intellettuale o spirituale, altrimenti ne scaturirebbero disuguaglianze”2. I compromessi sono necessari, quali che siano i nobili principi che adottiamo come guida alla nostra vita morale. Dobbiamo proteggere la libertà del debole limitando il potere del più forte. Possiamo insistere sul dire sempre la verità, eccetto quando la verità è troppo dolorosa. Possiamo chiedere che sia sempre fatta giustizia, ma non possiamo escludere clemenza e compassione. Possiamo dichiarare che una pianificazione organizzata è essenziale, a patto di riconoscere il merito della spontaneità. Non importa quali verità si adottino come base per risolvere i problemi sociali e morali, dobbiamo sempre sentirci obbligati a essere flessibili e batterci per raggiungere quei compromessi che riconciliano differenti punti di vista. [...]

Una situazione più realistica
L’allegoria delle persone in una canoa alla deriva verso una cascata è sicuramente utile per illustrare le differenze profonde fra il mondo della scienza e quello delle faccende umane in situazioni estremamente idealizzate, tuttavia rappresenta una grande semplificazione dei problemi che ci troviamo ad affrontare nella realtà. Introduciamo perciò qualche modifica utile per cominciare ad avvicinarci alla complessità intrinseca di problemi ambientali quali il riscaldamento globale. Invece di una singola cascata a una certa distanza, consideriamo delle rapide che diventano via via più rischiose. Invece di una singola canoa, consideriamo una varietà di imbarcazioni – zattere leggere, fragili barche, solide navi – tutte legate insieme cosicché la decisione di lasciare le acque debba essere presa congiuntamente da tutti. Quanto è lontana la cascata? La semplice questione scientifica che possedeva l’altrettanto semplice risposta non ha una controparte nella situazione così mutata. In questo caso gli scienziati possono cercare di descrivere in che modo cresce la pericolosità delle rapide procedendo lungo il fiume, cosa ahimè assai complicata. (Il riscaldamento globale qualche volta viene ricondotto a un singolo numero – la temperatura globale media crescerà di circa 2 gradi centigradi di qui a cento anni- ma l’informazione collegata a questo numero è molto scarsa; non ci dice quasi nulla dei differenti cambiamenti climatici che avverranno nelle diverse regioni del mondo.) Supponiamo per un attimo di ottenere un’informazione scientifica ragionevolmente accurata sulle rapide. A questo punto dobbiamo affrontare il problema ancora maggiore di convincere le persone nei vari vascelli a raggiungere un accordo sul momento migliore per lasciare il fiume. Per coloro che viaggiano su zattere leggere anche la rapida più modesta può risultare un evento catastrofico. Per quelli su solide navi alcune cascate si risolvono solo in qualche brivido in più.
L’allegoria modificata è comunque ancora molto lontana dalla complessità di un problema come il riscaldamento globale perché non tiene in considerazione che, sebbene possa essere pericoloso rimanere in acqua, è tuttavia pericoloso anche salire a riva – l’entroterra è sconosciuto e forse pieno di insidie. Allo stato attuale la nostra economia è talmente dipendente dal combustibile fossile che un cambiamento nelle nostre attività industriali può essere assai deleterio. Insistere in una riduzione dei livelli atmosferici di anidride carbonica potrebbe essere costoso; insistere in una riduzione rapida sarà molto costoso. Ma non fare nulla sarà altrettanto dispendioso. Per poter pesare costi e benefici dobbiamo rispondere a domande difficili del tipo seguente.
Non saranno gli adulti di oggi a beneficiare delle politiche atte a mitigare l’impatto del riscaldamento globale, ma i loro nipoti e bisnipoti. Fino a che punto è giusto che si facciano sacrifici per il bene delle generazioni future? Dovremmo forse sacrificare risorse adesso per impedire potenziali problemi? O non dovremmo piuttosto investire i nostri soldi nei mercati finanziari, farli così crescere e rendere di conseguenza più facile la gestione dei problemi quando essi si presenteranno in un lontano futuro? Molti di noi beneficiano di un tenore di vita più alto di quello dei loro genitori, che a loro volta stanno meglio dei loro genitori. Se i nostri nonni fossero stati più egoisti, avrebbe fatto molta differenza per noi?
Per quanto riguarda il riscaldamento globale si tratta di considerare quanto costa non fare nulla e quanto il cercare di minimizzarne gli impatti. Fare nulla potrebbe portare a una crescita del tasso di mortalità causato per esempio da una diffusione di malattie. Che valore vogliamo assegnare in dollari a questi potenziali disastri? Per avere una stima possiamo provare a chiedere alla gente quanto è disposta a pagare per evitare di mettere a rischio la propria sicurezza e salute e il proprio habitat naturale. Il ricco potrà pagare più del povero. Ne consegue che la vita ha meno valore in un paese povero che in un paese ricco? E’ questo che dovremmo assumere quando stimiamo i costi del riscaldamento globale?
Ci sono cambiamenti all’ambiente che risultano inaccettabili per tutti, cambiamenti da evitare a ogni costo? [...]

Epilogo
Diventare custodi del pianeta Terra.

El Niño, costante fino ad ora, potrebbe a breve diventare volubile. Questa notizia ci turba perché abbiamo già abbastanza problemi ad affrontare l’El Niño che ci è familiare. Diventerà più intenso? Le sue brevi visite diverranno più prolungate? Oppure questo visitatore sporadico potrebbe trasformarsi in un residente permanente? Ad oggi non possediamo risposte definitive, ma sappiamo che un cambiamento nelle caratteristiche di El Niño sarà inevitabile se la concentrazione di gas serra in atmosfera continuerà a crescere. Stiamo cambiando velocemente la composizione dell’atmosfera, non in seguito a un disegno preciso, ma per via di uno sfortunato sottoprodotto di attività industriali e agricole che ci recano enormi benefici –un aumento del tenore di vita per i ricchi come per i poveri. Per quanto ancora questi considerevoli benefici peseranno di più sul piatto rispetto alle possibili conseguenze negative di cambiamenti globali del clima che includono un El Niño alterato? Stiamo puntando sul fatto che, per il momento, le probabilità giocano a nostro favore. A quale stadio il rischio diverrà inaccettabilmente alto? Una nota canzone ci rammenta che i giocatori di poker “devono sapere quando vedere e quando è il momento di uscire”3. Noi lo sappiamo?
Alcuni sono convinti che sia davvero troppo presto per “uscire”. Costoro notano che le nostre vincite, fino ad ora, sono state considerevoli e che fra i beneficiari ci sono molti paesi poveri. Poiché le politiche da mettere in atto per mitigare l’impatto potenziale del riscaldamento globale potrebbero danneggiare l’economia di molti paesi, e vista la considerevole incertezza nei risultati scientifici del riscaldamento globale, non è forse prudente differire l’azione fino a che non si conosca esattamente in che modo una crescita di concentrazione di gas serra nell’atmosfera influenzerà il nostro clima? Il riscaldamento globale è una minaccia tanto seria da meritare un’azione immediata? [...]
Durante il secolo passato abbiamo fatto sbalorditivi progressi tecnologici e siamo diventati così potenti da essere ora agenti geologici, capaci di interferire con i processi che rendono la Terra un pianeta abitabile. Prima della fine del diciannovesimo secolo gli scienziati avevano già ipotizzato che le nostre attività industriali avrebbero accresciuto la concentrazione di gas serra e sarebbero state quindi causa di cambiamenti climatici globali. Ci sono voluti alcuni decenni per stabilire che noi umani stiamo davvero alterando significativamente la composizione dell’atmosfera. Questo importante risultato scientifico implica che il potere che noi ora deteniamo è enorme, tanto che siamo diventati custodi del pianeta Terra. […] Come custodi del nostro pianeta, abbiamo delle responsabilità verso tutti i suoi abitanti e dobbiamo agire anche per conto loro.
Nel prendere decisioni su come condurre i nostri affari come saggi e responsabili steward del pianeta dovremmo ricercare la guida di scienziati, ingegneri ed economisti per quanto riguarda questioni come il riscaldamento globale – come e quando esso influirà sul clima in diverse regioni del globo, il probabile costo del suo impatto, e le possibili azioni atte a mitigare tale impatto. Comunque la responsabilità finale per quanto riguarda il benessere del pianeta grava su tutti noi. E’ una materia troppo importante per essere lasciata al giudizio di tecnici esperti. Ognuno di noi deve contribuire nel determinare le nostre responsabilità verso le generazioni future e verso coloro che non possono partecipare ai nostri dibattiti. [...]
Il nostro è un pianeta molto speciale, l’unico pianeta abitabile conosciuto. Un numero sorprendentemente grande di fattori fortuiti contribuiscono a questa singolarità. La Terra si trova alla distanza giusta dal centro della nostra galassia, alla distanza giusta dal nostro sole, possiede la giusta dimensione, la giusta composizione atmosferica, la superficie giusta ricoperta dall’acqua… Sono così tanti i fattori che devono essere quelli “giusti” per la vita che è probabile che in tutto l’universo siano davvero pochi e preziosi i pianeti abitabili. Ma non solo viviamo in un pianeta speciale, lo facciamo in un momento speciale della sua lunga storia. Durante l’ultimo milione di anni caratteristica saliente del clima terrestre sono state le ricorrenti Ere Glaciali. Periodi relativamente caldi come quello presente sono piuttosto infrequenti e sono separati da periodi prolungati (di circa 100.000 anni) durante i quali i ghiacci ricoprono gran parte dei continenti. L’attuale epoca calda, interglaciale, che ha favorito lo sviluppo dell’agricoltura e la crescita delle civiltà è cominciata circa 10.000 anni fa. Lo stabilirsi di queste condizioni climatiche più miti è stato accompagnato da un innalzamento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, che a sua volta ha contribuito all’aumento della temperatura. Quando sono cominciate le nostre attività industriali, circa 150 anni fa, i livelli di anidride carbonica erano già allineati attorno al loro massimo naturale, questo spiega perché la concentrazione atmosferica di questo gas sia oggi la più alta degli ultimi 400.000 anni. Visto che ci aspetta un’altra Era Glaciale, l’attuale crescita nei livelli di anidride carbonica può sembrare auspicabile. Il problema, comunque, è che tale incremento si sta verificando troppo in fretta. (Prima della fine di questo secolo la concentrazione atmosferica di anidride carbonica probabilmente sarà circa il doppio rispetto a quando è cominciata la rivoluzione industriale.) Le conseguenze delle nostre attività saranno chiare molto prima che si manifesti l’inizio della prossima Era Glaciale fra qualche migliaio di anni. La storiella seguente può essere utile a spiegare perché ciò è causa di seria preoccupazione.
Un giardiniere un giorno trova una bellissima ninfea nel suo laghetto. Il giorno dopo le ninfee sono diventate due, il giorno dopo ancora quattro, e così via. Il numero di ninfee nel laghetto raddoppia ogni giorno. Il giardiniere presto si rende conto che, se lasciate senza controllo, le ninfee finiranno per soffocare ogni altra pianta. Se le ninfee, dal momento della loro comparsa, impiegano 100 giorni a ricoprire completamente lo stagno, da quale giorno il giardiniere dovrebbe cominciare a prendere provvedimenti? Potrebbe sembrare ragionevole aspettare fino a che lo stagno non sia pieno per metà. Ma in questo modo si provoca il disastro, perché questo succede il giorno 99. Aspettare fino a che le ninfee non occupano un quarto della superficie dello stagno non fa guadagnare al giardiniere molto più tempo poiché questo succede il giorno 98! Supponiamo che il giardiniere scavi rapidamente un altro stagno di grandezza comparabile al primo e vi trasferisca metà delle ninfee. Quanto tempo guadagna? In quanto tempo i due laghetti saranno ricoperti dalle ninfee? La risposta è il giorno 101! La lezione che ci impartisce questa storiella è che le cose sfuggono di mano all’improvviso quando si ha a che fare con una crescita esponenziale.
Sebbene Albert Einstein una volta avesse descritto l’interesse composto come “la più grande scoperta matematica di tutti i tempi”, poche persone riescono a comprendere quali siano le implicazioni della crescita composta (o esponenziale). Consideriamo l’attuale crescita rapida della concentrazione di gas serra in atmosfera. Chiedersi (e dibattere) se le conseguenze di questa crescita esponenziale siano o meno già percepibili è equivalente a discutere, nel caso delle ninfee nello stagno, se il giardiniere si trova al giorno 80 o al giorno 90. Ben più importante della risposta precisa che risolve la controversia è riconoscere che, quando si ha a che fare con una crescita esponenziale, prima si agisce e meglio è.
Ci troviamo ad affrontare un problema ambientale potenzialmente molto serio che richiede decisioni politiche difficili. Le incertezze nei risultati scientifici complicano enormemente la faccenda. […] Per quanto riguarda il riscaldamento del pianeta non v’è dubbio che la temperatura media aumenterà se la concentrazione di gas serra continuerà a crescere, vi sono invece molti dubbi e incertezze sull’esatta natura dei rischi –siccità, alluvioni, aumento del livello del mare, eccetera- di cui una particolare regione dovrà sopportare le conseguenze. Apparentemente alcuni sono incapaci di rispondere alla gravità di problemi potenziali fino a che non conoscono esattamente cosa succederà in casa propria. Informazioni così dettagliate si possono ottenere estrapolando i dati dalle previsioni climatiche disponibili. Comunque le incertezze che si annidano dietro queste estrapolazioni sono tali e tante che, a tutt’oggi, i risultati non sono molto utili. A tempo debito i progressi scientifici nel campo finiranno per migliorare questo, insoddisfacente, stato delle cose. Nel frattempo dobbiamo tenere in mente l’osservazione di Maynard Keynes che è meglio essere vagamente nel giusto piuttosto che sicuramente in torto. L’informazione scientifica disponibile ha un certo grado d’incertezza, ma è comunque sufficiente a giustificare l’azione.
La causa dei nostri problemi potenziali è la crescita rapida nella concentrazione atmosferica di gas serra. Il nostro obiettivo dovrebbe essere perciò la riduzione del tasso di emissione di gas serra nell’atmosfera. Poiché al momento la crescita è esponenziale, la riduzione del tasso al quale vengono bruciati combustibili fossili rappresenterebbe già un notevole contributo. Nell’esempio di prima, dove le ninfee nello stagno raddoppiano ogni giorno, la riduzione del tasso di crescita al di sotto del 100% giornaliero sarebbe certamente di grande aiuto per il giardiniere, ma questa non è un’opzione possibile per lui. Noi invece, nel nostro consumo di combustibili fossili, possiamo ottenere grandi benefici da una mera riduzione del tasso al quale il nostro uso di petrolio, carbone e altri combustibili fossili sta crescendo. Non solo possiamo ritardare l’inizio del riscaldamento globale, ma possiamo anche temporaneamente allontanare la paura che la nostra limitata riserva di combustibile fossile finisca per esaurirsi in un futuro vicino. Semplicemente riducendo la velocità con cui cresce questo consumo per esempio dal 5 al 2.5% annuo, possiamo quasi raddoppiare l’aspettativa di vita delle riserve correnti. Con un po’di ambizione si può ottenere molto di più. Riserve che si esauriscono in 36 anni al tasso di crescita del 5% all’anno, durano 100 anni se la velocità di consumo è costante (ovvero il tasso di crescita è zero). Riserve che si esauriscono in 79 anni se la domanda cresce del 5% all’anno, durano 1.000 anni se il consumo è stazionario. Riserve disponibili solo per 125 anni se l’uso cresce del 5% ogni anno, durano 10.000 anni se il consumo è stazionario. Invece di cercare nuovi giacimenti, una strategia molto migliore sarebbe quella di ridurre la velocità alla quale cresce il nostro consumo. Coloro che insistono con l’affermare che la strategia di conservazione è un modo inefficace di trattare una crisi energetica potenziale, che insistono che la sola soluzione è trovare nuove riserve, dimostrano un’ignoranza spaventosa a proposito delle implicazioni dell’interesse composto. Una maggiore efficienza allungherebbe la durata delle riserve fossili già esistenti, ci renderebbe meno dipendenti dalle importazioni, ridurrebbe il tasso con cui emettiamo gas serra in atmosfera e perciò ritarderebbe l’inizio dei cambiamenti climatici globali. Questi semplici argomenti rivelano che in realtà vi sono modi molto efficaci attraverso i quali ognuno può contribuire a mitigare l’impatto potenziale del riscaldamento globale: ognuno deve diventare più efficiente nell’uso dell’energia derivata dai combustibili fossili. […]
Gli individui possono fornire importanti contributi, ma alla fine la stabilizzazione della composizione dell’atmosfera può derivare soltanto da uno sforzo internazionale perché l’atmosfera è condivisa da tutti noi. I nostri ingegneri e scienziati stanno sviluppando rapidamente i mezzi per ridurre l’emissione di gas serra in atmosfera. (Se incoraggiati a farlo, i nostri ingegneri sono notevolmente abili a risolvere certi problemi inventando nuove tecnologie). Gli economisti stanno proponendo un certo numero di strategie per la transizione alle tecnologie che si stanno inventando senza che questo causi danni significativi all’economia. Presumibilmente alcune di queste proposte sono efficienti ed efficaci. Come identificarle? Per tentativi, mettendone in pratica alcune.