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Lettere - Anna Kuliscioff e Filippo Turati



lunedì 19 marzo 2007 leggono Claudia Dall'Osso e Giuseppe Negroni
Anna più passionale e per certi aspetti forse più dotata di acume politico, Filippo più emotivamente trattenuto e portato al pragmatismo, vissero insieme quarant’anni (fondando tra l’altro una rivista essenziale per l’intellettualità di sinistra). Sono Anna Kuliscioff e Filippo Turati, tra i principali artefici della nascita del partito socialista italiano.
Nel 1896 Turati è eletto deputato e perciò deve partecipare alla vita politica romana lasciando Anna sola a Milano per lunghi periodi a gestire la “La Critica Sociale”. Lui a raccogliere fatiche ma anche allori, lei un passo indietro e ad ogni momento prodiga di consigli penetranti. Così, il loro carteggio evidenzia anche la realtà di una donna la quale, pur avendo doti tali da poter svolgere un ruolo di leader non solo intellettuale, rimane, dati i tempi, “al suo posto”.


Giuseppe Negroni di  Legg’io leggerà le lettere di  Filippo Turati
Claudia Dall’Osso leggerà le lettere di Anna Kuliscioff

(Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Amore e socialismo, un carteggio inedito, a cura di Claudia dall’Osso, Milano, La Nuova Italia, 2001)


Turati a Kuliscioff


[Roma], mercoledì 24 giugno 1896, 7 pom.

Carissima,
ti scrivo dall’aula dove si va a bagno maria. Hai un po’ ragione di paragonare le mie cartoline a quelle dal carcere: avevo immaginato che lo avresti immaginato. Però è un carcere attenuato. C’è questo: sono preso da paresi completa del cervello e di tutte le membra: nelle gambe, nelle braccia ho del piombo colato. Insomma l’effetto identico a quello del clima di Venezia. Per scrivere una cartolina mi ci vuole un atto di volontà come, a Milano, per farmi levare un dente. e non esagero. Non riesco neppure a leggere un giornale. Mi dicono parecchi che questo è l’effetto che il clima di Roma fa su molti: qualcuno dice che sia per l’adattamento: altri lo nega. Ferri assicura che non c’è che un modo di tollerare questo clima, e sta nell’andarsene via: Prampolini quando arriva qui diventa subito letteralmente malato. E’ anche vero che per incominciare l’allenamento ho scelto la stagione peggiore. Finora mi pare che faccio l’acclimatamento in senso inverso. Il primo giorno, benché rotto ancora dal viaggio, mi sentivo di prendere la parola: oggi non parlerei neppure se mi dessero il fuoco. Mi asciugo il sudore e continuo. Stamani ho presa una doccia. Mi costano ciascuna due lire. Qui non si vive con meno di 12 lire al giorno; a meno di andare all’Antro del lupo, dove invece di mangiare... si è tentati di fare viceversa. Domandare al buon Rubro1 per maggiori particolari...
Da tutto questo capirete tu e Leonida che non ho fatto nulla di tutte le cose che mi ero proposto per la «Critica». Il primo articolo è assolutamente necessario che lo facciate voi, nel senso che tu mi hai scritto va benissimo. Leonida dunque è formalmente incaricato.
Domani però, a costo di crepare, farò la traduzione dell’articolo sulla Polonia, e posdomani quello sul Congresso di Londra.
Per reagire allo snervamento di questo clima, tutti dicono che bisogna mangiare e bere moltissimo; ma io se mangio e bevo sono preso dalla sonnolenza peggio che mai.
La Nina ha ragione di dire che fa un gran senso che io non sia lì. Fa un gran senso anche a me.
Sono arrabbiato per il tuo braccio. Che bisogno c’era di stancarsi a quel modo? Sono tutte faccende che si possono far fare ad altri. Perché non chiamare la sorella della Linda, o il portinaio, o qualche altro?
Da Milano mi scrivono che devo essere sul lago Maggiore domenica. E’ come dire che mi vogliono suicidare. Se posso, se cioè non c’è niente di molto grave in vista alla Camera, tornerò a Milano domenica. Ma non certo per rimettermi in viaggio subito.
Domani vedrò Prampolini; mi ha scritto che quanto a lui non intende più assolutamente presentarsi alle urne perché a questa vita i suoi nervi non reggono.
Addio, ti bacio...in russo e mando un bacio alla Nina e a Leonida: pel quale varrà questa lettera. Due lettere per volta sarebbe cosa impossibile.
Filippo

Signora Dottor Anna Kuliscioff, Portici Galleria Vitt. Em. 23, Milano [lettera].
1) Riccardo Rossini, detto «Rubro», impiegato di banca, amico di famiglia e frequentatore abituale di casa Turati-Kuliscioff.

***
Turati a Kuliscioff

Roma, 3 luglio 1896

Carissima,
grazie della tua lettera. Ti mando, poiché lo vuoi, il manoscritto della Luxemburg dal quale mi separo a malincuore perché mi piange l’anima di caricarvi di altro lavoro. D’altronde è questo della traduzione forse l’unico lavoro ch’io potessi far giù. Mi pare che, per non aggravare Leonida che ha già tanta legna verde sulle spalle, questa traduzione potreste farla assieme fra te e Tanziello. Tu eviteresti a Tanzi il lavoro degli occhi per decifrare la calligrafia tedesco-polacca - che del resto è abbastanza chiara - e lui penserebbe alla forma italiana; e sareste in due a consultarvi per l’interpretazione dei passi meno facili. Del resto Tanziello è ormai un traduttore consumato.
Il piccolo vocabolario tedesco l’ho portato con me ma c’è costì, oltre il grosso Valentini, un Waber più maneggiabile, e poi anche un tedesco-francese edizione diamante. Li troverai in libreria presso gli altri dizionari.
Unito al manoscritto troverete la seconda lettera Luxemburg con le correzioni ed aggiunte - non le dimenticate. Unisco pure le prime linee da me tradotte. Ma val meglio che cominciate da capo per avere un solo stile. Così Tanziello espierà un po’ la pena dell’avermi cacciato via da Milano prima del tempo. Ho ricevuto un mandato in bianco pel Congresso di Firenze da Menfi (Girgenti) ma c’è l’ordine del giorno per la tattica «rigidamente intransigente»! Il circolo che me lo manda è composto di sei, dico sei, soci. E l’ordine del giorno dice che ormai non vi sono che due soli partiti; evidentemente l’uno è fatto di sei persone e l’altro di tutti gli altri. Un bel combattere!
Come saprai dai giornali, niente più viaggio semigratuito a Firenze. Rudinì si oppose subito alla nostra interrogazione, ieri stesso in fine di seduta: rispose che il nostro partito urta spesso nella sua propaganda il Codice penale, e perciò sarebbe un’ingenuità da parte sua il facilitarci la via. Costa replicò assai prolisso e alquanto contraddittorio. Non era in un momento felice: forse perché era colto alla sprovvista. Ad ogni modo non pare che intendano proibire il Congresso (e quasi quasi, in confidenza, sarebbe desiderabile lo facessero: credo sia questa anche la tua opinione!). Ma il Prefetto di Firenze arzigogola che poiché lo si tiene in un teatro, che è luogo pubblico per natura, egli intenda mandarvi un ispettore di P.S. Intende, vuol dire, che sia pubblico per davvero. A me pareva che fosse da accettarsi la pretesa del Prefetto. Pubblico, e permesso: dunque tanto meglio. Così affermeremmo in fatto il diritto di tenere grandi riunioni pubbliche: che cosa abbiamo da temere? Cospiriamo forse? Ma Costa ritiene che cotesta idea prefettizia celi un’insidia: che cioè si piglierebbe poi pretesto da qualche inevitabile frase poco misurata di un Congressista per scioglierci, cogliendo così il governo il doppio alloro liberale e conservatore d’aver permesso e di avere vietato. Io non fui molto convinto di questi argomenti: conveniva, mi pare , passarci la parola d’ordine di evitare ogni pretesto di richiami e di scioglimenti, elegger dei presidenti dalla mano di ferro che facessero essi la polizia preventiva - ma tener il Congresso pubblico; e procurarci una sala di rifugio pel caso che, malgrado tutte queste cautele, il Congresso fosse sciolto lo stesso.
Ma il Costa, che è uomo d’azione, sciolse tutte queste dubbiezze fermando il Rudinì negli ambulatorii e chiedendo che cosa intendesse di fare, Rudinì ci disse che il criterio adottato è di ritenere private le riunioni con biglietto nominativo a ciascun invitato; ma è materia che si deve lasciare fino a un certo segno alla discrezione delle autorità locali. Telegraferà al Prefetto di Firenze e ci darà risposta.
Pare dunque che abbandonerà per conto suo il criterio - adottato da Crispi - che locus regit actum (fatti spiegare il latino dalla Ninetta). Io gli dissi: se quando un teatro è ermeticamente chiuso e buio e due amanti profittano di queste propizie circostanze per chiudersi in un palchetto col fine che imaginate, direte voi che ci fu oltraggio al pudore in luogo pubblico?
Acido fenico! Acido fenico!
Torniamo alla «Critica». Tentiamo pure di farla uscire come tu dici. Ma io ci credo poco. Non prometto neppure i due lavori che mi chiedi. Tenterò: ecco tutto. Qui si fa una vita incompatibile con qualunque lavoro suivi. Le sorprese si inseguono. Hai visto? Ieri sera si seppe che oggi si cominciava la discussione sulla Sicilia. Per me è tutta roba nuova: non ho neppur letto ancora le relazioni. Alla mattina c’è la questione ferrovieri: nel pomeriggio la Sicilia. E si finisce verso le 8 di sera. E si ha il capostorno. Quando vuoi lavorare? L’unica era fermarsi altri due o tre giorni a Milano, e venire poi qui senza preoccupazioni.
Se è venuto Carozzi1 ti avrà quasi vuotata la cassa. Se vuoi andar alla Banca Popolare prendi con te le due chiavette piccole unite con anello che si trovano nel cassetto alla sinistra del mio scrittoio insieme alle palanche - e inoltre il librettino della cassetta che è nello stesso cassetto, di dietro, copertina grigia. Vai dal Ravizza, consegni la chiavetta, fai la firma pel libretto, levi dalla cassetta, dal pacco più grosso (che ha scritto sopra Filippo) il libretto verde che si presenta pel primo e che è intestato Filippo Turati ed è libretto della Banca Popolare; riponi il resto della cassetta, la chiudi, la fai tenere sospesa per alcuni minuti; portando con te la chiavetta; torni nella prima sala, presenti il libretto allo sportello dei rimborsi, ne fai levare 500 lire, (prendi memoria del prelevamento su un pezzo di carta); poi ritorni e riponi e richiudi bene e consegni e porti via libretto e chiavette. Compreso? Ci sarebbero anche nel mio cassetto di mezzo i vaglia di maggio e, dietro, un pacchetto di cartoline-vaglia di maggio - e poi i vaglia e le cartoline di giugno - da riscuotere: ma bisogna fare la distinta, rivederla etc - e credo che ti conviene meglio andare alla Banca: la riscossione dei vaglia e cartoline la farò io dopo il Congresso di Firenze
Metodo più spiccio di tutto sarebbe farti dare quattro o cinquecento lire in prestito dalla Mamma - che o le ha nel cumò o ha tempo di levarle da un suo libretto.


Addio. Il mio bollettino sanitario è buono. Non sento quasi più gli effetti del clima, o perché è mutata l’aria o perché mi ci vado avvezzando. Ora ho preso alloggio in Roma alta, presso la Stazione, all’Albergo Massimo D’Azeglio: stanotte ho dormito benissimo. Alla mattina scendo a piedi e a mezza via prendo una doccia.
L’unico cruccio è di avervi lasciato tutto quel lavoro addosso e di sentirmi di qui impotente ad aiutarvi. Il resto non è allegro, ma non mi farebbe nulla. Vivo assai solo: non ho un cane con cui mangiare: ieri ho invitato il Morandotti. Gli altri o vanno pei fatti loro, o mi pesano. Il Ferri è dei più possibili, ma ieri sera è partito e non torna che dopo il congresso. Ho visto il Ciccotti2 che partì ieri sera per Potenza, e si mostrò con me assai gentile: evidentemente non voleva mostrarsi... viceversa.
Se la tipografia vi manda presto le bozze impaginate dell’estratto sulla tattica, potreste mandarmele subito - e io impiegherei una sera a rivederle e le rimanderei quasi a volta di corriere. Avendo io già ordinato quel lavoro e conoscendolo già, farò assai più presto di chiunque altro: e poi, di Leonida, per le correzioni non mi fido una maledetta.

Addio. Tirando in lungo ho perduto l’impostazione delle 7 di sera. Così questa mia vi arriverà verso sera domani. Scappo a pranzo...in qualche luogo.
Un bacio alla Ninetta. Che senso! Non è vero? Si persuada che la faccenda delle date non conta nulla. Rimanderemo il nostro complotto di una quindicina di giorni.
Saluto tutti per tuo mezzo. Non dimenticare l’Albini, che dovrebbe mandarmi un pacco postale del suo buon umore.
Il tuo
Filippo

Non hai trovato nessun saluto scritto per due ragioni: 1° perché sarebbe stato scritto in verde, colla bile; poi perché temevo di perdere la corsa. Credevo fosse alle 10,40, e poi vidi che era alle 10 e 10 e non ebbi che il tempo di partire in gran fretta.
Ciao

[lettera]

1) Giuseppe Carozzi, pittore (1864-1938).
2) Ettore Ciccotti, storico dell’antichità, aveva aderito al PSI fin dalla sua costituzione e fu poi collaboratore della «Critica sociale». Nelle elezioni politiche del 1900 fu candidato in più collegi. Eletto sia a Napoli che a Milano, optò per Napoli
.

***
Turati a Kuliscioff

Carissima,
sono quasi le 8 di sera e siamo qui di guardia, nell’aula, senza poter lasciare il posto, pel caso che qualche rinuncia a precipizio ci anticipi il turno.
E sono qui da 6 ore con un mal di capo che va diventando feroce, e col mal di gola per giunta.
Ma ormai mi par certo che mi rimandano a domani. E così non posso partire, come speravo, domattina ed essere a Firenze alle due circa del pomeriggio. E o verrò la notte del sabato, se farò a tempo, e con un mal di capo anche là, oppure la giornata stessa di sabato, perdendo così quasi tutta anche la prima giornata di Congresso.
Ti arriveranno questi ragguagli? O sarete già partiti per Firenze? Oggi per vendicarti dell’altro giorno mi lasciasti senza lettere. Orribile!

Filippo

Mille e mille grandissimi baci.

Alla Signora Dr. Anna Kuliscioff, presso Critica Sociale, Portici Galleria V. E. 23, Milano [cartolina postale].

***


Kuliscioff a Turati

Milano 3.7.’900 ore 6 ½ pom.

Mio caro Filippin,
io sono verde, tu sei verde, noi siamo verdi – in estate dovrebbe far piacere questo verde dentro e fuori di noi, ma viceversa siamo dannati: tu per una ragione, io per un’altra, ma il fatto sta che abbiamo poche soddisfazioni reali. Immagina che per più di un’ora fui zuppificata da un certo prof. Tirale di Brescia, mandatoci da Ghisleri1, perché doveva chiarirti la situazione politica in Brescia.
E’ un repubblicano e tira l’acqua al suo molino. Vorrebbe che i socialisti facessero il servizio dei Comini e comp.ia, ma soprattutto che eliminassero dal loro seno l’avv. Paroli. Quanto al primo suo obbiettivo mi sono data l’aria di non capire bene quel che volesse, quanto al Paroli gli obbiettai che per eliminare una persona che fu candidato del partito ci vorrebbero ragioni molto serie e non semplici dicerie di apprezzamenti. Queste ragioni se esistono devono accertarle ed una volta accertate sottoporle al partito socialista locale, onde prendesse i provvedimenti del caso.
In ogni modo né Turati, né lo stesso domeneddio possono intervenire in casi così delicati. Non sono che i bresciani che devono fare l’inchiesta o regolarsi poi dopo secondo le risultanze. Capisco che il prof. Partì poco soddisfatto, perché mi disse che tornerà ancora per darti anche a te una porzione della stessa zuppa che ho avuta io quest’oggi. Consolati!
Non ho capito bene le vostre previsioni pessimiste quanto all’avvenire dell’Estrema.
Perché non avvenga una delusione nel paese ognuna delle tre frazioni dovrebbe formare un suo programma d’azione parlamentare salvo poi esser appoggiata dalle altre due. I democratici legalitari – un programmino serio di indole tributaria, i repubblicani un programmino politico di vero attacco alle istituzioni e noi altri socialisti un programma di varii progetti di indole sociale in difesa del proletariato agricolo ed industriale. Non capisco il pasticcetto popolare a base di un programma minimo comune ai tre partiti. Secondo me allora sarebbe logico di liquidare il partito socialista e formare una democrazia sociale con un programma unico.
Ne riparleremo e sono fin d’ora convinta che saremo d’accordo sulla necessità di mantenere ben distinto il partito socialista dagli affari nell’attività parlamentare positiva. Il semplicismo del Ferri può diventare un vero pericolo se fosse rafforzato da una corrente opportunista di qualche deputato del gruppo. Per reazione istintiva della conservazione propria il partito voterebbe qualunque assurdo di forme intransigenti, basta non cadere nella confusione affinista anche sul terreno dell’azione economico-tributaria. Non so che cosa concluderete, non so neppure di che cosa si tratti, poiché le cartoline non sono che un accenno a cose, che io non conosco, ma ti prego di una cosa sola non comprometterti troppo coi tuoi amici di altri campi. Se antalonierai a lungo, finirai involontariamente ad esser impegnato in una via, che poi più tardi troverai sbagliata.
antaloni e Pantano potranno fare molto e non c’è alcun bisogno che ci sia anche il pizzico di socialismo sotto forma di vera alleanza parlamentare.
La Ninetta non fece la fisica, perché fu presa dal panico. Io non le dico nulla: povera figliola, è mortificata e poi m’importa ben poco. E’ preparata e darà l’esame in ottobre. Sabato va ai bagni di mare e questa partenza imminente è anch’essa una ragione di stanchezza.
Bisogna trattare per piccoli acquisti, bisogna pensare a farle aggiustare le cosette stc. Etc. Scusami ti prego se fra le righe leggi una grande stanchezza: non sono né di mal umore né arrabbiata. Sono semplicemente stanca. La Maria non mi può fermarsi che sino alle 5 e bisogna andare tutti a mangiare, anche questo mi diverte poco.
Addio, mio caro. Vogliami un po’ di bene ti bacio di tutto cuore

Anna


Avv.o Filippo Turati Deputato, Montecitorio, Roma [lettera].


1) Arcangelo Ghisleri, repubblicano, fondatore della rivista «Cuore e Critica» rilevata nel 1891 da Turati mutandone la denominazione in «Critica sociale».

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Kuliscioff a Turati


Salsomaggiore 15agosto 1900, 4 pom.


Mio carissimo, grazie delle buone intenzioni, intanto mi contento della promessa1.
Oggi vi scrivo prima dell’inalazione, che faccio solitamente alle 5 ½ , perché temo che fra il tempo affoso e nuvoloso, fra lo snervamento che mette addosso l’apparecchio polverizzatore, probabilmente finirei a non scrivervi affatto e mi dispiacerebbe lasciarvi senza la mia brillante prosa. Che cosa mi pare l’elucubrazione ferriana? Aspetto la fine, dove vi sarà certo un aumento di dose di veleno già comparso nella coda del secondo articolo. Soltanto vedendo le conclusioni potremo dire se siamo d’accordo sì o no. Intanto l’impressione mia è questa o è un gran ignorante o è in malafede. La lotta di classe, il colettivismo, la formazione di coscienze socialiste sono un formulario di ricette di cui si servono i medici ignoranti. Il medico che capisce le malattie e soprattutto i malati singoli si regola secondo i casi, prendendo in considerazione come si esplica la malattia in un dato individuo, quale è la resistenza e la tolleranza individuale ai rimedii indicati nel ricettario, si regola caso per caso quanto alla dosatura, alle correzioni necessarie con altri ingredienti etc. Il semplicismo del tanto professore ed uomo politico è addirittura iperbolica. Basta proclamare la lotta di classe come mezzo e il collettivismo come scopo che anche l’Italia meridionale e le Sicilia dal lumicino ad olio passeranno alla luce elettrica. Che cosa conta mai lo sviluppo economico, l’educazione politica, un certo grado d’istruzione, il saper leggere o scrivere, sono tutte fandonie. Basta che si proclami il collettivismo e succederà il miracolo sotto l’azione magica di due-tre formule giustissime quanto si vuole, ma non dovunque applicabili. Con questa logica, o meglio mancanza di logica, si potrebbe diffondere il Socialismo fra i pelli rossi e i suditi di Menelik. E l’evoluzione, e la bagologia, l’alta scienza antropologica dove sono andati a riccantucciarsi quando scriveva il 1° e 2° tempo del suo parto prematuro?
Fin qui o è ignoranza o è completa inconscienza. Se non fosse che questo si potrebbe sorridere, ma dove comincia ad irritare è là dove si rileva in piena mala fede. La «Critica» e l’«Avanti!» non fanno che propaganda politica e dimenticano la lotta di classe.
Ma ha mai pensato il gran Ferri che ogni lotta politica è nello stesso tempo una lotta di classe. Tutto sta a rendersi conto fra quali classi in un dato momento storico la lotta è più accentuata e più decisiva nell’interesse del paese. L’ostruzionismo, tutti gli articoli del Bissolati, molti articoli della «Critica», che spiegavano chiaro come la lotta contro la reazione medioevale per la libertà, è anche una lotta economica contro tutti i sistemi medioevali che inciampano lo sviluppo delle industrie, che fiaccono le energie economiche, che sono una congiura continua contro i consumatori, cioè contro tutta la piccola gente, il popolo in complesso, è questa la lotta di classe in questo momento storico italiano e noi la formuliamo, la aiutiamo, la rendiamo cosciente in mezzo al proletariato, pur dicendogli che, aiutando l’elemento progressivo della borghesia di vincere l’elemento feudale, non è ancora la sua lotta diretta, ma indirettamente la vittoria della borghesia moderna, offre a lui la possibilità alla formazione di quell’ambiente e di quel terreno, ove la sua lotta di proletariato e la conquista per lui d’un migliore avvenire potrà esplicarsi nella sua forma genuina e trionfale. Insomma noi non dobbiamo adoperare l’artifizio del dire che «siamo d’accordo». Siamo d’accordo un cavolo. Dobbiamo dimostrare più che mai che in Italia per un bel po’ avremo bisogno dell’unione coi partiti borghesi avanzati e nell’illustrare questa necessità faremo tutta la propaganda delle lotte di classi che dà molto maggiore educazione politica ad allarga molto più l’orizzonte mentale del proletariato di quello ch’è la semplicissima formuletta della divisione della società in sfruttati e sfruttatori.
Bisogna che il buon Claudio prepari, come eravamo già intesi, la sua breve difesa dell’«Avanti!», che studii l’«Avanti!» sotto il regime Ferri e dimostri chiaramente che l’«Avanti!» sotto la direzione Bissolati fece molto più propaganda di lotta di classe, senza mai nominarla, di quello che non lo feci Ferri, avendo sempre in bocca e sulla penna la sacramentale formuletta. Per carità non cedete gli armi, se no... non val la pena di sottomettersi al regime carcerario a Salsomaggiore. Ieri incontrai il Baraldi2, parlammo non più di tre minuti, mi disse che sarebbe venuto a trovarmi, ma poi pensò bene di non venire.
Salutami il buon Claudio; lo ringrazierò poi al mio ritorno dei numerosi «regali» portatimi. Non scriveva, non rimase fedele all’amicizia. Addio, mio carissimo, buon Filippin. Se mi scrivi mi farai un regalone e se no... ciao mi rassegnerò. Ti bacio tanto e tanto, tanto, quanto ne vuoi. E magari mi mandi al diavolo.

Tua Anna

P.S. Mandami i giornaletti Socialisti dell’ultima domenica: «Giustizia», «Lotta», «Grido», «Propaganda», «Battaglia» e qualche altro che ti sembrerà interessante.
Tiene nota qualcuno quanti anni di reclusione si distribuiscono ogni giorno per apologia di reato?
Il «Tempo» cogli elogi al deputato Turati lo lessi già lunedì mattina. Faresti bene di mandarmi regolarmente il «Resto del Carlino», e qualche altro giornale il «Giorno» p.e. Spendo 25-30 cent. In giornali al giorno e mi secca di buttarne via di più
Ciao t’abbraccio
Anna


Avv.o Filippo Turati deputato, Portici Galleria V.E. 23, Milano [lettera].

1) Di andarla a trovare a Salsomaggiore.



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Kuliscioff a Turati

Salsomaggiore, 22 ottobre 1900, 3 pom.

Mio carissimo, la tua lettera è triste, ma buona ed affettuosa. Tu hai tutte le ragioni, ma anch’io non ho torto. Dopo aver pianto, dopo aver crudelmente analizzata me stessa, dopo aver attribuito a me stessa tutti i torti, non so però pentirmi.
Non ho da pentirmi di niente: è una specie di fatalità che ci perseguita fin dal primo giorno del nostro incontro. Ti ricordi al Cimitero di Napoli? Tu, sorridendo, confessavi, che il tuo incontro anche con me è sempre la stessa cosa, ed io, piangendo, ti pregavo di lasciarmi volerti bene. Le mie ricorrenti ipocondrie sono un segno che la vecchiaia non ha spento ancora in me tutte le ribellioni della giovinezza. Non so pentirmi di questo peccato, il pentimento senza ravvedimento è semplicemente debolezza, e questo genere di debolezze isteriche sono degne di compassione, ma si perde anche la stima per chi le possiede. Le mie malinconie ricorrenti non sono dunque ne’ ipocondrie, ne’ isterismi, ne’ «cattiveria», forse sono semplicemente un ardente desiderio d’averti un po’ più per me, ciò che accade ben di rado. Mi vergogno a dirti queste cose, perché vedo già il tuo sorriso canzonatorio, leggo nella tua mente certe frasi in milanese che gettano il ridicolo su tutto; ma, cosa vuoi, non ho mai saputo, neppur ora alla mia tenera età, che cosa sia saggezza. Non so tacere, sorridere, quando ho la gola stretta dal pianto, parere serena, quando sono tormentata da sentimenti contraddittorii ed angosciosi: e ci vorrebbe tanto poco per rendermi felice. Il guaio è che v’ha un punto oscuro nella diversità del nostro sentire. Io so che tu mi vuoi bene, non ne dubito, ma non basta di voler bene, bisogna saper anche voler bene. Capisco che può darsi che è semplicemente questione di indole, ma spesso mi viene il dubbio, ed è questo che mi tormenta e mi rende desolata, che forse un’altra avrebbe saputo ispirarti un affetto più caldo e sarebbe più degna di te di quello che non lo sono io. E bada che te lo dico senza acrimonia, senza rimprovero, senza rabbia. Ti giuro che forse mai nessuno ti abbia voluto bene quanto te ne voglio io, e forse è questa la mia disgrazia. Lontana da te, avendo già radicato il dubbio, che forse meglio sarebbe per te ch’io scompaia, e che tu possa incontrare ancora una donna che sapesse renderti veramente felice, la minima tua indifferenza verso di me s’ingigantisce e si pianta là fra noi due come uno scoglio insormontabile.
Che colpa ho io di sentire così, che colpa ne hai tu di non capire questi bisogni dell’anima? Tu ti meravigli come mai il non aver trovata una mezza giornata di venire a Salso abbia potuto cagionare tanti dolori, farmi piangere tanto e determinare la «tragedia» per così poco. No, mio caro, non ho nessuna intenzione di essere ridicola come le vecchie che si ornano di colori vivaci, sono semplicemente infelice con molte rughe in faccia e con molte illusioni nell’animo. Partendo mi promettevo, come una bambina, la gran festa d’averti qui almeno per poche ore, accarezzando tanto questo modesto desiderio, che, mi vergogno persin a confessarlo, fu questa speranza che m’indusse di partire per Salsomaggiore. E poi dopo pochi giorni ho capito che la tua promessa l’hai fatta come prometti altre cose a persone estranee, tanto per liberartene, e mi presero una tristezza, uno sconforto da piangere ed ho finito ancora per dar torto a me stessa, accusandomi di romanticismi stupidi, che ormai hanno fatto il loro tempo. E qui ho finite le mie confessioni. Dopo tutto ci vogliamo bene come pochi forse si sono mai voluti. Bisogna che acquisti un po’ di saggezza di saper celarti quando sono amareggiata, o forse, ciò che sarebbe meglio, colla vecchiaia verrà anche quella serenità, che fa apprezzare l’amicizia e anche un piccolo angolo nel cuore a chi si vuol bene. E ti bacio con tutto cuore e vogliami bene un po’ per me stessa con tutti i miei difetti e con tutte, se vuoi, stramberie. Addio a dopo domani alle 3 parto. Imposta la lettera prima del pranzo. Tanti baci.

Tua Anna.

Avv.o Filippo Turati deputato, Portici Galleria 23, Milano [lettera].

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Kuliscioff a Turati

Milano, 6 dicembre 1900, 6 pom.

Mio carissimo, è veramente una magra consolazione l’esito della votazione d’ieri, basandovi sui calcoli aritmetici. I vostri 60 o 70 voti sarebbero aumentati di certo se fosse stata battaglia, se molti indecisi avessero vista l’apposizione al Sonnino forte, convinta e compatta. Non posso persuadermi che un partito politico possa essere così illogico, contraddittorio e persino assurdo. Colla decisione dell’Estrema di non partecipare alle elezioni dei 15, si è data una patente di impotenza e di poco acume politico. Ma non avete votato tutti quanti che questa commissione venga nominata? Chi vi impediva poi egualmente con maggiore autorità di sostenere nella camera e nel paese «più pane e meno armate»? Che compromessi facevate entrando nella Com. dei 15? Le scuse dell’«Avanti!» sono meschine, che non giustificano nulla. Siete proprio voi dell’Estrema che dovete essere gelosi delle prerogative del governo e delle sue responsabilità?